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Autore: Nana_13    14/07/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8

 

Il potere delle collane


Un raggio di sole filtrò dalle tende che ornavano lo studio posandosi delicatamente su una grande rosa rossa. Nickolaij rimase affascinato da come la luce si rifletteva sulle goccioline d’acqua rimaste nei petali, facendo brillare il fiore ed esaltando il suo colore. Seduto alla sua nuova scrivania, era intento a prendersi cura amorevolmente di un mazzo di rose che aveva colto personalmente. E pensare che si era deciso a dare fuoco a tutto, così da cancellare qualsiasi traccia di lei per sempre, ma poi, non sapeva spiegarsi bene il perché, aveva cambiato idea. Sentiva aria di novità, a partire dallo studio che era stato completamente rinnovato dopo il suo sfogo. La scrivania era stata sostituita, così come il resto del mobilio distrutto, ma mancava ancora qualcosa. La libreria, che una volta occupava una delle pareti laterali, non era ancora stata installata e infatti il pavimento era ricoperto di libri, impilati gli uni sugli altri in maniera ordinata, in attesa di una collocazione.

Si prese un momento per osservare i fiori e decidere quali steli era meglio recidere e quali lasciar crescere, in modo da aiutarne al massimo la fioritura. L’ambiente era immerso nel silenzio e lui si sentiva a proprio agio, rilassato, come non gli capitava da un po’. Gli ultimi giorni li aveva trascorsi nell’incertezza totale, aspettando che Tareq tornasse dal deserto con la notizia di aver conquistato il villaggio, e quando alla fine lo aveva informato di averlo trovato completamente abbandonato, aveva dovuto lottare per impedire allo sconforto di impadronirsi di lui. La sensazione di impotenza era insopportabile e si affievoliva soltanto in compagnia di Claire. Da quando avevano iniziato a frequentarsi il suo umore era migliorato di molto e, per quanto lei somigliasse a Elizabeth solo nell’aspetto, la sua vicinanza lo rendeva comunque felice. Forse anche per questo aveva deciso di risparmiarle la vita. 

“Ai miei tempi non c’erano rose nel giardino. Lo utilizzavamo come campo di addestramento. Quei rammolliti di Danesti hanno rovinato anche questo.”

Suo nonno, Vlad III Draculesti, noto anche come Vlad l’Impalatore o conte Dracula nell’immaginario collettivo, stava alla finestra e fissava il giardino intensamente. D’un tratto si girò verso il nipote con sguardo cupo. “Non credi sia arrivato il momento di agire? Smetti di occuparti di cose futili e affronta il tuo destino, nipote.” lo rimproverò.

Nickolaij, però, non rispose alla provocazione, continuando a occuparsi delle rose. “Sai, il tuo peggior difetto è sempre stata la fretta. Ecco perché fallisti nel tuo intento e i Danesti regnarono per anni.” ribatté in tono pacato.

“Per cose futili intendo la ragazza.” Precisò il nonno, senza curarsi della sua impertinenza. “Che cosa te ne fai ora che non serve nemmeno a risolvere il tuo problema? Non verrai a raccontarmi che l’hai lasciata vivere solo per rivangare il passato. Allora fu già abbastanza pietoso da parte tua perdere la testa per quella…”

“Dovresti sapere che non faccio mai nulla senza uno scopo preciso.” obiettò risoluto, interrompendolo giusto in tempo per evitare di sentirlo insultare la memoria di Elizabeth. In fondo, però, sapeva benissimo che quello era solo un modo per giustificare la sua intenzione di non uccidere Claire. “Tenerla in vita per il momento è la scelta migliore.” tagliò corto.

“Non ne hai il coraggio, dico bene?” lo accusò suo nonno, sfoderando un ghigno. “Hai paura che quanto accaduto torni a tormentarti se la uccidi.”

“Tu piuttosto non hai ancora risposto alla mia domanda.” glissò Nickolaij, reprimendo l’impulso di tirargli il vaso contro. “Che cosa ci fai qui? Sbaglio o dovresti essere morto da circa seicento anni?” gli chiese visibilmente teso, poggiando in malo modo le forbici sulla scrivania e alzando il tono di voce.

Per tutta risposta Vlad ghignò di nuovo, innervosendolo ancora di più. Da quando era apparso la prima volta quella notte non aveva smesso di tormentarlo...

 

Con il fiato corto e lo sguardo stralunato, circondato dai detriti di quello che una volta era il suo studio, Nickolaij fissò un punto imprecisato della stanza, da dove aveva creduto di udire una voce familiare. Una voce che non sentiva da tanto, troppo tempo. “Nonno… non può essere…” balbettò incredulo. La furia cieca doveva avergli annebbiato la mente e giocato qualche brutto scherzo. “Tu dovresti essere morto!”

A quel punto Vlad fece un passo avanti, uscendo dall’ombra. “Naturale che io sia morto. Ti ricordavo più sveglio di così, nipote.”

Nickolaij indietreggiò incapace di credere ai suoi occhi. Prima il fantasma di Elizabeth e ora questo... “Non sei reale… Non puoi essere qui, sei nella mia testa…” mormorò ansante. Che alla fine fosse impazzito del tutto?

“Che importa?” ribatté suo nonno con sprezzo. “Credevo di aver lasciato la mia eredità in buone mani, ma a quanto vedo ho dato troppe cose per scontate. Per questo sono qui ora.”

Lui lo ascoltava in silenzio, ancora troppo sconvolto per smentire le sue accuse.

“Mi hai molto deluso, Nickolaij. Ti ho sempre insegnato a non dar peso ai sentimenti e invece guardati ora. Hai lasciato che una donna, una Danesti, ti facesse perdere di vista l’obiettivo finale. Il più importante per la nostra nobile casata.”

“Non è vero! Non lo farei mai!” obiettò allora, stanco di sentire i suoi rimproveri. “Abbiamo fatto grandi passi avanti e…”

Vlad però non lo lasciò proseguire. “Avresti potuto fare molto di più se non avessi perso tempo dietro a stupidaggini come l’amore o dare la caccia a quegli inutili umani…”

“Sono maledetto!” urlò Nickolaij, arrivato al culmine della pazienza, cadendo poi in ginocchio ai piedi del nonno con aria mesta. “Come posso fare di più se non sono me stesso?”

L’Impalatore ghignò, guardandolo dall’alto in basso senza un briciolo di comprensione negli occhi. “Patetico…”

 

Il bussare alla porta distolse Nickolaij dal ricordo di quella notte e dal pensiero costante del disprezzo che aveva letto nello sguardo del suo avo. “Avanti.”

La figura di Byron entrò nello studio, chiudendosi poi la porta alle spalle. “Mi avete fatto chiamare, mio Signore?”

