2.
Le
foto erano venute bene, e la fortuna di trovare un tasso impegnato a
discutere
con un suo simile, l'aveva lasciata con il sorriso sulle labbra e una
risatina
a fare da contorno per molto tempo.
Il
nuovo libro avrebbe avuto un che in più, con quella
battaglia a suon di zampate
e dentate, e quei tassi avrebbero accompagnato bene la sezione dedicata
a
quella parte di regione.
Gli
sfondi a grandangolo e i chiari-scuri delle foreste le piacevano molto,
ma focalizzarsi
su particolari della flora e della fauna locali, a volte, le dava
più
soddisfazione.
Sorseggiando
la tisana all'echinacea e arancia rossa, che si era preparata col nuovo
infuso
acquistato nell’erboristeria di Nederland, inspirò
con piacere i suoi profumi
delicati e aromatici. Nel frattempo, gli occhi sullo schermo del suo
Mac, passò
in rassegna un'altra foto per controllare eventuali correzioni di
colore.
Era
difficile che dovesse ritoccarle – i colori naturali erano
già eccellenti – e,
anche in quel caso, poté solo compiacersi per il suo occhio
da fotografa.
Dieci
anni prima non avrebbe mai pensato che lavorare con una fotocamera
digitale, il
suo treppiede, i vari obiettivi nella borsa, mentre camminava immersa
in un
bosco, le sarebbe piaciuto così tanto.
Era
evidente quanto poco ancora si conoscesse, all'epoca.
Certo,
andava anche detto che, se vi si fosse trovata in un bosco da
sola, o di
notte, neanche lontanamente sarebbe stata così tranquilla da
poter scattare una
foto anche solo decente.
Con
Cleo a tenerle compagnia, invece, si sentiva protetta e al sicuro, e la
sua
cagnolona adorava scorrazzare per i boschi assieme a lei.
Terminata
la carrellata di foto, salvò il file su computer e nella sua
chiavetta per i
backup dopodiché, spento che ebbe il PC, si portò
sulla terrazza assieme a
Cleopatra. Era ancora decisamente freddo, per essere metà
maggio, ma in quelle
lande era la normalità.
Se
era pur vero che da almeno venti giorni non nevicava più,
non era detto che
quella primavera potesse dare un colpo di coda e tornare a essere
inverno.
Tutto
poteva succedere, quando abitavi a oltre duemila metri d'altezza, nel
bel mezzo
del Colorado, affondata tra meravigliose montagne lussureggianti e
ghiacciai
perenni.
Seduta
che fu sulla sua sedia a sdraio, il caldo braciere acceso accanto a lei
per
scaldare l’aria frizzante, Emily sorrise nello scorgere lo
scintillio della
luna sulle acque del bacino artificiale che si estendeva dinanzi a
Nederland.
Allungandosi
per miglia e miglia all'orizzonte, quel lago era meta di turisti e di
appassionati di canottaggio e, non di rado, anche lei si era dilettata
in tal
senso. Le piaceva pagaiare con calma, ascoltando lo sciabordio
dell’acqua
contro le paratie della barca.
Era
qualcosa che la rilassava sempre.
Quando
Cleo le si accucciò ai piedi, Emily distolse lo sguardo dai
riflessi argentei
della luna sul lago e mormorò: “Domani ci
dedicheremo alla costa est del lago,
ti va? Potrai giocare con l'acqua.”
Il
bovaro abbaiò lieto quando, all'improvviso, il cordless
suonò.
Afferratolo
dal tavolino su cui lo aveva appoggiato, Emily notò il
numero di telefono e,
con un leggero sospiro, mormorò: “Ciao,
mamma.”
“Emy,
ciao” rispose una voce calda e roca all'altro capo.
Margareth
Cunningham-Poitier era una sessantaduenne attiva, sempre impegnata nel
sociale grazie
alle diverse Fondazioni Pro Bono da lei create e, tra le altre cose,
era anche
la sua attenta e protettiva madre.
