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Autore: Pol1709    09/07/2021    1 recensioni
Bentrovati a tutti.
Questa storia è la continuazione de "Il Cavaliere e la Strega", ma si svolge nell'epoca di Oscar. Quest'ultima, dopo aver detto addio alla Guardia Reale, a Conte Fersen ed aver litigato con André (il famoso episodio della camicia strappata...) passa un periodo di riposo in Normandia prima di prendere il comando delle Guardie Francesi di Parigi. Lì viene coinvolta, a causa di una vecchia avversaria, nella caccia a una antica e potentissima arma, inseguita dagli agenti inglesi e affiancata da una antica nemica/amica.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Tintagel (Britannia) – VI secolo d. C. circa
Lady Morgana Pendragon, Duchessa di Cornovaglia e Regina del Galles finì di allacciare la sua spada al fianco, guardò per un attimo il grande camino di pietra con il fuoco acceso e il vessillo appeso alla canna fumaria: bianco come la sua pelle e raffigurante un grande corvo nero come i suoi capelli.
Si girò e Nimue le andò di fronte, infilò una mano in una ciotola, la ritrasse e la passò sulla faccia della Duchessa dipingendola con una tintura di colore blu. La giovane sorrise – Così combattevano i nostri antenati Mia Signora e così combatterai tu. Che Dagda il sommo padre degli dei vegli su di te, che Morrigan, dea invincibile della guerra sia al tuo fianco, che guidi la tua spada e che il suo grande corvo sia i tuoi occhi –
Morgana rabbrividì, l’essere che si spacciava per il corvo di Morrigan, il lato oscuro della dea, l’aveva posseduta tempo prima ad Avalon e solo con l’aiuto della donna gallica, Oscar, l’aveva sconfitto. Provò di nuovo nostalgia per lei, ma anche profondo dolore e rabbia. Aveva approfittato della loro amicizia per prendere la pietra di Excalibur e lei non l’avrebbe perdonata. Nimue sospirò – Vi prego un’ultima volta Mia Signora, portatemi con voi –
Morgana serrò le mascelle – No! E’ una cosa che devo fare solo io…E’ una cosa che solo io posso fare –
Nimue abbassò il capo – E allora andiamo –
 
Scesero le ripide scale di pietra che portavano al cortile del castello dove, ad attenderle, c’erano due file di guerrieri, una di fronte all’altra e al centro c’era Volker che teneva per le redini un grande cavallo nero e uno scudo rotondo dipinto di bianco e nero. Morgana avanzò a grandi passi verso il maggiordomo del castello e guardò il cielo. Le luci dei bracieri non riuscivano ad illuminare granché l’ambiente circostante: la nebbia era arrivata dal mare, fredda, bianca ed avvolgente. La popolazione di Tintagel si era barricata in casa, quando arrivava quel tipo di nebbia avevano paura degli spiriti malvagi che essa portava. Lei invece sapeva che quel fenomeno amplificava i suoi poteri, come quando aveva evocato a sé Oscar e André portandoli via dalla loro epoca.
Volker chinò la testa – Mia Signora…Per l’ultima volta vi scongiuro di non fare pazzie. Al popolo di Cornovaglia serve la sua Duchessa e possiamo sconfiggere gli uomini-drago con le nostre sole forze –
Lei sorrise debolmente e montò in sella con un movimento rapido, poi lo guardò – Se c’è modo di salvare la gente di Cornovaglia senza spargere sangue non devo lasciare nulla di intentato Volker – disse e si piegò verso di lui per non farsi udire da altri – Nel caso in cui non dovessi tornare Nimue sarà la nuova Duchessa, è giovane, ma è caparbia e valente, proteggila come faresti con me –
Lui sospirò – Voi non avete mai avuto bisogno di protezione dagli altri Mia Signora, ma solo da voi stessa, come quando avete fatto arrivare quella coppia di pazzi con strani abiti e strane armi. E non dovete nulla a questo popolo! Vi temono, vi odiano, ma non vi hanno mai amato e quello che avete fatto e fate per loro va ben oltre i doveri di un nobile. Ma farò il mio dovere e vi aspetteremo, come sempre abbiamo fatto e ci guiderete alla vittoria, come sempre avete fatto–
Lei annuì, guardò la vecchia faccia dell’uomo e provò un misto di nostalgia e affetto. Volker aveva servito suo padre e lei con onore e fedeltà, come pochi avrebbero fatto. Lei si piegò di nuovo e gli mise una mano sulla spalla – Grazie…Grazie…Amico mio –
Lui tirò su con il naso e annuì – Tornate da noi Vostra Grazia –
Lei annuì leggermente, si raddrizzò, imbracciò lo scudo che gli stava porgendo Volker e poi serrò le dita sulle redini. Guardò i suoi uomini che, come ad un comando, sguainarono le spade alzandole verso il cielo; - Aprite! – gridò e le ante dell’imponente cancello si aprirono spinte da due armigeri. Morgana guardò l’uscita che, illuminata da due alti bracieri che rischiaravano la nebbia, sembrava la bocca di un drago. Piantò i talloni sui fianchi dell’animale che partì al galoppo e uscì, passò il ponte levatoio e andò verso l’oscurità avvolta dalla densa foschia.
