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Autore: Mary P_Stark    12/07/2021    1 recensioni
Il piccolo paese di Nederland, Colorado, viene stravolto dalla notizia di un rapimento incomprensibile ed Emily Poitier, fotografa e scrittrice presso una piccola casa editrice della zona, è suo malgrado costretta a rivivere ciò che, vent'anni addietro, accadde a lei.
Sarà grazie all'aiuto dei suoi amici e di Anthony, sua vecchia fiamma, se riuscirà a non impazzire a causa dei ricordi, aiutando così a scoprire chi si cela dietro al rapimento e a recuperare, una volta per tutte, la serenità tanto cercata.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

 

 

 

 

Le foto erano venute bene, e la fortuna di trovare un tasso impegnato a discutere con un suo simile, l'aveva lasciata con il sorriso sulle labbra e una risatina a fare da contorno per molto tempo.

Il nuovo libro avrebbe avuto un che in più, con quella battaglia a suon di zampate e dentate, e quei tassi avrebbero accompagnato bene la sezione dedicata a quella parte di regione.

Gli sfondi a grandangolo e i chiari-scuri delle foreste le piacevano molto, ma focalizzarsi su particolari della flora e della fauna locali, a volte, le dava più soddisfazione.

Sorseggiando la tisana all'echinacea e arancia rossa, che si era preparata col nuovo infuso acquistato nell’erboristeria di Nederland, inspirò con piacere i suoi profumi delicati e aromatici. Nel frattempo, gli occhi sullo schermo del suo Mac, passò in rassegna un'altra foto per controllare eventuali correzioni di colore.

Era difficile che dovesse ritoccarle – i colori naturali erano già eccellenti – e, anche in quel caso, poté solo compiacersi per il suo occhio da fotografa.

Dieci anni prima non avrebbe mai pensato che lavorare con una fotocamera digitale, il suo treppiede, i vari obiettivi nella borsa, mentre camminava immersa in un bosco, le sarebbe piaciuto così tanto.

Era evidente quanto poco ancora si conoscesse, all'epoca.

Certo, andava anche detto che, se vi si fosse trovata in un bosco da sola, o di notte, neanche lontanamente sarebbe stata così tranquilla da poter scattare una foto anche solo decente.

Con Cleo a tenerle compagnia, invece, si sentiva protetta e al sicuro, e la sua cagnolona adorava scorrazzare per i boschi assieme a lei.

Terminata la carrellata di foto, salvò il file su computer e nella sua chiavetta per i backup dopodiché, spento che ebbe il PC, si portò sulla terrazza assieme a Cleopatra. Era ancora decisamente freddo, per essere metà maggio, ma in quelle lande era la normalità.

Se era pur vero che da almeno venti giorni non nevicava più, non era detto che quella primavera potesse dare un colpo di coda e tornare a essere inverno.

Tutto poteva succedere, quando abitavi a oltre duemila metri d'altezza, nel bel mezzo del Colorado, affondata tra meravigliose montagne lussureggianti e ghiacciai perenni.

Seduta che fu sulla sua sedia a sdraio, il caldo braciere acceso accanto a lei per scaldare l’aria frizzante, Emily sorrise nello scorgere lo scintillio della luna sulle acque del bacino artificiale che si estendeva dinanzi a Nederland.

Allungandosi per miglia e miglia all'orizzonte, quel lago era meta di turisti e di appassionati di canottaggio e, non di rado, anche lei si era dilettata in tal senso. Le piaceva pagaiare con calma, ascoltando lo sciabordio dell’acqua contro le paratie della barca.

Era qualcosa che la rilassava sempre.

Quando Cleo le si accucciò ai piedi, Emily distolse lo sguardo dai riflessi argentei della luna sul lago e mormorò: “Domani ci dedicheremo alla costa est del lago, ti va? Potrai giocare con l'acqua.”

Il bovaro abbaiò lieto quando, all'improvviso, il cordless suonò.

