Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Dorabella27    15/07/2021    15 recensioni
Premessa: nessun Fersen è stato maltrattato durante questo piccolo esperimento, e dalle prime righe ne capirete il motivo. Non a tutte le fan di Oscar e André è simpatico il bel conte scandinavo, si sa, e ammetto che anche io, da quando, piccolissima, vedevo l'anime con mia nonna e la mia prozia, e ne conviddevo pareri e opinioni, ho assorbito come una spugna le loro preferenze: ammirazione sconfinata per André, mentre Fersen, secondo la nonna "sapeva di poco". Personalmente, trovavo poi inquietante il modo con cui capita a Palazzo Jarjayes senza nessun motivo particolare, e l'appetito con cui siede alla tavola di Oscar. Con gli anni, l'ho rivalutato: in fondo, Fersen è cavalleresco, coraggioso, fedele a un ideale e al suo grande amore, capace di sacrificio, e per Oscar ha una sincera amicizia e ammirazione, anche se ha delle uscite spesso improvvide. Non tutti, insomma, possiamo attingere al sublime, come André: ammettiamolo. Per farla breve, un piccolo omaggio ridanciano, in attesa di un omaggio più ampio, serio e strutturato. Consiglio di lettura: solo per amanti dell'ìronia, della commedia italiana, e dei cioccolatini al liquore.
Genere: Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel von Fersen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Bussano alla porta. Le due. Le due di notte, ovviamente.
Ma come? Leonardo ha detto che stasera non passava, che dopo gli allenamenti sarebbe andato direttamente a casa.
Per nulla entusiasta, mi alzo. O meglio, mi sveglio, e mi alzo (ideona, addormentarsi seduta alla scrivania: "Casco dal sonno, ma almeno così resto sveglia e lavoro un po', così nel fine settimana sono più libera". Sì, sì, come no). La pigna di elaborati da correggere sul ripiano di noce incombe minacciosa, e io non ho fatto niente: il mal di testa mi ha steso. O meglio, magari fossi stata stesa, invece che addormentarmi in bilico, con il gomito in equlibrio instabile sulla scrivania e la mano che regge guancia e mento,
"E smettila di picchiare alla porta, che già i vicini di pienerottolo continuano a dire che la professoressa del terzo piano tiene accesa la tv tutta la notte, e manca solo che vadano a lamentarsi dall'amministratore per...". E qui mi blocco, perché mi vedo davanti quello che mi fa credere di essere in un sogno.
Le spalle ampie, la marsina di seta bianca con ricami dorati, il fazzoletto da collo, gli occhi pervinca. Hans Axel von Fersen. Voglio dire: il conte di Fersen.  Dritto dritto dalle mie memorie infantili e dalle infinite riletture del manga e dai non meno infiniti (ma si dice? si può? boh!) passaggi dei dvd nel lettore nel salotto della nonna.
"Dio", penso, "aveva ragione mia mamma - ha sempre schifosamente ragione, lei - quando mi raccomandava, in caso di mal di testa, di non mescolare medicinali: tachipirina o novalgina; uno solo, mai tutti insieme. E mai con il prosecco". Ecco: adesso invece chi sa che strane sinapsi si sono attivate. O magari è un ictus?  penso con inaspettata freddezza. Se però è davvero un ictus io non lo dico al neurochirurgo che cosa ho visto o mi ride in faccia. Bisogna sempre conservare almeno un briciolo di dignità nelle digrazie.
"Mi fareste la cortesia di farmi entrare, di grazia?" , chiede il conte di Fersen. "Voi, chi, mi scusi?", domando stranita. " Ah, già, che si dava del voi nel Settecento", mi correggo da sola un attimo dopo.
"Io vi devo parlare!", esclama con energia, agitando la mano destra, mentre io resto impalata e stranita.
"Sssstttt...., se ci sentono i vicini", sussurro, facendo segno con la mano di abbassare la voce. Penso in particolare alla mia vicina di pianerottolo, la vecchia Bettinelli: zitella, maestra e catechista. La trimurti dell'acidità, l'apoteosi della diffidenza verso il prossimo.
E allora che posso fare? Mi sposto dal vano della porta e faccio strada.
Il conte di Fersen entra, con passo deciso e si siede sul divano di pelle del salottino. Accavalla le gambe, con il suo fare disinvolto, elegantemente mondano, ma si vede che è sconvolto. Nonostante ciò, l'educazione tipicamente nobiliare impartita nel XVIII secolo non svanisce dopo soli duecentocinquant'anni e rotti, per cui, con tutta evidenza, Fersen si sente in dovere, prima di dire che cosa voglia, di costruire un gentile, garbato preambolo.
