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Autore: Giglian    14/07/2021    1 recensioni
Nell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l'unico filo che conduce alla salvezza. Ma, per chi giura di non avere buone intenzioni, nulla sa essere semplice.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei Malandrini.'
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“Coooosa?! Non può fare niente?!”
L'urlo apoplettico di Lily riecheggiò per tutta Mielandia, facendo tappare le orecchie a non poche persone.
Ambrosius Flume, il proprietario, si strinse nelle spalle massaggiandosi il povero timpano con espressione a metà fra il desolato e lo scocciato.
Non aveva tempo da perdere. Quel giorno il negozio era pieno da scoppiare e i marmocchi infilavano le loro manine appiccicaticce dappertutto, anche se nulla lo preoccupava di più di un moccioso dagli occhi d'oro un po' troppo interessato alle sue Piperille Sputafuoco.
“Mi dispiace...” rispose, controllandolo con la coda dell'occhio. “E' uno scherzetto di San Zuccherino ed io non posso farci niente... comunque, spariranno da soli fra un paio di ore, non preoccupatevi. Ne ho viste a bizzeffe di scherzetti del genere, negli anni...anche se non così fastidiosi, devo ammetterlo! Scusa, se vuole mangiare quelle, deve farlo fuori dal locale... e deve pagarmele, soprattutto!”
“Piantala di fare casino!” rimbrottò la piccola Lily, mentre il suo degno compare veniva acciuffato dal Potter più grande, che lo sollevò come un cucciolo togliendogli dalle mani pericolose caramelle esplosive.
“Riesci-a-stare-fermo-cinque-minuti?!” gli abbaiò in testa, esasperato.
“Secondo te?! Siamo la stessa persona o sbaglio?!” rimbeccò quello, facendogli alzare gli occhi al cielo.
Ora la capiva perfettamente, sua madre! Come aveva fatto a sopportarlo per tutti quegli anni?! Non appena girava lo sguardo, quel dannato ne combinava una!
“E ora cosa facciamo?!” si disperò Lily, una volta usciti di lì. Indossava un poncho color kaki ed era un incanto.
O forse era perché tutto ciò che faceva, in quel preciso momento - anche mettersi le mani nei capelli e inveire contro Tosca Tassorosso in modi non propriamente eleganti - appariva agli occhi di James delizioso.
La guardò agitarsi e sclerare come inebetito, riflettendo sul fatto che stessero davvero insieme e che stessero davvero camminando per Hogsmeade come una non-tanto-normale-ma-se-lo-sarebbe-fatto-bastare coppia di innamorati.
Gli venne voglia di baciarla ma alla sua copia in miniatura probabilmente sarebbe venuto un infarto...
“Che c'è?”
Il sopracciglio inarcato della ragazza lo scosse da quei pensieri. In effetti, era calato il silenzio da un po'.
“Eh?”
La Grifoncina lo guardava guardinga, con i suoi insondabili occhi di smeraldo che sembravano trapassarlo da parte a parte, ogni volta.
“Si può sapere perché mi fissi in quel modo? Hai trovato una soluzione?”
Hogsmeade quel giorno era luminosa e piena di gente...che li fissava con tanto d'occhi, visto che si trascinavano appresso le loro copie sputate in miniatura, che di starsene buone sotto il mantello dell'invisibilità non volevano saperne!
Chissà cosa pensavano quelle vecchie signore dall'aria indignata...non riuscì a trattenersi dal ghignare loro in faccia, sardonico.
Ma la cosa peggiore di tutte erano gli altri studenti: ovunque andassero sentiva i loro sguardi e i loro bisbigli.
Dovevano essere proprio a corto di pettegolezzi, quelli, per fissarsi così! Tutta colpa di quel dannato giornaletto che compariva ovunque nel suo campo visivo!
C'era qualcuno in quella dannata baracca che non aveva comprato l'edizione di Rita Skeeter?!
Senza rifletterci, afferrò la mano di Lily e iniziò a trascinarsela via.
“H-Hey!” balbettò quella, presa alla sprovvista.
Sembrò che l'elettricità risalisse attraverso il suo braccio, pompandole il cuore come se fosse un tamburo. E adesso che cavolo gli prendeva?!
Il rossore le si dipinse sulle guance, mentre le dita calde di James le scaldavano la pelle dei palmi.
Ma il capo dei Marauders non si accorse di nulla, sovrappensiero com'era. Perchè gli dava così fastidio, quel giorno? Era abituato agli sguardi!
Eppure, lì, ad Hogsmeade, solo con lei...
Si fermò di colpo, sentendosi come colpito da un fulmine.
Ecco! Ecco cosa avrebbero potuto fare!
“Insomma, dove stiamo andando?!” si lagnarono i bambini ben poco contenti di dover correre loro appresso per tutto il villaggio, mentre Lily ebbe giusto un brividino mentre l'altro si girava con un sorriso che era tutto un programma.
Gli era di nuovo cambiato l'umore...ma che, era lunatico?!
“Lo so, dove potremmo andare!” si esaltò, in brodo di giuggiole. Tempo nemmeno due secondi e furono letteralmente afferrati di peso e trascinati come fazzoletti per almeno tre quartieri.
Quando si fermarono, erano tutti e tre senza fiato!
“H-hai trovato...anf...la soluzione...?” balbettò la Grifoncina, tenendosi un fianco.
Poi alzò il viso e sbiancò.
Davanti a loro c'era un localino che profumava come una caramella. Tavolini rotondi impreziositi da trine e merletti in tenui sfumature color pastello... odore di pasticcini...e una valanga di coppiette in amore che tubavano come colombelle in fila davanti all'entrata!
Quel cretino li aveva portati davanti Madama Piediburro!
“Ma stai scherzando?!” abbaiò, indicando il posto infernale con un dito. “Ti sembra il momento?!”
“E perchè no?” cinguettò il cretino, che sembrava godersela come un pazzo. “Visto che non possiamo fare nulla per questi due cosi, tanto vale che passi la giornata concedendomi finalmente il nostro agognato appuntamento! Stiamo assieme, no? Non c'è più motivo di rifiutare!”
“Potrei vomitare...” commentò Potter junior, guardando schifato la sua nemesi e subito dopo il posticino lezioso dove voleva ficcarli. Piuttosto meglio la morte!
Anche le due Lily lo guardavano con tanto d'occhi, la più piccola dello stesso avviso, la più grande con l'aria impanicata di un topo in trappola!
“Ma...ma...”
Non faceva mica sul serio, il maledetto!
“Beh, che ti prende?”
Sì che faceva sul serio!!!
Arretrò di qualche passo, presa totalmente in contropiede.
Ma che aveva che non andava, quella ragazza? Pensò James, alzando gli occhi al cielo. Era forse l'unica tizia di quella scuola a non stra-venerare quel dannato posto! Ce lo avevano trascinato almeno in cinquanta, lì dentro, negli anni!
E suo malgrado doveva ammettere che con il tempo ci si era pure affezionato, visto che Madama Piediburro faceva i migliori bigné del circondario...
“Io...” balbettò la Grifoncina. Poi i suoi occhi caddero per una frazione di secondo sulle coppiette in fila. Li fissavano tutti e qualcuno sfogliava il giornale della Skeeter...che aveva catturato la sua attenzione come un faro nella notte, notò James. “Non è che si può andare in...un posto più isolato?”
Si vergognava?! Lily Evans che si vergognava?!
Quello gli diede davvero non poco fastidio. Non seppe dire come mai, ma improvvisamente si sentì irritato e nemmeno fulminare con lo sguardo quella gentaglia bastò a fargliela passare. Bastava davvero una rivista per renderla mansueta come un agnellino?! Si aspettava della ritrosia, certo. Ma non per quel motivo!
“Sul serio?” sbottò, incrociando le braccia al petto. “Dai davvero retta a...?! Ok, sai che c'è? Non c'è problema, se è la privacy che vuoi, conosco il posto perfetto!”
Da qualche parte un tempo c'era un angioletto sulla sua spalla destra che gli avrebbe intimato di smetterla di comportarsi come un idiota infantile e di non fare assolutamente il dispetto che aveva in mente...peccato che si era impiccato da parecchio.
Ecco, pensò Lily, vedendolo ghignare con un'aria sadica che ben conosceva. Ora sì, che c'era da preoccuparsi!





