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Autore: Sadele    07/07/2021    2 recensioni
L’amicizia è la cosa più difficile al mondo da spiegare. Non è qualcosa che si impara a scuola. Se non hai imparato il significato dell’amicizia, non hai davvero imparato niente.
(Muhammad Ali).
Emma e Yhassin, due bambini che non potevano essere più diversi, il giorno e la notte, destinati a diventare grandi amici.
la vita però si sa a volte è spietata, li porterà a perdersi per poi ritrovarsi a distanza di anni e scombussolare completamente i loro equilibri.
Eccomi qui con una storia originale, frutto della mia fantasia.
spero che vi piaccia!!
buona lettura.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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SENTIRSI A CASA

 

Prima di partire per un lungo viaggio
devi portare con te la voglia di non tornare più.”

Irene Grandi

 

 

Durante il viaggio in auto Emma si perse nei ricordi, quella era la terra del suo migliore amico, era sciocco considerarlo ancora così dopo 15 anni e, soprattutto, dopo che lui non le aveva mai telefonato o scritto nemmeno una cartolina.

Forse fu più quello a farla soffrire che non la partenza vera e propria. Se lui avesse tenuto almeno un po alla loro amicizia avrebbe trovato un modo per mantenersi in contatto.

Il giorno in cui si salutarono Emma era distrutta, le lacrime le rigavano il viso e Yhassin, forse per la prima volta, aveva gli occhi tristi.

Ricordava ancora, come fosse ieri, lo sguardo che le regalò, quell'abbraccio disperato e quel bacio dato a mezza bocca che aveva lasciato Emma turbata e con le guance in fiamme.

Era sicura che anche a lui costasse molto quella partenza ma evidentemente se ne era dimenticato in fretta.

Non fu così per Emma, lei quel saluto lo portò nel cuore per lungo tempo e forse in qualche angolino nascosto era ancora presente.

Forse era per questo motivo se nella vita si era chiusa in se stessa, aveva tirato su dei muri degni del miglior costruttore, cemento armato, impenetrabile ed indistruttibile. Si era protetta dalla sofferenza ma aveva fatto sicuramente soffrire a sua volta e non andava certamente fiera di ciò.

All'alba dei 30 anni, non si poteva certo dire che avesse un bilancio positivo da fare, erano tante le cose che avrebbe voluto cancellare volentieri o almeno poter modificare.

 

“ehi bicchiere di latteee...ci sei?” disse il bambino sventolando la mano davanti al suo naso. “che vuoi, quante volte ti devo dire di non chiamarmi così... sei irritante” ma proprio vicino a lei dovevano metterlo, era peggio di un moscone fastidioso, sempre a prenderla in giro. “oggi vieni con me in un posto?” “dove vorresti andare?” gli chiese Emma sconsolata.

A fare i tuffi. “coosa? Ma sei matto? Siamo a novembre?” “e allora... è divertente, dagli scogli. Ho bisogno che qualcuno mi tenga i vestiti” aveva un sorriso contagioso Yhassin, quando rideva lo faceva anche con gli occhi, quegli occhi che ti facevano sentire sempre a casa ovunque tu fossi.

Cosi Emma non seppe dire di no, lo accompagnò in quell'avventura sciocca e fu sorprendentemente divertente.

Tutto, con lui, era semplice come bere un bicchiere d'acqua.

Lui non trovava scuse, se gli andava di fare una cosa la faceva anche a costo di mettersi nei guai come quella volta delle pesche.

 

Emma si era persa nei suoi ricordi d'infanzia quando l'auto si fermò. Non si era nemmeno accorta che erano arrivati.

Si guardò intorno, era un posto piuttosto isolato, brullo, senza vegetazione. “ma non doveva essere una fattoria?” chiese Erika. “Qui non c'è altro che polvere ed erba secca...”

“da queste parti non c'è molta vegetazione, siamo nel deserto” disse Habuk. “Qui vicino sorge il sito di Giza, e comunque, questa terra fino a pochi mesi fa era coltivata ad erba per le capre. Da quando hanno scoperto il sito archeologico il proprietario ha lasciato andare tutto e ha venduto le capre.”

