Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: MadMary    09/07/2021    0 recensioni
Aceto Doppio era sempre stato affascinato dagli Strip Club, ma non si era mai osato.
Quella sera, però, si sentiva diverso: una forza non troppo sconosciuta lo stava spingendo ad entrare, a sperimentare. Doppio sentiva di aver bisogno di contatto umano, come se la sua vita dipendesse da quello.
Entrando nel locale capì di aver fatto la scelta giusta, quando posò gli occhi su di lei e la forza sovrannaturale lo spinse a prenderla.
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Diavolo, Doppio Aceto, Ghiaccio, Prosciutto, Risotto Nero
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Threesome, Violenza
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TW: istinti suicidi, malnutrizione

 

Prosciutto scrutò con attenzione il riflesso del suo viso nello specchio del bagno: osservò per primi i suoi occhi cristallini, che studiavano con attenzione i suoi tratti marcati, ma allo stesso tempo gentili ed eleganti; passò poi alle sue labbra carnose, ma non volgari o grottesche, caratterizzate da un arco di cupido particolarmente segnato; seguirono le sue guance lievemente scavate, che gli davano un aspetto severo; infine arrivò al suo naso, lungo e dritto, che accompagnava rigidamente lo sguardo lungo tutto il suo volto magro, mentre le sue sopracciglia folte e chiare si stringevano in mezzo alla fronte, causando la formazione di alcune rughe, accompagnate dalle pieghe della sua pelle lattea, dimostrando i primi segni di perdita della sua elasticità giovanile.
Sapeva di dover smettere di fumare, non giovava assolutamente alla sua cute, ma cosa poteva farci? Ogni uomo ha i propri vizi dopotutto e il suo era un vizio tanto sciocco, quanto pericoloso.

Sospirò, portandosi un’ultima volta dell’acqua fresca al volto, chiudendo in seguito il lavandino e cercando un asciugamano in spugna con cui tamponarsi il viso gocciolante.
Il giorno era arrivato: dovevano iniziare con il piano.
Dovevano riuscire a convincere quella povera pazza a non lasciarsi morire.

Come avrebbe fatto lui ad avvicinarsi a Celeste? La sua Squadra aveva posto troppa fiducia in lui: quella puttana lo detestava e ne aveva tutte le ragioni. Prosciutto l’aveva picchiata in più occasioni, dal primo giorno l’aveva sempre disprezzata e insultata ed era arrivato persino a… possederla, senza il suo consenso, in una maniera così vile, così sporca e rozza, così veloce e priva di alcuna passione.
Un brivido gli percorse la schiena: ricordare quei momenti quasi lo terrorizzava, come se ad agire in quell’occasione non fosse stato lui, ma qualcun altro, in possesso e comando del suo corpo.

Avrebbe sicuramente fallito l’impresa, ne era certo.

Non sarebbe riuscito ad avvicinarsi a quella miserabile e lei li avrebbe scoperti. Sicuramente non sarebbe riuscito a trattenersi e sarebbe finito col compiere un ennesimo passo falso, allontanandola ancora di più sé.
Li avrebbe delusi tutti quanti: Risotto Nero, i suoi compagni, il suo boss, sé stesso, persino quella donna.
Già la vedeva: eccola che rideva dei suoi fallimenti, mentre lo sbeffeggiava per essere così incapace da non riuscire nemmeno a ingannare una stupida troia come lei.
Era un fallimento come uomo, lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma ora doveva agire: doveva dimostrare a quell’immagine riflessa che non era così un fallito come tutti lo pensavano: era capace Prosciutto, non era un inetto.

Giusto?

Uscendo dal bagno, potè sentire il cuore accelerare sempre di più, quasi come se volesse uscire dal suo ampio petto, per fuggire fuori da quelle mura, che lo facevano sentire in trappola.
Quella baracca in cui si riunivano era diventata per lui un sinonimo di ansia: ogni volta che vi metteva piede vedeva quegli occhi glaciali fissarlo con odio e disprezzo. Non riusciva più a percepire quella catapecchia come un semplice luogo di ritrovo coi suoi fidati compagni, non era più un'innocua casa dove discutere dei prezzi e delle missioni.
Mettere piede in quelle stanze significava avere un confronto diretto con quella creatura.