Afferratolo dal tavolino su cui lo aveva appoggiato, Emily notò il numero di telefono e, con un leggero sospiro, mormorò: “Ciao, mamma.”

“Emy, ciao” rispose una voce calda e roca all'altro capo.

Margareth Cunningham-Poitier era una sessantaduenne attiva, sempre impegnata nel sociale grazie alle diverse Fondazioni Pro Bono da lei create e, tra le altre cose, era anche la sua attenta e protettiva madre.

Si era intristita molto alla scoperta della sua decisione di abbandonare New York, e la sua famiglia, per dirigersi in un isolato e sperduto paesino del Colorado. Non aveva comunque mosso obiezioni di fronte alla scelta della figlia, immaginandone senza fatica i motivi.

Aveva fatto da cuscinetto - come negli ultimi vent'anni, peraltro - tra lei e il padre, con cui Emily non aveva più un dialogo sereno dai tempi del rapimento.

Aveva parlato con suo fratello Harry perché organizzasse il tutto, viste le sue molteplici conoscenze in zona dopodiché, ogni qualvolta aveva potuto, era volta a Nederland per stare accanto alla figlia.

Il tutto, sempre con il suo solito cipiglio battagliero e l’aria di chi non avesse paura neppure dei demoni dell’inferno, pur di proteggere la propria prole.

Nata in una famiglia di operai del Bronx, si era fatta valere a scuola fin dalla più giovane età, collezionando encomi, medaglie di merito e, infine, una prestigiosa borsa di studio per una delle tre più importanti università dell’Ivy League. Harvard.

Lì, aveva conosciuto il suo attuale marito e, proprio grazie all’intraprendenza che l’aveva sempre contraddistinta, era passata sopra alle reticenze e ai pregiudizi dei più facoltosi Poitier, fino a riuscire a farsi accettare.

Jordan Poitier, il maggiore dei fratelli Poitier e padre di Emily e Jamie, non aveva potuto che innamorarsi di lei, della sua forza, della sua passione, della freschezza del suo animo. Per la prima volta, era andato contro la sua famiglia pur di averla per sé e, mettendo sul piatto della bilancia anche il suo patrimonio personale, aveva infine fatto capitolare il padre.

Renault Poiter aveva ceduto alle parole del figlio ma, soprattutto, aveva infine visto coi propri occhi quanto vi fosse di speciale in Margareth.

Emily non aveva mai compreso come mai i nonni paterni, dopo il suo rapimento, si fossero così allontanati dalla famiglia ma, soprattutto, dalla nuora, visto quanto erano stati uniti fino a quel momento. Il rapimento, però, aveva lasciato strascichi un po’ ovunque, perciò Emy aveva ben presto lasciato perdere la cosa, non sentendosela di approfondire.

Parte degli strascichi erano anche le telefonate, cosa che lei non amava fare, ma che sapeva di dover fare, visto che la lontananza forzata tra lei e la madre faceva soffrire la sua genitrice.

Il libro, gli incubi e mille altri pensieri, però, le avevano fatto mancare il consueto appuntamento del lunedì sera, costringendo la madre a sopperire a tale mancanza.

“Scusa, mamma. Mi sono persa davanti alle fotografie e ho scordato l'orologio. Ancora” borbottò contrita la figlia, guardando il suo polso sinistro.

Odiava portare gli orologi.

Le graffiavano la pelle, e di certo non ne aveva bisogno. Era molto meglio portare i suoi braccialetti in pellame lavorato, o di stoffa. Si era concessa uno strappo alla regola solo quando Tony, quattro anni addietro, le aveva regalato una coppia di sottili braccialetti in argento.

Non li aveva più tolti, da quando glieli aveva regalati, pur se si sentiva un mostro a portarli senza merito.

Erano comunque molto meno impegnativi del Patek che le avevano regalato i genitori per i suoi ventinove anni. Per più di un motivo.