Si
era intristita molto alla scoperta della sua decisione di abbandonare
New York,
e la sua famiglia, per dirigersi in
un isolato e sperduto paesino del Colorado. Non aveva comunque mosso
obiezioni di
fronte alla scelta della figlia, immaginandone senza fatica i motivi.
Aveva
fatto da cuscinetto - come negli ultimi vent'anni, peraltro - tra lei e
il padre,
con cui Emily non aveva più un dialogo sereno dai tempi del
rapimento.
Aveva
parlato con suo fratello Harry perché organizzasse il tutto,
viste le sue
molteplici conoscenze in zona dopodiché, ogni qualvolta
aveva potuto, era volta
a Nederland per stare accanto alla figlia.
Il
tutto, sempre con il suo solito cipiglio battagliero e l’aria
di chi non avesse
paura neppure dei demoni dell’inferno, pur di proteggere la
propria prole.
Nata
in una famiglia di operai del Bronx, si era fatta valere a scuola fin
dalla più
giovane età, collezionando encomi, medaglie di merito e,
infine, una
prestigiosa borsa di studio per una delle tre più importanti
università dell’Ivy League.
Harvard.
Lì,
aveva conosciuto il suo attuale marito e, proprio grazie
all’intraprendenza che
l’aveva sempre contraddistinta, era passata sopra alle
reticenze e ai
pregiudizi dei più facoltosi Poitier, fino a riuscire a
farsi accettare.
Jordan
Poitier, il maggiore dei fratelli Poitier e padre di Emily e Jamie, non
aveva
potuto che innamorarsi di lei, della sua forza, della sua passione,
della
freschezza del suo animo. Per la prima volta, era andato contro la sua
famiglia
pur di averla per sé e, mettendo sul piatto della bilancia
anche il suo
patrimonio personale, aveva infine fatto capitolare il padre.
Renault
Poiter aveva ceduto alle parole del figlio ma, soprattutto, aveva
infine visto
coi propri occhi quanto vi fosse di speciale in Margareth.
Emily
non aveva mai compreso come mai i nonni paterni, dopo il suo rapimento,
si
fossero così allontanati dalla famiglia ma, soprattutto,
dalla nuora, visto
quanto erano stati uniti fino a quel momento. Il rapimento,
però, aveva
lasciato strascichi un po’ ovunque, perciò Emy
aveva ben presto lasciato
perdere la cosa, non sentendosela di approfondire.
Parte
degli strascichi erano anche le telefonate, cosa che lei non amava
fare, ma che
sapeva di dover fare, visto che la
lontananza forzata tra lei e la madre faceva soffrire la sua genitrice.
Il
libro, gli incubi e mille altri pensieri, però, le avevano
fatto mancare il
consueto appuntamento del lunedì sera, costringendo la madre
a sopperire a tale
mancanza.
“Scusa,
mamma. Mi sono persa davanti alle fotografie e ho scordato l'orologio. Ancora”
borbottò contrita la figlia, guardando il suo polso sinistro.
Odiava
portare gli orologi.
Le
graffiavano la pelle, e di certo non ne aveva bisogno. Era molto meglio
portare
i suoi braccialetti in pellame lavorato, o di stoffa. Si era concessa
uno
strappo alla regola solo quando Tony, quattro anni addietro, le aveva
regalato
una coppia di sottili braccialetti in argento.
Non
li aveva più tolti, da quando glieli aveva regalati, pur se
si sentiva un
mostro a portarli senza merito.
Erano
comunque molto meno impegnativi del Patek che le avevano regalato i
genitori per
i suoi ventinove anni. Per più di un motivo.
Sua
madre ridacchiò, ben conoscendo i vizi e le manie della
figlia, e replicò:
“L'avevo immaginato, per questo ho chiamato io.”
“Tutto
bene, lì? Dovrebbe essere notte fonda, ormai.”
“Quasi.
Diciamo che farò le ore piccole, stanotte. C'è in
ballo una festa per il
prossimo venerdì, e devo ultimare alcune
migliorie.”
“Non
ho dubbi sul fatto che sarà perfetta come al
solito” sottolineò Emily,
accennando un sorriso.