 
La Duchessa non vedeva nulla avanti a sé, il mondo era completamente avvolto nella nebbia e, ad un certo punto, dubitò persino che gli zoccoli del suo cavallo toccassero il terreno e fluttuassero nella bianca foschia. Pensò intensamente a Oscar, a lei e alla pietra rossa che faceva parte dell’elsa di Excalibur. Pensò a loro insieme e volle con tutte le sue forze raggiungerle. Il mondo attorno a lei e al suo cavallo sembrò rischiararsi e la nebbia si illuminò. In quel momento seppe che non stava più cavalcando in Cornovaglia, ma in un altro luogo, altrove. Pensò ancora a Oscar e alla pietra, sempre più intensamente e, improvvisamente, di fronte a lei, vide una linea verticale luminosa, che si allargava e diventava sempre più lucente, fino a quando dovette chiudere gli occhi. Il cavallo si bloccò e si impennò. Usò tutta la sua abilità per trattenerlo e non cadere, ma era così difficile a occhi chiusi, fino a quando si sentì improvvisamente stanca e debole e cadde in avanti sul collo dell’animale.
 
Britannia – Primo secolo d. C.
L’uomo entrò di corsa nella capanna e si fermò di fronte a lei ansimando: - Mia Signora…Sono arrivati gli esattori –
Lei aggrottò la fronte, suo marito Prasutago era morto da poco tempo e già i romani stavano arrivando a pretendere il suo Regno? Si tranquillizzò pensando che anche gli altri villaggi e gli altri Regni si erano lamentati delle esosità delle tasse romane che quell’anno erano aumentate vistosamente.
Uscì dalla capanna e li vide arrivare: due carri trainati da possenti buoi, alcuni uomini in abiti romani civili e dei legionari a piedi e a cavallo. Notò subito la grande cresta di traverso sull’elmo di uno dei cavalieri, era un centurione, un ufficiale veterano ed esperto. Suo marito le aveva detto che rappresentavano l’ossatura del potente esercito di Roma e mai ne aveva visto uno accompagnare gli esattori. Era di certo il segno che qualcuno si era ribellato e che i romani avevano risposto con il pugno di ferro dando una scorta armata a quei parassiti. Gavino l’aveva informata che il governatore romano aveva fatto accampare un’intera legione, la Nona, proveniente da una lontana Provincia chiamata Hispania, nei pressi di Londinium. Lei sospirò, non poteva certo dare ordine di attaccare quegli uomini, ma provò un brivido lungo la schiena senza nemmeno sapere il perché e desiderò che i guerrieri del villaggio non fossero andati a caccia proprio quel giorno. Sospirò e pregò gli dei che quei ladri se ne andassero velocemente.
Uno dei legionari a cavallo sbuffò – Ancora capanne di legno, fango ed escrementi di uccello…Come fanno in nome degli dei…Se Giano ascolta le mie preghiere tra qualche mese sarò nel sud della Gallia a godermi il sole e le galliche –
Il centurione si grattò la guancia solcata da una cicatrice – Io invece tra un mese finisco il servizio e dopo un altro mese sarò finalmente di nuovo a Pompei, dove aprirò un’attività per conto mio, qualcosa di onesto da lasciare ai miei figli…Un lupanare al porto, con schiave della Britannia e della Gallia…E per te ci sarà un ingresso gratuito Sesto, così almeno imparerai ad essere un uomo –
L’altro sbuffò di nuovo – La tua solita fortuna centurione. Di tutte le terre dimenticate dagli dei proprio questa in capo al mondo dovevamo venire a prendere…Ecco…Guarda…Lupus in fabula – disse e indicò la donna di fronte a loro.
Il centurione socchiuse gli occhi – E questa chi sarebbe? –
Il legionario scrollò le spalle – Non hai sentito i rapporti del tribuno? Il Re di questi pezzenti è morto e questa che viene a baciarci le caligae, è la loro Regina, l’ho vista l’anno scorso quando ho accompagnato gli esattori –
Il centurione schiacciò i talloni sul fianco del cavallo e lo spronò in avanti, fronte a lei. Si piegò sulla sella– Tu capisci quello che dico barbara? –
Lei strinse le labbra – Certo che capisco la tua lingua! – disse e indicò un recinto al limitare del cortile del villaggio con all’interno sacchi e animali vivi – Quelli sono i nostri tributi per Roma, prendeteli e andatevene –
Il centurione inarcò le sopracciglia e guardò il materiale, piegò la testa di lato e la cresta rossa del suo elmo si mosse – Mi compiace la vostra obbedienza, ma posso vedere da qui che non bastano per i tributi di quest’anno –
Lei rimase di stucco – Che vai dicendo? Sono quasi il doppio di quelli dell’anno scorso e solo quei maiali valgono ben oltre quanto vi è dovuto –
Il centurione la guardò stringendo le labbra. Colpì di nuovo i fianchi del cavallo che si mosse verso si lei. Presa alla sprovvista indietreggiò di qualche passo e fu spinta a terra da un terribile calcio sferrato con i sandali chiodati dell’ufficiale. La gente intorno a loro si ammutolì e rimase a guardare. Lei, confusa e dolorante, alzò lo sguardo, ma l’uomo sorrise e si piegò di nuovo in avanti – Non bastano…Il grande Cesare Nerone deve far divertire il popolo di Roma, ma i divertimenti costano e quindi le tasse per le Provincie devono essere aumentate…Non è un concetto difficile, nemmeno per dei barbari come voi –
Lei avvampò d’ira, aveva contato e ricontato le derrate e aveva scelto gli animali migliori per evitare discussioni con gli esattori e ancora non bastava? – Se a Nerone non basta, che venga a prendersi quello che gli serve, magari lavorando nei campi o badando alle greggi –
Urlò, ma subito si pentì di quello che aveva detto.
