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Autore: Master Chopper    18/07/2021    5 recensioni
[STORIA AD OC - ISCRIZIONI APERTE]
Nell'epoca degli Stati Combattenti, il regno di Fiore si difende dai tentativi di invasione dell'Impero di Alvarez. In questo mondo immerso nel caos, giovani soldati si fanno largo mossi da grandi aspirazioni.
-Esperimento per vedere se si riescono a riportare in auge le storie ad OC-
-Fanfiction tributo a Lord_Ainz_Ooal_Gown-
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Prefazione: Ciaoss! Mi scuso per il ritardo, ma come si sa, d’estate passa un po’ a tutti la voglia e/o il tempo di scrivere o leggere a causa di un’infinita di fattori. Vi annuncio che questo capitolo, pur essendo il più lungo attualmente postato, doveva esser ancooor più lungo. L’ho diviso in due per evitare noia. Ci vediamo all’angolo autore.

 

ANTEGUERRA

“Aboliremo il Fondo Polyushika.” Disse quell’uomo, conscio di aver appena demolito con quattro parole, grazie alla sua potenza, l’unica speranza per decine di migliaia di cittadini.

“E cosa faremo con tutti quegli orfani?” Gli domandò l’altro, poggiando la testa sulla mano ed iniziando a grattarsi la nuca pelata. “Ne rimarranno un sacco senza casa se fai chiudere le strutture.”

“Intanto vendiamo i terreni delle strutture ai ricchi, mentre per i bambini… li mandiamo in guerra.”

“Guarda non possono avere nessuna preparazione militare, se sono troppo piccoli!” Ma l’altro non lo lasciò finire: “Non sto dicendo che li addestreremo: non ci vuole nulla a lanciare qualche bomba, o a farsela esplodere addosso dopo essersi infiltrati in una base nemica.”

I due rimasero a guardarsi negli occhi per qualche interminabile secondo, per poi scoppiare a ridere: la risata dell’uomo pelato era un po’ carica di vergogna, mentre quella dell’altro era rauca all’inverosimile, come se stesse per soffocare tra la tosse.

“Sei una bastardo, tu e questo gioco malato…” sorrise amareggiato l’uomo pelato. Il gioco di proporre le idee più orribili e disumane possibili, in quei tempi in cui chiunque commetteva quotidianamente azioni altrettanto orribili e disumane. Ma lui era un giudice, il giudice del tribunale reale di Fiore, mentre quell’altro, l’ideatore di un tanto strano gioco, era forse l’uomo più influente del Regno.

Il vero brivido di quel gioco era quindi che, se uno dei due avesse voluto, avrebbero potuto trasformare in realtà tutti i piani proposti per scherzi. Mai una volta era successo, e forse anche grazie a quell’attività: ricordarsi di quali fossero davvero i limiti dell’umana decenza, anche in tempi di guerra, impediva all’uomo di scegliere il male per un bene necessario.

All’interno dell’aula di tribunale erano soli, come sempre quando si incontravano. Il giudice Pask era sicuro che il suo amico, lo Stratega Reale Fernandez, non fosse mai in compagnia di più di una persona al di fuori del campo di battaglia. Di recente ne aveva avuta di compagnia, quindi ora preferiva la quasi-solitudine di una chiacchierata in privato.

“Cosa mi dici sull’abolizione delle gilde?” Domandò lo stratega, con i capelli blu così lunghi che gli coprivano parte degli occhi come una cascata scrosciante. Vestiva un body nero in cuoio con sopra poggiata una stola richiamante i simboli ed i colori di Fiore. Magnolie d’argento gli imperlavano gli abiti.

“Non sono ancora state emanate delle leggi speciali a riguardo, né è stato proclamato qualcosa di ufficiale, quindi… tu, perché me lo chiedi?”

“Nell’ultimo viaggetto all’estero che ho fatto, solo io possedevo un Tesoro Oscuro, mentre cinquecento soldati no. E si trattava di una cosa importante. Poi vengo a scoprire che stiamo assimilando nell’esercito tutte le gilde che, per magia, avevano dei Tesori Oscuri trovati chissà dove: Fiore si arricchisce di potere, ma se lo tiene stretto a sé con le unghie e con i denti.”