Nickolaij annuì appena. Poggiò il vaso sul davanzale della finestra, in modo che beneficiasse della luce del sole e poi tornò alla scrivania, sedendosi sulla sua nuova poltrona per apparire più rilassato. “Allora? Hai scoperto qualcosa?” chiese, arrivando subito al sodo. Dopo aver ritrovato la ragione, aveva chiesto a Byron di indagare sullo strano fenomeno a cui avevano assistito quella notte e su come fosse possibile che il fantasma di Elizabeth si trovasse nel corpo di Claire.

Il druido sosteneva il suo sguardo, anche se c’era sempre una traccia di umiltà nei suoi modi. In tutti quegli anni che lo conosceva, mai una volta aveva osato mettersi al suo stesso livello, era sempre stato un servo leale e un buon consigliere. 

“Purtroppo non posso dirvi molto di più di quanto non sappiamo già.” Si era preso un momento prima di rispondere, forse, pensò Nickolaij, per scegliere bene le sue parole.

Dall’angolo in fondo alla stanza, Vlad alzò un sopracciglio in un’espressione eloquente. “Non avevo molti dubbi al riguardo. C’era da aspettarselo da un Danesti.” sputò velenoso.

Nickolaij lo guardò solo un istante. Serrò la mascella per trattenere la collera e tornò a rivolgersi a Byron, facendogli segno di continuare.

“Stando alle mie conoscenze, è impossibile che due anime possano convivere nello stesso corpo, perché esso morirebbe. Dunque dobbiamo supporre che quanto affermato dal fantasma di Elizabeth sia la verità. Una parte del suo spirito viveva nella ragazza, solo una parte…”

“Questo è assodato.” lo interruppe, reprimendo il fastidio nel sentirsi ricordare il momento in cui Liz si era presa gioco di lui. “Il punto è come? Come ci è finito un pezzo della sua anima nel corpo di qualcuno nato secoli dopo?”

“Stabilirlo è molto difficile. L’unica certezza è che un fenomeno del genere può essere attribuito soltanto a una magia molto potente, qualcosa che ritengo superiore perfino alle capacità di una strega del calibro di mia cugina Margaret.” Nickolaij notò come il solo nominarla provocasse in lui un disagio piuttosto visibile. Sapeva perfettamente quanto i due si odiassero ed era stato proprio grazie a quel rancore che Byron aveva deciso di tradire i Danesti e unirsi alla sua causa, aiutandolo a conquistare il castello. “Una magia, hai detto…” rifletté, tornando al discorso.

“È la sola spiegazione plausibile.”

“E chi mai l’avrebbe compiuta? A quanto ne sappiamo, con la morte di Margaret le streghe si sono estinte. Lei era l’ultima.” Era abbastanza certo di quell’affermazione. La maggiore delle sorelle Danesti si era tolta la vita per non essere catturata dai suoi uomini e da quanto ne sapeva non aveva eredi. Da allora non avevano più avuto notizie di altre streghe o di fenomeni riconducibili alla loro opera. Certo, era a conoscenza delle capacità degli sciamani al servizio dei suoi nemici, ma il loro potere poteva essere paragonato a quello di Byron e non si poteva certo definire vera stregoneria.

Byron annuì, dimostrandosi d’accordo con il suo signore. “Infatti è così, inoltre sono trascorsi troppi anni dalla caduta dei Danesti e la dipartita delle mie care cugine. Non possono esserci collegamenti con la questione della ragazza.” 

Nickolaij però cominciava a spazientirsi di tutte quelle risposte che portavano solo ad altre domande. “E come spieghi il fatto che Liz le sia comparsa in sogno?” insistette. Quando Claire gliel’aveva rivelato per lui era stato un duro colpo. Ne era rimasto turbato molto più di quanto avesse dato a vedere. “È un dettaglio trascurabile per te?” 

Byron fece per rispondere, ma vennero interrotti dall’ennesimo bussare alla porta e bastò un’occhiata del suo signore per fargli capire che ne avrebbero riparlato più tardi.

Quando diede il permesso, Dustin fece capolino dal corridoio. “Lady Rosemary, vostra Signoria.” annunciò.

Avrebbe di gran lunga preferito continuare la conversazione con Byron, per cercare di venire a capo di quella storia. Ad ogni modo, era stato lui a farla chiamare, perciò non poteva prendersela con nessuno se con il suo arrivo li aveva interrotti. “Falla entrare.” 

Il suo sguardo incrociò giusto un istante quello della sua protetta, prima che lei chinasse il capo in segno di rispetto e sottomissione, come faceva sempre. Anzi, a dirla tutta ultimamente le sembrava più contrita del solito e la sua spavalderia era molto diminuita, probabilmente a causa della vergogna per i suoi recenti fallimenti. 

“Ora che sei qui anche tu, vi svelerò il motivo per cui vi ho convocato.” esordì schietto, puntando i suoi occhi penetranti su di loro. “Ho un incarico da affidarvi che mi sta molto a cuore. Vorrei che andaste a caccia di umani e naturalmente sapete bene a chi mi riferisco.” Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, dando loro le spalle. 

La figura del nonno non si era spostata dal suo angolo buio e osservava ogni sua mossa. “Stai commettendo l’ennesimo errore, nipote.” disse, ma lui non vi badò. Il suo sguardo era stato catturato dai riflessi dorati che il tramonto donava al roseto e la sua mano salì istintivamente al collo. “Hanno preso qualcosa che mi appartiene…” mormorò. Dopo essersi accorto di aver perso la collana, aveva mandato Dustin a cercarla sul ponte dello scambio, ma era tornato a mani vuote. A quel punto aveva realizzato che qualcuno doveva averla presa, e chi altri se non Dean? Solo lui era così vicino da poterlo fare. “E la rivoglio.” puntualizzò poi, tornando a rivolgersi ai suoi sottoposti. Mary e Byron chinarono entrambi il capo e annuirono non appena li guardò. 

“Tra l’altro, sono diversi giorni che non ricevo notizie su di loro. Da quando sono stati visti a Roma, in realtà. Hai idea di dove siano al momento?” chiese al druido. Nessuno degli uomini mandati a catturarli era ancora tornato e aveva il presentimento che le cose non sarebbero cambiate nell’immediato futuro. Dean era troppo scaltro per farsi mettere nel sacco così facilmente e per di più ora sapeva di essere seguito. Doveva giocare carte migliori contro di lui.

“Mi risulta che siano in Austria, nei dintorni di Klagenfurt.” spiegò Byron servizievole, interrompendo i suoi rimuginamenti.

“Klagenfurt…” ripeté riflessivo. “Come mai questo nome non mi suona nuovo?”

Lui non si fece cogliere impreparato e rispose subito alla domanda, assumendo un’aria da maestrino. “Era il dominio degli Eggenberg. Il visconte Ludwig era il promesso sposo di mia cugina Cordelia.” gli ricordò. “Infatti, una volta realizzato il collegamento con la mia famiglia mi sono subito chiesto il motivo per cui fossero diretti lì. Dubito si tratti di una mera coincidenza.”