Il centurione alzò una gamba e scivolò dal dorso del cavallo fino a terra. Avanzò verso di lei facendo ondeggiare il suo mantello rosso e gemette quando la prese per i capelli sollevandola da terra: - La Regina dei pezzenti ha detto qualcosa sul grande Cesare? Hai forse voluto offendere l’Imperatore di Roma che nella sua infinità bontà vi permette ancora di vivere qui e di respirare? – ringhiò stringendo le mani sui capelli e piegandogli la testa all’indietro.
L’uomo sorrise sinistramente – Meriti una punizione, pezzente figlia di pezzenti…Decio…Marco! – chiamò e due legionari si avvicinarono e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, presero la donna per le braccia tenendola in piedi davanti all’ufficiale. Il legionario Sesto aggrottò la fronte, guardò confuso gli esattori e vide la sorpresa anche nei loro volti. Scese da cavallo, imitato dagli altri, si avvicinò al centurione e gli parlò all’orecchio – Che stai facendo? Prendiamo quella roba, rovistiamo le capanne per vedere se c’è qualcos’altro di valore e poi andiamocene –
L’altro lo guardò in malo modo – Volevi qualcosa di divertente in questo paese dimenticato dagli dei…Ecco! Te lo darò – disse e poi si avvicinò alla donna tenuta dai legionari. Con un movimento rapido allungò le mani e le strappò la parte superiore della veste. Lei sentì il rumore della stoffa che si strappava e si sentì morire. Alzò la testa sapendo che la sua femminilità era esposta agli occhi dei legionari e si sforzò, inutilmente, di non piangere.
Il centurione guardò Sesto – Beh! La barbara è una bella donna…Il Re di questi pezzenti era un uomo fortunato – disse e andò alla sella del suo cavallo. Prese una cosa dalla sacca e Sesto, con orrore, riconobbe il flagellum. Il legionario si avvicinò di nuovo – Ma…E’ la Regina…Pezzenti o no loro sono un’intera tribù –
Il centurione lo spinse via – Che Plutone li sprofondi nel Tartaro! Dieci colpi basteranno a rendere inoffensiva la Regina di questi barbari…Legatela a quel palo! – gridò indicando un palo accanto al recinto degli animali.
I legionari obbedirono e la girarono di spalle. Uno di loro le passò la mano sulla schiena nuda facendola rabbrividire. L’uomo sorrise e gli strinse la spalla – Un vero peccato che Tito voglia rovinare questa bella pelle! – disse e si avvicinò annusandole i capelli.
Lei serrò le mascelle. Era un incubo. Non poteva essere vero, ma si sforzò di non dare loro la soddisfazione di gridare. Avrebbe sopportato tutto come una Regina degli Iceni.
Il centurione fece roteare in aria il flagellum e sorrise – Iniziamo! – gridò e fece schioccare la frusta sulla schiena di lei. Gemette, ma non emise suono. Al secondo colpo sentì le ginocchia cedere, al terzo sentì le lacrime esplodere dagli occhi e al quarto strinse le mascelle talmente forte che pensò di rompere i denti. Poi arrivarono altri colpi e altri ancora. Sentì un calore immenso alla schiena, ma respirò a fondo: “Ancora un colpo…Ancora uno e sarà tutto finito” si disse.
Il centurione sollevò il braccio, ma, prima di lanciare l’ultima frustata, sentì qualcosa colpirgli l’elmo. Aggrottò la fronte e si girò e sentì un sasso colpirgli le medaglie civiche che portava sul petto. Piegò la testa di lato e vide due ragazze. L’uomo si disse che il termine ragazze era forse un po' troppo, la più alta era poco più di una bambina e l’altra era una vera bambina.
La più alta, con le lacrime agli occhi e stringendo a sé l’altra, alzò il braccio libero con una pietra in mano – Lascia stare mia madre! O te ne pentirai! – gridò.