"Che ricca scelta di libri, madame. Peccato davvero non conoscere gran parte dei titoli..".
E ci credo, mi verrebbe da commentare. Immediatamente, mi balena un'idea malvagia in testa: e se provassi a spacciare per mia, che so, La pioggia nel pineto, magari chiedendo a Fersen un parere sincero su "questa mia piccola composizione divagante..."? O se gli leggessi La Pentecoste? O, senza vergogna, se gli declamassi L'infinito? "Vedete, conte, con che bagatella mi sono dilettata ultimamente ... .ma datemi, datemi un parere sincero, da amico..". No, è troppo, non posso farlo, mi ripeto. Mi sentirei troppo una marciona. E poi, dove lo trovo, qui, immersa nella bassa padana, un “ermo colle”? Al massimo, ho la leggera pendenza del prato del giardino condominiale, ma non credo che valga.
Seguo il suo sguardo incredibilmente limpido che percorre la stanza, e mi esce di bocca tutt'altro: "Fersen, scusatemi per il disordine ...:" mi viene spontaneo dire. E, ancora una volta, mia madre aveva, sempre, schifosamente ragione: "Tieni in ordine questo salottino. Hai visto mai che arrivino ospiti all'improvviso ..:". Certamente quando parlava di "ospiti improvvisi" non stava però pensando al Conte Hans Axel di Fersen. Anche perché mia madre gli anime non li ha mai visti, né tantomeno ha mai sfogliato un manga. Li ha, anzi, sempre sdegnosamente evitati. "Non capisco come ti piaccia questa roba qui. Tra l'altro sono anche disegnati male". Come no! Per lei il fumetto si ferma con Carl Barks. Sospiro, brevemente, e guardo il mio visitatore. Fersen, nel frattempo, deve avere trovato il setting della nostra conversazione per certi versi deludente rispetto alle legittime aspettative di un nobile dell''Ancien Régime: "Madame, dovreste forse redarguire la vostra fantesca, se posso permettermi un consiglio..."
"La mia ...che? Ah! La fantesca... no, conte di Fersen, vedete, qui non c'è nessuna fantesca..:"
"Ah! Ora capisco tutto..."
Un silenzio imbarazzato.
"Conte, posso offrirvi qualcosa?". Mi rendo conto che mi sono quasi subito, senza difficoltà, adeguata al "voi", per non destabilizzare il suo già fragile intelletto.
Devo però ammettere che, visto da vicino, Fersen non è affatto male. Comincio a capire Maria Antonietta, e forse forse anche Oscar François de Jarjayes.  Ma, in ogni caso, il conte non guarda certo me, ma - credo anche con una certa concupiscenza - il vassoio di peltro colmo di cioccolatini posato sul tavolino davanti alla poltrona in cui si è lasciato cadere. Mi sembra carino offrirglieli. Indico il vassoio con un gesto della mano che spero sufficientemente aggraziato. "Ma prego, conte di Fersen, volete favorire?".
Mi pentirò, lo so, di questa gentilezza.  Così penso, e infatti me ne pento subito. Perché in dieci minuti Fersen, che quando si fermava a cena a Palazzo Jarjayes, notoriamente, ne svuotava la dispensa, ha spazzolato tutti i miei Mon Chéri e i miei Boeri, e adesso sta attaccando con metodo i cioccolatini ripieni di Stravecchio Branca di mio padre.
Il Conte Hans Axel di Fersen come l'ultima delle casalinghe disperate, che, nella loro discesa verso l'alcolismo, iniziano sempre dai digestivi e dai cioccolatini al liquore. Chi l'avrebbe mai detto?
"Non se ne trovano di questi bon-bon nelle confetterie parigine", dice pensoso.
"Ehm, no, in effetti credo di no: non se ne trovano". (Prova con l'Esselunga, mi verrrebbe spontaneo consigliargli, con malignità. Ma non ce lo vedo a spingere il carrello. O forse ci manderebbe la sua fantesca).