Nickolaij annuì, continuando a riflettere sulle sue parole. C’erano troppi indizi riconducibili alle sorelle Danesti in quella storia, peccato mancassero i collegamenti per dar loro un senso. “Hanno in mente qualcosa. Trovateli e fate in modo che non riescano nei loro intenti. Degli umani non mi importa, fate di loro ciò che volete, ma Dean lo voglio vivo. Mi occuperò di lui personalmente.” Non avrebbe consentito a nessuno di farlo fuori al posto suo. Doveva soffrire le pene dell’inferno per quello che gli aveva tolto. Se non poteva più essere libero, almeno avrebbe avuto soddisfazione nel prendersi la sua vendetta.

Il suo tono non ammetteva repliche, perciò sia Byron che Mary annuirono all’istante. 

“Siamo ai vostri ordini, mio Signore.” assicurò Rosemary in tono fermo, prima di congedarsi insieme a Byron, con l’ordine di partire quella sera stessa.

“E pensare che avevi quel traditore tra le mani fino a poco tempo fa.” 

Il tono di scherno di suo nonno era tornato puntuale una volta rimasto solo, ricordandogli che, da qualche tempo a quella parte, non riusciva a esserlo più.

“Avresti potuto ucciderlo allora e invece hai voluto orchestrare la sua fuga sulla base di un piano che poi è miseramente fallito, ironia della sorte, proprio a causa sua.” continuò Vlad, senza nascondere il suo disappunto.

Nickolaij sospirò, incanalando la rabbia. “Ottimo riassunto, ma sono perfettamente al corrente dei fatti ed è proprio per questo che voglio essere io a toglierlo di mezzo. Mi ha messo i bastoni tra le ruote una volta di troppo.”

 

-o-

 

“Bingo.” esordì Mark tra lo stupore generale. Erano ancora tutti ipnotizzati dalla pietra verde che Dean teneva sul palmo della mano.

In un impeto di gioia, Rachel abbracciò Juliet. “Non riesco a crederci, l’abbiamo trovata!”

A quel punto Dean tirò fuori anche l’altro gioiello, quello appartenuto a Elizabeth, e se li portò entrambi davanti agli occhi per confrontarli. A parte il colore e la forma delle pietre grezze, le due collane erano identiche: lo stile dell’incastonatura, l’oro utilizzato… poi all’improvviso si accesero di un lieve bagliore, come se la vicinanza reciproca le avesse fatte risvegliare, e vennero attratte l’una all’altra, andando a incastrarsi perfettamente.

“Okay…” mormorò sorpreso. Alzando gli occhi vide che tutti avevano avuto la sua stessa reazione. Del resto, non era certo una cosa comune vedere due pietre così antiche unirsi tra loro come se all’interno avessero una calamita. Rigirandosele tra le dita, notò che nell’incastro c’era lo spazio anche per una terza. “Manca solo la tua.” dedusse, rivolgendosi a Rachel. 

“Aspettate un secondo.” si intromise Cedric. “Fatemi capire, ora che abbiamo tutte le collane che si fa?” domandò, guardando i gioielli con aria perplessa.

“Elizabeth aveva detto a Claire…” Il solo pronunciare il suo nome fece stringere lo stomaco a Rachel, ma prese fiato e continuò. “Una volta riunite, le collane ci avrebbero aiutato a trovare Margaret. Cordelia lo ha anche confermato.” spiegò sbrigativa.

“La domanda è come.” osservò lui di rimando.

Solo in quel momento Rachel si rese conto di non avere la risposta. Si erano talmente concentrati sulla ricerca della collana di Cordelia che non le era mai passato per la mente di chiedersi, una volta riunita alle altre, come avrebbe potuto aiutarli a rintracciare una persona vissuta diversi secoli prima.

“Beh, Margaret era una strega e Cordelia ci disse che aveva incantato le collane…” abbozzò Mark, tentando di dare un senso al tutto. Per quanto parole come strega e incantare potessero avere senso in un ragionamento logico.

“Io credo che dovremmo incastrarle tutte e tre e vedere che succede.” propose Dean, come sempre più pratico. 

Non avendo nulla da obiettare, Rachel si sfilò dal collo la collana di sua nonna e gliela porse, in modo che potesse avvicinarla alle altre. In un attimo la pietra andò a riempire lo spazio tra le altre due, come se fossero state parte di un unico gioiello spezzato in tre parti, e a quel punto Dean chiuse gli occhi e le tenne ben strette, aspettandosi che accadesse qualcosa.

Tutti lo fissavano in trepidante attesa, trattenendo il respiro per paura che anche il minimo rumore potesse distrarlo e mandare tutto a monte.

Dean rimase in quella posizione il tempo sufficiente a non sentirsi uno stupido, poi si rese conto che non sarebbe successo niente e riaprì gli occhi.  

“Allora? Senti niente?” gli chiese Cedric speranzoso. “Un brivido, un flash, un magico qualcosa che ti dica dove si trovi questa Margaret?” 

Dean sospirò. “Nulla.”

“Fantastico. Tutta questa fatica per niente.” ringhiò lui, dando un calcio al baule. “Abbiamo girato mezzo mondo per andare dietro a stupide fantasie sulle streghe ed è stato tutto inutile!”

“Ced calmati…” Mark provò a farlo ragionare, ma Cedric era su tutte le furie. 

Questa volta Dean era della sua stessa opinione. “Non dovevamo starla a sentire.” sbuffò, riferendosi a Cordelia. “È stata solo una perdita di tempo.”

Rachel non poteva credere che fosse finita così, non dopo tutto quello che avevano passato per trovare la collana. “Perché Cordelia avrebbe dovuto mentire?”

“Ammetterai che non sembrava molto affidabile.” disse Mark, ma non aggiunse altro dopo lo sguardo raggelante che lei gli rifilò.

“Sentite, io sono l’ultima persona che crederebbe a magie e incantesimi, ma dopo tutto quello che ho visto non posso pensare che sia finita qui. E poi a che scopo inventarsi tutto? Deve esserci qualcosa di vero…”

Dean allora fece un passo verso di lei, porgendole il ciondolo. “Allora vedi se riesci a capirci qualcosa tu, perché io ho finito le idee.”

Nell’istante esatto in cui la mano di Rachel entrò a contatto con le pietre, quelle emisero un forte bagliore e una scarica elettrica cominciò a pervadere il suo corpo. D’istinto chiuse gli occhi e subito tutta una serie di flash velocissimi le turbinarono nella mente. C’erano paesaggi che non aveva mai visto, delle colline di un verde magnifico che terminavano in una scogliera a strapiombo sul mare. Poteva quasi sentire l’odore salmastro e le onde infrangersi sugli scogli; in seguito la visione cambiò, mostrando l’entrata di una grotta, una casa molto vecchia e subito dopo un cartello con su scritto Durness. Il tutto durò una manciata di secondi, poi, così com’era iniziato, di colpo sparì, lasciandola a dir poco disorientata.