Il centurione sorrise e poi rise, imitato dagli altri, con l’unica esclusione di Sesto che, anzi, impallidì. L’ufficiale gonfiò il petto – Ma tu guarda! Io credevo che una fustigazione fosse l’unico divertimento qui, ma ci sono anche le piccole ribelli…Che dobbiamo fare? –
Uno dei legionari piegò la testa all’indietro ridendo – Dovremmo insegnargli come ci si comporta con i legionari di Roma –
Il centurione sogghignò – Hai ragione – disse piano e un lampo gli balenò negli occhi. Gli altri soldati scemarono le risate, incerti su cosa il loro ufficiale volesse dire e si guardarono. Sesto si avvicinò di nuovo a lui: - Centurione…Tito…Dai l’ultimo colpo di frusta a questa barbara e poi andiamocene…Ho preso una giara di vino Falernum dal circolo dei tribuni e ce lo scoleremo tutto…Pensa a Pompei e al sole dell’Italia e non a questa cloaca di paese –
L’altro lo prese per la spalla e lo attirò a sé: - Adesso inizia il vero divertimento! Per anni ho dovuto accontentarmi delle schiave puzzolenti e vecchie di questo paese maledetto dagli dei…Qualcosa mi è dovuto! –
Sesto vide il volto del suo superiore deformato dalla pazzia e tentennò. L’ufficiale si avvicinò lentamente alle bambine – Oh! Si…Insegneremo a queste piccole barbare come ci si comporta con i legionari di Roma…Finalmente, dopo tutto questo tempo in questo lercio letamaio di paese, avremo un po' di sano divertimento…Prendetele! –
I legionari, abituati ad eseguire gli ordini alla lettera, obbedirono senza discutere e si diressero verso le bambine. Ma non Sesto; l’uomo si portò una mano alla bocca spalancata, incapace di gridare.
Lei aveva sentito la voce di sua figlia maggiore Una, poi le voci dei legionari e poi nulla. Cosa stava accadendo, dalla sua posizione girata di schiena non poteva vedere nulla, ma sentì all’improvviso le urla delle bambine. Sentì il cuore balzargli in gola, cosa stavano facendo quegli infami alle sue figlie? Stavano frustando anche loro? Cercò invano di liberarsi dai lacci ai polsi, ma desistette quando li sentì sanguinare. Le grida continuavano e lei cercò di girare la testa: quello che solo intravide la fece morire dentro, le fece salire le lacrime agli occhi. Sentì una rabbia cieca ed incontrollabile, una furia primordiale che solo una madre che vede i suoi piccoli in pericolo può concepire e urlò, urlò a pieni polmoni.
 
Glastonbury – Anno 1787 d. C.
Oscar spalancò gli occhi e la bocca, ma non proferì alcun suono. Si piegò in avanti portandosi una mano al petto. Sentiva il cuore martellargli all’interno in maniera convulsa. Provò a guardare avanti a sé e vide solo una figura in abiti neri attraverso gli occhi annebbiati dalle lacrime.
La figura si piegò verso di lei e gli mise le mani sulle spalle – Cosa vi sta accadendo? Sono andato un attimo a preparare il the e quando sono tornato vi ho trovato appisolato sulla sedia…Che razza di incubo avete mai fatto? –
Oscar provò ad inspirare lentamente, ma il suo cuore non accennava a rallentare i battiti e provò ad impegnare la mente: come era arrivata lì, in quella costruzione? Ripercorse i suoi passi da quando aveva lasciato il tenente Wesley al bivio di Kelland Hill. Si era diretta ad ovest ed era arrivata alla seconda tappa del suo viaggio: il villaggio di Glastonbury. E lì dov’era di preciso?
Guardò avanti a sé sentendo il cuore calmarsi sempre di più e riuscì a ricordare: aveva bussato a una porta e le aveva aperto un uomo di una certa età, basso e piuttosto corpulento con un abito nero da sacerdote. A lei aveva ricordato quasi subito il cardinale di Rohan, ma se l’alto prelato francese le era apparso subito viscido, il reverendo Philby, il proprietario della costruzione, aveva un rotondo viso simpatico e due occhi vispi e gentili.
All’improvviso una donna anziana e corpulenta si affacciò all’uscio della stanza asciugandosi le mani con uno straccio – Che succede? Lo straniero sta male? Possibile che tutti i pazzi senza arte né parte vengano qui? –
Il reverendo sospirò – Miss McDougall…Vi prego…Un po' di contegno con il nostro ospite – disse, guardò Oscar e indicò la tazza di the sul tavolo – Vi prego, bevete qualcosa –
Oscar allungò le mani tremanti e sollevò la tazza. Sentì il liquido caldo scenderle in gola e provò subito un immediato senso di piacere. In fondo, quando aveva riconosciuto la figura storica a cui appartenevano quelle visioni, di certo indotte della pietra rossa, sapeva che, prima o poi, si sarebbe arrivati a quel punto. Ma non aveva mai creduto che potesse essere così vivido e così coinvolgente. Aveva sentito sulla sua schiena le frustate del centurione ed era quasi impazzita dal dolore quando aveva girato la testa e visto l’orrore. Ma la cosa che l’aveva sconvolta di più era stato il rumore della veste strappata. Un rumore assordante che le conosceva bene e che non avrebbe mai voluto riprovare. Tentennò per un momento e poi abbassò la tazza. Il reverendo Philby sorrise debolmente – Se non altro avete ripreso colore. Fate pure con calma –
Oscar sentì le lacrime agli occhi e se li sciugò velocemente – Io…Mi dovete scusare reverendo…Ma il viaggio è stato lungo…E…Io… - disse, ma non riuscì ad aggiungere altro.