“Non capisco dove tu voglia andare a parare, Fernandez.” Commentò confuso il giudice, preoccupato da una luce che intravedeva negli occhi del suo amico, una luce che solitamente non prometteva nulla di buono.

“Stiamo preparando la controffensiva. Ci sarà un attacco ad Alvarez, e la guerra è meglio mantenerla tra Fiore ed il nemico. Spero che nessuna gilda si ribelli agli ordini della regina, oppure con tutti quei Tesori Oscuri nel mezzo potrebbe scoppiare il putiferio. Immaginati l’esercito, formato da ex-membri di una gilda, che attaccano altre gilde per strappar loro le armi magiche… di certo non è una bella immagine per una nazione votata al bene e alla giustizia.”

“Per definizione, chi infrange la legge è un criminale. Ma, visto che non sono ancora state emanate delle leggi, c’è libertà di scelta. Ho sentito ad esempio che il figlio del Generale Seboster Vellet, Florence Vellet, finanzia una gilda di mercenari impiegati attualmente nella ripresa di Crocus: una delle pochissime gilde rimaste che a mio avviso non si aggregheranno mai all’esercito, si tratta di giovani vittime di questa guerra e incredibilmente efficienti con i loro Tesori Oscuri.”

Lo sguardo dello Stratega si incupì, irrigidendo oltre ad ogni suo muscolo facciale, anche quelli della schiena e delle braccia. Sporgendosi in avanti con le mani puntate sul tavolo arrivò ad un palmo di naso dal giudice, tanto che il suo respiro poteva smuovergli i capelli.

“Li guarderemo uccidersi sul campo di battaglia per poi prenderci i Tesori Oscuri dai caduti. Chi sopravviverà, verrà arruolato con la forza nell’esercito, oppure uccideremo le persone a loro più care.”

Pask assottigliò gli occhi: “Sono per lo più orfani.” L’altro sorrise: “Da quel che ricordo i membri di una gilda tengono al Master quanto alla loro vita. Prenderemo il loro Master prima che possa morire in battaglia e lo terremo come ostaggio per spronare i mercenari a fare del loro meglio e ad essere fedeli alla Regina.”

“Stiamo ancora giocando a quel gioco, Fernandez?” Alla domanda più che seria di Pask, il moro si ributtò all’indietro sulla sedia, stiracchiandosi come un gatto disteso per terra.

“Certo.” Nessuno di loro si stava divertendo.

 

L’isola galleggiava sul mare, nero su nero, stampata contro il cielo notturno senza che nessuno potesse notarla. Uno scoglio selvaggio dalla quale si levavano ululati e ruggiti selvaggi, segno di un territorio che non era mai stato addomesticato neppure dal più grande impero del continente. I pescatori se ne tenevano alla larga, turisti ed imprenditori avevano imparato a scegliere isole migliori, e così quel luogo era rimasto inviolato sin dalla sua origine.

Quella notte, però, un gruppo di persone furono i primi indesiderati ospiti che l’isola ebbe il piacere di accogliere.

Thrax spalancò gli occhi ed esitò, credendo di star ancora sognando: per quanto pensasse di essersi svegliato, era come se un panno di tenebre gli fosse appoggiato sul volto, soffocandogli il respiro ed accecandolo. Tuttavia scalciò e sentì le sue scarpe cozzare contro qualcosa, scavando zolle tra terra e foglie secche. Era notte fonda, come gli constatò un canto acuto e rimbombante che poteva appartenere solo a predatori notturni come i gufi. Poi un altro suono, per niente da predatore: era Daisuke che si lamentava nel sonno, o meglio nel dormiveglia, in procinto di risvegliarsi in quell’oscurità.

“Dove siamo?” Venne chiesto al soldato, ma lui stava intanto accertandosi di cosa avessero intorno. I suoi occhi si stavano ancora adattando all’oscurità, ma riusciva a delineare i bordi delle superfici più vicine: potevano essere creature altissime oppure tronchi sottili, bestie feroci oppure foglie di piante che sbucavano dal terreno. E poi solo abisso tra una figura appena distinguibile e un’altra, un portale nell’ignoto. Ecco dov’erano, e questo era tutto ciò che potevano sapere.

Quando anche il biondino pareva aver perso la voglia di fargli domande, qualcosa di fuori posto accadde. Una voce rimbombò sopra le loro teste, come un tuono, o come se l’intera giungla possedesse per assurdi motivi la stessa acustica di un grande teatro.