Adesso ha posato gli occhi sulle fondant di zucchero all'arancia. "Eh, si sa, i nordici vanno pazzi per gli agrumi", penso. "Kensst du das Land wo die Zitronen blühn, eccetera eccetera". Intanto, continuo a osservare il mio ospite: lo sguardo di Fersen viene catturato da un libro nello scaffale accanto alla poltrona. "Perdonate, Madame". Si alza e prende il volume. Ha un'aria incredula. Io invece sudo freddo: peggio di quando a casa mia il parroco, venuto per la benedizione pasquale, trovò in piena vista l'ultima uscita di un giornalaccio, un rotocalco scandalistico sugli amori dei vip, con in copertina sua nipote biotta, al mare accanto al fidanzato calciatore. Fersen, intanto, non stacca gli occhi dal libro: sillaba costernato titolo e autore: "Evelyn Farr, "Marie Antoniette and the Count Fersen. The secret Letters". Ma come è possibile? Noi... io ho sempre creduto di essere molto discreto".
"Non ve la prendete, Conte".
Quando si siede, ha ancora il libro fra le mani.
"Ma è incredibile...nessuno sapeva, nessuno doveva sapere che i miei appartamenti a Versailles erano segretamente comunicanti con quelli...di ...di Maria". Mentre sfoglia il volume, ha un'aria costernata e infelice. Verrebbe voglia di consolarlo. Cerco di farlo concentrare su altro:  "Fersen, dite, come mai vi trovate qui? A quest'ora insolita, poi".
"Perchè, Madame, tutto congiura contro di me!". Si mette il libro sulle ginocchia,  si prende il capo fra le mani, e, quando lo risolleva, i suoi occhi pervinca sono inondati di lacrime. Devo dire che ci guadagnano.
"Madame, voi dovete assolutamente aiutarmi!" Il modo in cui ha calcato la voce sull'avverbio assolutamente non promette davvero nulla di buono.
"Io? E come? E perché?"
"Madame! Ditemi: perché danno tutti addosso a me?".
"Eh, conte...sarebbe un discorso lungo. Proprio adesso ne dobbiamo parlare?"

"No, davvero. Monsieur Dezaki non è stato carino con me. Ne convenite, Madame?".
Ne convengo, ne convengo. Ma anche Fersen ci ha messo del suo. Cerco di intervenire, di fare ordine, di essere semplice e didattica, di spiegargli i fatti con chiarezza, come se fosse un bambino di cinque anni.
Ma il conte è ormai inarrestabile, e, cioccolatino al liquore dopo cioccolatino al liquore, è anche piuttosto alticcio. Nello specifico, mi sembra che abbia anche la sbornia triste (mentre invece, chi sa perché, mi immagino Oscar e André moderatamente, dignitosamente allegri, da brilli).
"Ditemi, Madame, voi che siete una donna che legge e che studia, una donna d'ingegno (che ruffiano, penso!), spiegatemi, perché tutti tutti tutti, e soprattutto, tutte, o quasi, nei gruppi di appassionati e sulle pagine Facebook, ce l'hanno con me. Mi sono innamorato della regina Maria Antonietta, è vero. Ma la Regina è troppo bella per poter essere dimenticata. E Madamigella Oscar mi si è presentata come un un uomo. Che ne sapevo io, eh? Non è possibile non essersi accorti che fosse una donna? Ricordo che anche Maria Antonietta non se ne era resa conto, e dovette toglierla dall'equivoco la contessa di Noailles!"
Gli lancio uno sguardo, come a dire che, insomma, l'opinione di una Delfina quattordicenne, cresciuta nell'ambiente ovattato di Schönbrunn con la massima aspirazione di piantare spinaci nell'orto per compiacere "il suo imperiale Papà"[1] forse non è il bollino di garanzia dell'acume, ma Fersen ormai è partito in quarta: "E se sapeste quanti soldatini efebici, quanti damerini, ho visto nella mia carriera militare, e tutti, tutti, a farmi proposte più o meno appassionate?!" (Oh, Dio, che lagna: mi sembra di sentire la "bella della classe" di turno che si lamenta di come tutti quei corteggiatori non le diano requie!).
            Adesso, non lo ferma più nessuno: "E ricordo anche che, a mia esplicita richiesta, Madamigella Oscar mi rispose di non essersi mai sentita sola né a disagio!". Qui ci sarebbero molte cose da dire, ma può Fersen intendere le sfumature? O sarebbe come cercare di spiegare il blu a un cieco nato? Sospiro, mentre il conte continua il suo torrenziale discorso: "E poi, d'accordo, non ho riconosciuto Madamigella Oscar vestita da donna per la prima volta in vita sua. E allora? A parte che, appunto, non l'avevo mai vista vestita, acconciata, truccata da donna, ma poi, voi, professoressa, che insegnate queste cose, letteratura e narratologia, non lo dite sempre che esiste una cosa che si chiama sospensione dell'incredulità, eh?" (Fersen è davvero accarlorato, costernato: poverino! Devo dire che l'empito passionale, lo sdegno e la costernazione gli giovano proprio). E Lois Lane, eh?"