La signora McDougall alzò il mento e socchiuse gli occhi – Ho sempre detto al reverendo che non è un bene accogliere tutti quelli che si presentano qui…Ma c’è la fonte…C’è il pozzo… -
Philby sospirò e appoggiò una mano sul braccio di Oscar – Miss McDougall…Immagino che abbiate molte cose da fare in questa casa. Vi prego di far riposare il nostro ospite –
La donna guardò l’uomo, strinse le labbra, ma uscì. Oscar inspirò a fondo e poi guardò di nuovo la faccia rotonda del reverendo. Ricordò di essere arrivata a Glastonbury e di essere stata attratta, prima che dall’immensa collina chiamata Tor, dalle rovine di una gigantesca abbazia. In quello che doveva essere stato il giardino aveva visto quella che sembrava la delimitazione di una fossa per sepoltura con appoggiata sopra una grande croce che recava un’incisione: “Hic jacet sepultus inclitus rex Arthurus in insula Avalonia", qui giace sepolto il famoso Re Artù nell'isola di Avalon (n. d. a.: storico, nel 1191 venne scoperta la presunta tomba di Re Artù e di Ginevra e l’iscrizione).
Si era sentita improvvisamente scaldare il cuore. Era davanti alla tomba del Re di cui aveva letto avidamente le gesta. Le vennero in mente le avventure dei cavalieri della Tavola Rotonda, del prode Lancillotto, del forte Galvano e provò un senso di rabbia per il traditore Mordred e, come sempre quando pensava all’opera del ciclo arturiano, le passò un brivido lungo la schiena al solo pensiero del nemico per antonomasia: la Fata Morgana. Aveva chiuso gli occhi vedendo di fronte a sé un volto femminile pallido contornato di capelli neri come la notte e due occhi chiari e gelidi. Dopo aver lasciato la tomba si era poi diretta verso il Tor e aveva trovato quella di casa con un giardino circondato da un alto muro e aveva provato l’impulso di bussare.
 
Il reverendo Philby si alzò e sorrise – Non badi a Miss McDougall…Non vengono pellegrini qui da quando Re Enrico VIII, nel 1539, promulgò la sua riforma e là… - disse indicando un punto indefinito oltre i muri – Sul Tor venne impiccato come traditore l’ultimo Abate, Richard Whiting, perché si era rifiutato di dare i tesori dell’abbazia agli emissari del Re…E dal 1541 non ci sono più né conventi né ordini monastici qui. La collina, quella che qui viene chiamata Tor, è di proprietà, dall’anno scorso di un certo Richard Colt Hoare, un banchiere di Londra – (n. d. a.: storico).
Oscar aggrottò la fronte – Ma voi… -
Lui scrollò le spalle e sorrise – Sono un fiero pastore protestante, se volete saperlo…La mia famiglia è piuttosto ricca e ho comprato questo terreno dove ho costruito questa casa e ho recintato quelli che erano i simboli più antichi di questo luogo. Ma nelle mie intenzioni c’era quella di fare di questo luogo una sorta di ostello per richiamare di nuovo i pellegrini, non solo inglesi, ma dell’intera Europa e del mondo, per vedere quello che è stato ed è tutt’ora uno dei luoghi più sacri della cristianità intera –
Oscar sbatté le palpebre perplessa, ma l’uomo sorrise e gli fece un cenno – Seguitemi per favore – disse solo.