Sua
madre avrebbe potuto dirigere da sola il centro spaziale di Houston, se
avesse
voluto. Era l'organizzazione fatta persona.
La
donna rise, divertita dal tono della figlia.
“Naturalmente,
ti arriverà un invito che tu cestinerai, ma sai come sono
fatta. Non posso
evitare di mandarteli.”
“Non
li cestino mai. Li colleziono. Ho un intero album
pieno dei tuoi
biglietti. Tutti molto belli, tra l'altro”
ironizzò Emy, mettendo calore e
affetto nella sua voce.
“Non
potresti concederti una piccola tregua dal tuo libro per venire a
trovare i
tuoi vecchi?”
“Vecchia,
tu? Mamma, tu sarai vecchia quando io sarò già
nella tomba, e forse neanche
allora” la prese bonariamente in giro la figlia, facendola
ridere
sommessamente.
“Ci
manchi. A tutti e due”
sottolineò a quel punto Margareth, tornando
seria.
Per
Emy fu lo stesso.
Divenne
mortalmente pallida in viso e, carezzando distrattamente il testone di
Cleopatra per calmarsi, mormorò: “Dubito
che io gli manchi. Ma so di
mancare a te... scusa, mamma. Davvero non riesco a fare
diversamente.”
“Mercoledì
prossimo, non questo... quello della settimana seguente,
sarò a Denver per una convention
sulle energie alternative. Ti andrebbe di vedermi? Saremmo solo tu e
io. E Jamie.”
“Oh...
viene anche Mister-Quarantesette-Punti?” ironizzò
a quel punto la donna,
ripensando al fratello minore e all'incidente che gli era valso quel
soprannome.
Poco
meno di un anno prima, durante una battuta di pesca, Jamie era stato
sbalzato
in mare dallo yacht dove si trovava, e tutto per colpa di un Marlin Blu
particolarmente riottoso.
Questo
gli aveva causato un brutto trauma cranico e diverse ferite, tra cui
una al
braccio che avevano dovuto suturare, per l'appunto, con quarantasette
punti.
Quando
era venuta a saperlo, Emy si era fiondata presso l'aeroporto
più vicino per
raggiungere il Maine e lì, dopo cinque anni di separazione
voluta - da lei -,
aveva rivisto il padre.
Non
si erano praticamente parlati, ma tanto era bastato per farle venire
voglia di
scappare di nuovo.
Era
rimasta sei giorni soltanto per stare assieme al fratello, di due anni
più
giovane di lei.
Quando
si era sincerata della buona salute di Jamie, lo aveva bonariamente
rabberciato
e, con la promessa di una loro futura vacanza assieme, se n'era andata
per
tornare a Nederland.
L'idea
di rivedere il fratello le piacque abbastanza da spingerla a dire:
“Ci sarò.
Mandami pure una e-mail con i particolari dell'avvenimento.”
“D'accordo”
assentì la donna. “Tutto bene, lì? La
vita procede regolare?”
“Se
vuoi sapere se ho un uomo, non ce l'ho. Non prendo più
pillole per dormire da
anni, anche se a volte vorrei usarne un po', ogni tanto, visto che
posso
contare parecchie notti in bianco, nel mio curriculum. Mike e Gilda si
prendono
cura di me e mi tengono in salute, neanche fossi un'oca all'ingrasso e,
in
generale, tutto procede come al solito, qui a Nederland.”
Quel
commento strappò un risolino a Margareth.
“Cleo
sta benissimo e mi accompagna sempre. E' il mio angelo custode
peloso” aggiunse
Emy, sorridendo alla sua cagnolona.
“Quindi,
con Anthony...”
“No,
niente, mi spiace.”
“Eppure,
da quel che ricordo, è un bell'uomo e...”
Bloccandola
prima che partisse a perorare la causa di Tony, Emily esalò:
“Mamma, ti prego!
