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Autore: Elisempreeli    14/07/2021    3 recensioni
A te, che forse non conoscerò mai, ma che infondo è come se ti avessi un pò sempre accanto. Chissà. Un giorno. Magari, in un'altra vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A te,

Non scrivo il tuo nome perché onestamente sarei stata indecisa fino all'ultimo, fino a quando ti avrei visto per la prima volta.
Ti scrivo una lettera forse più per me che per te, anche perché non leggerai mai le mie parole.
Sai, da piccola credevo che, una volta diventata grande, come se 'grande' potesse essere un luogo a cui arrivare e non un modo di essere, ecco una volta cresciuta, mi aspettavo che le cose sarebbero accadute da sé. Ed è in parte così che succede, molte cose nella vita non si scelgono e si presentano alla tua porta senza avvisare, oppure te le ritrovi comodamente sedute sul divano in attesa di thè e biscotti che tu ovviamente non hai nella tua credenza di aspettative. Quella si svuota man mano passano i giorni.
Ma non sono qui per farti la morale sulla vita che mai conoscerai, e non saprei dire se per questo io possa o meno invidiarti un po'.
 
Creare una famiglia funziona a 50 e 50, un 50% da parte tua, il restante da parte del futuro che la vita ti ha riservato. E quel 50, per me, ha avuto altri piani.
Stavo dicendo, da piccola non mi sono mai davvero posta il problema di trovare l'amore o di formare una famiglia per il semplice fatto che una parte di me sapeva che non sarebbe accaduto. Inutile dire che, attorniata da preconcetti confezionati facilmente reperibili al pari dei prodotti sugli scaffali del supermercato, questa parte di me si sentiva in difetto, un prodotto scaduto che viene sempre lasciato da parte fino a quando non ci sia accorge che è da buttare.
Gli scaffali in questione esibivano una mamma e un papà, una nonna e un nonno, una zia e uno zio, i genitori delle mie amiche, tutti che, partendo da due, arrivano ad essere tre, quattro, a volte anche cinque. Donne che venivano chiamate 'mamma' e che pure te lo potevi aspettare, se le vedevi da lontano, che lo fossero, "quella sì, ha decisamente l'aspetto di una mamma".
 
Perciò continuavo a ripetermi, perché infondo erano gli altri che me lo ripetevano, che forse la parte scaduta in me poteva sbagliarsi, che anch'io un giorno avrei trovato un compagno per la vita e sarei stata chiamata mamma, alla stregua di una banale spunta sulla lista della spesa nel fantomatico supermercato della vita.
Ma non posso negare che le parole sognanti di mio padre sul fatto di diventare nonno, o viceversa, l'espressione di tristezza sul volto di mia madre consapevole che lei, nonna, non lo sarebbe diventata, rappresentassero per me una stilettata in pieno petto.
La verità è che, crescendo, quell'aspettativa si è trasformata in un "non fa per me", in un "figurati se mai accadrà a me", le tipiche cose che capitano agli altri e che tu guardi seduto in platea mentre loro vivono le loro vite sul palcoscenico.
 
Capendo di non essere destinata a te, e tu a me, ho iniziato a dirmi quelle che possono sembrare delle scuse con un retrogusto di impotenza, "ma io non ci so fare coi bambini", "non so badare a me stessa, figuriamoci prendermi cura di un figlio", e che certo racchiudono della verità. Persino i miei, di genitori, spesso mi hanno esplicitamente chiesto cosa avessero dovuto fare o dire in una determinata situazione, ed io già avevo i miei problemi di figlia, di sicuro non potevo sapere quale sarebbe stata la soluzione per i loro.
Ma penso anche che imparare ad essere genitori sia possibile solo diventandolo, essere genitori implica essere disposti a reimparare a camminare assieme ai propri figli. Scommetterei qualsiasi cosa sul fatto che nessuno, nemmeno i più convinti che sognano ardentemente di diventarlo, non abbiano mai avuto il timore di fallire, di non farcela, anche solo un piccolo dubbio o ripensamento.
Però quella stessa paura può passare, o perlomeno rimpicciolirsi, non appena si incrocia lo sguardo di un piccolo essere umano che respira assieme a te, giorno dopo giorno, la tua consapevolezza di essere genitore.
 
Mi rendo conto di non averti detto molto se non i miei pensieri personali –e distruttivi- al riguardo, che certo ti starai chiedendo “ma come, mi blocchi sul nascere, anzi, prima di nascere, senza dare la possibilità a quella percentuale che non dipende da te di attuare uno stravolgimento di trama, di stupirti come mai ti aspetteresti?”. E magari avrei dovuto parlarti di me, di cosa avremmo fatto assieme, dei viaggi che avremmo vissuto, delle sgridate che ti saresti sorbito o delle mie parole di conforto dopo la tua prima delusione d'amore, nel caso avessi voluto confidarti con me, perché si sa, certe cose si ha piacere a tenersele per sé, soprattutto tenerle nascoste a mamma e papà, ed è giusto così.  Oppure avrei potuto descriverti anche solo l'abbraccio che avresti ricevuto in un momento di bisogno.
 
Ma sappiamo entrambi che la parte scaduta ha la meglio, in questo caso.
 
Non ti ho parlato di tutto questo perché sarebbe possibile solo se io vedessi i tuoi occhi e tu i miei, un'immagine che, per quanto bella possa essere, mi duole riporre nella famosa credenza, nella parte delle aspettative che "non fanno per me", ma che per quanto mi riguarda sarà l'unica cosa a cui guarderò con nostalgia nonostante non l'abbia mai vissuta.
   
 
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