“Allora, Ninfadora! Ma mi spieghi dove te ne sei stata nascosta per tutto questo tempo, eh?”
Non avrebbe mai pensato nella vita di desiderare di trasformarsi e mordere qualcuno, rifletté Remus Lupin, appoggiando seccamente un quotidiano – di quelli seri, a differenza degli altri – su un tavolino.
Sentì come un travaso di bile e la mandibola che schioccava secca senza che riuscisse a fermarla.
Cercò di calmarsi mentre Tonks veniva abbordata a nemmeno due metri da lui. D'altronde era inevitabile, si disse.
Anzi, era sorpreso che fosse passato così tanto, conoscendo la fauna della scuola.
Il bellimbusto in questione era un tipetto biondo della sua età, probabilmente andavano in classe assieme. Ben vestito, due belle fossette al bordo della bocca...ed il sorriso di chi aveva sempre vissuto alla grande.
Il gruppetto si era diviso poco prima, ognuno perso nei propri affari. Aveva ritrovato Tonks mezz'ora dopo e dopo aver fatto incetta di scorte da Zonko si erano sbragati con la pancia piena sui tavolini nella piazza principale...dove naturalmente, le occhiate non si sprecavano di certo.
Tutta quell'attenzione non era particolarmente idonea per quello che doveva fare quel giorno, tuttavia...tuttavia si era reso conto, non con un certo disagio, che Tonks aveva una strana scia gravitazionale nella quale era rimasto impigliato.
Era come se non riuscisse a restarle lontano, pensò mettendosi le mani nei capelli. Altro che incontro casuale...era peggio di una calamita!
Guardò la ragazzina sentendosi un verme, e al contempo provando uno strano impulso a staccare il braccio che quel parassita le aveva appena messo attorno al collo con fare viscidissimo.
Smettila. Non sono affari tuoi.
Cercò di guardare altrove ma, chissà come, il suo udito si concentrò tutto in quell'unica direzione.
“Quindi me lo concedi un appuntamento?” stava dicendo il tizio, e sembrava anche parecchio navigato per la sua età, peccato non avesse fatto i conti con un particolare parecchio importante...ed infatti, Tonks gli piantò il palmo aperto sul torace rabbuiandosi in viso. Lo allontanò con un colpetto secco.
“Odio che mi si chiami Ninfadora!” abbaiò, spiazzandolo e facendogli crollare l'aria cool come un castello di carte.
“Ma...!”
“Non farlo mai più!” gli impose lei perentoria, prima di girare i tacchi.
Cercò di soffocare la risata che gli era salita istintivamente in gola mentre la Grifoncina si avvicinava con in mano un sacchetto di bollenti caldarroste.
Era da stronzi goderci come un pazzo?
Sì, era da stronzi, pensò subito dopo con un sospiro mentre Tonks gli si accoccolava accanto sganciandogli in mano due castagne.
Quel giorno portava un berretto beanie a righe rosa e azzurre e un cappotto extralarge dai toni pastello che la facevano ancora più piccola, aveva le guance rosee come pesche e l'aria più innocente che mai.
Sì, era un verme, un verme miserabile che la seguiva come un drogato in astinenza. Solo che stavolta, era lui a fare male.
Ripensò allo sguardo terreo di Lily mentre quasi la uccideva e gli passò la voglia di ridere. La castagna che stava deglutendo sembrò più pesante di un macigno.
“Senti, ma mi spieghi una cosa?” chiese Tonks, afferrandogli improvvisamente una manica del cappotto, ignara del suo pessimo stato d'animo.“Perché è da tutto il giorno che viene a parlarti gente strana?”
In effetti non aveva tutti i torti, visto che non avevano fatto altro che incontrare le sue spie e che alcuni di loro...beh, si erano fin troppo calati nella parte!
E così, per tutto il giorno lei aveva osservato basita frotte di gente vestita da ninja avvicinarlo con le peggio mosse, passargli bigliettini e bisbigliargli cose sulla Skeeter all'orecchio.
Si schiaffò una mano sul viso, anche se era ben grato di distrarsi dalla direzione che avevano appena preso i suoi pensieri.
“Lascia perdere...hey, che voleva quel tizio?”
“Un appuntamento.” lo disse come se stesse minimizzando una cosa di zero interesse. “Mica se lo ricorda che glielo avevo concesso l'anno scorso...e che era stato un fiasco totale!”
“Ma dai? Davvero?” si incuriosì il biondino, fingendo con scarsissimi risultati di essere assolutamente imparziale. “Non sarai un po' severa? Sembrava a posto!”
L'occhiataccia che gli scoccò disse tutto.
“Invece è stato davvero un disastro! Non faceva altro che vantarsi! Del conto in banca, della scopa da Quidditch nuova, della sfilza di ex... ti sembra normale parlarmi delle ex ad un appuntamento?!”
“Eh sì, decisamente inopportuno.” commentò lui, sentendosi insolitamente più allegro.
“Già! Ci ero uscita perché non volevo privarmi di un'esperienza e lo avevo scelto perché era simpatico, ma mi ero sbagliata alla grande!” la ragazza guardò altrove, sovrappensiero. Improvvisamente cambiò espressione, facendosi più triste.
“Tonks...?”
“E poi, sapevo che non ci sarei rimasta male in ogni caso, se mi avesse dimenticato l'anno seguente. Avevo in testa un'altra persona già da allora.”
Il mormorio si perse nel vento, ma rese l'aria decisamente più pesante. Si irrigidì senza rendersene conto, apparendo di nuovo algido e freddo, come ogni volta che si toccava quell'argomento ma Tonks si era ripromessa di non rovinare quel poco che avevano e balzò improvvisamente in piedi, mettendo a tacere la ferita cocente che le si apriva ogni volta che si schiantava contro quel muro.
“Ti va di fare una passeggiata?” propose, cambiando frettolosamente argomento.
Remus accettò con fin troppo entusiasmo, lieto di uscire da quel nodo spinoso.
Lei gli sorrise luminosa e gli si strinse al braccio, circondandolo con i propri e tenendoloselo stretto contro il petto. Poteva forse illudersi, in quel modo...poteva fingere per qualche ora di essere davvero la sua ragazza?
Guardava distratta il loro riflesso nelle vetrine, stampandosi bene in mente ogni particolare di quell'immagine e cullandosi in una dolce illusione.
Remus era altissimo, decisamente più alto di lei che a malapena gli arrivava al petto, e camminava e si muoveva con un'eleganza senza tempo, eterea. Indossava un cappotto con il bavero rialzato che risaltava i suoi zigomi e il sole giocava con i capelli, rivelando fili di un biondo scintillante e rendendo luminosa la sua pelle marmorea.
Un po' troppo severa con quel tizio, aveva detto? Ma come faceva a non esserlo, quando al suo fianco c'era un essere così perfetto?
Sfigurava così tanto, accanto a lui...avrebbe potuto trasformarsi in chiunque, ma non sarebbe mai arrivata a quel livello. Non c'era competizione, con nessun altro al mondo!
E lui davvero sembrava non accorgersene, come un rospo che non si è mai reso conto di essere diventato un principe e anzi, di esserlo sempre stato.
Improvvisamente ebbe voglia di rimanere sola con lui, di essere l'unica a poter godere di quella visione, e ridendo lo tirò per la manica verso un piccolo sentiero nel bosco.
Lui sorrise, lasciandosi condurre ovunque lei volesse ma a mano a mano che si avvicinavano al posto che aveva scelto, il suo viso sembrava rabbuiarsi.
E quando finalmente arrivarono alla staccionata che si affacciava sulla Stamberga Strillante, la sua pelle era leggermente più pallida e tirata del solito.
“Beh? Perché quella faccia?” lo schernì Tonks, divertita. “Non ti piace il posto?”
“Di solito non è un posto dove le ragazze amano passare il tempo. Ero sorpreso, tutto qui...” rispose lui, pacatamente, ma la ragazzina lo guardò maliziosa e gli puntò il dito sul naso.
“A-ha! Non ci casco mica, sai?” rise. “Hai paura del fantasma, ammettilo!”
Questo parve divertirlo parecchio in un modo un po' strano e fece un mezzo sorrisetto che sembrava quasi cattivo. Quell'aria cinica e malevola un po' stonava su di lui. Appoggiò i gomiti alla staccionata, affacciandosi sul paesaggio brullo che precedeva il profilo contorto della casa e la guardò come se desiderasse quasi vederla bruciare.
“Fantasma?” chiese a mezze labbra, continuando a sorridere. “E cosa ne sai, tu, del fantasma?”
“Ne parlano tutti da parecchio tempo!” cinguettò allegra lei, affiancandolo. Poi cercò di rendersi spaventosa, ma si rese soltanto più buffa. “Si sentono strane urlaaa provenire da quella casa, ogni tantooo...”
“Motivo in più per non stare qui! Com'è che ho la sensazione che ci vieni spesso?”
“Perché è così.”
Remus assunse un'aria severa. Uh oh, odore di paternale alla Lupin.
“Tonks, è spaventosamente isolato qui intorno.” la sgridò con calma, alzando gli occhi al cielo. “Non dovresti girovagare qui da sola, di questi tempi! Altro che fantasma, c'è ben altro pericolo per una ragazzina di quattordici anni!”
Gli fece la linguaccia, brontolando. Il fatto che avesse rimarcato i suoi anni l'aveva indispettita parecchio, non amava che le si ricordasse quanto fosse “lontana” da lui, differenza di età compresa!
Poi colse l'occasione al volo e gli si accoccolò addosso, facendolo sudare freddo per vendicarsi di quel colpo basso. Si era ripromessa di non fare nulla che potesse allontanarlo di nuovo ma stavolta se lo meritava! Poteva anche non amarla, ma era pur sempre un uomo! Ed infatti, lo sentì irrigidirsi mentre gli sbatteva gli occhioni davanti, diventando tutta una moina.
“Allora vorrà dire che mi accompagnerai tu d'ora in poi!” tubò, dolce come il miele. “Così potrai proteggermi dai pericoli!”
Credeva di averlo in pugno ma a quanto pare, in tutta quella storia c'era qualcosa che lo divertiva molto perché stranamente non cedette di un millimetro. Anzi, si chinò su di lei fino a piantarle gli occhi dritto nei suoi, il viso bello da stare male e stranamente serio all'improvviso vicinissimo.
Quell'intimità imprevista la lasciò con il fiato incastrato in gola e per la prima volta, si zittì, come ipnotizzata.
“E se fossi io, il pericolo?” Il sussurro di Remus era un soffio esile, miele sulla sua pelle. La sua voce era vellutata, il suo profumo era delizioso, invitante...voleva stare al gioco, ma improvvisamente dietro l'azzurro degli occhi, le parve quasi di notare qualcosa che non aveva mai visto. Serietà, ironia... e come un barlume di eccitazione. Non era da Remus giocare così. Sembrava un altro e ciò la spiazzò. “Te lo sei mai chiesto?”
“Tu...” la sua voce era diventata improvvisamente roca. Desiderio, ma anche...una sorta di soggezione. “...Tu non potresti mai essere un pericolo per me.”
I suoi occhi erano accesi come un cielo di brace...e poi, piano piano, si spensero. La sua espressione si trasformò in una maschera di antica malinconia, e Remus parve tornare sé stesso.
“Sono stato irrispettoso. Per favore, perdonami.”
La voce era di nuovo dolce e contrita.
“N-no...va bene...” Inciampò all'indietro, incastrandosi in una radice. Stavolta non era goffaggine, era che proprio non si sentiva più le gambe! Remus l'agguantò appena in tempo, passandole una mano dietro la schiena ma la lasciò andare subito dopo averla rimessa in piedi.
“Fantasmi, eh?” mormorò delicatamente, staccandosi e guardando oltre il recinto. “Di solito le ragazze non amano i fantasmi. A meno che non siano quelli della scuola.”
Lei affondò le mani nel legno, sollevandosi sulla punta dei piedi per vedere meglio. Le sembrava che il suo potere fosse per un attimo andato fuori controllo e che si fosse abbassata di qualche centimetro, come una bambina che si faceva piccola piccola.
“Vorrei consolarlo.” confessò, sbalordendo Lupin che si voltò a fissarla con la bocca spalancata. Il clima parve di nuovo diventare leggero.
“Come consolarlo?!”
“Credo che soffra.” la streghetta si strinse nelle spalle. “Urla sempre, no? Credo che senta dolore.”
Remus rimase in silenzio.
“Lo credo anche io.” mormorò infine, con voce piatta. “Credo provi una grande sofferenza. E' triste che le persone abbiano paura di un essere che soffre tanto da urlare e svegliare mezzo villaggio. Però forse...forse è giusto così. La paura aiuta a sopravvivere, d'altronde.”
Lei scosse il capo con decisione.
“No, non sono d'accordo. E' ingiusto! Non bisognerebbe mai soffrire da soli.” i suoi occhi si persero, si fecero tristi. “E' orribile restare da soli.”
C'era un altro motivo per cui quel giorno l'aveva seguita, pensò Remus. Ormai sembrava in grado di conoscerla...e sapeva che quel giorno lei si sentiva triste. Sapeva distinguere quando sorrideva davvero, e quando mentiva per non fare preoccupare nessuno. La sua allegria a volte diventava una tremenda maschera da portare...
Fece per allungarsi verso di lei, ma Tonks si tirò ancora di più e si portò la mano ai lati della bocca, tornando a sorridere di quel sorriso finto.
“Hey, fantasma!” gridò a pieni polmoni. “Non sei più da solo, sai? CI-SIAMO-NOI!”
Andare lì a consolare uno spirito la faceva sentire decisamente meglio. Urlò ancora un paio di volte, adocchiando con la coda dell'occhio che Remus stava iniziando a sorridere di cuore.
Fece per urlarlo una quarta volta quando, improvvisamente, il fantasma decise di risponderle.
E lo fece con un terrificante e mostruoso ringhio che vibrò attorno a lei come il suono di un contrappasso.
Giusto il tempo di sobbalzare, e improvvisamente Remus l'afferrò per le braccia, portandola giù dalla staccionata e parandosi di fronte a lei mentre...un enorme lupo grigio usciva dagli alberi scoprendo i denti.
“Ah!” il cuore mancò un battito, più per la sorpresa che per altro. Era senza il suo branco, doveva essersi perso...o forse, la presenza di quei dannati Dissennatori tutt'intorno stava facendo impazzire gli animali, perché non si erano mai visti lupi da quelle parti! Di giorno, poi!
“Lascia Remus, provo a spaventarlo io!” disse partendo in quarta, concentrandosi per assumere l'aspetto di Hagrid pregando che fosse sufficiente diventare più grossa per scacciarlo, quando la dannata radice di prima si ripresentò di nuovo contro i suoi piedi.
“Waaaah!” gridò, cadendo e ruzzolando come un sacco di patate...e ritrovandosi sdraiata a pochi centimetri dall'animale che scoprì i denti aguzzi come rasoi pronto ad attaccare.
Accidenti, quanto era imbranata! Stupida, stupida radice e stupidi piedi goffi!
Chiuse di scatto gli occhi aspettandosi un bel morso quando la mano fresca di Remus le si posò sulla spalla.
“Non ti muovere.” disse, con una calma irreale...prima di frapporsi fra loro, ergendosi davanti al bestione come un araldo.
No, così avrebbe morso lui! Che accidenti stava...!
Il lupo guaì, chinando il capo. Remus non si era mosso di un millimetro, fissando l'animale con occhi persi, quasi distratti. Aveva addirittura le mani in tasca.
Eppure, il lupo aveva la coda fra le gambe, e lo guardava come avrebbe guardato un leone.
O un alpha, pensò confusamente dentro di sé.
E improvvisamente, di nuovo lui le apparve diverso. In qualche modo maestoso...e spaventoso allo stesso tempo.
Pur essendo tranquillo, pur avendo un viso inespressivo. Anzi, forse proprio per quello.
Non era normale essere così sereni davanti ad un lupo feroce... e quell'aura che sembrava improvvisamente avvolgerli...
L'animale fece dietro front senza più emettere un suono. Remus sospirò appena, serissimo, prima di voltarsi verso di lei.
Incrociò il suo sguardo, sembrava sorprendentemente tenero.
“Tutto a posto.” sorrise, improvvisamente imbarazzato.
“Come...come...?” Lo guardava sbalordita, con tanto d'occhi. “Voglio dire, sei stato...fighissimo! Come hai fatto?”
“Non è stato niente di che...linguaggio del corpo... evidentemente non voleva attaccarci.” minimizzò lui, e le sembrò stranamente a disagio, come se volesse chiudere in fretta l'argomento. “Probabilmente si è solo sorpreso di trovarci lì. Magari eravamo controvento e non ha sentito il nostro odore.”
L'aiutò ad alzarsi, reggendo ben poco la sua ammirazione...e la sua parlantina emozionata che durò parecchie ore. A quanto pareva, non aveva mai visto un lupo così da vicino e l'elettrizzava che lui si fosse comportato come un principe azzurro, esattamente come aveva sempre pensato.
Perlomeno, l'adrenalina le aveva tolto via quell'espressione triste per un po'.
Ma le aveva anche...come ravvivato il sangue. Il suo odore così buono...come un calice di vino rabboccato dall'agitarsi all'interno di un bicchiere di cristallo. No, non vino.
Latte. E fragole.
Sentiva il cuore battere all'impazzata...e la pelle profumare in modo tremendo. Fu costretto più di una volta a trattenere il respiro.
Proprio un bel principe...