"Lois Lane? Ma che c'entra, conte?"


"Voglio dire, professoressa, a Lois Lane mica date della cretina, della minus habens, anzi, passa per una donna intelligente, e lei non si accorge che Klark Kent è Superman? Eppure, ha giusto gli occhialini e gli manca il costume azzurro con la S sul petto! E Peter Parker?"
"Peter Parker?"
"Ma sì! Peter Parker: non è abbastanza chiaro  che sia lui l'Uomo Ragno? E "Spiderman 2", allora?
"Conte di Fersen, un attimo, prego: mi state dicendo che...VOI avete visto "Spiderman 2"? Fersen che guarda i film di Sam Raimi. D'accordo, crediamoci.
"Ma sì!Ma si è mai visto un eroe mascherato che perde la maschera e tutti i passeggeri della diligenza promettono di mantenere il segreto?".
"Non era una diligenza, conte, era un vagone della metro", lo correggo in un sussurro.
"Un che?"
"Niente, niente", minimizzo, con un gesto della mano. "Dicevate?"
"Dicevo, che tutti voi seguite e apprezzate storie palesemente incredibili, impossibili, e non battete ciglio, e giustificate i personaggi. Tutti autorizzati ad avere le fette di salame sugli occhi, anzi, come dice una vostra amica, Madame, i mattoni sugli occhi, e io no?" Perché solo io vengo messo in croce?".
"Eh, conte...il discorso sarebbe lungo" (e io muoio di sonno, vorrei dire).
"No, no, facciamolo questo "discorso lungo". Perché mi sono stancato. Ho mai approfittato del mio miglior amico?"
"No". Su questo è vero: Fersen è sempre statoc molto cavalleresco e corretto.
"Ho mai approfittato dei sentimenti o del "bellissimo corpo" di Madamigella Oscar?"
"No, ma ma magari le sarebbe piaciuto, in certi momenti, almeno per un bacetto", butto là. Ma Fersen, per fortuna, è talmente infervorato che non mi sente.
"Non è già abbastanza vedere sempre di nascosto Maria, e non vedere mai i miei figli?"
"Eh?! Figli?"
"Vi prego...ehm....Madame ...consideratela una "voce dal sen fuggita"[2]
"Ma certo, conte. Non ho sentito nulla, anzi".

"E la fuga a Varennes? Non ho forse rischiato grosso?"
Ne convengo: in quel caso davvero ha dimostrato tutta la sua devozione per la donna che amava; così esprimo, un po' a casaccio, data l'ora, qualche apprezzamento per il suo coraggio e la sua abnegazione per la causa dei Realisti.
"Conte, io adesso casco dal sonno.."
"Sentite... dobbiamo concordare una strategia..:"
"Conte: sono quasi le tre di notte....io non connetto più. Devo dormire: trascende ogni mio controllo!". (Ma che sono, un ostaggio?, mi verrebbe spontaneo sbottare, ma mi trattengo).
Gentilmente sollecitato, Fersen stende le lunghe gambe e si alza. Anche se Morfeo mi sta strattonando implacabilmente per rapirmi a sé, non posso che lanciargli una occhiata che rimarca quanto sia notevole la sua figura.
Finalmente si avvia verso la porta.
"Mi duole avervi importunata, Madame, ma so che voi nutrite stima per la  mia persona e ho pensato che solo voi possiate intercedere in mio favore..."
"Certo, certo, conte. Non preoccupatevi. Sono da sempre desiderosa di riabilitare la vostra figura agli occhi degli estimatori dell'anime!"
"Grazie Madame. E...  parlate, ehm, ci parli lei con Dezaki, se lo vede ...", mormora da ultimo, mentre lo spingo fuori dalla porta, prima che in cucina scopra quella cosa che si chiama "frigorifero".
Almeno il San Daniele è salvo.
 
[1] In realtà l'aneddoto è riferito a Maria Luisa d'Austria, la seconda moglie di Napoleone, figlia dell'ultimo imperatore del Sacro Romano Impero, Francesco II, poi diventato Francesco I d’Austria.
[2] Nel volume  di E. Farr sulle lettere segrete di Fersen Maria Antonietta  pare che siano legittimi i dubbi sulla paternità di due dei 4 figli della Regina, Luigi Carlo e l'ultimogenita, morta a pochi mes.
   
 
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