Incontri
casuali ma straordinari
Emma
sbuffò guardando il
telefono. Non ora, Niccolò, non
ora.
Bloccò lo schermo e continuò a guardare fuori dal
finestrino del treno. Ancora
un'ora e mezzo e sarebbe arrivata a casa. Ancora un'ora e
mezzo…
"E
quindi cosa pensi
che succederà?" Emma si girò al suono della voce
di una signora di mezza
età al di là del corridoio del vagone. Una donna
bionda, truccata ma non in
modo vistoso, sorrideva e teneva banco circondata da ragazzi giovani.
Emma
cercò di seguire con la coda dell'occhio la situazione,
ascoltando la conversazione;
quando era salita sul treno la signora era già seduta e
stava chiacchierando
con un ragazzo giovane che era seduto davanti a lei, sul lato del
finestrino.
Nel
corso del viaggio i
ragazzi che parlavano con la donna erano cambiati: chi era sceso dal
treno, chi
era salito, chi aveva cambiato posto per ascoltarla. Effettivamente
sembrava
molto carismatica, anche Emma fece fatica a distrarsi da quello che
diceva.
Purtroppo
la stazione di Bologna
portò via molti dei suoi spettatori, in quanto centro di
smistamento dei vari
treni, e lei rimase sola.
Emma
sperò che non le
rivolgesse la parola perché lei era una persona riservata e
poco incline alle
chiacchiere con gli sconosciuti, anche se la donna era riuscita a far
parlare
proprio tutti i ragazzi, per lo più studenti. Forse era per
questo: Emma non
era più una studentessa, aveva ventisei anni e aveva finito
la scuola già da un
pezzo. Non era una ragazzina che si faceva invogliare da qualcuno che
sapeva
parlare bene.
Anche
se, effettivamente,
la signora bionda era stata sempre molto carina e disponibile. Si era
interessata ai ragazzi e li aveva fatti parlare di quello che volevano
fare o
delle loro aspirazioni. Chissà, forse aveva lavorato nel
mondo scolastico o
qualcosa del genere.
Lo
squillo del telefono
interruppe i suoi pensieri: 'Niccolò', lesse sul display.
Emma sospirò forte.
Sapeva cosa voleva. Niccolò voleva discutere ancora, anche
se lei aveva già
detto quello che pensava.
Silenziò
il telefono
guardando di nuovo la signora di sottecchi. La donna sorrideva ancora e
si
guardava in giro, aspettando probabilmente il prossimo conversatore.
Qualcuno
passò verso la
coda del treno e qualcuno andava nel senso opposto, ma nessuno si
fermò nel loro
piccolo spazio di otto sedili. Emma silenziò ancora il
telefono e probabilmente
sbuffò ad alta voce, perché la donna disse: "A
volte danno proprio
fastidio, quando insistono così, vero?"
Emma
alzò lo sguardo verso
di lei e sorrise un po' mestamente. "Oh, è il mio ragazzo.
È che
stamattina abbiamo discusso e ora non ho voglia di continuare al
telefono.
Aspetterò di arrivare a casa e litigarci di persona".
Sorrise ancora, ma
questa volta il suo volto era un po' meno triste.
La
donna rise: un suono
allegro e vagamente melodioso. Emma si scoprì a trarne
piacere. "Molto
meglio farlo di persona. Così puoi prendere la mira quando
gli tiri i
piatti!"
Emma
scoppiò a ridere
anche lei e quando si zittì, rimase in silenzio un po',
prima di parlare.
"A dir la verità, stavolta non ha tutti i torti. Dovrebbe
essere lui a
tirare i piatti a me…"
"Oh.
E perché
mai?"
La
ragazza sospirò e
guardò fuori dal finestrino: il treno era ripartito e loro
si stavano lasciando
la stazione alle spalle. Iniziò a giocare con il lembo della
maglietta che
indossava, un tic che le era rimasto dall'adolescenza, quando si
sentiva
insicura.
"Perché
non vieni a
sederti qui vicino a me?" le chiese la donna e, come se non avesse
aspettato altro, nonostante quello che aveva pensato poco prima, Emma
si alzò e
attraversò il corridoio, sedendosi proprio di fronte a lei.