“Rachel?”

La voce di Dean la riportò nella villa, ma dovette sbattere più volte le palpebre per riprendersi da quello che era appena successo. “Tutto bene?” 

“So dove dobbiamo andare.” mormorò senza fiato. Le tre pietre brillavano ancora sul palmo della sua mano quando il suo sguardo tornò a posarsi sugli altri, che la ricambiarono a dir poco confusi. Le parole le erano uscite di bocca quasi in automatico, senza realmente pensare a quanto ciò che aveva detto suonasse strano per chi era con lei. Quella visione… Era stata talmente fulminea, ma abbastanza intensa da indicarle la strada, oltre a lasciarle una strana sensazione addosso. Come se il suo corpo avesse subito dall’interno una sorta di cambiamento che non sapeva spiegare.

“Che significa che sai dove dobbiamo andare?” le chiese Dean, la fronte leggermente aggrottata. Dalla sua espressione Rachel intuì che lo strano effetto provocato dal contatto con le pietre doveva aver coinvolto solo lei. “Io… non lo so.” rispose in un fil di voce, ancora frastornata. “Non so come sia possibile, ma appena ho toccato le collane ho avuto delle visioni.”

Mark le rivolse un’occhiata indecifrabile, quasi faticasse a crederle. “Visioni?”

“È assurdo, lo so…”

L’attenzione di Dean si concentrò sui ciondoli appartenuti alle sorelle Danesti, ancora luminescenti, lasciando le loro chiacchiere in secondo piano. Incuriosito le raccolse dalla mano di Rachel e, nell’istante in cui le allontanò, smisero di brillare. Non appena, però, le rimise sul suo palmo, la luce tornò di nuovo a farsi vivida, come se scaturisse dall’interno delle pietre stesse. Ripeté la stessa azione un paio di volte, sotto lo sguardo attonito degli altri.

“Ci hai preso gusto, Houdini?” fece Cedric, sempre il primo a spezzare la tensione. In realtà, gli si leggeva in faccia quanto quel fenomeno lo avesse spiazzato.

Dal canto suo, Rachel stava ancora cercando di spiegarsi come mai le collane si illuminassero solo con lei, ma per quanto si sforzasse non riusciva a trovare una risposta sensata. Che fosse colpa del calore del suo corpo? Magari si trattava di una reazione fisica di qualche tipo. Eppure quando la collana di sua nonna si era illuminata, quella notte a casa di Laurenne, la spiegazione secondo Cordelia era stata che sua sorella potesse essere ancora viva e questo l’aveva sconvolta. Come se, invece, il semplice fatto di vedere della luce sprigionarsi da un oggetto inanimato fosse una cosa di tutti i giorni. All’epoca aveva dato per scontato che dipendesse da Cordelia stessa, visto che era stato il suo tocco a farla brillare, ma ora non ne era più tanto convinta. 

“Come ci riesci?” le domandò Juliet, dopo aver visto Dean riconsegnarle le pietre un’ultima volta. 

Tutti gli sguardi si posarono su Rachel, che in quel momento si sentì alla stregua di un fenomeno da baraccone. “Lo dici come se lo facessi apposta.” ribatté piccata. 

“D’accordo, lasciamo perdere per adesso.” intervenne Dean; poi la guardò. “Cosa c’era nella tua visione?”

Lei chiuse gli occhi e provò a ragionare, ripercorrendo con la mente le immagini di poco prima. Il fragore delle onde che s'infrangevano poderose su quella scogliera, la sensazione del vento sulla pelle... Tutto era ancora così vivido nella sua memoria, nonostante la breve durata. “Ho visto delle colline verdissime e una grotta vicino al mare.” ricostruì con aria concentrata.

Mark allora arricciò le labbra pensieroso. “Un po’ vago. Non ricordi altro?”

Rachel si sforzò ancora, spremendo al massimo il cervello. Quel nome. Continuava ad averlo davanti agli occhi, non poteva dimenticarlo. “Durness.” mormorò infine.

“Scusa?” fece Cedric smarrito.

Lei sospirò, per poi spiegarsi. “C’era un cartello con scritto Durness. Immagino si tratti di una città, da qualche parte.” 

Per alcuni istanti il silenzio scese sui presenti, ognuno impegnato a ripetersi quel nome nella testa nel tentativo di capire se suonasse familiare.

Dean, però, fu il primo ad ammettere la verità. “Mai sentita. Suppongo che questo comporti altre ricerche.”

“Sì, ma basta librerie ammuffite. Torniamo in città e cerchiamo subito un Internet point.” stabilì Cedric pratico. Tuttavia, quando Mark gli fece notare che non avevano più soldi né per il pullman del ritorno né per l’Internet point, il suo entusiasmo si spense. 

“Quindi che facciamo?” chiese Juliet, piuttosto impensierita. Avrebbero potuto tornare a Klagenfurt a piedi, ma era troppo lontano e iniziava a farsi buio. Dunque l’alternativa era restare bloccati in quel tugurio? L’idea non era affatto allettante.

Fu allora che Dean riesumò la mappa dei portali, rammentandole della sua esistenza, e prese a studiarla. Dopo una breve occhiata, li informò che il portale più vicino era a pochi chilometri a est del terreno in cui sorgeva la villa, ma il nome della destinazione era cancellato dall’usura del tempo. 

“Perfetto, perciò non si sa neanche dove sbucheremo stavolta.” Rachel non trattenne la frustrazione nella voce. “Potremmo finire ovunque.”

Cedric la fissò, alzando un sopracciglio. “Non mi pare un grosso problema, visto che l’ultima volta qualcuno aveva detto che saremmo sbucati in Germania e invece ci siamo ritrovati a Roma.”

Mark guardò Dean. “In effetti è un po’ azzardato.” 

“Ma inevitabile se vogliamo andarcene da qui.” replicò lui, incurante di essere ancora una volta oggetto del sarcasmo di Cedric. “Intanto arriviamo al portale e, una volta tornati alla civiltà, vedremo di capire dove si trova questa Durness.” concluse.

Alla fine, convennero con lui che quella fosse la soluzione più rapida e soprattutto economica, così raccolsero le loro cose e si diressero alle scale. Prima di seguirli, Dean richiuse il coperchio del baule e lo spinse in un angolo al buio, assicurandosi che fosse ben nascosto. Non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma l’idea che gli oggetti più cari di una persona vissuta secoli prima restassero esposti a possibili saccheggi lo infastidiva. 

Raggiunti gli altri a metà dello scalone che conduceva al pian terreno, fu contento di rivedere la flebile luce del primo pomeriggio che filtrava dal portone principale rimasto socchiuso, quando un rumore improvviso risuonò nell’aria, costringendoli a fermarsi. 