Oscar si alzò lentamente e andò dietro all’uomo in un’altra stanza. Rimase a bocca aperta vedendo una sala lunga con alte pareti laterali in legno che formavano degli scaffali ricolmi di libri. Al centro c’era un lungo tavolo rettangolare in legno con sopra dei volumi aperti. Philby avanzò lentamente, accarezzò uno dei libri aperti e sospirò – Come vi ho detto, io sono di famiglia ricca. I miei fratelli sono morti e io, pur essendo un pastore protestante, non ho mai sentito il bisogno di sposarmi e procreare e Miss McDougall provvede ad ogni cosa per me…Come la perpetua per un prete cattolico in effetti, non ci avevo mai fatto caso…Ma, vi dicevo, io sentivo il bisogno di studiare…Alcuni di questi libri vengono dalla biblioteca dei mei genitori e dei miei nonni, altri li ho acquistati a peso d’oro e ce n’è un paio che vengono persino dalla biblioteca reale…E tutti hanno un solo argomento: Glastonbury, la sua origine e la sua storia…La leggenda vuole che sia stato nientemeno che Giuseppe di Arimatea a fondare l’abbazia e che qui abbia nascosto il sacro calice che Nostro Signore Gesù usò per l’ultima cena e che raccolse il suo sangue durante la crocifissione –
Oscar sorrise debolmente – So che questo luogo è legato anche ad un’altra storia…Ho visto la tomba vicino alle rovine dell’abbazia –
L’uomo sospirò e poi sorrise, come divertito – Quella è una favola…La tomba, come l’avete vista è stata miracolosamente trovata Gli antichi monaci hanno evidentemente inscenato il ritrovamento di quella sepoltura per ottenere ulteriori entrate dalla Corona. Ammetto però che si tratta di una storia molto bella –
Lei annuì – Il Re…La sua tavola rotonda…I suoi cavalieri…I suoi nemici…La sua nemica giurata. Arrivo da Tintagel e ho visto le rovine del castello della Fata Morgana –
Il reverendo aggrottò la fronte – Siete dunque uno studioso? Perdonatemi, ma mi sembrate più un militare o qualcosa del genere –
Oscar sospirò, la prima risposta che le salì alla bocca fu: “qualcosa del genere”, ma tentennò – Si! Sono un militare, ma, ovviamente, adesso non sono in servizio e ho sempre trovato le storie di Re Artù e della tavola rotonda molto affascinanti, per questo sono qui –
Lui strinse le labbra – Dalla Francia, non è vero? –
Lei lo guardò sorpresa e l’uomo sorrise – Quell’accento…Ho parlato con alcuni preti cattolici francesi che si sforzavano di parlare la mia lingua (n. d. a.: all’epoca di Oscar la lingua internazionale era il francese). Vogliate perdonarmi, la politica non mi interessa e so che i rapporti tra Francia e Inghilterra non sono attualmente dei migliori – disse e aggrottò la fronte.
Oscar deglutì – Si, sono francese, ma vi assicuro… -
Philby la interruppe con un gesto – Come vi ho detto, non mi interessa la politica e sono abbastanza di larghe vedute per disinteressarmi anche di una donna che viaggia in abiti da uomo –
Lei rimase a bocca aperta, ma il vecchio sacerdote sorrise di nuovo – “Ci sono più cose in cielo ed in terra Orazio di quante ne sogni la tua filosofia” –
Oscar rimase perplessa, quella del reverendo doveva essere una citazione, ma, per quanto cercasse di ricordare, non riusciva a mettere a fuoco l’autore. Philby si piegò in avanti – William Shakespeare, dall’Amleto –
Lei sospirò e lui scrollò le spalle – Immagino che nelle scuole francesi non sia di moda studiare le opere del Grande Bardo –
Oscar annuì, in effetti aveva avuto una formazione classica con Virgilio di cui, a proposito, aveva un indefinito ricordo di uno scambio di citazioni con una donna e suo padre aveva insistito per lo studio dei classici francesi, forse troppo presto sostituiti dai libri di strategia militare e di meccanica e balistica. Di Shakespeare aveva letto solo “Romeo e Giulietta”, un libro lasciato nella biblioteca di Palazzo Jarjayes da una delle sue sorelle e lo aveva trovato, all’epoca, stucchevole, melenso e alla fine troppo prevedibile.
Il reverendo le fece un cenno e lei lo seguì in fondo alla biblioteca, l’uomo aprì una grande porta vetrata e si ritrovarono in un cortile piastrellato. Alla sua destra Oscar vide una vasca con dell’acqua che scendeva dal dolce pendio di una collina, si raccoglieva in una vasca e fuoriusciva in un piccolo canale sul pavimento per infilarsi in un pozzo coperto da un coperchio in legno e metallo. Philby indicò la vasca – E’ una delle fonti che qui a Glastonbury sono piuttosto comuni: la chiamano la fonte del sangue perché ciclicamente l’acqua diventa rossa a causa di elementi ferrosi –
Oscar guardò l’acqua e, improvvisamente, sentì di aver già visto una cosa del genere, con l’acqua che diventava rossa dalla fonte e che si espandeva come una grande macchia di sangue nell’acqua cristallina. Ma quella che vagamente ricordava non di trovava nel cortile del reverendo Philby e quindi dov’era? E poi, quando mai era stato possibile che lei avesse visto una cosa del genere? Sentì un capogiro, ma guardò il reverendo che, intanto, stava indicando il pozzo: - Il Chalice Well, il Pozzo del Calice, dove, secondo la tradizione, è sepolto il Calice di Cristo –
Lei tentennò – Il Calice – disse solo e andò verso il pozzo, senza attendere il permesso di Philby si abbassò per alzare il coperchio, ma vide solo un buco nero dal quale fuoriusciva una maleodorante aria. L’uomo di avvicinò lentamente a mani giunte – Che vi aspettavate di trovare? Secoli addietro molti cavalieri hanno provato a cercare il Calice. E’ quella che gli antichi chiamano “Cerca” o missione, se vi piace di più. Un viaggio che era più mistico che fisico, per trovare sé stessi e il proprio posto nel mondo. In fondo anche voi vi state cimentando in una “Cerca”, proprio come un cavaliere d’altri tempi –
Oscar lasciò cadere il coperchio che chiuse il pozzo con un tonfo e sentì il capogiro aumentare: un cavaliere, una ricerca, una missione. Chiuse per un attimo gli occhi e vide di nuovo la scena che da anni occupava i suoi sogni, una figura indistinta che si inginocchiava di fronte a lei e la sua voce che diceva: “Il mio cavaliere”. Si mise una mano sulla faccia e guardò verso l’imponente collina del Tor. Il sole stava tramontando e la palla di fuoco stava illuminando la torre in cima alla collina. Oscar deglutì – Io…Perché sono sicura che quella torre non c’era una volta? –
Philby aggrottò la fronte – In effetti non c’era, perlomeno anticamente. Nel XIV secolo è stata eretta la chiesa dedicata a San Michele. La costruzione, ad eccezione della torre, è stata demolita per ordine di Re Enrico VIII con l’editto del 1539 –
Oscar non riuscì a distogliere lo sguardo dalla cima della collina – E perché la torre è rimasta in piedi? – disse piano.