"Sono
sicura che
risolverete la cosa" disse ancora, sorridendole dolcemente. Lei
continuò a
guardarla come se non potesse fare altro: chissà, forse era
una strega e le
aveva fatto un incantesimo. "Sai, quando arrivi alla mia età
scopri che a
volte certi problemi, in verità, sono solo sopravvalutati."
Emma
sospirò ancora e
guardò di nuovo fuori dal finestrino: ora campagna e campi
erano l'unico
spettacolo. "Il mio ragazzo vuole farmi conoscere i suoi genitori"
confidò, con lo stesso tono con cui avrebbe confessato
l'omicidio di qualcuno.
"Oh!"
si
sorprese la donna. "E dici che è una cosa così
brutta? Tu non vuoi
conoscerli?" Emma scosse la testa.
"Mi
piacerebbe
conoscerli. E a lui farebbe piacere, ma…" Emma
tornò a giocare con l'orlo
della maglietta. Non aveva detto neanche a Beatrice, la sua migliore
amica,
cosa aveva scatenato in lei quella richiesta di Niccolò. La
donna non cercò di
farla parlare, non affrettò il resto della sua confessione
ma rimase in
silenzio. "Io… E se poi non piaccio? Se loro pensassero che
non vado bene
per lui?" esclamò tutto d'un fiato la ragazza, come se si
fosse tenuta
dentro quel pensiero fino a quel momento. E chissà, forse
era proprio così.
"È
un pensiero pesante,
effettivamente. E lui cosa ti ha detto?"
Emma
scosse le spalle.
"Non lo sa."
"Ah."
"Non
potevo mica
dirgli che penso che i suoi mi odieranno, no?"
"E
perché lo pensi?
Sei una brutta persona? Oppure ti stai approfittando di lui?"
Emma
rise. "Ma no! Lui
è fantastico, appunto. Ma…"
Questa
volta la donna non
rimase zitta, ma, forse incuriosita dalla situazione, chiese: "Ma?",
spronandola a continuare.
"Loro
sono tutti
laureati. Io non ho neanche il diploma. Non sono andata a scuola
perché…"
Sospirò ancora mentre il labbro inferiore le tremava.
"Potrebbero pensare
che lui si meriti di più…"
La
donna appoggiò una mano
sul suo ginocchio e le sorrise ancora, rassicurandola. "La scuola non
è
tutto nella vita, sai?"
"Lei
è
laureata?" le chiese allora Emma, a bruciapelo. La donna
annuì, sorpresa
dalla domanda. "Allora forse non è nella condizione adatta
per dirlo,
no?" La bionda sorrise ancora ed Emma poté vedere delle
piccole rughe
circondarle gli occhi. Dovevano essere le famose zampe di gallina che
sentiva
nominare spesso.
"Cosa
fai nella
vita?"
Emma
stritolò ancora il
lembo della maglietta. "Lavoro in un negozio".
"E
ti piace?"
La
ragazza annuì e il suo
sorriso divenne ampio e sincero. "Oh, sì. Ho ereditato la
merceria da mia
nonna; ci ho passato parecchi pomeriggio da bambina. Mi faceva cucire i
bottoni
sugli scampoli di stoffa. Diceva che bisogna imparare a fare tutto". Il
volto di Emma era raggiante e si distese mentre raccontava di quello
che la
nonna le aveva insegnato a fare.
"Adesso
insegno a
Ilaria, la figlia della mia vicina, a fare l'uncinetto. La sua mamma
è da sola,
e lavorando tutti i pomeriggi, la bambina sta in negozio con me per non
stare a
casa in solitudine."
La
signora bionda
l'ascoltò mentre spiegava come gestiva il negozio e di come
le sarebbe piaciuto
organizzare corsi per insegnare alle bambine le cose che sua nonna le
aveva
insegnato.
"Dovresti
proprio
farlo, allora."
Emma
sospirò. Ma non era
mica così facile. "Se fosse facile, non ne varrebbe la pena,
sai?" La
ragazza alzò lo sguardo verso la donna: doveva averlo detto
ad alta voce.
"Magari
ci
penserò…"
"Fallo
davvero.
Comunque, non mi sembra che tu abbia niente da invidiare a una
qualsiasi
ragazza laureata che potrebbe diventare la nuora dei genitori del tuo
fidanzato" disse la donna, sorridendole dolcemente.