Mark e Rachel, in testa al gruppo, si impietrirono di colpo, trattenendo il fiato di fronte al ringhiare minaccioso di un grosso lupo dalla folta pelliccia scura. A Juliet sfuggì uno strillo nell’istante in cui si accorse dell’animale, che ora avanzava lentamente verso di loro con la bava alla bocca, mostrando i denti. 

Per qualche istante rimasero a fronteggiarsi con la belva, che li fissava con i suoi inquietanti occhi gialli, profondi come pozzi di oro liquido. 

“Non fate movimenti bruschi.” sussurrò Mark, mentre lentamente intrecciava le dita con quelle di Rachel per calmarne il tremore. 

Il consiglio, però, risultò inutile, perché nessuno avrebbe osato muovere un muscolo, per paura di dare alla bestia un pretesto per attaccare. 

“Come ne usciamo adesso?” chiese Cedric in tono altrettanto basso, senza smettere di fissare il lupo. 

Mark si concesse due secondi di riflessione. “Al mio tre torniamo di sopra. C’è una camera da letto sulla sinistra, dobbiamo solo sperare di arrivarci.” dispose, dimostrando un notevole sangue freddo. “Uno…”

“Okay, ma…”

A quel punto la belva iniziò ad abbaiare furiosamente, facendo un altro passo avanti con la chiara intenzione di saltare loro addosso.

“Via, via, via!” li incitò Mark, schizzando di nuovo su per le scale, la mano di Rachel stretta nella sua. 

Per chissà quale miracolo riuscirono a infilarsi nella camera e a chiudere la porta un secondo prima che il lupo piantasse gli unghioni nel legno, putrescente ma per fortuna ancora in grado di sostenere il suo peso. 

“Ci vuole qualcosa per bloccarla!” gridò Cedric, mentre con Dean spingeva per impedire all’animale di entrare. 

Mark e le ragazze trovarono una grossa panca di legno, di quelle che in altre epoche si usavano per conservare la biancheria, e la piazzarono contro la porta. Sembrava abbastanza pesante da contrastare la forza dell’animale, ma Dean non si fidava e per sicurezza ci mise sopra anche una cassettiera. 

Approfittando di quell’attimo di respiro, Rachel si accasciò sul grande letto a baldacchino, tenendosi una mano sulla fronte. “Mon Dieu…” mormorò stremata. Erano intrappolati in una stanza con un lupo di duecento chili che minacciava di sfondare la porta da un momento all’altro. Stavolta non aveva la più pallida idea di come avrebbero fatto a uscirne incolumi.

“Non reggerà a lungo.” osservò Dean nel tono più preoccupato che lo avesse mai sentito usare. Qualcosa di incredibilmente raro per i suoi standard. 

“Grazie tante per l’informazione.” ribatté Cedric tra il sarcastico e il seccato. 

Lui però scosse la testa, al momento molto poco propenso a tollerare la sua ironia pungente. “No, no. Non hai capito. Senza l’antidoto, se quell’animale dovesse anche solo graffiarmi, me ne andrei all’altro mondo nel giro di poche ore.”

Per la prima volta sembrava non avere il minimo controllo della situazione e Juliet ne rimase stupita. Il suo nervosismo si percepiva a pelle. Dean aveva paura. 

“Certo, perché invece a noi farebbe il solletico!” replicò Cedric, iniziando a scaldarsi. “Non sei l’unico in pericolo di vita qui.”

Dean stava per rispondergli a tono, ma Mark lo fermò prima. “Ehi, non morirà nessuno, okay? Vediamo di restare calmi.” li riprese, mettendoli a tacere. “Direi che usare le scale per tornare di sotto è escluso, quindi dovremo trovare un’altra via d’uscita che non sia la porta principale.”

Anche se di poco, Cedric parve rilassarsi e il suo sguardo si posò sull’amico, cercando in lui un segnale di conforto. “Hai qualche idea?”

Lui allora guardò oltre i vetri opachi della finestra alle sue spalle. “Sì, ma non vi piacerà.” Indicò fuori, invitandoli a fare altrettanto.

Quando Rachel capì a cosa si stesse riferendo sentì il sangue gelarsi nelle vene. Il suo dito puntava verso i rami intricati di una grossa pianta rampicante, che si abbarbicavano lungo tutta la parete esterna di quel lato della villa, arrivando fino a terra. “Stai scherzando, spero.” boccheggiò incredula. Almeno una quindicina di metri separavano la camera in cui si trovavano dal suolo e da quell’altezza il rischio di rompersi l’osso del collo era assicurato.

Anche Juliet e Cedric non erano molto convinti, ma Mark si mostrò risoluto. “È l’unico modo. Ci caliamo giù e scappiamo il più in fretta possibile.”

Dean annuì, dando segno di approvare il piano. “I rami sembrano robusti. Dovrebbe reggerci.” Detto ciò, senza perdere altro tempo in chiacchiere, afferrò le maniglie della finestra e le tirò verso di sé, riuscendo a spalancarla senza troppa fatica. Pezzi di intonaco misti a polvere e scaglie di vernice si staccarono dagli infissi, ma non ci fece caso. Ormai era già con una gamba dentro e una fuori.

Intanto, oltre la porta il lupo riprese a ringhiare, grattando con più insistenza per via del trambusto. 

Allarmato, Cedric si voltò in quella direzione, per poi tornare a guardarli. “Okay, mi avete convinto. Facciamo presto.” 

“Aspettate.” li fermò Juliet. “Non potrebbero essercene altri di sotto? Come facciamo a sapere che una volta scesi non cadremo dalla padella nella brace?” fece notare oculatamente. 

“Di solito i lupi vivono in branchi. Questo è da solo, o almeno così sembra.” Rispose Mark. “In ogni caso, non vedo alternative. Se vogliamo andarcene, dobbiamo rischiare.”

Aveva ragione, se ne rendeva conto, ma nonostante ciò l’istinto la portò a cercare conferme nello sguardo di Dean, trovandole immediatamente. In quel momento lesse nei suoi occhi che non c’era nulla da temere, perché le sarebbe stato accanto tutto il tempo, impedendole di cadere. Così ritrovò subito il coraggio e attese di vederlo scomparire oltre il davanzale, per poi seguirlo fiduciosa. Cedric li imitò subito dopo, lasciando Mark e Rachel soli nella stanza. 

“Bene, vai prima tu. Io ti vengo dietr…” Si interruppe a metà quando si voltò e la vide in uno stato di panico totale. Era come pietrificata, del tutto succube della sua fobia delle altezze, ancora più forte della paura di finire sbranata. “Ray.”

Lo vide fissarla, ma non riuscì a ricambiare. Era troppo impegnata a fissare la pianta.