Se vorrò un uomo, me lo troverò. Al momento, io e
Cleo stiamo bene così. Oh,
per la cronaca, zio Harry ha mandato qui uno dei suoi geologi per una
perizia
sulle vecchie miniere della zona. Siamo sicuri che
non sia un'abile
mossa per tenermi d'occhio?”
“Mio
fratello non farebbe mai una cosa simile, tesoro!”
sbottò sconcertata Margareth.
Un
attimo dopo, però, la curiosità ebbe la meglio.
“Chi
è, cara? Lo conosciamo?”
“Io
personalmente no, ma tutto può essere. Si chiama Parker
Jones, ed è di Denver.
Ti dice niente?”
“Jones?
Sì, cara, che mi dice qualcosa. Un certo Richard Jones fu
uno degli architetti
che lavorarono alla tua casa, se non lo ricordi”
ridacchiò la donna. “Può darsi
che sia un parente… o magari è la classica
coincidenza.”
“Oh,
cielo, è vero che l’architetto si chiamava Jones!
Chissà dove avevo la testa!”
esalò Emily, dandosi una pacca sulla fronte.
“Comunque, non ho mai creduto
nelle coincidenze e perciò glielo chiederò.
Tanto, sarà qui in giro per un
sacco di tempo.”
“E'
carino?” si informò a quel punto la madre.
Emily
scoppiò a ridere di gusto e, lasciandosi un po' andare sulla
sedia a sdraio su
cui era seduta, mormorò: “Mamma, vuoi che io mi
dedichi ad attività
orizzontale, o sbaglio?”
“Tesoro!
Ma come parli?!” biascicò Margareth,cercando di
darsi un tono con la figlia. Ma,
in sottofondo, stava ridendo.
“Se
ti può interessare, è piacente. Un tipo. Ha i
capelli biondo castani, arruffati
in modo simpatico, non disordinato. Non saprei dirti se sono mossi o
se,
semplicemente, si dimentica di pettinarli, ma gli donano. Ha gli occhi
chiari,
tra il verde e il nocciola, ed è piuttosto alto e dalle
spalle robuste. Visto
cos'aveva sul suo pick-up, non stento a crederlo. Alcune attrezzature
sembravano davvero pesanti. Ti può bastare?”
“Come
sei veniale.” Brontolò bonaria la madre.
“E' simpatico? Ci si parla
volentieri?”
“Devo
presentartelo, la settimana prossima? Ti vuoi fare un
toy-boy?” ironizzò allora
Emily.
Il
tono sempre più divertito della figlia fece imbarazzare
Margareth che,
vagamente burbera, borbottò: “Non si
può parlare, con te, quando tocco
quest’argomento.”
Passandosi
una mano nella corta zazzera biondo platino – totalmente
naturale – Emily disse
più seriamente: “E' ciarliero. Un'autentica
macchinetta. Sembra piuttosto colto,
anche al di fuori del suo settore, e piace a Cleo. Si è
lasciata fare un
grattino tra le
orecchie al primo
incontro, ma questo conta poco, visto che lei ama farsi fare i grattini
da tutti. Però, pare che
adori la sua
risata, perciò qualcosa vorrà dire.”
“Che
cagnolina dolce!” sospirò deliziata la donna.
“Pesa
quaranta chili, mamma... andrei piano a darle della
cagnolina” sottolineò Emy,
pur apprezzando l'affetto dimostrato dalla madre nei confronti del suo
cane.
“Cleopatra
sarà sempre una cagnolina, per me.”
Rise
dolcemente un attimo dopo ma, prima di chiudere la telefonata, si
premurò di
dire: “Manda almeno un'e-mail a tuo padre. Non ha il coraggio
di chiamarti
perché sa che non risponderesti.”
“Mi
conosce, evidentemente” brontolò la giovane,
intrecciando nervosamente le
gambe.
Quando
parlavano di Jordan Francis Poitier, i suoi recettori del dolore e
dell’ira
iniziavano a brillare come lucette di Natale, neanche fossero stati sul
set di Stranger Things.
“Digli
che stai bene” mormorò Margareth, salutandola
l’istante seguente.