"Ciao! Tu sei Cristhine McRanney, vero?”
La Corvoncina contò fino a dieci. Ok, poteva farcela. Poteva sopravvivere a quella giornata.
Inspirò.
Espirò.
E finalmente, con una pazienza proverbiale, si voltò verso un ragazzo dal sorriso sornione. Tassorosso, forse sedici anni.
“Sì.” Disse, portandosi fuori dalla sua portata di almeno due passi. Aveva lasciato gli altri per andare ad acquistare alcune provette di Pozioni che potevano essere utili nel caso i mini James e Lily fossero rimasti più del previsto, scegliendo accuratamente le vie più isolate, ma quel giorno Hogsmeade straripava di gente come non mai.
“Ho visto l’intervista.” Esclamò quello, divertito.
Dio, eccone un altro!
La Corvonero stava già per tirar fuori le unghie quando si sorprese.
“Ma come si fa a scrivere tali porcherie?” quello rise, gli occhi al cielo. “Ti sarai sentita in imbarazzo, eh?”
Non ci credeva…finalmente un gentiluomo?
Qualcuno che non aveva intenzioni discutibili in quella scuola di depravati cafoni?
“Com'è che c'era scritto… un guardaroba privato...?”
“Sì, una scemenza del genere.” sbottò lei, freddamente. “Sono veramente tutte sciocch...”
“Ma è vero?” la interruppe lui, ignorandola. Bruciava di curiosità e l'occhiata comprensiva si era appena trasformata in una di scherno. “E' vero che Black te ne ha comprato uno?”
La ragazza lo fissò sbalordita.
“NO!” esclamò, al limite della sopportazione. Lui scoppiò a ridere.
“Davvero? A me dicono tutti così...posso vederlo?”
“Nemmeno per sogno!”
“Andiamo! Solo per accertarmene!”
La Corvonero si mise le mani nei capelli, col chiaro tentativo di strapparseli dalla cute. Fece per dargli le spalle esasperata quando quello allungò di un passo annientando la distanza fra loro ed entrando in quello che Cristhine amava chiamare il suo spazio sicuro. Il limite entro il quale tollerava la presenza di altre persone.
Troppo vicino. No!
Chiuse di istinto gli occhi, facendo per spingerlo via quando la voce maledetta di un angelo la riportò alla realtà... assieme a una bora gelida in cui nessuno al mondo avrebbe mai voluto entrare.
E in effetti, lo sguardo di Sirius Black, che torreggiava su di loro, era mortifero.
“Che ne dici invece di levarti dalle palle, coglione?”
Giusto un mugugno...ma due occhi che uccidevano. Erano forse le occhiaie a farlo apparire ancora più inquietante e brutale del solito?
Cristhine trattenne un brivido, mentre il ragazzo investito dalla sua aura omicida alzava la faccia su di lui e si deglutiva perfino il pomo d'adamo.
“Oh! Io…io non…scusa Black, stavo solo scherzando…”
“Sparisci.” sibilò lui, sovrastandolo.
Il tizio non se lo fece ripetere e filò via come un razzo.
“Tsk! Deficienti.” grugnì lui, poi si voltò verso la Corvoncina. “Tutto bene?”
Ma se si aspettava un grazie e un bacio, dovette rivedere i suoi piani, perché la ragazza gli rivolse uno sguardo decisamente ostile.
“Tutto bene, grazie.” rispose seccamente, dandogli le spalle.
Oh.
Era incazzata. E parecchio.
Cadde letteralmente dalle nuvole, fissando attonito le piccole spalle di lei strette e rigide sotto un trench grigio perla che costava quanto una casa e le stava – naturale - divinamente.
“Hey!” si sbalordì, raggiungendola in fretta. Ok, cosa aveva fatto? Cercò di ricordare ma non gli venne in mente niente. O era solo che vederla così arrabbiata lo mandava nel panico? Cosa cavolo aveva combinato? Non era che...? “...Cristhine, sai benissimo che con quello che ha scritto Rita io non...”
Le afferrò una manica, ma quando lei si girò verso di lui le parole caddero nel vuoto. Aveva gli occhi lucidi.
“Non me ne importa un accidente di quello stupido giornale!” sbottò con rabbia. “Non è per quello!”
“E allora... perchè...?”
Lei gli puntò un dito sugli zigomi, anzi, no, poco più su. Sulle...occhiaie...
“L'avevi promesso!” la voce le si era fatta alta. “Avevi promesso che non ti saresti messo in pericolo!”
Oh. Sirius afflosciò le spalle, zittendosi. Oh, ecco che cos'era.
“Cristhine...”
“Da quant'è che va avanti, eh?” si divincolò rapida, fissandolo in un misto di ira e apprensione. “Da quant'è che non dormi? Quante ore sono state stanotte, una, due ore di sonno?! Per quanto ancora farai finta di niente? Per quanto ancora farai quegli incubi senza dire nulla a James, agli altri?”
Per quanto ancora? Per tutto il tempo del mondo.
Perché di quegli incubi, delle sensazioni che provava durante essi...lui aveva vergogna.
Marcio, marcio...
“Lo so, che continui a farli! Lo vedo, non ti reggi in piedi da giorni! Non sono normali, Sirius! Non è normale! Perché non vuoi accettare un aiuto?!”
L'hai provata anche quella volta, quella sensazione.” sua madre, dietro di lui, ridacchiò. Sentiva le sue braccia avvolgerlo da dietro, soffocarlo. “Quando hai fatto il Rito di Sangue. Ricordi, Sirius? Ricordi quell'immenso piacere?
Ricordava una casa, bella e piena di nobili odiosi. Un castello freddo, che aveva detestato dal primo momento in cui vi aveva messo piede.
Una festa. Risate finte, pompose. Odore di tartine al salmone, di martini e dopobarba di marca.
“Non so perché accidenti non vuoi che gli altri ne vengano a conoscenza ma io non rimarrò zitta e buona a vederti ridotto in questo stato!”
Ricordava una stanza, al piano di sopra. E una fotografia, in mezzo a tante altre, dentro un vortice nero.
“Sirius, non è...!”
Ricordava un urlo. E ricordava una bambina, oltre la porta.
La principessa del castello. Bellissima, piccola e terrorizzata. Il tesoro nascosto.
Non si era nemmeno reso conto, Sirius Black, di aver schiantato Cristhine al muro. Non si era reso conto, perso in quell'inganno, di averle afferrato i polsi, di averglieli portati sopra la testa, di averli stretti contro le mattonelle sbeccate. Della sua pelle sottile e tremante sotto la sua presa di ferro.
Né si era reso conto di come il cuore le battesse più forte ora, contro la camicetta, contro il cappotto color perla. Come quello di un uccellino.
“Ho desiderato rubarti da quel castello dal primo momento in cui ti ho vista.” mormorò Sirius Black, mentre Cristhine ammutoliva, schiacciata da lui, dal suo sguardo gelido come granito. Il suo respiro era velluto sul viso. Aveva caldo, adesso, ma aveva anche freddo. Un freddo opprimente... “Ed ora l'ho preso. L'ho rubato. Ma questo tesoro parla troppo. Osa troppo.
Cristhine cercò di ribellarsi, le dita si chiusero a pugno fino a lasciarsi dei piccoli segni bianchi dentro i palmi, a forma di mezzaluna.
Cosa...stava...succedendo?
Le faceva paura...
Le faceva paura quello sguardo, quel modo di sorridere. Se ne rese conto subito.
Lui sapeva che era debole, sapeva che non si sarebbe potuta liberare se lui non avesse voluto. E sorrideva di questo. Perché?
“Sirius!” gemette, improvvisamente colta dal panico senza saperne il motivo.
Walburga Black rideva di cuore, dietro le spalle di suo figlio. Invisibile, impalpabile. Il ricordo di un incubo...o forse...l'incubo di un ricordo.
Quella sensazione...
Prendila pure.” sibilò al suo orecchio. Si sentiva così confuso... “Prendila, se ti va. Un Black può prendersi ciò che vuole. E d'altronde, lei è solo una piccola, insulsa...”
“...mezzosangue...” mormorò Sirius, e fu l'ultima cosa che disse prima che i suoi occhi tornarono ad ardere, a riprendere coscienza.
Cosa?
Sbatté le palpebre, la sua presa si allentò quasi automaticamente, per istinto.
Cosa le aveva appena detto?
Stava tremando, contro il muro. Perché? Perché tremava così?
“C-Cristhine...”
Fece per sfiorarla con una mano, ma la ragazza fece uno strano scatto, come quello di una lepre.
Gli piantò un palmo contro il torace, spingendolo via da lei con la forza della disperazione...e per la prima volta in vita sua, Cristhine McRanney scappò via da lui.
Fu in quel momento, che l'incubo ricominciò.