L’uomo inarcò le sopracciglia – Non…Non lo so…Io…So che quella collina è sempre stata considerata sacra, quando tutta la zona era coperta in gran parte da paludi, non come adesso che le opere di bonifica la stanno rendendo una verde pianura, doveva apparire come un’isola e, tecnicamente, in gran parte lo è ancora visto che è circondata su tre lati dal fiume Brue –
Oscar provò un brivido lungo la schiena – Un’isola…E…E perché dedicare la chiesa a San Michele…L’Arcangelo che sconfisse l’angelo caduto, Lucifero, proprio in cima a quel monte? –
Il reverendo si avvicinò e si passò una mano sulla fronte – Immagino per mettere una sorta di sigillo a quella che loro consideravano la porta dell’inferno…Questo luogo era sacro non solo per i cristiani, ma anche per l’antico popolo di quella che era l’antica Britannia –
Oscar vacillò per un momento – L’Antico Popolo della Britannia…L’inferno…Dei dell’Annwn –
L’uomo deglutì – Signore…Signora…Madame…Mi state spaventando! Annwn è il nome dell’oltretomba degli antichi britanni e come fate voi, che venite dalla Francia, a conoscerlo? –
Lei abbassò per un attimo lo sguardo e poi fissò dritto negli occhi il reverendo facendolo sobbalzare – Devo salire la sopra –
Philby le mise una mano sul braccio – Io…Il sole sta tramontando…E’ pericoloso andare la senza una lanterna –
Oscar prese la mano del reverendo trovando la cosa stranamente confortante – Non preoccupatevi per me. Io…Io devo…Andare la – disse e superò il pozzo incamminandosi verso la collina.
Philby rimase interdetto – Ma…Ma…Lasciate che venga con voi –
Oscar girò la testa di lato continuando a camminare – No, padre! E’ una cosa che devo fare da sola. Grazie dell’aiuto – disse e tornò a fissare l’alta collina con il cerchio del sole morente che stava ormai raggiungendo la torre.
 
La salita non era stata difficile dopo tutto, c’era già un sentiero battuto, un segno che quella grande collina doveva essere ancora meta di pellegrinaggi e di visite. Quello che la sconvolgeva era che, in una parte della sua mente, sapeva che c’era già stata. Ma non aveva la minima idea di quando e con chi. Chiudeva gli occhi e vedeva di fronte a sé delle figure indistinte e colorate, indiscutibilmente umane, ma dai contorni sfocati: una era bianca, una era rossa e l’ultima era nera come la notte. E sapeva anche che c’era qualcuno accanto a lei, ma non riusciva a focalizzarlo.
Salì ancora incurante del fatto che una nebbia bianca e densa si stava lentamente sprigionando del terreno coprendo tutto dietro di lei. Arrivò alla cima e rimase estasiata a guardare la grande torre. Il sole stava calando sempre di più e, improvvisamente, si accorse della la nebbia che si era alzata improvvisamente e che l’aveva seguita durante la salita, aveva coperto l’orizzonte. Solo la cima del Tor era ancora illuminata dal sole del tramonto mentre Glastonbury e tutto il resto del mondo erano letteralmente spariti. Oscar sorrise, estasiata da quella visione, era davvero su un’isola. Era sull’isola sacra. Allargò le braccia e inspirò profondamente – In insula Avalonia… Nell’isola di Avalon…Mostrami la strada…Portami…Riportami all’isola sacra – disse piano e cadde in ginocchio tremando.
Alzò lo sguardo verso la torre e vide che, sotto l’arco della base che anticamente era stato l’ingresso della chiesa, c’era una figura umana completamente nera. Si rialzò immediatamente, si fece ombra con la mano e vide la figura avanzare. Provò un brivido e, istintivamente, mise la mano al fianco per prendere la spada per accorgersi che, scioccamente, aveva lasciato non solo la lama, ma anche la pistola da padre Philby.