La
luna fece capolino tra le nuvole dopo aver danzato dietro esili cirri,
quando
Emily chiuse la comunicazione e, nel sospirare, lei la
osservò sperduta, non
sapendo bene che fare.
Il
muro tra lei e il padre era nato e cresciuto fin da quando, in quella
maledetta
grotta, aveva sentito Cattivo dirle che il padre non avrebbe mai pagato
il
riscatto. Al suo ritorno da quegli orrendi cinquantasei giorni di
prigionia, le
cose erano soltanto peggiorate.
Lo
psicologo aveva fatto parte integrante della sua vita adolescenziale,
fin dal
giorno fortunoso della sua fuga, aiutandola a ritrovare l'equilibrio
perduto e
le certezze svanite.
Jamie
l'aveva aiutata a suo modo, regalandole i suoi giocattoli degli
Avengers, promettendole
solennemente che l'avrebbero
protetta. Si era commossa quando il fratellino era entrato nella sua
stanza,
una sera, portando con sé il suo enorme martello di Thor in
plastica.
Si
era accoccolato accanto a lei nel letto e, con Mijollnir stretto in una
mano,
le aveva sussurrato: “Con questo, i cattivi non si
avvicineranno più.”
Il
piccolo, dolce Jamie.
Era
stato lui la sua roccia, nonostante fosse il più piccolo di
casa.
Con
il padre, invece, era stato un susseguirsi di incrinature, spaccature,
autentiche guerre psicologiche, una più terribile della
precedente. Pur avendo
avuto solo otto anni, all’epoca, le era stato chiaro solo un
concetto; suo
padre non aveva pagato per riaverla.
La
stampa ci era andata a nozze per mesi, sottolineando quanto fosse stato
rischioso
quel tira e molla coi rapitori.
Emily
l'aveva vista diversamente.
Non
era stato un calcolo di rischio, ma semplice disinteresse.
Suo
padre non l'amava come lei lo aveva amato fino al momento del
rapimento. Punto.
Che
si sentisse ancora in colpa, era il minimo.
Non
voleva comunque offendere sua madre che, invece, aveva pianto lacrime
amare fin
dal primo giorno di quel tremendo evento.
Perciò,
mogia, prese l'iPad dalla sua borsa e scrisse una breve e-mail al
padre, giusto
per pulirsi la coscienza.
Qui
è tutto okay. Cleo si è mangiata una lucertola,
ieri.
Ha
vomitato l'anima, e il suo fiato ha puzzato per
ore, in seguito.
Ho
foto nuove per il libro che editerò l’anno
prossimo.
Vi mando
una copia
appena editano quello che sto ultimando adesso.
C’è
un geologo dello zio, qui a Ned. Harry gioca a
fare il curiosone?
Oppure
gli interessano veramente le miniere? Emy
Era
un testo maledettamente scarno, ma non riusciva davvero a fare di
più.
***
Lo
zaino pesava duecento chili, o giù di lì.
Non
osava controllare ma, a giudicare da quello che ci aveva infilato
dentro,
sarebbe sembrato un maledetto marine in missione.
D'accordo
che, per il lavoro che doveva fare, non c'era bisogno di una squadra di
escavatoristi,... ma un aiutino, no?
Maledetti
tagli sul budget e ancor più maledetti appaltatori
– la sua ditta – del cavolo.
Se solo gli fosse riuscito di parlare con la Silver
& Gold Consolidated, che aveva commissionato i
lavori,
forse avrebbe potuto ottenere un aiuto ma, con il suo capo nel mezzo,
era stato
impossibile e, ancor più impensabile, era pensare di
scavalcarlo.
Quello
sì che avrebbe voluto dire cacciarsi nei guai.
Con
il sole alto in cielo e l’aria frizzante a dargli il
buongiorno, a Parker sembrò
quasi una presa in giro pensare alle successive ore di lavoro, ma
tant’era.
Nell’uscire
dalla piccola casetta che la ditta gli aveva trovato, quella mattina,
brontolava già come una pentola di fagioli.