Una mosca zampettava pigramente sul bordo di un bicchiere che non vedeva l'ombra di uno straccio pulito probabilmente da anni.
Lily Evans non faceva altro che fissarla.
Uno stupido bicchiere sudicio appoggiato al sudicio bancone che si intravedeva da una sudicia finestra.
“Stai scherzando.” alitò, sconvolta, mentre James Potter stazionava con le mani sui fianchi sotto un'insegna storta su cui le tarme probabilmente avevano passato decadi della loro storia.
“Volevi privacy, no?” miagolò sardonico.
“Io lì non ci entro.” sentenziò la piccola Lily Evans, più bianca di un lenzuolo.
“Che figata!” urlò invece il piccolo James, con gli occhi a forma di stelle scintillanti.
Il Testa di Porco si innalzava davanti a loro come il più sordido e disgustoso covo di banditi di una qualsiasi fiaba per bambini.
Raggrinzito, fumoso e puzzolente. Il tetto sembrava il cappello di una strega e pareva ad un passo dal cedere.
“Beh? Non mi dirai che hai paura di un pub.”
Dio.
Dio, quanto era stronzo.
La Grifondoro serrò le mandibole fulminandolo con lo sguardo, prima di superarlo a passo di marcia spinta dal suo stupidissimo orgoglio.
Non sapeva il motivo per il quale si era incazzato, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di girare i tacchi.
No, no signore.
Lei era Lily Evans.
La stupida, orgogliosa Lily Evans che si stava infilando con la bellezza di non uno, ma ben DUE marmocchi in quello che con tutta probabilità era il peggior locale del paese.
“Con due bambini, Potter? Davvero un'ottima scelta!” abbaiò acida. “I Mangiamorte la dentro saranno felicissimi di farci amicizia!”
“Tranquilla, conosco il proprietario...” rimbeccò lui, aprendo la porta.
“Oh, fantastico! Perlomeno inventati una storia decente per giustificare la presenza di questi due! E fa che non sia nulla di imbarazzante!”
“Bei bambini.” berciò infatti Tom, scoccando loro un'occhiata di fuoco non appena misero piede lì dentro. “Chi cazzo sarebbero?”
“Sono i nostri figli.” cinguettò James, sufficientemente calmo da fare inciampare Lily sui suoi stessi piedi.
“ARGH!”
La sostenne senza nemmeno guardarla, ma solo allungando il braccio. Continuava a ghignare, incurante del suo stato di shock ma probabilmente Tom il barista - un tizio pelato che sembrava un avvoltoio avvizzito - doveva aver visto di peggio perché si limitò a dire: “Non azzardarti a chiamare qui gli Auror se te li rapiscono.”
“Rapire?!” strillò la mini Lily, attaccandosi alla gonna della sua finta madre con gli occhi a palla. “Perché dovrebbero rapirci?!”
“Tranquilli, rimaniamo solo il tempo di una Burrobirra.” sospirò James, alzando le mani in segno di resa. “Fate i bravi e nessuno vi mangerà questa sera.”
“Sta scherzando, vero?!” bisbigliò la bambina al suo degno compare, ma l'altro marmocchio era troppo impegnato a fissare le enormi corna ricurve che sbucavano dalla testa di un energumeno pieno di peli che stava bevendo al bancone.
“CHE FI-GA-TA!”
“Tu è meglio che mi stai appiccicato.” considerò il Grifondoro, prendendoselo sotto l'ala mentre si dirigevano ai tavoli.
“Com'è che sei passato dal volerlo fare secco al volerlo proteggere?” ironizzò la Evans più grande, cercando di ignorare un paio di vampiri che se la mangiavano - letteralmente – con gli occhi.
“Perché è l'unico ad apprezzare questo posto! La tua copia se la sta facendo sotto o sbaglio?”
“Non me la sto facendo sotto!” strillò sottovoce la bambina, indispettita oltre misura. “Sono solo al limite dello sdegno!”
“Dio, che deja-vu.” James si passò una mano sulla faccia, divertito. “Mi mancava quella vocetta altezzosa, sai?”
“Oh, va a prendere quelle cavolo di birre...” sbottò la Evans, sfinita. Accidenti a lui, ma che gli era preso? Quello era palesemente un dispetto.
Ma se si aspettava che cedesse, sbagliava di grosso!
“E tu piantala! In questo momento sono tutto meno che commestibile!” sibilò sepolcrale ad un vampiro che si era avvicinato pericolosamente con tutta l'aria di volerle annusare il collo.
“Già. Sangue acido!” replicò quello. Era addirittura infastidito! Lui!
Osservò sospirando i due Potter dirigersi al bancone prima di accorgersi del penetrante sguardo della piccola Lily, che la fissava serissima sulla sedia di fronte. Conosceva quella espressione...d'altronde era la sua.
“Che... che c'è?” borbottò, a disagio.
“Perché?” chiese solo quella, quasi tristemente. “Perché hai tradito te stessa?”
“Ma di che parli...?”
“Lo sai! Lo vedo come ti guarda! Li ho sentiti i vostri discorsi!” inveì la marmocchia, fiammeggiando. “Ti sei messa assieme al nemico!”
“Non intendo discutere di questo con la mia copia del passato!”
“Io sono te! Voglio solo capire cosa diavolo ti è saltato in testa! Ti sei fatta... sconfiggere! Tutto quello in cui credevi...tutto ciò per cui lottavi, l'hai buttato via per lui!”
La situazione la stava mettendo a disagio oltre ogni dire. Guardò altrove, sentendo un pugno nello stomaco. Accidenti a San Zuccherino.
Non sapeva cosa rispondere...perché quello stesso sdegno era il suo. Perchè capiva perfettamente lo sgomento che stava provando quella bambina.
Come aveva fatto quel maledetto ad incastrarla così? Eppure...
“E'...diverso.” mormorò piano, sentendosi tiepida in un modo incredibilmente piacevole. “E' cambiato.”
Sì. Sì, lo era. Ne era certa, tutto sommato.
Non riuscì a fare a meno di sorridere tra sé, e quello mandò la bimba in bestia, dal momento in cui fu evidente quanto fosse una battaglia persa.
“Ne sei davvero sicura?” sibilò, alzandosi di scatto.
“Dove vai?”
“Al bagno! Non affannarti a seguirmi, a quanto pare nel passato so cavarmela meglio di te nel Presente!”
Peccato che la porta del bagno fosse chiusa. E lei che voleva solo seppellircisi e piangere tutte le sue lacrime! Tornò come una furia al bancone con l'intenzione di chiedere la chiave, alzandosi sui piedini per riuscire a vedere oltre alla fila di bottiglie sporche e tenendosi alla larga il più possibile da quel dannato Potter che le stava facendo la linguaccia, mentre il più grande era tutto impegnato a trattare il prezzo per – a quanto riusciva a sentire – un alcolico non propriamente legale arrivato da chissà dove.
Era così impegnata a rispondere per le rime alla sua nemesi in quella nevrotica guerra di boccacce e smorfie che non si accorse di stare indietreggiando...fino a che non andò a sbattere contro qualcuno dietro di lei.
“Dovresti fare attenzione a dove metti i piedi, mocciosa.” sibilò una voce, e sollevando lo sguardo la piccola si scontrò contro due gelidi occhi bruni. Un uomo enorme la fissava, tra le mani un calice di una strana brodaglia di non ben definita origine. Pur essendo muscoloso, aveva una sorta di eleganza altera, e le dita erano piene di anelli costosi. Portava un lungo mantello nero con filature argentee e un grosso panama nero che celava agli altri buona parte del viso...anche se, da sotto, la bambina riuscì a vederglielo per intero. E la sua espressione piena di disprezzo e disgusto la paralizzò sul posto. “Cristo, io odio i bambini.”
“S-s-scusi...”
Lui si chinò più, trapassandola con gli occhi da parte a parte. Non riusciva neanche a muoversi.
“E odio ancora di più i bambini mezzosangue.” ringhiò basso sibilando fra i denti, mentre lei trasaliva violentemente. Si toccò l'avambraccio con fare eloquente, chinandosi ancor più vicino. Lei lo fissava cadaverica e immobile come un topolino. “Si sentiva il tuo fetore da Sangue Sporco fin oltre la porta d'ingresso, feccia.”
Il suo alito sapeva di alcool, si sentì soffocare dal profumo della sua colonia. Avrebbe voluto tossire, ma era ipnotizzata da quell'ondata di livore improvviso che quell'estraneo le stava rovesciando addosso senza motivo.
Sentiva gli occhi pizzicarle dolorosamente... e non mosse un muscolo nemmeno quando lui allungò la mano verso di lei.
Perchè? Perchè era così crudele? Cosa gli aveva fatto di male?
Qualcosa poi, esplose. Un bicchiere sul bancone si frantumò sotto una scarpa da ginnastica...e un'ombra parve quasi balzarle sulla testa, arrivando da dietro.
Il piccolo James Potter pensò bene di terminare il suo salto di mezzo metro esattamente sulla larga visiera del cappello, che slittò sulla faccia del tizio fin quasi al mento.
“Levati, scemo!” urlò a gran voce, ridendo, e avendo ben cura di fare leva sul suo mento prominente per riprendere a saltare oltre le sue spalle. Sembrava una scimmia volante.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa, quell'uomo odioso si ritrovò la suola delle sue scarpe in testa - che diedero un ultimo assestamento al cappello ormai rovinosamente incastrato sulla faccia – e barcollò all'indietro urlando come un pazzo fino a schiantarsi addosso ad una specie di grosso uomo-ariete...che ruggì incazzoso e lo spedì con con una testata dritto sul tavolo dei vampiri.
Era sangue, quello che si era appena rovesciato?
Da lì in avanti, il delirio totale.
“James!” strillò Lily, balzando in piedi con la bacchetta in mano.
Il capo dei Marauders pensò bene di acciuffare la sua ragazza e i marmocchi perché si era appena creata una vera e propria rissa da stadio.
Facendosi minuscoli i Grifoncini gattonarono via mentre tutti picchiavano tutti e forze magiche facevano volare qui e là bicchieri e piatti sotto le urla di Tom, chiudendosi poi la porta alle spalle con gli occhi a palla e pezzi di bucce d'arancia nei capelli. Da dietro, c'erano sibili di serpenti, bestemmie e ringhi decisamente non umani...
“Cosa accidenti è successo?!” strillò la rossa, incespicando fuori dalla portata di quei pazzi.
“Non lo so, stavo prendendo da bere!”
“E' tutta colpa tua! Come diavolo ti è venuto in mente di trascinarci in quel postaccio?!”
“Non è un postaccio! Sono solo...clienti sanguigni!”
“C'ERA DEL SANGUE UMANO NEI CALICI DI QUEI VAMPIRI!”
“Lo compra dagli ospedali!” lo giustificò James, leale fino all'ultimo a Tom il barista. “Mica sgozza la gente!”
“Sangue? Wow!” cinguettò il più piccolo dei due, eccitato come non mai.
“Zitto! E' tutta colpa tua! Perché ti sei messo a ballare sul bancone e a saltare in testa alla gente come uno stupido?” strillò improvvisamente la piccola Lily, e tutti la fissarono sconvolti dal momento in cui stava piangendo in modo isterico.
Il bambino ricambiò lo sguardo sconcertato, prima di guardare altrove. Questa poi. Era in imbarazzo, finalmente!
“Mi stava solo antipatico quel tizio.” sbottò infine, incazzoso. “Non devo certo giustificarmi con te, che ti metti a chiacchierare coi Mangiamorte!”
Quella urlò come un'aquila e lo sorpassò con uno spintone, andando a rannicchiarsi contro un tronco poco più in là, al limitare del bosco.
La osservarono dare loro le spalle e asciugarsi le lacrime con rabbia dalle guance arrossate, che però continuavano a scendere malgrado i suoi sforzi.
La rossa più grande sospirò. Credeva di aver capito cosa era successo, a differenza altrui.
Ci era passata numerose volte. L'umiliazione, il senso di inferiorità...la rabbia.
“Tu.” ordinò al bambino, con voce atona. “Va' un secondo assieme a lei.”
“Eh?! Perchè mai dovrei...!” cominciò quello, ma ci rimase letteralmente di sale quando la ragazza lo fulminò con uno sguardo da psicopatica assassina che lo terrorizzò a dire poco. Poteva quasi vedere delle fiamme levarsi alle spalle di quella creatura diabolica... e visto che QUELLA Lily Evans era decisamente più grande e forte di lui, decise saggiamente di chiudere il becco e fare come gli era stato ordinato.
“E tu!” si rivolse al capo dei Marauders con occhi di fuoco. Lui incassò la testa nelle spalle. Oh oh, era il suo turno... “Si può sapere cosa ti è preso?!”
“Che è preso a te!” ironizzò lui, anche se era stizzito. “Che succede, principessa? Credevo che certe cose fossero ormai superate, fra di noi. O forse avevo intuito male?”
“Ma di che accidenti stai parlando?”
Lui ghignò di nuovo. Accidenti, che ragazza allucinante.
Il momento prima sembrava che tutto fosse definitivo e certo come il colore del cielo. Che fosse finalmente sua. E il secondo dopo di nuovo, le certezze crollavano.
Lo mandava fuori di testa.
“Pensi non l'abbia capito?” l'accusò, con un sorrisetto amaro. “Com'è che era, quella parola? 'Addomesticata'? E' questo che ti ha messo così ansia? Ti ritieni sconfitta, come stava strillando la tua copia in miniatura poco fa? E' per questo che vuoi fare le cose di nascosto? Perché sappi per me va bene anche così, bastava solo dirlo!”
Lei lo guardava sbalordita, quasi indignata.
“Pensi che mi vergogni di noi!” realizzò, cogliendo solo in quel momento il suo strano comportamento.
“Penso che tu dia troppo peso al giudizio della gente.” disse Potter, guardando altrove. “E' quello che fanno le brave bambine, no? Stanno alla larga dai tizi come me. Non rovinano la loro immacolata reputazione.”
Lei ricambiò il suo tono sarcastico, incrociando le braccia al seno.
“E i tizi come te, invece, cosa fanno? Oltre a saltare facilmente alle conclusioni, intendo!”
“Senti, lascia stare.” sbuffò quello, esasperato. “Ho visto come fissavi quel giornale! Ho visto quanto ne eri preoccupata! E lo so che ha scritto un sacco di cose del cazzo, quella! Lo so che ti ci metto sempre io, in queste situazioni...però...”
Però, se bastava così poco per far crollare tutto, allora erano davvero nei guai. Perchè problemi di quel tipo sarebbero stati all'ordine del giorno.
E se lei...se lei...
Oh, cazzo. Che situazione assurda!
Si sentiva un bambino, ma se prima il fatto di non poterla avere lo mandava fuori di testa, ora il fatto di averla e poterla perdere era ancora peggio.
Credeva che sarebbe stato tutto a posto, ora, ma l'ansia si era come quadruplicata.
Perché lei ora era sua e ciò che era suo...
Chiuse gli occhi, passandosi le mani sul viso.
Cristo. E così, alla fine, era di nuovo finito a pensare a quello.
Forse era quasi meglio così. Che gli spezzasse il cuore per una sciocchezza del genere. Una banale questione di reputazione.
La solita storia di principesse e cattivi ragazzi. Di cose belle e fulgide come fiamme destinate a divampare in fretta...e finire in cenere con la stessa velocità.
Scosse la testa, cercando di non pensare. Di non pensare...al segreto. Colse solo lontanamente il rumore delle scarpe di lei, poco più di un soffio a confronto con il suo cuore che ora, batteva forte come un rombo di tuono.
Gli mancava quasi l'aria, al solo pensiero. Al ricordo di ciò che era uscito dalla bocca di suo padre, molti anni prima. Al pensiero che lei era sua e ciò che era suo...ciò che era suo...
Lily Evans gli afferrò il bavero del cappotto, con rabbia.
Lo obbligò a guardarla in faccia, tirandolo giù. Ma fece molto più di quello.
I suoi occhi verdi e luminosi lo riportarono alla realtà nel giro di mezzo secondo. All'ossigeno.
Lontano da certi pensieri. Lontano dall'oscurità.
“Era per te, che mi preoccupavo!” quasi gli urlò in faccia, piena di incazzosa determinazione.
Lui batté le palpebre, confuso.
“C-cosa?” balbettò, ancora strabiliato da quel suo strano potere. Era bastato averla vicina...e tutto si era spento. Così, nel giro di mezzo secondo. Ci mise un po' ad connettere con il significato di ciò che stava dicendo, incatenato alla purezza delle sue iridi di smeraldo ora così grandi e vicine. “Preoccupata per me?”
“Già, idiota!” sbottò la ragazza, al limite dell'esasperazione. “Ti ci va tanto a capirlo?! Oh, che sciocca! Certi concetti te li devo spiegare con i termini del Quidditch altrimenti non sei biologicamente portato ad afferrarli!”
Continuò a fissarla basito e quello parve farla incazzare ancora di più. Per un secondo pensò che gli avrebbe tirato un cazzotto ma lei inspirò un paio di volte prima di brontolare con tono più basso, senza guardarlo più negli occhi: ”Ho visto la tua espressione mentre leggevi quella schifezza. Il modo in cui Rita Skeeter ti ha dipinto...il modo in cui tutti ti vedono. Lo so che ti fa stare male, cosa credi? Non sei così incomprensibile come pensi, sai? Perché credi che ti abbia trascinato a risolvere il guaio di San Zuccherino per tutto il giorno?!”
Si era...preoccupata per lui? Stava capendo bene? Mentre lui era in paranoia su di lei, sul fatto che tutta quella merda avrebbe presto sotterrato la loro relazione, lei pensava a distrarlo?
La ragazza risollevò lo sguardo digrignando i denti, di nuovo animata da uno strano fervore, una rabbia senza pari.
“Se pensi che basti uno stupido giornale a farmi ritornare sui miei passi... se pensi che io mi senta sconfitta, che mi vergogni...o metta il mio orgoglio davanti a quello che c'è stato...!” Gli afferrò la cravatta, tirandoselo vicino con una cosa terrificantemente simile alla possessività. Ma non lo baciò. Si voltò urlando verso la sua copia in miniatura, che li guardava sconvolta. “Hey, tu! Mini-me! Io sono la sua dannata fidanzata, è chiaro?! E lo sarai anche tu, per cui mettiti il cuore in pace!”
Si staccò ansimando da lui, che continuava a fissarla in silenzio, ignorando i due mocciosi che aveva appena traumatizzato a morte.
“Ecco, sei contento?!” strillò. “Dio, sei così scemo che mi viene voglia di affatturarti qui sul posto! Ma con chi credi di avere a che fare, eh?! Anche io sono una Marauders, ficcatelo in testa! La mia reputazione se ne è già andata da un pezzo, te ne sei accorto o eri troppo impegnato a farti fare foto mezzo nudo da quella tizia?! Tra l'altro, com'è che ce l'avevi nel letto, eh?!”
Ricevette qualche pugno sul petto e una sequenza di insulti da far cascare i santi, decisamente meritati ma nemmeno li sentiva.
Tutto quel peso orribile che gli si stava formando nel petto si era come smaterializzato. Per merito suo.
“Ah.” balbettò solo, inebetito come se avesse preso un bolide in faccia. E ovviamente, quando non si ha il cervello connesso, si dice la prima cosa che capita. E anche la più sbagliata, ovviamente. “Tu...tu sei gelosa. Cioè, di me. Sei gelosa...di me...”
La Evans lo gelò con un'occhiata e nemmeno due secondi dopo, gli sbatté in faccia qualcosa di estremamente viscido.
“La tua biscia finta!” ringhiò, afferrando la sua copia e caricandosela in spalla con un diavolo per capello. “Tienitela, spero che ti serva a qualcosa!”
Girò sui tacchi e sparì dietro l’angolo con la velocità d’una saetta, lasciandolo lì piantato come un fesso.
Rimase a fissare la sua scia mentre il nanerottolo numero due lo affiancava masticando una Piperilla Sputafuoco.
“Le odio, quelle.” commentò, con una smorfia, catturando la sua attenzione.
James parve finalmente risvegliarsi. Ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli.
“Smettila. Lo sai anche tu che non è vero.” lo zittì, iniziando a sorridere e mettendogli una mano sulla testa giusto per stuzzicarlo affettuosamente ancora un po'.
“Sì invece!”
“Pensi che non ti abbia visto, prima?” ghignò il mago più grande, sotto i baffi. “Sei saltato sulla faccia di quel tizio apposta, nel pub.”
Il bambino si ammutolì, imbronciato...e lui si inginocchiò fino a portarsi all'altezza del suo sguardo.
“So perché ti comporti così.” disse solo, dolcemente. “Ci sono passato anche io, no?”
“Non voglio parlare di papà.” mormorò lui, improvvisamente spaventato.
“Lo so.” sussurrò James, continuando a sorridere. “Ma sappi una cosa. Arriverà qualcuno che sarà in grado di fermare il dolore che provi ora. Il senso di colpa, la rabbia, la voglia di ribellarti, di spaccare tutto e metterti nei guai. Qualcuno che fermerà la tua brama del pericolo, il desiderio di farti male e sfidare il tuo destino. Qualcuno che sarà in grado di cancellare ciò che ci ha detto papà, anche solo per pochi, fantastici istanti. E so che ora ti sembra impossibile, ma quel qualcuno sarà Lily. E fidati, moccioso. L'aspetterai per anni e alla fine...” Alzò lo sguardo al cielo, esasperato. “...Alla fine, l'amerai più di ogni altra cosa al mondo...”