Sua madre ridacchiò, ben conoscendo i vizi e le manie della figlia, e replicò: “L'avevo immaginato, per questo ho chiamato io.”

“Tutto bene, lì? Dovrebbe essere notte fonda, ormai.”

“Quasi. Diciamo che farò le ore piccole, stanotte. C'è in ballo una festa per il prossimo venerdì, e devo ultimare alcune migliorie.”

“Non ho dubbi sul fatto che sarà perfetta come al solito” sottolineò Emily, accennando un sorriso.

Sua madre avrebbe potuto dirigere da sola il centro spaziale di Houston, se avesse voluto. Era l'organizzazione fatta persona.

La donna rise, divertita dal tono della figlia.

“Naturalmente, ti arriverà un invito che tu cestinerai, ma sai come sono fatta. Non posso evitare di mandarteli.”

“Non li cestino mai. Li colleziono. Ho un intero album pieno dei tuoi biglietti. Tutti molto belli, tra l'altro” ironizzò Emy, mettendo calore e affetto nella sua voce.

“Non potresti concederti una piccola tregua dal tuo libro per venire a trovare i tuoi vecchi?”

“Vecchia, tu? Mamma, tu sarai vecchia quando io sarò già nella tomba, e forse neanche allora” la prese bonariamente in giro la figlia, facendola ridere sommessamente.

“Ci manchi. A tutti e due” sottolineò a quel punto Margareth, tornando seria.

Per Emy fu lo stesso.

Divenne mortalmente pallida in viso e, carezzando distrattamente il testone di Cleopatra per calmarsi, mormorò: “Dubito che io gli manchi. Ma so di mancare a te... scusa, mamma. Davvero non riesco a fare diversamente.”

“Mercoledì prossimo, non questo... quello della settimana seguente, sarò a Denver per una convention sulle energie alternative. Ti andrebbe di vedermi? Saremmo solo tu e io. E Jamie.”

“Oh... viene anche Mister-Quarantesette-Punti?” ironizzò a quel punto la donna, ripensando al fratello minore e all'incidente che gli era valso quel soprannome.

Poco meno di un anno prima, durante una battuta di pesca, Jamie era stato sbalzato in mare dallo yacht dove si trovava, e tutto per colpa di un Marlin Blu particolarmente riottoso.

Questo gli aveva causato un brutto trauma cranico e diverse ferite, tra cui una al braccio che avevano dovuto suturare, per l'appunto, con quarantasette punti.

Quando era venuta a saperlo, Emy si era fiondata presso l'aeroporto più vicino per raggiungere il Maine e lì, dopo cinque anni di separazione voluta - da lei -, aveva rivisto il padre.

Non si erano praticamente parlati, ma tanto era bastato per farle venire voglia di scappare di nuovo.

Era rimasta sei giorni soltanto per stare assieme al fratello, di due anni più giovane di lei.

Quando si era sincerata della buona salute di Jamie, lo aveva bonariamente rabberciato e, con la promessa di una loro futura vacanza assieme, se n'era andata per tornare a Nederland.

L'idea di rivedere il fratello le piacque abbastanza da spingerla a dire: “Ci sarò. Mandami pure una e-mail con i particolari dell'avvenimento.”

“D'accordo” assentì la donna. “Tutto bene, lì? La vita procede regolare?”

“Se vuoi sapere se ho un uomo, non ce l'ho. Non prendo più pillole per dormire da anni, anche se a volte vorrei usarne un po', ogni tanto, visto che posso contare parecchie notti in bianco, nel mio curriculum. Mike e Gilda si prendono cura di me e mi tengono in salute, neanche fossi un'oca all'ingrasso e, in generale, tutto procede come al solito, qui a Nederland.”

Quel commento strappò un risolino a Margareth.

“Cleo sta benissimo e mi accompagna sempre. E' il mio angelo custode peloso” aggiunse Emy, sorridendo alla sua cagnolona.