Mark allora le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani per spingerla a guardarlo. “Amore, ce la puoi fare.” la incoraggiò. “Hai messo k.o. un vampiro, questo sarà uno scherzo.” aggiunse, riuscendo a strapparle un sorriso, anche se tirato.

Intanto, fuori dalla porta il grattare del lupo si faceva sempre più insistente e il mobilio scivolava pericolosamente in avanti, spinto dai due battenti che minacciavano di sfondarsi da un momento all’altro.

Rachel trasalì, realizzando che non fosse rimasto loro molto tempo. Doveva reagire. 

“Coraggio, io sarò subito sotto di te. Ti fa sentire più sicura?”

La risposta era fin troppo scontata e la portò ad annuire quasi di riflesso. Con lui sentiva di poter scalare un’intera montagna. 

Attese di vederlo scomparire oltre la balaustra e, quando lo sentì dire che era tutto a posto, si decise a imitarlo, anche se con ancora un po’ titubante. Non era tanto dover scendere aggrappata ai rami di una pianta il problema, quanto sapere di trovarsi a quindici metri d’altezza senza un punto d’appoggio sicuro in caso di caduta. Di tutte le fobie con cui avrebbe potuto nascere, proprio quella… Ad ogni modo, si sforzò di non pensarci, evitando di guardare in basso mentre poggiava con cautela il primo piede sul cornicione sporgente che delimitava esternamente i piani della villa. Sotto di sé, Mark le dava istruzioni sulle prossime mosse da fare e cercò di seguirle alla lettera. Ora era arrivato il momento di staccarsi dal cornicione, l’unica àncora di salvezza tra lei e il vuoto, così si concesse qualche secondo per prendere bene le misure. Seguendo la voce di Mark, staccò per prima la mano destra, che si serrò un po’ tremolante attorno a un ramo che a occhio le sembrò il più resistente.

“Okay, brava. Adesso l’altra mano.” 

Con un respiro profondo Rachel fece come aveva detto, abbandonando definitivamente il supporto del cornicione e ritrovandosi attaccata al rampicante come una lucertola. –E adesso?- pensò, sentendo il cuore palpitare a mille. Non osava abbassare lo sguardo per non dover constatare la distanza tra sé e il suolo, perciò si impose di guardare dritto e pensare solo al momento in cui avrebbe di nuovo toccato terra. Fece scivolare giù la mano lentamente, senza mai davvero staccarla dal ramo, scoprendo così che il suo corpo non riusciva a rispondere del tutto agli ordini che il cervello gli mandava, attanagliato com’era dalla paura. –Forza, muoviti. Che aspetti?-

La sua parte razionale stava ancora cercando di sovrastare quella emotiva, quando un rumore per nulla rassicurante le arrivò alle orecchie. Era il suono del legno che si spezza, seguito dal boato della cassettiera che finiva sul pavimento, e in meno di due secondi si ritrovò la belva alla finestra, ringhiante di fame rabbiosa.

Urlando terrorizzata, si aggrappò alla pianta con tutte le sue forze e serrò gli occhi, nascondendo il viso nell’incavo della spalla mentre sentiva l’animale ansimare sopra di lei. Con le unghie cercava di afferrarla, ma era troppo distante perché potesse riuscirci senza rischiare di precipitare di sotto. 

Paralizzata dalla paura, Rachel sentiva a malapena gli altri gridarle di muoversi, di iniziare a scendere. Niente. Perfino lo spirito di sopravvivenza insito in ogni essere umano era andato a farsi benedire. 

“Va via…” mormorò in tono flebile alla belva, quasi nell’ingenua speranza che sentendola si decidesse a lasciarla in pace.

Intanto, da sotto Juliet osservava la scena nel panico. Continuava a gridare all’amica parole di incoraggiamento, finché non si rese conto che era inutile. “Non ce la fa da sola. Dobbiamo aiutarla!” Il suo sguardo disperato si posò sui ragazzi.

Mark si preparò subito a risalire la pianta, ma Cedric lo precedette. “Lascia fare a me. Sono più veloce.” gli disse, con un piede già nella fessura tra due rami. 

“Ray, resisti! Veniamo a prenderti!” le promise allora Mark.

Tuttavia, la sua voce le arrivò mescolata al ringhiare famelico del lupo, che non sembrava voler rinunciare alla sua preda.

“Va via…” continuava a ripetere Rachel supplichevole, ferma sempre nello stesso punto. Ormai era diventato un mantra. A forza di dirlo prima o poi lo avrebbe convinto, no? “Va via…” mormorò ancora, con le lacrime agli occhi. La paura dentro di lei non faceva che aumentare, mista alla rabbia di non riuscire a togliersi dai guai, e ben presto tutte quelle emozioni si tramutarono in qualcos’altro: una sorta di energia, calda e avvolgente, che la pervase dall’interno. Non sapeva spiegarlo, ma all’improvviso si sentì in grado di fare qualunque cosa. “VA VIA!” urlò per l’ultima volta, permettendo alla sua nuova forza di liberarsi. Fu allora che una violenta folata di vento, del tutto inaspettata in una giornata mite come quella, si sollevò dal nulla e spinse l’animale di nuovo dentro, spaventandolo a tal punto che Rachel lo sentì darsela a gambe con un guaito.

“Che è successo?” 

Fu colta da un fremito quando avvertì la presenza di Cedric a meno di un metro da dove si trovava, ma non le uscì il fiato per rispondere. Lei stessa stava ancora cercando di capirlo, quando si accorse che era ancora attaccata a quella stupida pianta e che era il caso di darsi una mossa. Per fortuna, lui non insistette, offrendosi di aiutarla a scendere e lei accettò volentieri perché all’improvviso si sentiva debole, come se tutta l’energia di poco prima fosse svanita nel nulla.

Neanche il tempo di appoggiare l’ultimo piede a terra che si tuffò subito tra le braccia di Mark, che la strinse a sé per confortarla. “Va tutto bene, sei stata bravissima.” le sussurrò all’orecchio, cercando di calmare i tremori che ancora la assalivano. Nel frattempo, anche Juliet le si era avvicinata, strofinandole la mano sulla spalla con fare rassicurante. 

“Sarà il caso di andarsene. Qualcosa lo ha fatto scappare, ma potrebbe essere ancora nei paraggi.” disse Cedric pratico, senza esimersi dal rivolgere a Rachel un breve sguardo indagatore. 

Lei se ne accorse e per un secondo lo ricambiò, prima di concentrarsi su altro. Era abbastanza sicura che quel “qualcosa” a cui aveva accennato non fosse un riferimento casuale e che anche lui avesse notato lo strano fenomeno della folata di vento. Per quanto la riguardava, trovava difficile credere ad altro che non fosse una semplice coincidenza e comunque le aveva salvato la vita, quindi non c’era tanto da scervellarsi. Anche se quella sensazione...