Il tramonto stava tinteggiando le guglie della scuola di magia quando tutti i suoi discepoli fecero ritorno da quella folle gita.
E per un motivo strano ma del tutto casuale, nessuno dei Marauders fece rientro assieme ai propri compagni.
Chi arrabbiato, chi triste, chi perso, chi in pace... la scuola accolse tutti loro, di nuovo, in solitudine.
E probabilmente era meglio così, pensava Remus Lupin, adocchiando il sorrisetto odioso di Rita Skeeter.
Certe cose, per essere fatte bene, andavano fatte per proprio conto.
“Appuntamento in una stanza vuota, noi due soli...allora ti sei proprio innamorato di me, eh Lupin? Hai una vera fissa per quelle più piccole!” lo stuzzicò la serpe, con un risolino perfido...che andò a scemare quando vide la faccia tranquilla del Grifondoro. “Beh, cosa vuoi?”
“Che ritiri ciò che hai scritto.” cinguettò il biondino.
“Stiamo già per fare la seconda stampa! No, grazie tesoro!”
“Oh, e invece lo farai Skeeter, e sai perché?”
“Illuminami...”
Il sorrisino diabolico che spuntò sul viso di Lupin fu qualcosa di davvero speciale.
“Ci ho messo davvero un sacco. Sei sempre stata furba, vero?” spiegò dolce come il miele e con un finto sospiro di fatica. “Ma alla fine, dopo il duro lavoro di quasi cinquanta spie, qualcosa è saltato fuori.”
“Ma di che cavolo stai parlando?” sbottò la giornalista, iniziando a sudar freddo.
“Perché non me lo dici tu, Mitrica?”
La calma inflessibile di Rita Skeeter crollò come un castello di carte al primo soffio di vento.
Assottigliò lo sguardo, irrigidendo la mascella.
“...Cosa...?”
“Esami G.U.F.O.” replicò serafico Remus, con una calma e una gentilezza agghiaccianti. “C’è stato un casino, l’anno scorso. Una fitta rete segreta di studenti che si faceva passare le risposte di una certa Mitrica. Hanno dovuto rifare il test, modificarlo totalmente, quando è venuta fuori questa cosa…ci hanno messo mesi e mesi per scoprire chi aveva copiato e chi no.”
“Tu…” ringhiò la Skeeter, furiosa. “Come diavolo hai...?!”
“Sono un Marauder e un Prefetto, cara. Pensavi di essere l'unica nella baracca ad avere una rete di informatori?”
E anche quella era fatta, pensò felice il ragazzo, osservando la sua odiosa faccetta da volpe sgretolarsi nello sgomento.
“Togli quella roba dal Giornale oppure dirò tutto a Silente. E ti farò chiuder baracca in meno di un battito di ciglia.”
“E’ uno sporco ricatto!”
“Se preferisci, lascio fare ai ragazzi. Ma l'intenzione era quella di bruciarvi l'ufficio e appendervi tutti ai Gargoyle in torre Ovest...”
Lei lo fissò come se desiderasse vederlo morto stecchito all’istante mentre lui fingeva di rifletterci su con tutta l'innocenza del mondo.
“Ti ricordo che ho ancora la copia della lettera di Petunia...”
“Nah.” cinguettò il Grifondoro, senza scomporsi di una virgola. “Quella era una palla, dai. L'ho capito dal primo momento in cui l'hai detto! Spero tu scriva meglio di come bluffi!”
Sconfitta su tutta la linea.
“Va bene…” Accettò con riluttanza, l’espressione di chi ha appena mangiato un limone. “Va bene…smentirò tutto…ma dopo il prossimo giornalino! Quello è già in uscita e non lo posso modificare.”
Ah, che goduria!
“Meglio di niente!” sorrise Remus, soddisfatto. “Puoi andare! Oh, e mi dispiace ammetterlo ma, sì. Sembri decisamente troppo vecchia per me. Forse, con meno trucco...”
Rise di gusto mentre la biondastra usciva urlando di rabbia dalla stanza, sbattendo la porta fin quasi a scardinarla.
Doveva decisamente offrire una pizza a tutti, rifletté, divertito. Oltre a dar loro il compenso in galeoni, certo. Quei poveretti avevano passato l'intera giornata a scandagliare l'intero passato della Skeeter senza fermarsi un attimo! E vestiti come dei ninja, per di più! Ok che quella era stata una loro idea... però avevano fatto un ottimo lavoro!
Alzò il viso, osservando il tramonto che infiammava rosso e dorato oltre il porticato della scuola.
Sì, una pizza se la meritavano, questa volta.
Ma prima...