“Quindi, con Anthony...”

“No, niente, mi spiace.”

“Eppure, da quel che ricordo, è un bell'uomo e...”

Bloccandola prima che partisse a perorare la causa di Tony, Emily esalò: “Mamma, ti prego! Se vorrò un uomo, me lo troverò. Al momento, io e Cleo stiamo bene così. Oh, per la cronaca, zio Harry ha mandato qui uno dei suoi geologi per una perizia sulle vecchie miniere della zona. Siamo sicuri che non sia un'abile mossa per tenermi d'occhio?”

“Mio fratello non farebbe mai una cosa simile, tesoro!” sbottò sconcertata Margareth.

Un attimo dopo, però, la curiosità ebbe la meglio.

“Chi è, cara? Lo conosciamo?”

“Io personalmente no, ma tutto può essere. Si chiama Parker Jones, ed è di Denver. Ti dice niente?”

“Jones? Sì, cara, che mi dice qualcosa. Un certo Richard Jones fu uno degli architetti che lavorarono alla tua casa, se non lo ricordi” ridacchiò la donna. “Può darsi che sia un parente… o magari è la classica coincidenza.”

“Oh, cielo, è vero che l’architetto si chiamava Jones! Chissà dove avevo la testa!” esalò Emily, dandosi una pacca sulla fronte. “Comunque, non ho mai creduto nelle coincidenze e perciò glielo chiederò. Tanto, sarà qui in giro per un sacco di tempo.”

“E' carino?” si informò a quel punto la madre.

Emily scoppiò a ridere di gusto e, lasciandosi un po' andare sulla sedia a sdraio su cui era seduta, mormorò: “Mamma, vuoi che io mi dedichi ad attività orizzontale, o sbaglio?”

“Tesoro! Ma come parli?!” biascicò Margareth,cercando di darsi un tono con la figlia. Ma, in sottofondo, stava ridendo.

“Se ti può interessare, è piacente. Un tipo. Ha i capelli biondo castani, arruffati in modo simpatico, non disordinato. Non saprei dirti se sono mossi o se, semplicemente, si dimentica di pettinarli, ma gli donano. Ha gli occhi chiari, tra il verde e il nocciola, ed è piuttosto alto e dalle spalle robuste. Visto cos'aveva sul suo pick-up, non stento a crederlo. Alcune attrezzature sembravano davvero pesanti. Ti può bastare?”

“Come sei veniale.” Brontolò bonaria la madre. “E' simpatico? Ci si parla volentieri?”

“Devo presentartelo, la settimana prossima? Ti vuoi fare un toy-boy?” ironizzò allora Emily.

Il tono sempre più divertito della figlia fece imbarazzare Margareth che, vagamente burbera, borbottò: “Non si può parlare, con te, quando tocco quest’argomento.”

Passandosi una mano nella corta zazzera biondo platino – totalmente naturale – Emily disse più seriamente: “E' ciarliero. Un'autentica macchinetta. Sembra piuttosto colto, anche al di fuori del suo settore, e piace a Cleo. Si è lasciata fare un grattino tra  le orecchie al primo incontro, ma questo conta poco, visto che lei ama farsi fare i grattini da tutti. Però, pare che adori la sua risata, perciò qualcosa vorrà dire.”

“Che cagnolina dolce!” sospirò deliziata la donna.

“Pesa quaranta chili, mamma... andrei piano a darle della cagnolina” sottolineò Emy, pur apprezzando l'affetto dimostrato dalla madre nei confronti del suo cane.

“Cleopatra sarà sempre una cagnolina, per me.”

Rise dolcemente un attimo dopo ma, prima di chiudere la telefonata, si premurò di dire: “Manda almeno un'e-mail a tuo padre. Non ha il coraggio di chiamarti perché sa che non risponderesti.”

“Mi conosce, evidentemente” brontolò la giovane, intrecciando nervosamente le gambe.