“Miei soldati, luci dei miei occhi ed amori della mia vita!” Era la voce della Stratega Imperiale Amasia Proxima, terribilmente smielata come al solito “Vi comunico che vi siete risvegliati nel campo d’addestramento da me scelto, un covo di Creature Abnormi e piante carnivore, che tuttavia non costituiranno il vostro principale pericolo. Infatti, la vostra missione prima che sorga il sole è di trovare la Comandante Beatrice Alighieri e il Capitano Vilhelm Fatus e superare le loro prove. Vi lascio al loro giudizio, e ricordate: Heill Alvarez!” un bruttissimo motivetto gracchiò dai megafoni installati tra le cime degli alberi.

Il ragazzone dai capelli viola aspettò la fine del discorso pazientemente, con gli occhi socchiusi verso il cielo. Non guardava precisamente la luna, ma una parte della sua aureola azzurra che non fosse troppo splendente. Quando i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, balzò in piedi trascinandosi la spada infoderata che per fortuna era rimasta con sé.

“Sembra divertente!” un addestramento militare alla-Alvarez non era quanto più eccitante si prospettasse nel mondo, però la visione di quella stratega era originale: sopravvivere ad un’isola oscura ed affrontare un Capitano o persino un Comandante? Non c’era niente di meglio al mondo. Aveva infatti intuito che quei due individui appena intravisti qualche giorno prima fossero ad un livello di potenza che chiunque avrebbe considerato insano, ma che a lui faceva solo venire l’acquolina in bocca. Doveva per forza trattarsi di un test di forza, una simulazione di guerra.

Lì non stavano giocando a fare i soldati, e la sua Grecale, o il soprannome di Zefiro, glielo ricordavano da anni ormai.

“Personalmente non lo trovo molto divertente, ma… magari questo luogo incontaminato sarà più bello all’alba.” Daisuke, detto Shiro, si sforzò di sorridere mentre si sollevava da terra. Si accorse così per ultimo di come nessun altro a parte Thrax fosse lì con lui. I suoi quattro compagni dovevano esser stati spostati in un’altra zona dell’isola, assieme a quella nuova ragazza incontrata alla magione di God Serena.

Nell’oscurità un corpo sferzò l’aria, impattando contro la sua guancia e rigettandolo nella terra fangosa. Con uno schizzo, la polpa nera lo ricoprì da cima a fondo.

Daisuke strinse i denti, sentendoli dolere nel punto in cui quattro nocche gli avevano lasciato un livido in viso. I suoi occhi ambra guardarono in alto, domandando perché, perché di quel manrovescio a Thrax. Gli occhi del soldato invece non avevano domande e tantomeno risposte, ma solo un freddo distacco.

“Consideralo come un avvertimento, a maggior ragione che non ci sono quei quattro pagliacci con te. Sei solo e sei debole, non durerai a lungo qui. Figuriamoci in un campo di battaglia. Hai mai ucciso una persona, almeno? Io sì, ma non è un vanto… ho visto tanti farlo, e quelli più fragili poi si sono ritirati per sempre, segnati a vita da cazzate come i sensi di colpa e robe del genere. Ti sto salvando, dicendoti di rimanere qui per il tuo bene.” E concluse con un ghigno divertito che il biondo riuscì a vedere scintillare alla luce della luna: “Un gesto d’affetto per il quale mi dovresti ringraziare.”

Passo qualche secondo, ma non si sentì nulla. Nemmeno un respiro ansimante e instabile, come ci si sarebbe potuto aspettare da una persona colpita a tradimento da tali dure parole. Nulla.

“O hai qualcosa da ridire?” Con una smorfia provocatoria, il ragazzo strinse le nocche.

“Signor Zefiro, aspetta.” E Thrax si fermò, guardando finalmente il ragazzo di fronte a sé sollevare il capo e mostrare tutto il suo angelico viso rotondo. Quello stesso volto però non era indifferente all’oscurità, come dimostrava un alone oscuro che gli incorniciava degli occhi altresì espressivi e brillanti, ma che in quel momento avevano perso qualsiasi luce.