Dietro la figura che avanzava ne uscirono altre cinque, tutte paludate in nero. Una di loro si avvicinò alla prima: - Nesby! Dovevamo attendere gli ordini di Lord Baxter, cosa diavolo ci facciamo qui? –
Nesby lo spinse via e continuò ad avanzare verso Oscar – Siamo al capolinea! L’arma che cerchiamo è qui, altrimenti questa donna finto uomo non sarebbe venuta fin quassù…E Lord Baxter ci ringrazierà! Adesso prendetela! –
Gli uomini circondarono Oscar; lei girò su sé stessa per vederli tutti bene: erano uomini, senza dubbio e non spiriti antichi. Sorrise e piantò lo sguardo su Nesby – Bene! Vi farò vedere come combatte un ufficiale del Re di Francia! Venite uno alla volta o tutti insieme? –
Il loro capo sorrise debolmente e alzò il braccio per dare l’ordine di attaccare quando, improvvisamente, vide la sua ombra allungarsi a causa di una luce provenire dalle sue spalle. Si girò e vide che la base della torre era completamente illuminata da una luce che si faceva più intensa. Nesby si coprì gli occhi con l’avambraccio, come i suoi uomini – Ma cosa… - disse solo mentre la luce era ormai diventata accecante.
Oscar abbassò lo sguardo per non restare abbagliata e vide che gli uomini che la circondavano si stavano muovendo nervosamente. Qualsiasi cosa stesse accadendo, si disse, non era di certo opera loro. In un istante dalla luce emerse una grande figura scura che corse verso di loro. Lei si gettò istintivamente a terra mentre poteva sentire le grida degli uomini: “E’ venuto fuori dal nulla!”, “E’ uscito da quella torre maledetta”, “E’ il diavolo!”. Nesby rimase interdetto, si girò verso gli altri, ma li vide fuggire via in disordine. Guardò Oscar stesa a terra, strinse le labbra e poi seguì i suoi uomini lungo le pendici della collina e sparì nella nebbia.
 
Oscar rimase con il volto abbassato, sentendo il fresco sapore dell’erba e poi notò che la luce si affievoliva. Alzò lentamente la testa e vide che la creatura che aveva spaventato i suoi assalitori era solamente un cavallo: un grande cavallo nero che si era fermato a pochi passi dalla torre. Nella luce crepuscolare lei si alzò e si avvicinò lentamente. Notò che sopra l’animale c’era un grande fagotto, anch’esso nero, che appariva, senza dubbio, come una figura umana. Passò una mano sul possente collo dell’animale e ne sentì fremere la pelle: – Sssst…Tranquillo bel cavallino! Nessuno ti farà del male – disse piano.
Notò che le redini e i finimenti non erano quelli che era abituata a vedere e nemmeno le staffe e la sella su cui era appoggiata la figura nera. Non sembravano lisi o consumati, ma apparivano vecchi, d’altri tempi, persino antichi, come se venissero ad un altro tempo. Poggiò un piede su qualcosa di rigido, abbassò lo sguardo e vide un oggetto rotondo, come il coperchio del pozzo del calice, ma con un umbone metallico al centro ed era bianco, con sopra un disegno di un uccello nero. Oscar aggrottò la fronte – Uno scudo? E chi mai userebbe uno scudo oggi? – disse e volse lo sguardo alla figura stesa sulla sella.
Inspirò e la prese delicatamente fino ad appoggiarla a terra. Indossava una giacca e dei pantaloni in pelle nera, come gli stivali e la sopraveste. Alla vita portava allacciato un cinturone con al fianco una spada dal fodero e dall’elsa neri, fatta eccezione per la guardia in metallo, come il pomolo che era fatto a forma di un piccolo uccello ad ali spiegate. Il cuore di Oscar cominciò a galoppare quando vide che in testa alla figura c’era una corona in metallo che si allargava sulla fronte a formare il simbolo della cosiddetta “Croce Celtica”. Scostò i lunghi capelli neri dal viso e vide un volto femminile pallido, bianco in modo innaturale con una macchia di pigmento blu sulla guancia destra.
Oscar si alzò di scatto e rimase a bocca. Nella sua mente riecheggiò una descrizione che aveva letto anni prima nelle opere del ciclo arturiano: “Ella aveva la pelle bianca come la luna e i capelli neri come le piume dei corvi”. Di nuovo mise un ginocchio a terra e la sua mente fu invasa dai ricordi, come un fiume che preme senza sosta e che finalmente ed improvvisamente rompe la barriera e inonda la vallata. Si ricordò la tempesta in Normandia, il castello, la dama rossa e la dama nera, il viaggio, la sua prima battaglia e Avalon, l’isola sacra, la lotta con la dea della guerra Morrigan e sentì gli occhi riempirsi di lacrime ricordando la tomba del Re, il suo sarcofago e il Sacro Calice. Abbassò la testa e tirò su con il naso. Si ricordò, alla fine, anche chi era realmente il suo cavaliere, colui a cui aveva dato il suo primo bacio, colui al quale aveva aperto il suo cuore e che si era inginocchiato di fronte a lei offrendole il suo, colui con il quale avrebbe voluto trascorrere il resto della vita. Strinse i pugni – Andrè… - disse piano e poi guardò la donna stesa di fronte a lei e digrignò i denti:   – Morgana! – sibilò.
   
 
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