Quando parlavano di Jordan Francis Poitier, i suoi recettori del dolore e dell’ira iniziavano a brillare come lucette di Natale, neanche fossero stati sul set di Stranger Things.

“Digli che stai bene” mormorò Margareth, salutandola l’istante seguente.

La luna fece capolino tra le nuvole dopo aver danzato dietro esili cirri, quando Emily chiuse la comunicazione e, nel sospirare, lei la osservò sperduta, non sapendo bene che fare.

Il muro tra lei e il padre era nato e cresciuto fin da quando, in quella maledetta grotta, aveva sentito Cattivo dirle che il padre non avrebbe mai pagato il riscatto. Al suo ritorno da quegli orrendi cinquantasei giorni di prigionia, le cose erano soltanto peggiorate.

Lo psicologo aveva fatto parte integrante della sua vita adolescenziale, fin dal giorno fortunoso della sua fuga, aiutandola a ritrovare l'equilibrio perduto e le certezze svanite.

Jamie l'aveva aiutata a suo modo, regalandole i suoi giocattoli degli Avengers,  promettendole solennemente che l'avrebbero protetta. Si era commossa quando il fratellino era entrato nella sua stanza, una sera, portando con sé il suo enorme martello di Thor in plastica.

Si era accoccolato accanto a lei nel letto e, con Mijollnir stretto in una mano, le aveva sussurrato: “Con questo, i cattivi non si avvicineranno più.”

Il piccolo, dolce Jamie.

Era stato lui la sua roccia, nonostante fosse il più piccolo di casa.

Con il padre, invece, era stato un susseguirsi di incrinature, spaccature, autentiche guerre psicologiche, una più terribile della precedente. Pur avendo avuto solo otto anni, all’epoca, le era stato chiaro solo un concetto; suo padre non aveva pagato per riaverla.

La stampa ci era andata a nozze per mesi, sottolineando quanto fosse stato rischioso quel tira e molla coi rapitori.

Emily l'aveva vista diversamente.

Non era stato un calcolo di rischio, ma semplice disinteresse.

Suo padre non l'amava come lei lo aveva amato fino al momento del rapimento. Punto.

Che si sentisse ancora in colpa, era il minimo.

Non voleva comunque offendere sua madre che, invece, aveva pianto lacrime amare fin dal primo giorno di quel tremendo evento.

Perciò, mogia, prese l'iPad dalla sua borsa e scrisse una breve e-mail al padre, giusto per pulirsi la coscienza.

 

Qui è tutto okay. Cleo si è mangiata una lucertola, ieri.

Ha vomitato l'anima, e il suo fiato ha puzzato per ore, in seguito.

Ho foto nuove per il libro che editerò l’anno prossimo. Vi mando

 una copia appena editano quello che sto ultimando adesso.

C’è un geologo dello zio, qui a Ned. Harry gioca a fare il curiosone?

Oppure gli interessano veramente le miniere? Emy

 

Era un testo maledettamente scarno, ma non riusciva davvero a fare di più.

***

Lo zaino pesava duecento chili, o giù di lì.

Non osava controllare ma, a giudicare da quello che ci aveva infilato dentro, sarebbe sembrato un maledetto marine in missione.

D'accordo che, per il lavoro che doveva fare, non c'era bisogno di una squadra di escavatoristi,... ma un aiutino, no?

Maledetti tagli sul budget e ancor più maledetti appaltatori – la sua ditta – del cavolo. Se solo gli fosse riuscito di parlare con la Silver & Gold Consolidated, che aveva commissionato i lavori, forse avrebbe potuto ottenere un aiuto ma, con il suo capo nel mezzo, era stato impossibile e, ancor più impensabile, era pensare di scavalcarlo.

Quello sì che avrebbe voluto dire cacciarsi nei guai.

Con il sole alto in cielo e l’aria frizzante a dargli il buongiorno, a Parker sembrò quasi una presa in giro pensare alle successive ore di lavoro, ma tant’era.