L'aspetto desolato di quel luogo mise tristezza alle ragazze, certo doveva costare molto sacrificio allevare bestiame in quel posto e lottare quotidianamente contro la desertificazione.

“venite, il signor Mohamed vi aspetta da questa parte”.

Sentendo quel nome Emma ebbe un tuffo al cuore, era il cognome del suo amico, ma d'altra parte qui si chiamavano tutti così, non sarebbe stato strano trovare un omonimo.

Si fermarono davanti ad una casa bassa, in pietra bianca, ad un piano con il tetto piatto anch'esso bianco. Accanto alla casa c'era un'altra struttura, doveva essere la stalla, pensò la ragazza. Certo che quel posto le metteva i brividi, come si può vivere in un contesto simile, era certa che non ci fosse nemmeno l'acqua corrente.

L'autista bussò alla porta, e gli aprì un uomo sulla cinquantina basso e grassoccio, a giudicare dall'aspetto non era certo un Egiziano. “Se cercate Il signor Omar Mohamed” non è qui, è allo scavo, ha detto di raggiungerlo la”.

“grazie mille Robert, ci andiamo subito”.

Parlavano in inglese il che confermò ad Emma la sua teoria sull'origine dell'uomo.

“venite per di qua”. “ma tu come fai a conoscere così bene questo posto ?” gli chiese Erika. “be io qui sono di casa, il proprietario è mio cugino, e quando abbiamo saputo del disguido con il precedente autista, mi sono offerto di venire io a prendervi.” il ragazzo era in imbarazzo, ma era ovvio che non fosse un autista di mestiere, era un cane nella guida. Tuttavia Erika non si sentì di dire nulla. Probabilmente quello era il lavoro più onesto che avrebbe potuto avere. Ed in fondo a loro non importava più di tanto. Avrebbero fatto questa benedetta intervista ed entro domenica sarebbero tornate alla civiltà.

Lo scavo distava qualche minuto a piedi, quando arrivarono notarono subito in lontananza i macchinari e gli uomini intenti a sollevare la terra e le pietre. Era un lavoro molto delicato, non si poteva sapere cosa nascondesse il sottosuolo e quindi bisognava procedere con cautela.

Una figura si avvicinò a loro, era un uomo, alto e ben piazzato fisicamente, aveva pantaloni e camicia di cotone chiari, e sporchi di polvere.

I capelli ricci e neri contornavano un viso anch'esso scuro.

Man mano che si avvicinava, Emma potè notare che quella che le sembrava una folta barba era in realtà una mascherina per proteggersi dalla polvere. Quando l'uomo fu a pochi metri da loro le ragazze notarono che era giovane, all'incirca della loro età, aveva il volto quasi interamente coperto da quella specie di bavaglio e si vedevano solo gli occhi, neri come la notte.

Emma lo guardò, per un attimo pensò che quegli occhi avessero qualcosa di famigliare, l'uomo iniziò a parlare con Habuk nella sua lingua, probabilmente gli stava chiedendo chi fossimo. “ehm ehm , scusa Habuk, puoi dire al signore che siamo qui per l'intervista”? Disse Emma spazientita, non le piaceva quando qualcuno parlava una lingua che lei non conosceva.

“Puoi farci da interprete per favore, così faremo prima”.

Il tizio che doveva essere il signor Mohamed si voltò verso Emma e disse: ”non c'è bisogno dell'interprete, ti capisco benissimo”. Poi gli occhi gli si illuminarono all'improvviso e anche se aveva la bocca coperta Emma era certa che stesse sorridendo, rimase impietrita con la bocca aperta come colta da una folgorazione.

Era consapevole Di essere osservata, Erika e Habuk la stavano guardando curiosi.

L'uomo si abbassò la mascherina e un bellissimo sorriso luminoso si aprì su quel viso scuro. A Emma parve impossibile, non riusciva a credere ai suoi occhi, non era cambiato di una virgola, sempre la stessa faccia da schiaffi, il sorriso irriverente e quella luce negli occhi... “Yhassin” sussurrò con la voce rotta dall'emozione e senza pensarci volò fino a lui e gli gettò le braccia al collo, sotto lo sguardo sbigottito degli altri due.

   
 
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