Comunque, l’argomento venne messo da parte e pensarono solo a lasciarsi tutto alle spalle. Ora avevano un nuovo portale da raggiungere, così si affrettarono ad abbandonare quel posto dimenticato dall’uomo per rimettersi in cammino.

Come sempre scovare il portale non fu un’impresa facile, soprattutto perché questo si trovava nel bel mezzo di un bosco, nascosto nella cavità di un grosso albero dal tronco nodoso e contorto. La mappa conduceva in quel punto, ma riuscirono a individuarlo solo grazie alla vista acuta di Dean, l’unico in grado di scorgere tra le pieghe della corteccia uno strano simbolo che chiaramente era stato inciso da qualcuno chissà quanto tempo prima. Al suo tocco il passaggio si attivò, sprigionando il solito vortice di vento a cui ormai erano abituati, così lo varcarono senza troppe cerimonie, ritrovandosi dall’altra parte in una manciata di secondi. 

Anche stavolta il paesaggio si presentò decisamente diverso dal precedente. I piedi toccarono una superficie poco stabile e ben presto si accorsero di stare camminando sulla sabbia dorata di una spiaggia. Davanti a loro c’era il mare, piatto come una tavola, con stormi di gabbiani che stridevano volando a pelo d’acqua. Perfino il clima era più mite che in Austria. L’aria sempre fresca, vista la stagione, ma impregnata di umidità. 

Con un’espressione di sofferenza dipinta in volto, Cedric si portò una mano allo stomaco. “È il quinto portale che attraverso in vita mia e ogni volta è sempre peggio.” La sua cera in effetti non era delle migliori e sembrava stesse per vomitare. 

Prima di passare oltre, Mark gli diede una pacca sulla spalla. “Strano, a me non fanno nessun effetto.” 

“Pensa un po’.” ribatté lui, lanciandogli un’occhiataccia.

Spaesata, Juliet si guardò intorno in cerca di qualche indicazione. “Chissà dove siamo finiti stavolta.” Nelle vicinanze, però, non c’era nulla che potesse far loro capire dove si trovassero, un cartello o qualcosa di simile. 

Dean allora propose di incamminarsi oltre la spiaggia, visto che probabilmente il portale era stato ideato per sbucare in un posto poco frequentato, in modo da non dare nell’occhio. Più avanti forse ci sarebbe stata traccia di civiltà e magari anche un Internet point, con un po’ di fortuna.

Mentre seguiva gli altri, Rachel non smetteva di pensare a quello che era successo alla villa. Un istante prima era abbarbicata a un rampicante con una belva famelica che cercava di sbranarla, quello dopo invece il lupo era sparito, messo in fuga da quell’improvvisa folata di vento in un giorno in cui c’era calma piatta. Parecchie cose non tornavano. Che la faccenda avesse a che fare con la magia delle collane? Per quanto assurdo, poteva essere plausibile. Ad ogni modo, con gli altri non ne aveva fatto parola, per non rischiare di passare per una squilibrata.

Dopo aver superato la spiaggia e scalato una piccola duna che portava al livello della strada, scoprirono che c’era più vita di quanto si aspettassero. Il traffico era abbastanza intenso, con macchine e motorini che sfrecciavano in un’unica direzione, quella verso la città. Qualche altro passo e finalmente si imbatterono in un cartello, con su scritto a caratteri bianchi: Portiñho – 2km e poi altre indicazioni in una lingua che non capivano. Una specie di spagnolo strano.

“È portoghese.” spiegò Dean, di fronte alle loro facce perplesse.

Juliet sgranò gli occhi, guardandolo stupita. “Conosci anche questo?”

Lui sghignazzò divertito. “No, ma riconosco la scrittura.”

“Perciò deduco che siamo in Portogallo.” osservò Cedric banalmente.

“O in Brasile.” gli fece eco Mark.

Dean però non ne era del tutto convinto. “O in Angola.” 

A quel punto, Cedric decise di fermarli, prima che continuassero l’elenco all’infinito. “Okay, ho capito. Ho afferrato il concetto.” 

Alle ragazze sfuggì una risata sommessa; poi Rachel tornò improvvisamente seria. Come avevano fatto ad arrivare lì? Ora avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo. Capire dove si trovavano, fare altre ricerche per risalire alla Durness della sua visione… Un improvviso senso di sconforto si impadronì di lei e d’istinto portò la mano al collo in cerca della sua collana, come le accadeva spesso quando non sapeva cosa fare. 

Juliet se ne accorse, percependo subito la malinconia che l’aveva avvolta, e cercò di tirarle su il morale. “Ehi, stavo pensando… Forse le collane si sono illuminate con te perché tra te e Margaret c’è un legame, come quello tra noi e le altre sorelle. Insomma, se io ero legata a Cordelia e Claire a Elizabeth, è probabile che tu abbia qualcosa a che fare con lei.”

Cedric annuì, seguendo il ragionamento. “Giusta osservazione. E allora?”

“E allora pensavo che magari potrei provare anch’io a tenerle. Se avessi la stessa visione, saremmo già in due e avremmo maggiori possibilità di capirci di più.” 

Dal canto suo, Rachel fu attratta dall’idea. In effetti, il pensiero di condividere il problema con qualcuno non le dispiaceva. Valeva la pena tentare. “D’accordo, facciamolo.” approvò infine, scambiandosi con l’amica un’occhiata d’intesa. Dopodiché si sfilò la collana col rubino dal collo, facendosi consegnare le altre due da Dean, che le teneva conservate nella sua borsa. 

Una volta raccolte, le poggiò tutte sul palmo della mano di Juliet, che vi richiuse sopra le dita e le strinse, serrando gli occhi come si aspettasse chissà cosa da un momento all’altro. Purtroppo, però, che non sarebbe successo un bel niente Rachel lo capì già dal fatto che le pietre non si fossero minimamente illuminate, cosa che invece era avvenuta quando le aveva toccate lei.

La stessa consapevolezza riuscì a leggere nello sguardo di Dean, il primo a parlare dopo aver atteso invano qualche altro secondo. “Niente.” si limitò a dire, rompendo il silenzio carico di delusione che si era creato.

“Peccato, era una bella idea.” aggiunse Cedric rassegnato, nel tentativo di consolarla.

Juliet arricciò le labbra pensierosa. “Forse non ha funzionato perché Cordelia non è più dentro di me.” ragionò.

“Grazie comunque per averci provato.” disse Rachel, sorridendole mesta. A quel punto era evidente che le collane riunite avessero uno scopo soltanto con lei e la cosa le riempì il cuore di inquietudine. Non le era mai piaciuto stare al centro dell’attenzione in una situazione normale, figurarsi in una strana come quella in cui si trovavano.

“Direi di accantonare la questione per il momento.” suggerì Dean, rivolgendo lo sguardo al gruppetto di case in lontananza. “Raggiungiamo la città e vediamo di capire il da farsi.” 