Nell’uscire dalla piccola casetta che la ditta gli aveva trovato, quella mattina, brontolava già come una pentola di fagioli.

La casupola assegnatagli si era rivelata, infatti, più carina di quanto non avesse pensato vedendola da fuori, disadorna e priva di giardino come gli era apparsa al suo arrivo.

Quando era entrato, aveva sentito il profumo di segatura e di fiori di campo – forse, perché l'avevano fatta arieggiare ampiamente prima del suo arrivo – e, al suo interno, aveva trovato il minimo indispensabile per sopravvivere.

Divano, TV satellitare da intenditore, un frigorifero enorme e un microonde.

Il regno delle favole, per un uomo.

Al piano superiore, Parker aveva scovato due camere da letto prive di orpelli, ma con tutto il necessario per sistemare abiti e oggetti vari. Era chiaro che la Silver & Gold si era aspettata l’arrivo di due operai, non uno. A conferma che il suo capo si era comportato come uno stronzo.

Tornando dabbasso, aveva studiato il soggiorno con cucina a vista, abbastanza spazioso per potervi lavorare la sera o per fare quattro chiacchiere con gli amici che, ben presto, si sarebbe fatto.

In fondo al corridoio, infine, aveva trovato il bagno, e una di quelle vecchie vasche in metallo con i piedi a forma di leone era il vero pezzo d’eccezione. Ci si poteva stendere senza problemi, tanto era ampia e lunga e, per uno alto quasi un metro e novanta, era un vantaggio non da poco.

Lì, si sarebbe rilassato dopo le sue scarpinate faticose, acciambellato dentro l'acqua bollente e la schiuma copiosa, come un bambino con la sua paperella di gomma.

Ora che era su un sentiero, però, con la carta topografica in una mano e il GPS nell'altra, Parker pensò bene di lasciar perdere quei pensieri e dedicarsi finalmente al suo lavoro. Risalendo per quell’erta, avrebbe trovato la sua prima miniera abbandonata nel breve arco di una mezz’ora e, da lì, avrebbe iniziato la sua ricerca.

Anni addietro, a causa della scarsa tecnologia e dei costi esorbitanti per l'estrazione dei materiali di profondità, quelle miniere erano state chiuse e abbandonate. Era però passato più di un secolo da quegli eventi, e le tecniche di estrazione avevano subito dei drastici cambiamenti.

Lui doveva soltanto scoprire se fosse il caso di riaprirle, o meno.

Soltanto. Beh, si faceva per dire.

Tra i carotaggi, gli esami di laboratorio – in quello, era un asso – e le analisi stratimetriche del terreno, avrebbe perso un sacco di tempo.

Lavorare in loco, però, faceva risparmiare tempo e denaro, e questo lo sapeva bene.

Se qualcuno, ogni santo giorno, avesse dovuto portare a Denver ciò che trovava per analizzarlo e catalogarlo, ci sarebbe voluto un secolo.

Incamminandosi a passo tranquillo, le mani impegnate a portare ciò che, nello zaino, non era entrato, si inerpicò perciò verso l'alto della montagna con un unico obiettivo.

La miniera di Cold Snow.

Prima  tra le sue innumerevoli tappe, era la più vicina al paese e, perciò, la sua meta prefissata, per quel giorno.

Avrebbe iniziato a spostarsi con il pick-up solo quando necessario.

Risalendo con passo lento, Parker lanciò soltanto distratte occhiate alla flora locale, composta principalmente da abeti rossi, pini ad alto fusto e larici.

Qua e là, speronella e aquilegia tingevano timide il sotto bosco, e rovi di more selvatiche – solo spine, niente more, vista la stagione – si intervallavano a rocce affioranti e piccoli cespugli pronti a fiorire.

Il canto di una ghiandaia azzurra attirò la sua attenzione, portandolo a fermarsi un attimo per cercarla con lo sguardo.