Emma
la guardò: voleva
crederle. Aveva un disperato bisogno di crederle. "Vedremo" disse
invece, senza dire nient'altro.
"Sai,
una volta mia
figlia mi ha presentato un ragazzo che non mi piaceva"
confidò la bionda.
Emma riportò subito l'attenzione su di lei, interessata.
"E
sua figlia cosa ha
detto quando lo ha saputo?" Emma non riuscì a non chiedere.
"Niente,
io non
glielo ho mai detto". La donna sorrideva, come se non avesse appena
detto
che non le piaceva il fidanzato della figlia.
"Come?
E…
perché?" La ragazza era stranita, perché lei non
lo aveva detto a sua
figlia? Non erano quelle le cose che si facevano nelle famiglie
normali? La
sua, di famiglia, si era sfasciata presto, quindi Emma non sapeva bene
cosa
facessero le altre famiglie, ma pensava di averne un'idea abbastanza
chiara.
"Perché
non stava a
me dirglielo. Sai… Lui non mi piaceva, vero, ma magari
poteva essere la persona
giusta per mia figlia. Io non potevo decidere per lei,
perché alla fine non lo
conoscevo."
"Oh.
E cosa ha
fatto?" Emma si agitò sul sedile, cambiando posizione. Come
era finita?
"Ho
consolato mia
figlia quando lui l'ha tradita, le ho consigliato di seguire il suo
cuore
quando lui ha tentato di riconquistarla e le ho detto che qualsiasi
scelta
avesse fatto, mi avrebbe trovato sempre accanto a sé. Anche
se io non l'avessi
condivisa."
"Mi
sembra
sensato". Emma annuiva. "Se le avesse detto che non doveva stare con
lui, probabilmente non l'avrebbe più vista perché
si sarebbe arrabbiata e
sarebbe scappata…" constatò la ragazza, guardando
un buco nella stoffa del
sedile accanto alla donna bionda.
"Possibile.
E non
avrebbe avuto nessuno da cui andare quando lui iniziò a
trattarla male."
Emma
annuì ancora.
"Ma ora sua figlia sta bene?" La donna annuì, sorridendo
dolcemente.
Emma se la immaginò come una mamma dolce e forte, con un
gran carattere.
Chissà, se sua figlia le assomigliava solo la
metà, doveva essere una gran
donna.
"Mia
figlia si è poi sposata
con un altro uomo e ha un bambino piccolo. Sto andando a trovarla
proprio
adesso" spiegò. Emma sorrise del suo viso contento.
"E
questo genero le
piace?" La donna annuì e la ragazza pensò, per un
attimo, che i suoi occhi
brillarono mentre la luce della sera si faceva più lieve.
"Bene. Quindi
dice che dovrei preoccuparmi se i genitori del mio ragazzo non diranno
niente
di negativo su di me?"
La
donna rise ancora.
"Non ho detto questo. Magari piacerai loro davvero". Emma ridivenne
pensierosa e storse il naso. "Forse devi solo credere un po' di
più in te.
Mi sembri una brava ragazza e immagino che a loro interessi solo che tu
voglia
il bene di loro figlio. Sii forte e indipendente. Ciò che
vedi in te è quello
che vedranno anche loro. Il resto non ha importanza".
Emma
non disse niente e storse
il naso. "Speriamo".
"Quindi
hai deciso di
incontrarli?"
"Immagino
che mi
toccherà comunque, no? Tanto vale levarsi il pensiero. Se
poi non
piacerò…" Emma si alzò quando
l'altoparlante nominò le stazioni successive
a quella dove si stava fermando. E poi sorrise mentre diceva insieme
alla voce
meccanica: "Piacenza!" Prese le sue cose e poi si voltò di
nuovo
verso la donna. "Ha ragione, non sono una cattiva ragazza e se non
riusciranno a vedere quello che sono, sarà un problema loro".
"Sai
cosa dovresti
fare?" le disse a bruciapelo la donna. Emma piegò di lato la
testa.
Cos'altro avrebbe dovuto fare, secondo lei? "Dovresti organizzare
davvero
quei corsi per i bambini. Trovo che sia un'idea molto bella. Un sogno
che
dovresti coltivare".