Non ci volle molto a constatare che si trattasse più che altro di un paesino, anche se piuttosto vivace. C’erano diversi negozi ai lati della strada principale, quasi tutti di souvenir o alimentari, ma era troppo affollato fra turisti e gente del luogo, e avevano paura che qualcuno potesse aver visto le loro facce sui telegiornali e li riconoscesse, così decisero di passare attraverso gli stretti vicoli laterali, calandosi bene i cappelli sulla testa.

“Non credo proprio che troveremo un Internet point da queste parti.” disse Cedric dubbioso, scrutando gli edifici e le viuzze nei dintorni. “Sempre ammesso che sappiano cosa sia.”

Non potendo chiedere informazioni a nessuno, continuarono a vagare come anime in pena per tutta la città, ma alla fine si resero conto che Cedric aveva ragione. Non c’era traccia di qualcosa che assomigliasse a un Internet point. A un certo punto, quindi, si abbandonarono esausti sul ciglio del marciapiede, ai piedi di una palazzina nel vicolo dietro all’ennesimo negozio di souvenir.

“Dovevamo restare in Austria e prendere quel pullman senza pagare.” mugugnò Cedric, afflosciato su se stesso.

Nessuno gli rispose, ma non ce n’era bisogno perché in fondo non aveva tutti i torti. Si erano lasciati spaventare dalla prospettiva di una multa, quando sarebbe stato l’ultimo dei loro problemi. Ora invece erano bloccati in quello sputo di paese con solo un nome, Durness, e neanche la più pallida idea di dove si trovasse.

Seduta un po’ in disparte rispetto agli altri, Juliet si godeva il suo attimo di riposo, quando la voce chioccia di un uomo sulla cinquantina la spinse a sollevare la testa.

“Turisti?” chiese sorridente, in un inglese dal forte accento latino.

Per un istante lei lo fissò spaesata. Le sarebbe piaciuto rispondere di sì, ma non era vero e comunque non gliene diede il tempo perché tirò subito fuori un depliant e si offrì di accompagnarli in un tour dei dintorni. 

Lì per lì scosse la testa, ringraziandolo cordiale e lui fece per andarsene. Fu allora che le venne l’idea. Tanto ormai non avevano alternative. Così si alzò dal marciapiede, correndogli dietro. “Señor!” abbozzò in spagnolo. Non era la lingua del posto, lo sapeva, ma era una delle poche parole che conosceva. 

Nel frattempo, gli altri si erano accorti che si era allontanata per parlare con quel tizio e la guardavano incuriositi.

“Secondo voi che sta facendo?” Mark alzò un sopracciglio, sentendola ridere a una sua battuta, per poi voltarsi e indicarli. 

La risposta arrivò poco dopo, quando Juliet fece ritorno con aria trionfante, sventolando un cellulare. “Gonçalo è stato così gentile da prestarci il suo telefono. Così possiamo cercare quello che ci serve.”

“Gonçalo?” ripeté Dean perplesso.

Juliet, però, non ci fece caso. “Mi ha solo chiesto di fare in fretta. Qui la connessione costa cara.” Passò il telefono a Mark, che rapido iniziò la ricerca. 

Come prevedibile, non fu affatto difficile scoprire che Durness si trovava in Scozia, sulla costa nord-occidentale delle Highlands per la precisione. Il problema era capire come arrivarci visto che al solito erano da tutt’altra parte. Controllando sulla mappa, Dean rintracciò un portale che faceva al caso loro, ma era parecchio distante da Portiñho, addirittura in un’altra località del Portogallo. 

-La solita fortuna del diavolo – pensò Rachel frustrata.

Fu allora che il proprietario del cellulare si palesò di nuovo, facendo loro intuire che fosse sempre rimasto nei paraggi ad assicurarsi che non scappassero con il bottino. Vedendoli disorientati, chiese dove fossero diretti e Juliet gli rispose con la verità, restituendogli il telefono. Lo osservarono riflettere, passando sopra al sospetto che fin dall’inizio la ascoltasse con un’attenzione particolare perché attratto da una ragazza tanto graziosa, finché non si offrì inaspettatamente di accompagnarli a destinazione con la sua auto dietro pagamento.

Consapevoli di non avere denaro, gli chiesero un momento per parlarne tra loro.

“Cosa facciamo?” mormorò Juliet per non farsi sentire. 

“Non possiamo pagarlo, questo mi pare ovvio, ma è l’unico che potrebbe aiutarci.” osservò Dean pragmatico.

Rachel, però, non sembrava convinta. “Siamo sicuri? E se fosse un maniaco? Non mi piace come ti guarda.” disse, riferendosi all’amica.

Per tutta risposta, Cedric ghignò. “Di che hai paura? Abbiamo qui il nostro vampiro-bodyguard personale.”

Per una volta Dean non si sentì offeso dalla sua solita pungente ironia. In fondo, poteva prenderlo come un complimento. 

“Ah… Giusto, a volte me lo dimentico.” riconobbe lei, prima di tornare al punto. “Rimane il fatto che non abbiamo un soldo...”

“Aspetta, forse c’è una soluzione.” la interruppe Mark, fino a quel momento rimasto in silenzio a riflettere. Abbassò gli occhi sul polso sinistro, quello a cui teneva allacciato il suo orologio d’oro, e in pochi istanti Rachel intuì i suoi propositi. 

“No.” sentenziò subito decisa.

“Vale almeno duecento dollari. È fermo da un po’, ma basta cambiare la batteria…”

Lei, però, non voleva sentire ragioni. “Non esiste. È un regalo dei tuoi.” 

“Ray, non abbiamo alternative.” le ricordò, abbandonandosi a un sospiro paziente.

“L’alternativa è cercare altrove. Non sarà l’unica persona disposta a darci un passaggio in questo dannato paese.” 

Dean fu subito pronto a smentirla. “E speri che accetti di darcelo gratis?” obiettò giustamente.

Lei lo fulminò con lo sguardo, ma non trovò niente con cui controbattere. Trovava terribilmente ingiusto che Mark sacrificasse l’orologio che i genitori gli avevano regalato per il diploma, eppure si rendeva conto che in una situazione di emergenza come quella c’era ben poco da fare. Quindi alla fine si rassegnò a ingoiare il rospo e restare a guardare mentre Mark contrattava con quell’uomo. 

“L’orologio está bem.” disse Gonçalo, incurante delle occhiatacce di Rachel.

Juliet lo ringraziò con un caloroso sorriso, poi lo seguì con gli altri.

“Vi va un panino prima del viagem? Offro io.” propose gioviale, dando un’amichevole pacca sulla spalla a Cedric, che accettò con entusiasmo. 

“Mio caro Gonçalo, cominci a starmi proprio simpatico.”

   
 
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