La
casupola assegnatagli si era rivelata, infatti, più carina
di quanto non avesse
pensato vedendola da fuori, disadorna e priva di giardino come gli era
apparsa
al suo arrivo.
Quando
era entrato, aveva sentito il profumo di segatura e di fiori di campo
– forse,
perché l'avevano fatta arieggiare ampiamente prima del suo
arrivo – e, al suo
interno, aveva trovato il minimo indispensabile per sopravvivere.
Divano,
TV satellitare da intenditore, un frigorifero enorme e un microonde.
Il
regno delle favole, per un uomo.
Al
piano superiore, Parker aveva scovato due camere da letto prive di
orpelli, ma
con tutto il necessario per sistemare abiti e oggetti vari. Era chiaro
che la Silver & Gold si era
aspettata
l’arrivo di due operai,
non uno. A
conferma che il suo capo si era comportato come uno stronzo.
Tornando
dabbasso, aveva studiato il soggiorno con cucina a vista, abbastanza
spazioso
per potervi lavorare la sera o per fare quattro chiacchiere con gli
amici che,
ben presto, si sarebbe fatto.
In
fondo al corridoio, infine, aveva trovato il bagno, e una di quelle
vecchie
vasche in metallo con i piedi a forma di leone era il vero pezzo
d’eccezione. Ci
si poteva stendere senza problemi, tanto era ampia e lunga e, per uno
alto
quasi un metro e novanta, era un vantaggio non da poco.
Lì,
si sarebbe rilassato dopo le sue scarpinate faticose, acciambellato
dentro
l'acqua bollente e la schiuma copiosa, come un bambino con la sua
paperella di
gomma.
Ora
che era su un sentiero, però, con la carta topografica in
una mano e il GPS
nell'altra, Parker pensò bene di lasciar perdere quei
pensieri e dedicarsi
finalmente al suo lavoro. Risalendo per quell’erta, avrebbe
trovato la sua
prima miniera abbandonata nel breve arco di una mezz’ora e,
da lì, avrebbe
iniziato la sua ricerca.
Anni
addietro, a causa della scarsa tecnologia e dei costi esorbitanti per
l'estrazione
dei materiali di profondità, quelle miniere erano state
chiuse e abbandonate. Era
però passato più di un secolo da quegli eventi, e
le tecniche di estrazione
avevano subito dei drastici cambiamenti.
Lui
doveva soltanto scoprire se fosse il caso di riaprirle, o meno.
Soltanto. Beh, si faceva per dire.
Tra
i carotaggi, gli esami di laboratorio – in quello, era un
asso – e le analisi
stratimetriche del terreno, avrebbe perso un sacco di tempo.
Lavorare
in loco, però, faceva risparmiare tempo e denaro, e questo
lo sapeva bene.
Se
qualcuno, ogni santo giorno, avesse dovuto portare a Denver
ciò che trovava per
analizzarlo e catalogarlo, ci sarebbe voluto un secolo.
Incamminandosi
a passo tranquillo, le mani impegnate a portare ciò che,
nello zaino, non era
entrato, si inerpicò perciò verso l'alto della
montagna con un unico obiettivo.
La
miniera di Cold Snow.
Prima
tra le sue
innumerevoli tappe, era la
più vicina al paese e, perciò, la sua meta
prefissata, per quel giorno.
Avrebbe
iniziato a spostarsi con il pick-up solo quando necessario.
Risalendo
con passo lento, Parker lanciò soltanto distratte occhiate
alla flora locale,
composta principalmente da abeti rossi, pini ad alto fusto e larici.
Qua
e là, speronella e aquilegia tingevano timide il sotto
bosco, e rovi di more
selvatiche – solo spine, niente more, vista la stagione
– si intervallavano a
rocce affioranti e piccoli cespugli pronti a fiorire.
Il
canto di una ghiandaia azzurra attirò la sua attenzione,
portandolo a fermarsi
un attimo per cercarla con lo sguardo.
Con
un sorso d'acqua strappato dalla borraccia, riprese il cammino dopo
aver
cercato invano la sua ghiandaia, accompagnato però dal canto
del volatile
introvabile.