Come faceva a sentirsi così intimorito da una persona così debole ancora non lo sapeva.

Era lei quella in pericolo, era lei l’ostaggio, era lei quella più prona alla morte, non lui, che cazzo!
Eppure, proprio non riusciva a fermare il leggero tremore delle sue dita mentre si spostava una ciocca fastidiosa di capelli dal viso, entrando nella cucina, passando per la sala principale, preparandosi a incontrare quelle iridi azzurre e chiare come il cielo in una splendente giornata di primavera.

Eccola, seduta al tavolo, con davanti a sé una tazza di tè bollente, mentre i vapori della bevanda le investivano il volto candido ma stanco, segnato dalla tristezza e l’abbandono.
Le palpebre chiuse conferivano alla sua espressione quasi un senso di pace, accompagnate dalle labbra pallide, stese orizzontalmente, secche e screpolate, quasi come uno squarcio nelle carni asciutte.

In momenti di silenzio come quelli, Celeste quasi si sentiva calma, la sua mente devastata quasi riusciva a riposare… quasi.
Quasi, perché il ticchettio dell’orologio continuava a scandire i secondi che le sfuggivano dalle mani, rinchiusa in quella casa.
Quasi, perché i passi fra le mura non cessavano un istante, accompagnati dagli schiamazzi, i sussurri, le acide parole che le perforavano le orecchie, mentre il portone d’ingresso continuava a spalancarsi e chiudersi, ricordandole quanto la libertà fosse vicina, letteralmente a pochi passi di distanza… pochi passi impossibili da compiere.

-Donna.- una voce la costrinse ad aprire stancamente le palpebre pesanti, mentre spostava le sue pupille verso quella figura longilinea, ma comunque massiccia, che la fissava insistentemente, rigida sul posto.

-Prosciutto.- rispose lei, bevendo un piccolo sorso della bevanda -Hai bisogno di qualcosa?-

L’uomo deglutì in maniera quasi impercettibile, prima di mettersi a sedere proprio davanti a lei, accedendo poco dopo una sigaretta e riempiendo immediatamente la stanza del forte aroma di fumo e di tabacco bruciato.

-Sì.- disse, togliendosi dalle labbra rosee la stecca di carta, prima di esalare il fumo grigio verso la ragazza, che istintivamente arretrò di poco il viso, contorto in un’espressione di fastidio -Preparami un caffè, per favore.-

“Per favore?” pensò Celeste, lasciando che un sorriso incrinato le deformasse il viso, mentre lasciava la propria sedia per esaudire la richiesta del suo rapitore “Brutto bastardo, si diverte proprio a prendermi per il culo.”

-Allora, umh…- lo sentì pronunciare, a voce bassa, quasi sommessa, mentre era intenta ad accendere il fuoco sotto la caffettiera.

Che cazzo voleva ancora da lei?

Cosa voleva chiederle, eh? Come stesse? Come cazzo credeva potesse stare, in quelle condizioni? Con una mano ancora dolorante e deturpata da una nauseabonda ferita sempre sull’orlo di un'infezione, gonfia e tumefatta, come i suoi zigomi ogni settimana, quando i suoi amici colleghi si divertivano a prenderla a schiaffi per il minimo errore.

Voleva chiederle come si sentisse, magari?
Già, in fondo come poteva sentirsi chiusa in quella bettola di merda da Dio solo sa quanto, costretta nelle stesse fottutissime stanze per settimane, intenta a compiere gli stessi lavori per ore e ore, ogni giorno, come se fosse la loro schiava.

Magari voleva chiederle come si sentisse quando la forzavano al muro, o quando la palpavano mentre camminava, oppure quando le schiaffeggiavano così giocosamente il corpo ogni volta che era costretta a piegarsi un minimo per raccogliere un oggetto, eh?

Si sentiva benissimo, non è vero? Si sentiva così fottutamente bene in quella casa!

Si sentiva così bene quando non riusciva più a guardarsi allo specchio, perché sentiva che la sua immagine non era l’unica cosa intenta a fissarla dal riflesso; si sentiva così viva quando non riusciva più a spogliarsi del tutto, nemmeno per fare la doccia, perché percepiva sempre due occhi fissarla; si sentiva così bene quando delle voci la chiamavano dai corridoi vuoi.