Erano quasi le sette quando Ninfadora Tonks si vide volare un piccolo gufo di carta fra le mani.
Lo fece atterrare fra i palmi, stupita e curiosa, e anche ben grata di avere una distrazione dal tampinamento del suo compagno di classe che, a quanto pareva, non aveva ancora afferrato l'antifona di quella mattina e la stava tirando scema a furia di lusinghe e chiacchiere vuote a cui a stento aveva prestato ascolto.
Quel giorno era così strano, e triste... anche se San Zuccherino era finito, non aveva fatto altro che aspettare che tutti loro si scordassero di lei. Era così tanto abituata a scomparire dalle vite degli altri che ora le sembrava quasi impossibile che potesse accadere il contrario.
Ma il biondino era così preso dal narrare le sue gesta a Quidditch che non pareva aver colto il suo stato d'animo... e parve ricordarsi della sua esistenza solo quando il gufo di carta batté le ali tra di loro.
“Uh, un biglietto?” accennò vacuamente mentre lei balzava dalla poltroncina come se avesse appena preso la scossa.
“E' di Remus!” sorrise, e qualcosa nel suo sorriso doveva essere parecchio eloquente perché il tizio si rabbuiò.
“Lupin?” fece una smorfia. “E che vuole ancora da te?”
“Vuole incontrarmi nella Stanza delle Necessità...” borbottò la Grifoncina, ignorando il suo cipiglio.
“Vuoi che ti accompagni, Ninfadora?” si erse lui in sua difesa, gonfiando il petto come un tacchino. “Non mi piace come ti gira attorno, quello! Ti lancia certe occhiate...e poi non ti aveva baciato con la forza, tempo fa? Scandaloso che uno del Settimo faccia certe cose con le studentesse più piccole! E' pure Prefetto! Avrebbero dovuto espellerlo! Se ti sta infastidendo, ti posso difend...”
Come se non avesse nemmeno parlato. Lei lo rimise a sedere piazzandogli distrattamente una mano sul naso senza staccare gli occhi dal biglietto.
“Non chiamarmi Ninfadora.” mormorò solo, già sulla via d'uscita.
Lui fece per richiamarla ma non lo ascoltò neanche, presa a camminare per il corridoio, incantata nel leggere e rileggere quella calligrafia bellissima ed elegante.
Chissà che voleva, Remus... che scrittura fantastica, lei macchiava sempre il foglio di inchiostro invece... e la carta, aveva il suo profumo...
Se lo strinse al petto, sentendo improvvisamente un grande dolore irradiarsi dal centro del suo corpo.
Cercò di non piangere, mentre camminava. Non voleva farsi vedere giù di morale. Era stata brava a recitare fino a quel momento...nessuno si era accorto della sua tristezza. Non doveva cedere adesso.
E tristezza per cosa, poi? L'incantesimo era spezzato, lei aveva finalmente la sua vera faccia...e aveva ritrovato i suoi amici!
Silente le aveva assicurato che non l'avrebbero più dimenticata! Perché aveva così paura?
Quel dannato giorno, pensò sospirando e aprendo la porta della Sala delle Necessità. Non vedeva l'ora che finisse...
La Sala era vuota, illuminata tiepidamente dal sole che stava per tramontare. Qualcosa crepitava vivacemente sul fuoco di una griglia, al centro. Un profumo squisito invadeva l'area.
Oh.
Rimase immobile, Tonks.
Occhi grandi e spalancati. Incapace anche solo di respirare...ed il cuore gonfio come un caldo palloncino pronto ad esplodere.
Remus sollevò lo sguardo su di lei, la fronte leggermente sudata per via del calore del fuoco, il sorriso più dolce del mondo stampato sul viso.
Non c'era più traccia, in lui, di quello strano atteggiamento nel pomeriggio. Era di nuovo il suo Remus.
Rigirò il bacon con un colpetto di spatola, facendo arrostire l'altro lato che parve quasi sciogliersi in una nuvola di grasso succulento.
Tornò a darle le spalle, in silenzio, sistemandosi leggermente il grembiule bianco che si era allacciato in vita.

