Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Miky_D_Senpai    17/07/2021    2 recensioni
Il diario mentale di uno studente che non ha ancora capito il mondo che lo circonda, tenendo per sé una regola che è chiara solo alla sua famiglia. Nascondendo con un velo di apatia il rispetto per un'unica persona, riempiendo i propri vuoti con una devozione cieca.
Sopra le leggi di una società che ai suoi occhi cade a pezzi, ma non abbastanza alto da poter godere di una buona visuale sul mondo che lo circonda.
Dal testo:
"Volevate la solita storia sulla scuola? Su quei college americani tutti fighetti in cui c’è sempre il “cattivo ragazzo” che sta con la timida secchiona di turno, che la persuade a passare nel lato oscuro? “Lato oscuro” che poi è semplicemente in penombra.
[...]
... l’avevo notato dalla finestra, fermo nel viale del mio appartamento, di fronte al mio citofono. Mi diverte vederlo sbiancare ogni volta che pronuncio il suo nome."
[AU contemporanea, quasi tutti i personaggi, provate a shippare e lui vi ucciderà]
[Nota dell'autore: Ringrazio chiunque sia passato o passerà a leggere. Devo ammettere che è la prima volta che finisco una long del genere su Efp quindi grazie di tutto il supporto, alla prossima!]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Il comportamento dei genitori di Hanji è forse più stressante il pomeriggio. Quando il padre è occupato al lavoro ed è costretto a comunicare attraverso chiamate vocali amplificate dalle casse della macchina.
Sì, signora, usare il Bluetooth la rende una persona responsabile e una brava cittadina che tiene all’incolumità delle persone che ha intorno, ma non si rende minimamente conto di quanto sta urlando questioni private con uno sconosciuto rannicchiato sui sedili posteriori.
La mia amica, che ha promesso di tenermi al sicuro e soprattutto di farmi compagnia, se ne sta seduta accanto alla madre a rispondere con l’entusiasmo di un’esperta oratrice. Sembra di star assistendo all’arringa di un avvocato che difende il proprio cliente da false accuse.
Il cliente in questione era la loro irrefrenabile voglia di spendere tempo e denaro per rifare una parte della loro casa al mare.
Ci sono stato soltanto una volta, nonostante tutte le uscite programmate durante le estati del biennio, e non mi sembrava avesse bisogno di tutta quella ristrutturazione di cui parlano.
«Tesoro, stai parlando di più di dieci mila euro. Non ti pare esagerato?»
Ecco, non volevo sapere si parlasse di cifre che mi permetterebbero di campare per molto di più di quanto io voglia ammettere. Per quanto cinico possa sembrare facendo questi pensieri, spero che Kenny abbia messo qualcosa da parte con quello stupido lavoro, per resistere finché non trovo qualcosa migliore di Eren per mantenermi.
Dovrei tornare a fare pulizie nel vicinato, alcuni dei più anziani avevano già problemi a tenere in ordine le proprie abitazioni qualche mese fa, chissà se è da allora che… mi viene un lungo brivido di terrore pensando alla moltitudine di mensole per loro irraggiungibile.
Alcuni di loro mi scambiano ancora per un loro nipote quando mi incrociano per le scale o nel giardino, quelle poche occasioni in cui i miei orari combaciano con quelli di un pensionato. Uno di loro mi ha fatto anche tenere la scala che aveva a casa dopo avermi visto faticare per raggiungere gli sportelli più alti.
Sarebbe imbarazzante non riuscire a raggiungere gli stessi punti per i quali loro mi hanno chiamato, soprattutto per la loro schiettezza nel commentare l’aspetto fisico delle persone. Non conoscono affatto il significato di “body shaming”, ma non mi aspetto che capiscano una parola di inglese, per loro potrebbe essere benissimo un sapone o la prima portata del pranzo tipico londinese.
Fatto sta che per loro è un allenamento per l’anima e tempra spiriti forti. Fin nelle viscere, come dei vichinghi. Di nordico ho ben poco però, dalla dolce vecchietta del secondo piano vengo paragonato a un elfo in stile Tolkien, ma anche paragonato a Legolas non mi ci ritrovo.
Decido che è il caso di ricominciare da quello per tentare un approccio degno di ciò che professavo di fronte a mia cugina. Una promessa va mantenuta nonostante tutto.
Pensare che probabilmente la voce potrebbe spargersi in fretta, anche a scuola, non mi preoccupa minimamente. Pensassero quello che vogliono prima di tornare a lamentarsi per la versione sbagliata di iPhone ricevuta per Natale o per quanto pensano che gli sia dovuto. Ipocriti.
Uno degli scenari peggiori che passo immaginare è finire da qualcuno che conosco da vicino e, visto che prima stavo pensando a lui, la mia mente mi trasporta subito a casa Jeager. Quella sarebbe la situazione peggiore che potrebbe capitarmi.
Non tanto perché Eren si troverebbe nella condizione di potermi dire cosa fare, si spaventerebbe soltanto vedendomi fuori dalla sua porta per una volta. Guai se provasse a commentare il mio operato.
Il problema è il suo fratellastro Zeke. Studente “modello” di un altro istituto che è passato ad attaccare briga due anni fa per i giochi matematici. Era a capo di una crociata inutile per un’inutile competizione che avevano perso per una distrazione dell’arbitro.
Il suo caratterino da primadonna a cui è tutto dovuto e l’espressione saccente di chi si crede meglio di chiunque è ciò che mi impedirebbe di andare tranquillamente in quella casa.
Parlando con il suo fratellino è uscito fuori che la causa della fine del primo matrimonio del padre è proprio lui e per quello il dottor Jeager non lo ha mai perdonato. Plasmando così quel caratteraccio.
Ma che fine ha fatto Eren?
 