Con un sorso d'acqua strappato dalla borraccia, riprese il cammino dopo aver cercato invano la sua ghiandaia, accompagnato però dal canto del volatile introvabile.

Un picchio delle ghiande tamburellava con frequenza impressionante contro il tronco di un albero, mentre il ciangottare di alcuni scriccioli sembrava disturbare una coppia di scoiattoli.

Troppa confusione, su quell'albero.

Parker ridacchiò nel vederli correre come razzi su e giù per i rugosi tronchi dalle tinte calde, ma fu l'abbaiare di un cane a bloccarlo, sorprendendolo e preoccupandolo un poco.

Quando, però, vide giungere dalla sterrata la figura tricolore di un cane a lui noto, si chetò immediatamente e si aprì in un sorriso di benvenuto.

Le zampe forti di Cleo macinarono il terreno dinanzi a lei e, quando finalmente raggiunsero Parker, frenarono sul terriccio sollevando una nuvoletta di polvere.

Scodinzolando a tutta velocità, la lingua di fuori e il fiato corto, Cleopatra abbaiò quindi nella sua direzione una sola volta, come a volerlo salutare.

Parker allora allungò una mano per carezzarla sul capo mentre, in lontananza, la voce della sua padrona chiamava preoccupata la sua compagna a quattro zampe.

“Sei scappata perché hai sentito il mio odore, eh?” sorrise l'uomo.

La cagnolona strusciò il muso contro le sue ginocchia, come a dargli ragione.

“Emily! E' qui con me! Sono Parker!” esclamò poi, rendendosi subito riconoscibile.

“Parker? Già al lavoro!?” rispose a gran voce la donna, spuntando finalmente dall'erta e rendendosi così visibile.

Indossava una divisa da trekking alla moda, comoda e poco appariscente e, come aveva notato il giorno prima, scarponcini usurati ma di buona fattura.

Era sicuramente una donna abituata a girar per boschi, ma che non avrebbe sfigurato anche in un atelier.

“Buongiorno” la salutò, continuando ad accarezzare la sua cagnolona.

Non sapeva bene perché, ma gli dava l'idea di una donna che usasse spesso, come filtro, il suo cane da compagnia. L'aveva notato il giorno prima, alla tavola calda, e ancora ebbe quella sensazione quando gli occhi di Emily studiarono il comportamento di Cleopatra.

Lo sguardo che aveva lanciato a Cleo, quando si era fatta accarezzare, era stato eloquente. Quasi le avesse chiesto se, di lui, ci si potesse fidare.

Emily li raggiunse agevolmente, sulle spalle uno zaino da fotografo corredato da cavalletti a uno e tre piedi, borraccia legata in vita e GPS infilato nella fibbia dei pantaloni.

Probabilmente, aveva anche un telefono satellitare, con lei, o un battaglione di marines chiuso nello zaino. Gli sembrava una donna pronta a qualsiasi evenienza.

“Buongiorno a te, Parker. Stai andando alla Cold Snow?” gli domandò lei, richiamando a sé Cleo con una pacca sulla gamba.

Subito, il bovaro tornò obbediente da lei.

“Esatto. E tu?”

“Fotografie della zona, un servizio sulle miniere e poi a casa, a preparare un altro capitolo del libro che sto elaborando per la prossima guida del Colorado” gli spiegò lei, lanciando un'occhiata incuriosita ai suoi macchinari.

Lui ne seguì lo sguardo e, ridacchiando, ammise: “Lo so, sembrano dei transformers.”

“Se lo fossero, sarebbe fico” ironizzò lei. “Ti do una mano? Tanto, devo andare nella tua stessa direzione.”

“Ma no! Sono abituato, figurati.” Scosse il capo, ma la ringraziò con un sorriso.

“Pensi non possa farcela?” gli ritorse contro lei, inclinando il capo di corti capelli biondi.