Se poteste scegliere, quale sarebbe il suono che vi rilasserebbe di più in un momento di ansia?”

Il rumore del bacon che sfrigolava sulla griglia era assordante.
Tonks sorrise, cercando inutilmente di ricacciare indietro le lacrime. Si sedette accanto a lui, osservando incantata il bacon sfrigolare, le sue dita abili, il modo in cui la brace scoppiettava indorandosi e accartocciandosi.
Lui non parlò nemmeno una volta. Non ce n'era bisogno.
Le passò solamente un fazzoletto, continuando a cucinare. Asciugandosi ogni tanto il sudore dalla fronte.
La osservò chiudere gli occhi, accogliere quel suono e rilassare finalmente le spalle che erano state rigide per tutta la giornata. Sentiva la sua emozione attraverso il battito del suo cuore, prima frenetico e poi, piano piano, di nuovo tranquillo.
Non sarebbe mai stata sua. Lo sapeva. Ma nulla gli avrebbe impedito di tirarla su di morale. Di fare il possibile affinché lei stesse bene. Se non poteva essere il suo principe, allora sarebbe stato l'amico migliore del mondo. Il suo custode. La sua ancora di salvezza quando tutto si faceva buio.
Sì, quello era innocente. Puro. Quello, poteva farlo.
Rimasero così a lungo... due anime incatenate, perse in un suono. In un ricordo ritrovato.
Il giorno di San Zuccherino stava finalmente finendo... ed ora, finalmente, Ninfadora Tonks non aveva più paura.





James Potter sentì dentro di sé due sentimenti contrastanti.
Ed entrambi, non erano suoi. Un'ondata di calore, di amore intenso e profondo, di felicità. E, dall'altra parte, qualcosa di strano...come un'ansia, una strana sensazione ma ovattata, come se Sirius fosse su un altro pianeta.
Si tolse dalla bocca il filo d'erba, osservando il prato ondeggiare morbidamente al vento, rifulgere del fuoco del tramonto...che giocava in modo incredibilmente eccitante con il rosso dei capelli di Lily Evans, che arrivava a passo di marcia verso di lui.
Le altre persone si stavano già dirigendo a cena, ma alcune si fermarono a fissarla con morbosa curiosità...senza che lei si degnasse di prestare loro attenzione.
Guardava solo lui, Lily Evans. Il modo in cui la sua figura, seduta mollemente contro un albero, sembrava incendiarsi al calare del sole alle sue spalle. Brillare come una cometa.
Avrebbe sempre brillato più di ogni altra cosa, si rese conto. Ma non aveva più paura di venirne accecata.
No, ora lei accoglieva quella luce come se fosse ossigeno...e qualcosa di caldo le colò dentro di nuovo.
James…
Come quando, poco prima di decidere di andare a cantargliene di nuovo quattro, aveva adocchiato le due pesti per controllare come stavano...
e li aveva trovati entrambi addormentati, stretti teneramente l'uno all'altro.
Abbracciati e sorridenti, mentre piano piano iniziavano finalmente a scomparire dissolvendosi in una nuvola di piccole farfalle scintillanti.
Era rimasta a guardare il bambino che aveva sempre detestato per anni stringere in maniera protettiva il suo alter ego... e allora aveva capito, finalmente.
Non era James ad essere cambiato negli anni...erano i suoi stessi occhi ad averlo fatto.
Era il modo in cui l'aveva sempre visto, ad essere mutato.
E in quel preciso momento, dopo sette lunghi anni, si era resa conto che la maschera di James Potter... lei gliel'aveva tenuta su con tutte le forze, contro la faccia. Ma ora, con la stessa facilità, gliel'aveva fatta cadere.
E il viso dietro di essa… la visione più bella dell'universo. Lo guardò a lungo, ora che riusciva a vederlo per quello che era.
Anche lui la fissava, con quell'aria di sfida e quell'espressione sardonica.
Lo vide alzarsi, fronteggiarla...
“Dai, avanti.” Sbuffò il Marauder, alzando gli occhi al cielo. “Urlami ancora addosso di quanto sia spregevole! Me lo merito.”
Ed invece, lei gli sorrise dolcemente, facendogli sgranare gli occhi.
Con le mani dietro la schiena, si avvicinò, si alzò in punta di piedi e gli sfiorò le labbra con le proprie, morbide, tiepide ed umide... un accenno di bacio, così leggero da sembrare il tocco di una farfalla ma così intenso da mandargli il cuore tra le stelle.
Fu insopportabilmente breve... e rimase a fissare inebetito quei suoi occhioni, che ora lo stregavano e imprigionavano da dietro lunghe ciglia da bambola in un'espressione furbetta, seducente come nient'altro al mondo.
“Non sei poi così male...”
James sorrise, quasi divertito...sfiorandole la guancia con i polpastrelli, godendo di quel bruciore che risaliva ronzando lungo la pelle non appena la toccava ed il galoppare del sangue nelle vene nel sentirla irrigidirsi e sciogliersi nello stesso momento sotto le sue dita.
La cinse alla vita con uno scatto, cogliendola di sorpresa e stringendosela contro. Lei lo lasciò fare... lasciandolo in pura estasi.
“Hey! Abbiamo una coppietta che tuba!”
Fu Arthur Weasley, quel demonio, a dare l'allarme, sghignazzando come un matto.
“Aah, chiudi il becco rosso!” ghignò James, mentre Lily rideva. “Seccatori!” aggiunse, quando una folla di studenti – Grifondoro primi fra tutti - parve circondarli, iniziando a schiamazzare.
“Aspetta...” sussurrò la rossa, strizzandogli l'occhio. Prese il lembo del lungo mantello nero della sua divisa, annodato al collo, e in men che non si dica lo portò sopra le loro teste coprendo entrambi, isolandoli da tutto e da tutti.
Il mondo esterno parve quasi spegnersi...ed ora il silenzio regnava sovrano, nella loro piccola bolla di stoffa.
Ma non era totale...no. C'era il rumore dei loro cuori, dei loro respiri ora più rapidi...
“Ma tu guarda, Rossa... non ti facevo così sfacciata.”
“Si chiama pudore, Potter! La parola ti dice niente?”
“Nah. Niente di niente.” lui ghignò sul suo viso, vicinissimo. “Ti farà piacere sapere che Remus ha fatto fuori la Skeeter. Metaforicamente, intendo.”
“Ottimo! C'è da festeggiare.”
“Io festeggerei anche adesso...” replicò lui, perverso.
“Porco!” Lily sbuffò, fulminandolo con lo sguardo mentre un delizioso rossore le si dipingeva sulle gote e faceva a pugni con la sua espressione battagliera. “Se pensi che ora sia tutto in discesa, con me...!”
“Beh, siamo sotto un mantello e tu hai le braccia attorno al mio collo...”
“Sei sempre troppo sicuro di te, sai?” Sbottò lei, prima di ghignare malignamente. “Per essere uno che ha frignato perché non l'ho portato da Madama Piediburro, intendo...”
“Strega.”
“Cretin...”
James le tappò la bocca con la propria. La sentì ribellarsi appena, mordergli le labbra in un lieve pizzico, per punizione... con il solo risultato che lui se la strinse addosso più forte, ancora più euforico.
Era incredibile come fosse riuscito a resistere fino a quel momento. Forse perché amava bisticciare, stuzzicarsi...sfidarsi...
Si baciarono a lungo, fino a che ebbero fiato, sorridendo e lottando, mordendo e accarezzando... come persi in un vortice.
E James era dannatamente bravo, pensò sgomenta Lily, sentendosi cedere le gambe come se fossero di burro. Lui la sorresse per la vita, sogghignandole sulla bocca con soddisfazione. Era assurdo che fosse così bravo a fare quello. Come se fosse nato per baciarla. Per incastrarsi perfettamente contro di lei...e farle perdere la testa, spedirla in un profondo oblio. Ora la sentiva...la forza gravitazionale del suo Famiglio. Il modo in cui i loro corpi si accendevano e bruciavano, e si desideravano fino a stare male quando erano lontani. La sensazione di profondo appagamento quando le labbra assurdamente morbide e calde di James pigiavano sulle sue. Come tornare a respirare da una lunga e dolorosa apnea. Era stata in apnea tutto il giorno, anche se non l'avrebbe mai ammesso. Realizzare che lui veniva prima di ogni altra cosa era stato scioccante. Prima di tutto, prima anche del suo orgoglio... per questo si era così arrabbiata quel giorno. Perché l'aveva ipnotizzata, incatenata, le aveva sconvolto l'esistenza e quell'idiota nemmeno se ne rendeva conto!
Come poteva desiderare in quel modo folle e disperato colui che fino a qualche giorno prima aveva considerato come un rivale? Non ci era affatto abituata. Era una specie di malattia, ma era anche la cura stessa. Maledetto Marauder...
Quando si staccarono, rimasero così, abbracciati, a fissarsi negli occhi, a respirare ancora un po' l'essenza dell'altro. Senza quasi più ossigeno.
Senza desiderare nulla di più.
“Che ne dici...” mormorò James, con una voce roca che la riempì di brividi. “Che ne dici se la smettiamo di auto-sabotarci a vicenda e stiamo assieme e basta?”
Lily annuì, fu in grado di fare solo quello.
Qualcuno fischiava, da fuori...ma non li sentirono.