Sì, si sentiva sicura in quella gabbia, piena di mostri violenti, sempre pronti ad aggredirla in ogni momento di debolezza, sempre pronti a strapparle i vestiti di dosso, a tagliarle il corpo, a prenderla a calci nel costato; sempre pronti a bloccarla su quei fottutissimi divani lerci e polverosi, per poi violentarla, sussurrandole oscenità alle orecchie, picchiandola anche in quegli istanti, mentre disperata non riusciva più nemmeno a lottare, perché troppo stremata per urlare e piangere ancora.

Sì, stava davvero bene lì, con tutti loro.

-Ho visto che hai perso un po’ di peso.- continuò l’uomo, risvegliandola da quello stato di trance in cui era finita dopo le sue prime incerte parole -Per caso le materie prime che ti portiamo non sono di tuo gradimento?-

Era serio?

Trattenne nuovamente una risata: tutto questo doveva essere un esperimento sociale, non poteva essere la realtà.
Quest’uomo non poteva essere vero.

-Stai bene, Prosciutto?- non riuscì a bloccarsi dal porgli quella domanda.

Vide gli occhi dell’uomo oscurarsi, mentre le sue folte sopracciglia si aggrottarono, causando la comparsa di numerose pieghe sulla sua fronte liscia.

-Non capisco cosa intendi: sto benissimo. Ora rispondi al mio quesito, donna.-

Ella alzò leggermente le spalle, lasciando che una risatina sottile le sfuggisse dalle labbra secche e screpolate, porgendo finalmente all’uomo la sua tazza di caffè bollente.

-Le materie prime vanno bene, non preoccuparti.- disse, dopo qualche attimo di silenzio, guardando i fornelli della cucina, reggendosi con una mano allo schienale della sedia posizionata accanto al biondo -Diciamo che non sono nelle condizioni ottimali per avere appetito, tutto qua.- e forzò un sorriso tirato, chiaramente mirato a provocare il fastidio di Prosciutto, che infatti sospirò pesantemente, prima di bere un sorso della bevanda amara e dal forte aroma tostato.

-Abbiamo avuto una discussione con tutti i membri della Squadra riguardo alla tua salute.- continuò lui, cogliendola di sorpresa e quasi costringendola involontariamente a voltare il capo verso la sua voce calda e bassa -Siamo giunti alla conclusione che la tua salute si sta degradando troppo e non possiamo permettere che le tue condizioni peggiorino.-

“Ora che le vostre vite sono in pericolo vi preoccupate della mia, eh?” pensò, stringendo le dita ossute contro lo schienale in legno, liscio contro la sua pelle arida e squamosa, mentre una fitta le percorreva il palmo, a causa della ferita ancora viva nelle sue carni cucite.

-Perciò abbiamo deciso che a ogni pasto ti unirai a noi, in modo da avere la certezza che tu riceva il giusto nutrimento.- concluse, posando la tazzina in ceramica sopra la superficie lignea del tavolo, incrociando i suoi occhi cristallini con quelli azzurri della ragazza, che lo osservava come priva di alcuna luce, guardandolo con le sue palpebre pesanti e calate, così stanche e affrante: sentì il suo cuore stringersi davanti a quella visione.

-Credi davvero che basterà farmi mangiare tre pasti al giorno per tornare ad avere un colorito normale della pelle, Prosciutto?- domandò, voltando anche il corpo ormai ossuto nella sua direzione, posando una mano grigiastra sul fianco sporgente -Pensi davvero…- un’altra piccola risata uscì dalla sua bocca e subito portò il palmo libero sulle sue labbra, per nascondere il suo sorriso dalla vista dell’uomo, che interdetto la osservava -...sei davvero convinto che sia solo la mia mancanza di appetito ad avermi resa così, il relitto di me stessa?- la voce le si incrinò alle ultime parole, come se quella domanda le fosse costata un caro prezzo.