Un
picchio delle ghiande tamburellava con frequenza impressionante contro
il
tronco di un albero, mentre il ciangottare di alcuni scriccioli
sembrava
disturbare una coppia di scoiattoli.
Troppa
confusione, su quell'albero.
Parker
ridacchiò nel vederli correre come razzi su e giù
per i rugosi tronchi dalle
tinte calde, ma fu l'abbaiare di un cane a bloccarlo, sorprendendolo e
preoccupandolo un poco.
Quando,
però, vide giungere dalla sterrata la figura tricolore di un
cane a lui noto,
si chetò immediatamente e si aprì in un sorriso
di benvenuto.
Le
zampe forti di Cleo macinarono il terreno dinanzi a lei e, quando
finalmente
raggiunsero Parker, frenarono sul terriccio sollevando una nuvoletta di
polvere.
Scodinzolando
a tutta velocità, la lingua di fuori e il fiato corto,
Cleopatra abbaiò quindi nella
sua direzione una sola volta, come a volerlo salutare.
Parker
allora allungò una mano per carezzarla sul capo mentre, in
lontananza, la voce
della sua padrona chiamava preoccupata la sua compagna a quattro zampe.
“Sei
scappata perché hai sentito il mio odore, eh?”
sorrise l'uomo.
La
cagnolona strusciò il muso contro le sue ginocchia, come a
dargli ragione.
“Emily!
E' qui con me! Sono Parker!” esclamò poi,
rendendosi subito riconoscibile.
“Parker?
Già al lavoro!?” rispose a gran voce la donna,
spuntando finalmente dall'erta e
rendendosi così visibile.
Indossava
una divisa da trekking alla moda, comoda e poco appariscente e, come
aveva
notato il giorno prima, scarponcini usurati ma di buona fattura.
Era
sicuramente una donna abituata a girar per boschi, ma che non avrebbe
sfigurato
anche in un atelier.
“Buongiorno”
la salutò, continuando ad accarezzare la sua cagnolona.
Non
sapeva bene perché, ma gli dava l'idea di una donna che
usasse spesso, come
filtro, il suo cane da compagnia. L'aveva notato il giorno prima, alla
tavola
calda, e ancora ebbe quella sensazione quando gli occhi di Emily
studiarono il
comportamento di Cleopatra.
Lo
sguardo che aveva lanciato a Cleo, quando si era fatta accarezzare, era
stato
eloquente. Quasi le avesse chiesto se, di lui, ci si potesse fidare.
Emily
li raggiunse agevolmente, sulle spalle uno zaino da fotografo corredato
da
cavalletti a uno e tre piedi, borraccia legata in vita e GPS infilato
nella
fibbia dei pantaloni.
Probabilmente,
aveva anche un telefono satellitare, con lei, o un battaglione di marines chiuso nello zaino. Gli sembrava
una donna pronta a qualsiasi evenienza.
“Buongiorno
a te, Parker. Stai andando alla Cold Snow?”
gli domandò lei, richiamando
a sé Cleo con una pacca sulla gamba.
Subito,
il bovaro tornò obbediente da lei.
“Esatto.
E tu?”
“Fotografie
della zona, un servizio sulle miniere e poi a casa, a preparare un
altro
capitolo del libro che sto elaborando per la prossima guida del
Colorado” gli
spiegò lei, lanciando un'occhiata incuriosita ai suoi
macchinari.
Lui
ne seguì lo sguardo e, ridacchiando, ammise: “Lo
so, sembrano dei transformers.”
“Se
lo fossero, sarebbe fico” ironizzò lei.
“Ti do una mano? Tanto, devo andare
nella tua stessa direzione.”
“Ma
no! Sono abituato, figurati.” Scosse il capo, ma la
ringraziò con un sorriso.
“Pensi
non possa farcela?” gli ritorse contro lei, inclinando il
capo di corti capelli
biondi.
Erano
tagliati scalati, come se volesse dare di sé un'immagine
trasandata, pur non
essendola affatto. Quelle ciocche erano state sistemate ad arte da un
coiffeur
dalla mano sopraffina, poco ma sicuro.