Levi, scusa il disturbo, posso passare mercoledì per un ripasso? [Eren, ieri, 17:18]
Venerdì abbiamo una verifica e mi servirebbe una mano [Eren, ieri, 17:27]
 
Tolgo lo sguardo dal telefono per tornare a controllare la situazione davanti a me, la chiamata è terminata con quello che sembrerebbe un pareggio e una questione ancora irrisolta.
«Hai parlato con Erwin alla fine?» mi chiede Hanji, quasi preoccupata. Io, nel frattempo, stavo pensando a cosa rispondere al primino, non essendo sicuro di quando verrà fissata la data del funerale.
Appena inizio a scrivere un sinonimo di “Va bene”, ma con sole due lettere, dal sedile del guidatore sento una domanda che mi fa sobbalzare: «Chi è? Il fidanzato?»
Lo dice sforzandosi di abbassare la voce, pensando di non essere sentita, quando il suo tono è soltanto tornato a un livello normale di decibel. Non so come possa sopravvivere quella ragazza in un ambiente del genere senza uscirne con le emicranie.
Anche la risposta arriva alle mie orecchie, nonostante la quattrocchi stia facendo lo stesso tentativo «No, no, starebbero benissimo insieme, ma sembrano non capirlo» forse in quella casa i problemi sono sempre in comune.
«Non ci ho parlato, non merita di usarti come piccione viaggiatore per parlarmi»
La posso sentire squittire, commossa dalle parole delle quali sta sicuramente distorcendo il significato da “Deve avere le palle di venirmi a parlare” a “Mi sta difendendo perché mi vuole bene”.
Non posso neanche darle completamente torto stavolta, ma sono concentrato su troppe questioni contemporaneamente e la ignoro per continuare a scrivere il lungo messaggio di risposta che dovrebbe seguire quell’”Ok”.
Quasi mi dispiacerebbe lasciarlo senza risposta, dopo tutto questo tempo, soprattutto data l’urgenza della sua richiesta.
 