Erano tagliati scalati, come se volesse dare di sé un'immagine trasandata, pur non essendola affatto. Quelle ciocche erano state sistemate ad arte da un coiffeur dalla mano sopraffina, poco ma sicuro.

Parker continuava a trovare Emily uno strano miscuglio di eleganza e nonchalance.

Era tutto e il contrario di tutto, e questo lo incuriosiva da matti.

Da bravo scienziato, se c'era una cosa che lo interessava, erano i misteri. Anche se, nel caso specifico, non erano fatti di terreno e roccia, ma di carne e sangue.

Allungando perciò una delle sue valige a Emily, tornò a incamminarsi, dicendo per contro: “Non sia mai che io venga accusato di maschilismo. Vuoi sgobbare? Fallo.”

Emy rise in risposta al suo commento ma, quando si ritrovò a scarpinare con non meno di dieci chili di macchinario alla mano, si divertì un po' meno.

Consolatoria, Cleo le camminò al fianco per tutto il tempo mentre Parker, come se niente fosse, le indicava zone favolose per alcune foto, o uccellini canterini dall'animo fashion.

Quando finalmente raggiunsero la bocca della miniera, chiusa da un lucchetto ormai vetusto e da barre trasversali di legno marcio, Emily poggiò a terra la valigia e ci si sedette sopra, esausta.

Piegandosi in avanti con il fiato corto e le braccia che chiedevano pietà, si lasciò andare a un lungo sospiro liberatorio, corredato da leccata sulla guancia da parte di Cleo.

Con aria vagamente accigliata – Parker pareva fresco come una rosa – Emy fissò l'uomo e mugugnò: “Fai il maschilista, la prossima volta. Assolutamente. Potrai anche usare epiteti come femminuccia o altro, ma dimmi di no! Cosa ci hai messo dentro? Piombo fuso?!”

Il geologo scoppiò a ridere di fronte al suo sarcasmo e, nell'aprire la sua valigetta, le mostrò la trivella con cui avrebbe fatto i carotaggi.

“Come puoi ben immaginare, è abbastanza pesante.”

“E qui dentro, cosa c'è?” si informò a quel punto lei, rialzandosi per stirare la schiena.

Quest'ultima emise un crac molto forte, tanto che sia Emily che Parker scoppiarono a ridere di gusto.

“E con questo ho chiuso la mia carriera di mulo da soma” chiosò la donna, carezzando la testa di Cleo, che le ciondolava al fianco, fidata e fedele. “E dire che pensavo di essere più robusta di così!”

“Io ti avevo avvertita” si premurò di dire Parker, scrollando le spalle. “Vuoi venire a dare un'occhiata? Così ti mostro a cosa servono questi aggeggi.”

“Ah... no, grazie. Passo. Io e le grotte non andiamo d'accordo” declinò lei, scuotendo una mano con fare divertito.

In realtà, dentro di sé stava tremando. Non avrebbe messo piede in un luogo chiuso e angusto come una grotta neppure sotto tortura.

I ricordi che le riportava alla memoria erano davvero troppo atroci, perché li affrontasse per mera curiosità.

Con la scusa di dover cercare nuovi scenari da inserire nella sua guida turistica, Emily si allontanò dalla bocca scura e inquietante della miniera.

Lui la lasciò andare e, nell’osservarla allontanarsi a passo spedito lungo il sentiero, si chiese cosa avesse provocato in lei quel lampo di puro terrore, che aveva adombrato per un istante i suoi occhi di colomba.

 

 

N.d.A: innanzitutto, scusate per il tremendo ritardo nel postare il secondo capitolo, ma ci sono volte in cui bisogna dare la precedenza ad altro, e io ero in uno di quei momenti. 

Premesso, ciò, scopriamo un po' di più come se la cava il nostro geologo, e come sta trovando il suo nuovo lavoro presso Nederland, oltre a capire meglio come vanno i rapporti tra Emily e i suoi familiari. Ci sarà tempo per tornare su entrambe le cose, non temete.


  
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