Parker
continuava a trovare Emily uno strano miscuglio di eleganza e
nonchalance.
Era
tutto e il contrario di tutto, e questo lo incuriosiva da matti.
Da
bravo scienziato, se c'era una cosa che lo interessava, erano i
misteri. Anche
se, nel caso specifico, non erano fatti di terreno e roccia, ma di
carne e
sangue.
Allungando
perciò una delle sue valige a Emily, tornò a
incamminarsi, dicendo per contro:
“Non sia mai che io venga accusato di maschilismo. Vuoi
sgobbare? Fallo.”
Emy
rise in risposta al suo commento ma, quando si ritrovò a
scarpinare con non
meno di dieci chili di macchinario alla mano, si divertì un
po' meno.
Consolatoria,
Cleo le camminò al fianco per tutto il tempo mentre Parker,
come se niente
fosse, le indicava zone favolose per alcune foto, o uccellini canterini
dall'animo fashion.
Quando
finalmente raggiunsero la bocca della miniera, chiusa da un lucchetto
ormai
vetusto e da barre trasversali di legno marcio, Emily poggiò
a terra la valigia
e ci si sedette sopra, esausta.
Piegandosi
in avanti con il fiato corto e le braccia che chiedevano
pietà, si lasciò
andare a un lungo sospiro liberatorio, corredato da leccata sulla
guancia da
parte di Cleo.
Con
aria vagamente accigliata – Parker pareva fresco come una
rosa – Emy fissò
l'uomo e mugugnò: “Fai il maschilista, la prossima
volta. Assolutamente. Potrai anche
usare epiteti come femminuccia o
altro, ma dimmi di no! Cosa ci hai messo dentro?
Piombo fuso?!”
Il
geologo scoppiò a ridere di fronte al suo sarcasmo e,
nell'aprire la sua
valigetta, le mostrò la trivella con cui avrebbe fatto i
carotaggi.
“Come
puoi ben immaginare, è abbastanza pesante.”
“E
qui dentro, cosa c'è?” si informò a
quel punto lei, rialzandosi per stirare la
schiena.
Quest'ultima
emise un crac molto forte, tanto che sia Emily che
Parker scoppiarono a
ridere di gusto.
“E
con questo ho chiuso la mia carriera di mulo da soma”
chiosò la donna,
carezzando la testa di Cleo, che le ciondolava al fianco, fidata e
fedele. “E
dire che pensavo di essere più robusta di
così!”
“Io
ti avevo avvertita” si premurò di dire Parker,
scrollando le spalle. “Vuoi
venire a dare un'occhiata? Così ti mostro a cosa servono
questi aggeggi.”
“Ah...
no, grazie. Passo. Io e le grotte non andiamo d'accordo”
declinò lei, scuotendo
una mano con fare divertito.
In
realtà, dentro di sé stava tremando. Non avrebbe
messo piede in un luogo chiuso
e angusto come una grotta
neppure sotto tortura.
I
ricordi che le riportava alla memoria erano davvero troppo atroci,
perché li
affrontasse per mera curiosità.
Con
la scusa di dover cercare nuovi scenari da inserire nella sua guida
turistica, Emily
si allontanò dalla bocca scura e inquietante della miniera.
Lui la lasciò andare e, nell’osservarla allontanarsi a passo spedito lungo il sentiero, si chiese cosa avesse provocato in lei quel lampo di puro terrore, che aveva adombrato per un istante i suoi occhi di colomba.
N.d.A: innanzitutto, scusate per il tremendo ritardo nel postare il secondo capitolo, ma ci sono volte in cui bisogna dare la precedenza ad altro, e io ero in uno di quei momenti.
Premesso,
ciò, scopriamo un po' di più come se la cava il
nostro geologo, e come sta trovando il suo nuovo lavoro presso
Nederland, oltre a capire meglio come vanno i rapporti tra Emily e i
suoi familiari. Ci sarà tempo per tornare su entrambe le
cose, non temete.