-Celeste, non ho intenzione di iniziare questo discorso con te. Io ho semplicemente l’ordine di farti mangiare a sufficienza.-

-Ma lo capisci o no che farmi prendere peso non servirà a un cazzo?!- il suo tono divenne così acuto che Prosciutto poté sentire le sue corde vocali stirarsi e fremere di dolore, mentre la sua gola sembrava squartarsi per quell’urlo disperato appena pronunciato -Lo capisci che non è quello il problema?!- continuò, lasciando che questa volta le dolorose lacrime che le pungevano insistentemente gli occhi rossi le scivolassero lungo il viso spento e scavato -Mi state portando alla morte, cazzo! Mi state uccidendo!- presa da un moto di rabbia, non potè trattenersi dall’afferrare la tovaglia rovinata sul tavolo, per tirarla al suolo, assieme alle due tazze poste sopra di essa, che si frantumarono rumorosamente al suolo.

-Celeste, smettila immediatamente con questa sceneggiata!- gridò di rimando l’uomo, alzandosi con uno scatto dal suo posto, afferrandole il polso della mano ferita, pronto a colpirla in volto.

-Prendimi a schiaffi, allora!- lo provocò lei, guardandolo con le palpebre spalancate negli occhi, mentre le sue pupille di contraevano maniacalmente e il suo sorriso si allargava lungo il suo volto -Picchiami come fai sempre! Fermarmi prendendomi a calci nelle costole! Spaccami il labbro con uno dei tuoi pugni, forza!- il palmo di Prosciutto si paralizzò a mezz’aria a quelle parole, mentre un’espressione di disgusto misto a sorpresa si dipingeva sul suo viso, sbigottito -Perché non mi porti su quel cazzo di divano, mi strappi i vestiti e mi violenti, eh?! Che cazzo aspetti a farlo! Fammi urlare e piangere come fai sempre, fammi perdere i capelli, fammi aver paura del mio stesso cazzo di riflesso! Forza, fammi dimenticare chi sono! Cosa aspetti a ridurmi a un mucchio di ossa, Prosciutto! Cosa cazzo stai aspettando a uccidermi?!- le sue urla scesero sempre più di tono, fino a ridursi a una misera supplica tremante, interrotta da dei gracchianti singhiozzi spezzati, mentre il suo corpo debole si accasciava al suolo, sorretto unicamente dalla presa ferrea del biondo, che incredulo osservava in silenzio quella scena -Uccidimi Prosciutto, ti prego… ti prego, fammi morire in qualche modo…-

Prosciutto la lasciò scivolare delicatamente sul pavimento, accucciandosi immediatamente accanto a lei, per spostarle dal volto afflitto e umido di lacrime e sudore delle ciocche dorate, mentre ella pronunciava ancora delle suppliche deliranti, cercando invana di tenere gli occhi aperti, guardandolo senza vita con le palpebre abbassate.

-Ti prego, Prosciutto…- sussurrò, stringendo insieme le labbra pallide -Sono così stanca.-

Deglutì con difficoltà, potendo sentire la sua gola secca stridere a quell’azione: come erano riusciti a distruggere così tanto una tale creatura?
Non riusciva a credere allo stato miserabile in cui quella donna si ritrovava, stretta fra le sue possenti braccia, mentre lui poteva sentire tutte le sue costole sotto il tocco delle sue dita callose.

Come erano riusciti a rovinarla, a sfregiarla, a consumarla in tale maniera? Come avevano potuto permettere che una donna così bella, così sensuale, così attraente e affascinante si riducesse a un cumulo di pelle e ossa, come se fosse diventata la sua stessa reliquia, come se fosse già morta da tempo.

Come erano riusciti a spingerla al suicidio in questa maniera?

Come avevano potuto permettere a loro stessi, di portarla a desiderare la morte?

La strinse con più forza fra i suoi arti e la sollevò dalle piastrelle gelide, per portarla con passo lento verso la sua camera, in modo da farla riposare.

“Mi dispiace” fu tutto ciò che riuscì a pensare in quel momento, mentre la accomodava con gentilezza sul materasso rigido e bitorzoluto della sua stanza, coprendo quel suo corpo ormai minuto e debole con le lenzuola vecchie e ingrigite dal tempo.

Prima di lasciare quel piccolo spazio, si voltò ancora una volta, per osservare il fragile busto della donna alzarsi e abbassarsi a fatica a ogni respiro, mentre il suo viso finalmente presentava un’espressione pacifica, come rilassata.

-Mi dispiace…- sussurrò in maniera quasi impercettibile, chiudendosi finalmente la porta cigolante alle spalle.

   
 
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