Emma
annuì, un po'
stranita. Era saltata di palo in frasca. Non sapendo bene cosa dire,
borbottò: "Mi
saluti sua figlia".
La
donna sorrise alzando
una mano. "Sono sicura che andrà tutto bene, cara. Tutto
davvero".
Emma
ricambiò il sorriso e
annuì. Poi qualcuno si mise dietro di lei e dovette andare
avanti per scendere.
Si rese conto di non averla ringraziata e di non averle neanche chiesto
il suo
nome. Né di averle detto il suo. Pensò che forse
era giusto così. Chissà quante
persone incontrava lei, su e giù dai treni. Probabilmente se
lo sarebbe
scordato, il suo nome. Però a Emma avrebbe fatto piacere
conoscere il suo,
forse lei non lo avrebbe scordato velocemente. Chissà se
quella donna
chiacchierava così liberamente con tutti, dando consigli e
aneddoti di vita.
Con
un sospiro saltò giù
dai gradini e quando toccò il marciapiede della pensilina,
si voltò verso il
treno: purtroppo la signora bionda era seduta al di là del
corridoio, quindi
non avrebbe potuto vederla comunque.
Saltò
un po' per cercare
di dare un'occhiata all'interno del vagone, ma vide la gente salire e
prendere
posto, impedendole la visuale oltre al corridoio.
Poco
prima che il treno si
rimettesse in moto, tutti i passeggeri si sedettero ed Emma, sempre
saltellando
e tirandosi sulle punte, vide un'altra ragazza sedersi al posto che era
stato
suo fino a pochi minuti prima. Nel momento in cui il treno si mosse, la
signora
bionda volse lo sguardo e incrociò gli occhi di Emma, che la
guardavano. Alzò
una mano in segno di saluto e sorrise ancora.
Emma
ricambiò velocemente,
prima che il treno la portasse via correndo.
Fu
con un sospiro leggero
che rispose a Niccolò, quando chiamò ancora.
"Ciao! Non crederai mai a chi
ho appena incontrato! Come? No, no, non la conosci. Beh, nemmeno io, a
dir la
verità. No, no hai ragione scusa…" Emma rise
quando Niccolò disse che
faceva fatica a starle dietro e per un attimo pensò che
stesse davvero farneticando
senza senso. "Sto arrivando, comunque" disse ancora, scendendo gli
scalini del sottopasso per raggiungere l'esterno della stazione.
"Hai
pensato a cosa
fare?" le chiese Niccolò, dopo averla baciata sulla guancia,
quando arrivò
da lui, che l'aspettava sotto al tabellone degli orari. Emma
annuì: sì, aveva
deciso. "Conoscerai i miei, allora?"
"Ho
pensato di aprire
un corso per bambini in merceria" rispose, sorridendo.
Niccolò corrugò la
fronte, perché non si era aspettato quella risposta. "E
sì, organizza pure
la cena con i tuoi genitori".
"Grazie.
Lo sai che
ci tengo. E so che la cosa ti preoccupa, ma ci sarò anch'io.
E scommetto che
andrà tutto bene. Ti piaceranno e tu piacerai a loro."
Emma
sorrise e gli passò
la mano dietro la schiena stringendosi a lui mentre uscivano dalla
stazione.
"Se ti hanno cresciuto così bene devono essere delle persone
meravigliose" disse. La sua mente andò alla signora del
treno: anche lei
sembrava una persona meravigliosa.
"Ti
amo, lo
sai?" disse Niccolò, baciandola sulla testa.
***
Emma
quella sera era
stanchissima: il corso per bambini era partito quel pomeriggio e i
bambini si
erano presentati numerosi e molto entusiasti. Ma lei era felice e
contenta: non
avrebbe potuto desiderare di più.
Entrò
in casa e sentì Niccolò
canticchiare dalla cucina: stava cucinando, uno degli hobby che
piacevano di
più a Emma. "Scusa il ritardo, alcuni genitori hanno voluto
fermarsi per
iscrivere i bambini subito dopo la lezione di prova" disse, baciando il
ragazzo sulle labbra quando si girò verso di lei. "Mi lavo
le mani e ti
aiuto".