Ok [Tu, oggi, 14:09]
Per quanto ne so ora sono libero, tu avvertimi prima di passare che ti do la conferma [Tu, oggi, 14:15]
 
Se non dovesse ascoltarmi di finire per coesistere con altri possibili avvenimenti spiacevoli. Effettivamente non so quando si rifarà viva Traute per riprendersi la sua roba, quando sarà la prossima visita del padre di Mikasa, ho perso completamente il controllo della mia vita in questa settimana.
Mi piace avere i miei orari, i miei programmi per la giornata e fregarmene di tutti gli altri. Negli ultimi quattro giorni invece sembra che si siano organizzati tutti per venirmi a disturbare.
A partire da Hanji, che scende insieme a me dalla macchina appena arriviamo davanti al cancello del mio palazzo.
«Non dovevi portare una sorpresa?» le chiedo, giusto per darle qualcos’altro da fare e lasciarmi respirare un attimo.
Ma dal suo sorrisetto beffardo capisco di essermi completamente illuso.
«Chi te lo dice che non l’abbia portato con me a scuola?» Ora il dubbio mi assale. Ha davvero intenzione di salire direttamente con solo lo zaino?
Purtroppo la conosco abbastanza da poter affermare con assoluta certezza che la situazione è alquanto pericolosa. Non mi pare di averla mai vista bluffare, mai una volta fingere essere impreparata in qualsiasi circostanza.
Ricordo perfettamente quando, per scherzo, la sfidarono a portare le manette che diceva di avere a casa, lei prese la sfida sul serio e le rubò al padre per dimostrare che era seria. Da episodi come quello ho capito che non posso più fare affidamento sugli scherzi innocenti.
Forse sto solo immaginando cose inesistenti, dovrei concentrarmi piuttosto su cosa farle mangiare, dato che credo di dover rifare la spesa.
Vivere da solo è l’apice della tranquillità, soprattutto considerando che devi tener conto soltanto dei tuoi bisogni (e di quelli di un gatto rotondo), dovendo comprare il cibo per una persona, calcolando ogni tanto i due sfruttatori della mia pazienza. Ora che mi sembra quasi di aver capito che non avrò più a che fare con cacciatori di taglie, mi ritrovo la mia compagna di classe.
Mentre la macchina riparte lasciandola lì davanti a me capisco, che qualsiasi cosa abbia in mente è reale.
«Stai scherzando?» Non è una vera domanda, più un lamento finita la speranza. La sento ridere sotto la mascherina, guardandomi soddisfatta della mia preoccupazione.
«Saliamo? Voglio salutare Swiffer» mi ignora. Lei mi ignora.
 
Hai parlato con Hanji? [Erwin, oggi, 14:15]
 