Che se ne facciano una ragione, parve dirle James con lo sguardo. E fattene una anche tu.

Perché adesso siamo assieme.

Perché loro due, finalmente, non erano più impossibili.







Sirius Black camminava in un sogno... ma non stava dormendo.
Sentiva perfettamente i propri piedi muoversi automatici, le piastrelle del pavimento della scuola, anche il tubare dei gufi in lontananza. Il chiacchiericcio, l'odore della cera sciolta dei candelabri e del disinfettante di Gazza.
Sentiva il sole scaldare la sua pelle attraverso le finestre.
Ma, ciò che i suoi occhi vedevano era una scuola buia. Immersa nella sera. Niente sole, niente chiacchiericcio.
Solo silenzio.
No, non silenzio assoluto...un fruscio. Acqua.
Scrosciava dell'acqua...
Dio, la testa dava fitte atroci. Come se le emicranie degli ultimi tempi si fossero addensate in un'unica, potente ondata.
Eppure, andava avanti. In quel sogno, in quel ricordo...non poteva fare altro che andare avanti.
Ed il mondo, la realtà stessa, perse i suoi contorni. Tutto si mischiava, tutto sembrava mentirgli.
Era vero, quel frinire di grilli? Era vera, la fiamma che si spegneva in quel camino?

Tu sei la fiamma, Sirius Black. E stai per spegnere ogni tua speranza di rimanere ardente.”

Trasalì, voltandosi indietro.
Ma non c’era nessuno.
Aveva veramente sentito parlare? O era stato solo il sibilo del vento?
E poi…un’altra fitta.
Più potente di tutte le altre. Riassettò finalmente il mondo in un'unica, sfocata immagine. Quella della sera.
Era totalmente dentro il ricordo, ora.



E quando gemette, sotto un altro tetto, sotto un altro cielo, qualcuno sorrise debolmente.
Con la faticosa consapevolezza che Sirius stava cedendo.
Ma anche Orion Black si sentiva debole.
Invadere Hogwarts era qualcosa di atrocemente faticoso. Il suo Signore l'aveva avvisato.
La magia di quella scuola era assoluta...impregnata nei muri da millenni.
Penetrare lì dentro gli sarebbe costato dieci anni della sua vita.
Era un prezzo equo.
Cos’erano dieci anni in confronto ad una esistenza di disonore?
Io NON permetterò la nostra caduta. Mai. Per nessun motivo al mondo.”
Non doveva mollare.
Sirius Black era il suo primogenito. Era suo. SUO.
Non l'avrebbe mai lasciato a nessun altro al mondo. No, non quel suo sangue così dannatamente prezioso...
Non si poteva perder altro tempo. Sirius doveva vedere.
Raccolse tutte le sue energie, gettando uno sguardo al fuoco del camino.
Con la speranza di avere abbastanza forza per poter ardere ancora un altro po’.





Una voce familiare. Dolorosamente familiare.
Mirtilla! Sono senza vestiti!
Era impossibile non riconoscerlo. Anche se ancora non lo vedeva, in quel ricordo maledetto...sentiva già la sua presenza, oltre la porta del bagno dei Prefetti.
Suo amico.
Suo fratello.
James.
Fu come se un blocco di ghiaccio gli avesse riempito i polmoni.
No. NO.
Sì, invece.” ridacchiò sua madre, dentro di lui. “Guarda.”
James era senza vestiti. Immerso in una vasca da bagno di acqua colorata, impegnato a conversare con il fantasma di Mirtilla Malcontenta.
Senza vederlo. Senza sentire Sirius Black, alle sue spalle. Invisibile.
Nascosto...
“Se ti do tanto fastidio me ne vado! Tanto lo so che sei innamorato della perso per la Prefetto di Grifondoro e che non te ne fai nulla di una lagnosa come me!”
“HEY! IO NON SONO INNAMORATO DELLA EVANS! MI HAI SENTITO?”
Uccidilo.” ordinò sua madre, soffice al suo orecchio.
E Sirius Black obbedì. Sirius Black vide la sua stessa mano sollevare la bacchetta e puntarla sul suo migliore amico.
L'acqua si arricciò, viva, pulsante. I riflessi di James si svegliarono all'istante ma... era già troppo tardi.
Il serpente d'acqua lo afferrò, stringendosi a spirale sul collo.
In pochi istanti, James finì sott'acqua. Vedeva le sue mani annaspare, sfiorare la superficie della vasca che ora, era incredibilmente liscia, come uno specchio.
Stava affogando.
Per mano sua.
Ma non fu quello, a devastargli l'anima. A spaccargliela in mille pezzi.
Sapeva com'era andata a finire. Sapeva che tutto quello faceva parte del passato...che la sirena sulla vetrata era andata in suo soccorso, spazzando via ogni energia maligna dalla stanza, dal suo cuore. Sapeva che a breve sarebbe accorso, lo avrebbe abbracciato come un fratello, condotto in Infermeria...senza sapere bene come era arrivato lì, ma con una strana sensazione dentro. Sapeva che James era salvo. Non era quello.
No, era...era ciò che stava provando in quel momento. Terribilmente reale...un ricordo vivido, incancellabile ora dalla sua memoria.
“E' meglio del sesso, non è vero?” sussurrò sua madre, golosamente. “Questo è ciò che sei. Ho guidato la tua mano, è vero...ma il piacere che stai provando...che hai provato quel giorno. E' dentro di te, piccolo mio. Lo è da sempre.”
Meglio del sesso. Meglio di qualsiasi altra cosa.
Solo una persona che ha recentemente commesso un'azione terribile e ne ha provato piacere può aprire il Necronomicon senza impazzire.
Sirius Black annaspò...una, due volte. Prima di riemergere...e sentirsi perduto.





Fu un lungo brivido quello che scosse Cristhine McRanney. Come...il presentimento di qualcosa di orribile e oscuro.
Gli studenti si stavano dirigendo a cena...e lei correva, superandoli anche a spintoni se necessario. Correva senza più fiato, fino a farsi bruciare i polmoni, le gambe.
Perché quel presentimento...non se ne andava.
Sirius...!
Arrivò slittando in Sala Grande, cercando il ragazzo che amava con la disperazione dei condannati...perché era così, che si sentiva.
Ma non era lei ad essere sul patibolo.
Lo vide poco più avanti. In piedi, immobile. Le spalle rigide come marmo.
“Sirius!” Urlò, ma la sua voce venne sommersa dal folle chiacchiericcio della scolaresca.
Ognuno impegnato a sedersi, a mangiare, a ridere...ma non lui.
Rimaneva lì, con gli occhi vuoti di un cadavere. Davanti al tavolo Verde-Argento.
E fu allora, che Cristhine vide qualcosa che le gelò il sangue ai polsi.
Bellatrix Black...sorridente, voluttuosa e splendida, ricambiava lo sguardo. Muoveva le dita invitandolo ad avvicinarsi, ad unirsi a loro.
Come se fossero vecchi amici. Come se fosse assurdamente naturale.
“SIRIUS!” Urlò di nuovo, sentendosi lo stomaco contorcersi in modo orribile. Fece per correre da lui, persa in quel suo cupo presagio...ma i suoi piedi si inchiodarono al terreno dopo pochi istanti.
Un passo, due... Sirius Black avanzò verso di loro. Si sciolse la cravatta rossa e oro, la gettò a terra con un gesto meccanico.
L'intera scuola parve fermarsi, rallentare. Alcuni, volgendo pigramente lo sguardo in quella direzione, parvero accorgersene...e sgranarono gli occhi, perché ciò che si stava verificando aveva dell'incredibile. Dello scandaloso.
E Cristhine rimase a lì, senza più voce nella gola. Paralizzata, congelata...come chi assiste alla più sordida delle tragedie.
Perchè Sirius Black stava accettando il loro invito.

Perchè Sirius Black si stava unendo ai Serpeverde.


 
   
 
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