Emma
si lavò le mani,
perdendosi a giocare con acqua e sapone un po' perché era
stanca e un po' per
ripensare alla sua bellissima giornata, piena di soddisfazioni. Subito
dopo, un
po' della vecchia apprensione tornò a premerle il petto:
quella sera avrebbe
conosciuto i genitori di Niccolò e, anche se aveva pensato
che sarebbero state
troppe emozioni in una volta, non aveva voluto spostare la cena: loro
abitavano
in un'altra città ed era già stato difficile
mettersi d'accordo su una data
precisa, con i turni di Niccolò in ospedale.
"Vado
a prendere il
vino in cantina". Niccolò si affacciò sulla porta
del bagno e lei si girò
verso di lui.
"Ti
amo,
Niccolò" disse Emma e il ragazzo sorrise, avvicinandosi a
lei.
"Non
devi
preoccuparti. Ti adoreranno come ti adoro io". Niccolò la
baciò sulle
labbra e poi scappò via.
Emma
guardò la tavola apparecchiata
e pensò di prendere i bicchieri per l'aperitivo per
sciacquarli. Mentre apriva
la vetrina del mobile del salotto suonarono alla porta e la ragazza
sorrise:
Niccolò doveva essersi scordato di nuovo le chiavi.
Andò
ad aprire dicendo:
"Ti scordi sempre di prendere…" La sua voce morì
quando si accorse
che non era stato Niccolò a suonare il campanello.
"Oh!
Ma…" La
signora bionda del treno fece un passo indietro e si guardò
intorno, mentre
l'uomo brizzolato accanto a lei controllava il polsino della sua
giacca, senza
accorgersi della sorpresa della moglie.
"È
lei la mamma di
Niccolò?" Il sorriso di Emma esplose sul suo viso come un
bambino la
mattina di Natale. E quando la signora del treno ricambiò il
suo sorriso annuendo,
rimase paralizzata sull'uscio.
"Siete
in
anticipo!" La voce di Niccolò risuonò forte sulla
tromba delle scale,
mentre raggiungeva il pianerottolo.
L'uomo
brizzolato si voltò
verso il figlio e spiegò: "Tua madre era un po' agitata,
così ci siamo preparati
troppo presto. Tanto valeva venire prima".
La
risata di Niccolò fece
eco alle parole del padre e tutti entrarono in casa.
"Non
avresti dovuto
dirlo, Fabio, ora sembrerò una vecchia bacucca…"
iniziò la donna bionda,
sorridendo con imbarazzo.
"Mamma,
smettila. Non
sembri proprio niente" la rassicurò il ragazzo
abbracciandola. Poi si
voltò verso Emma, la ragazza a cui avrebbe chiesto di
sposarlo il giorno dopo.
"Lei
è Emma. Emma,
loro sono…"
Emma
non riusciva più a
stare ferma: aveva pensato a quella donna così tanto negli
ultimi due mesi che
ora, ritrovarsela davanti, le sembrava uno dei regali più
belli.
"Non
sa come sono
contenta di rivederla, ho un sacco di cose da raccontarle!"
esclamò, prima
di abbracciarla con affetto.
"Ma…
Vi
conoscete?" chiesero in coro Niccolò e suo padre e le due
donne risero.
***Ho chiesto un prompt sul gruppo di
Facebook del Giardino di Efp e Afaneia
è stata così gentile da darmi il prompt:
"A vorrebbe presentare B ai suoi genitori, ma B ha paura di non essere
all'altezza". Ora, so benissimo di aver girato intorno al prompt in una
maniera quasi disgustosa, di non averlo sviluppato nella maniera
canonica, ma
se non rendo mio qualcosa, difficilmente riesco a scriverci,
così, spero che
non dia troppo fastidio e la storia sia carina lo stesso.
***La signora bionda del treno non ha un nome, perché non lo conosco, ma ho conosciuto questa donna quando viaggiavo molto in treno, per la scuola o per amicizia, e mi ha colpito così tanto da averci speso tanti pensieri anche dopo vent'anni. Non so cosa darei per poterle dire che non ho aperto la pasticceria per diabetici, ma continuo a fare dolci per le persone che amo e mi sembra così di aver 'realizzato' questo mio piccolo sogno.
***Il
titolo non c'entra niente con la storia. Ma c'entra con me. 💜