Rimetto il telefono in tasca lasciando il messaggio nella tendina delle notifiche, non riesco a capire quando si comporta così se lo fa per ottenere attenzioni o per incasinarmi la mente.
«Che cosa ti ha detto?» le chiedo sulle scale, non posso lasciare che un’intera giornata finisca sentendomi costantemente sotto scacco.
Non giocherò mai più con lui a giochi da tavolo, ovviamente perché tra qualche giorno sparirà completamente dalla mia vita quotidiana, ma non accetterò nemmeno le sue sfide online. Nei giochi che prevedono un minimo di strategia lui ce ne mette troppa, riflettendo questo impegno nel manipolare le vite altrui.
«Ha detto tante cose, tra cui qualcosa riguardo il sentirsi in colpa per quello che è successo»
Mi fermo per le scale, non ho compreso appieno il significato della parte in cui lui si sente in colpa. Cosa ha fatto lui?
L’unica supposizione logica che mi viene in mente è che ha sentito qualcosa dal padre riguardo la morte di Kenny, ma se fosse proprio quello dovrebbe quanto meno chiamarmi. Senza parlarne con Hanji, poi perché proprio lei?
«L’unica cosa di cui deve sentirsi in colpa è non venire a parlarmi di persona»
Immagino sia occupato, abbia altro a cui pensare. Preparare i bagagli, decidere cosa tenere, istruire Mike per sostituirlo questi ultimi mesi prima del diploma, pensare al prossimo messaggio con cui rendersi ancora più ridicolo.
Ricomincio a salire le scale, dovrei rispondergli, ma in questo momento preferirei di gran lunga una lezione di Pixis sui vini. Aprendo la porta però mi rendo conto che Erwin non è proprio la cosa peggiore che mi possa capitare al momento.
Traute e due uomini che sembrano quelli che aveva descritto il cugino di mio zio si aggirano per casa silenziosamente.
«Chi sono loro?» chiede uno dei due, guardandoci entrare senza battere ciglio.
La quattrocchi, come al solito, sembra quasi eccitata dalla presenza di qualcuno di inaspettato e si appoggia a me strattonandomi.
Mentre le spiegazioni vengono fatte da entrambi i lati del corridoio, la palla di pelo bianca viene ad accoglierci strusciandosi contro le nostre caviglie.
«Tu quindi sei il nipote del signor Ackerman…» Si avvicinano entrambi, mentre la donna dietro di loro mi osserva con un certo rammarico e due borsoni neri davanti a sé. Anche lei non mi ha mai lasciato la possibilità di capirla, mi ha sempre mostrato solo un lato di sé lasciando che ogni espressione o emozione al di fuori della rabbia o del disgusto. E mi sono ormai abituato a vedere soltanto quella faccia.
«… ci dispiace di non aver potuto fare nulla» Li guardo perplesso.
La gente ha dei comportamenti strani o sono io a farmi delle aspettative sbagliate? Ok, forse so perfettamente quale sia la risposta corretta al quesito, essendo asociale non posso aspettarmi di conoscere perfettamente le reazioni umane. Soprattutto se baso la mia conoscenza agli individui che girano per i corridoi della mia scuola.
Anche se sento leggermente puzza di fregatura dovuta a esperienze passate.
«Non potevate passare prima? Traute li sa i miei orari» Non mi va di guardarli troppo male o rendergli la situazione imbarazzante, quindi, dopo aver constatato che stavano per andarsene, aggiungo un “Grazie”. Capisco bene che la situazione non sia affatto facile per quella donna e non è compito mio peggiorarla.
 
Sono rimasti il tempo di farci mettere a posto gli zaini e, mentre io me ne sto chiuso in cucina a preparare l’ennesimo doppio pranzo, Hanji si occupa di dare la pappa al gatto.
«Dovresti parlarci» le sento urlare, non che ce ne fosse bisogno, ma probabilmente è abituata a mura più spesse o porte che effettivamente insonorizzano gli ambienti.
«Ci parlerò quando mi andrà» le rispondo portando i piatti fumanti nella sala da pranzo.
«Digli almeno che ti farebbero piacere delle spiegazioni»
«Le dà a te invece che a me, ti sembra uno con cui si possa ragionare?» Le faccio cenno di tagliare corto perché non è l’argomento adatto al momento.
«Mi ha detto solo che si sente in colpa, sono io che ho deciso di dirlo a te…» la guardo male, mi ha fatto pure pensare male di lui tutto questo tempo per niente «… pensavo fosse giusto dirtelo»
Sospiro, l’unica cosa che potrebbe salvarla ora è che un tornado mi porti via. Fortuna per lei Swiffer si pone sulla mia strada verso l’omicidio “accidentale” facendo le fusa e buttandosi come un oggetto informe sul tavolo.
«Se le cose stanno così, allora meglio per lui» guardo gli occhi stanchi di quel piccolo animale che ha perso completamente ogni istinto e non sa che farsene del cibo da cui è circondato.
Lei sogghigna, guardandomi come se si fosse appena accorta di qualcosa, o ricordata di altro.
«Oh, la sorpresa!» si alza di scatto, facendo prende un colpo alla povera bestia che scatta in piedi irritata.
Io preferisco a questo punto ignorarla finché non sarò di nuovo costretto a guardarla. La sento frugare nel suo zaino lasciato tra la sala e la camera, nascosta alla mia vista. Continua a ridere, come se sapesse già la mia reazione.
E quando torna mi accorgo di quanto avesse ragione a ridere in anticipo, perché l’unica cosa che mi viene in mente è la fuga. E la mia espressione terrorizzata mentre sputo l’acqua che stavo bevendo la fa crollare a terra dalle risate.
   
 
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