“Voglio credere che tu abbia fatto ciò che hai fatto e detto ciò che hai detto per il mio bene, come credi. Ma se dovessi attaccarmi un’altra volta, non potrò non prenderla come altro da semplice ed ingiustificata violenza.” Daisuke non sapeva essere minaccioso, ma conosceva per bene ciò che metteva in chiaro con quell’avvertimento, e fu abbastanza perentorio da farlo capire senza occasione di dubbio anche a Thrax.

Così l’altro annuì, si scrocchio le nocche e ridacchiò tra sé e sé, forse mormorando qualcosa che poté sentire solo lui. “Sei troppo buono, Shiro.” Furono le ultime parole che disse prima di ritirarsi nella boscaglia.

Il biondo, rimasto solo, sospirò amareggiato. Situazioni come quelle non lo mettevano affatto di buon umore, ma presto un dettaglio più allarmante lo distrasse completamente: “M-Ma-Ma… Teddy?! Dov’è? E poi… nooo! I miei vestiti…”

Dall’altra parte dell’isola il risveglio di Julia assieme alle quattro guardie del corpo fu meno problematico.

“Andiamo a spaccare di mazzate questo Capitano e questo Comandante!!” Esultò la bionda, provando a coinvolgere con il suo entusiasmo anche gli altri quattro. Loro però le spiegarono educatamente come fosse di priorità trovare Daisuke, e lei comprese.

“Andiamo a spaccare di mazzate… Daisuke(?)!!” No, non aveva compreso. Glielo rispiegarono con ancor più cautela e gentilezza.

“Andiamo da Daisuke!! E… se troviamo un Capitano o un Comandante, lo meniamo!” Tutti contenti esultarono e si tuffarono nella giungla, ignari di chi li aveva osservati ed ascoltati a qualche miglio di distanza.

Infatti, su di un atollo più interno nella costa di Alvarez, la piccola stratega ed il suo misterioso braccio destro armato di khopesh costituivano i soli spettatori di quello show.

“Ancora non capisco perché tu mi voglia rendere partecipe di tutto ciò.” Sbuffò Sunse, seduto per terra con i palmi puntati dietro di sé, potendo osservare solo la schiena di Amasia, la quale era in piedi. “Dopotutto presto, sicuramente prima di loro, dovrò partire in guerra. Non ha senso guardare questo addestramento.”

“Certo che non ha senso.” Dal modo in cui rispose Amasia, sembrava stesse mentendo spudoratamente “Ma guardare dei piccoli cuccioli di soldati che si allenano è impareggiabile: ti riporta a quando anche tu eri piccolo così… quando presi io le armi, questo continente non si chiamava nemmeno come lo chiamano adesso. Che nostalgia!”

“Non penso che nessun essere attualmente in vita possa comprendere questo genere di nostalgia…”

 

La stessa luna beffarda rischiarava parzialmente il cielo di un altro paese, seppur su di una costa diametralmente opposta. Le strade di Crocus non erano illuminate da due anni ormai, e tutti quei lumi e lampioni dai decori floreali si erano riempiti di polvere, ragnatele o sangue. Accendere una luce significava esser visti, e nessuno dei due conviventi in quella città martoriata dalla guerra voleva essere visto, se non nel momento in cui avrebbe ucciso il suo avversario.

Così le due figure danzavano nella totale oscurità, con movimenti che trascendevano ormai i modi umani per poter scivolare sui muri come gechi e strisciare tra i vicoli come ratti. Ombre più scure del buio stesso, ricoperte da mantelli neri per non riflettere neanche quei bagliori fugaci di luna tra i tetti delle case.

Il più abile dei due era il ragazzo, una figura di riferimento nello spionaggio e nelle infiltrazioni per l’esercito di Fiore, benché provenisse dalla modesta gilda mercenaria Path of Radiance. Di Jun Inoue si diceva che non parlasse mai in quanto ragazzo silenzioso e timido, ma la realtà tradiva la leggenda, perché durante quella corsa nell’oscurità non aveva neanche emesso un respiro lontanamente percettibile dall’orecchio umano.

La donna alle sue spalle, la Capitana Edra Star, coglieva gli attimi in cui fosse visibile il pupazzetto di lupo che il giovane portava attaccato alla cintura: sapeva che, se Wolfie fosse stato sguinzagliato nella sua forma da battaglia, ci sarebbe stato ben poco silenzio e quiete. Quella era la natura degli strumenti di morte noti come Tesori Oscuri, dei quali faceva parte la sua lancia Sleipinir, che tuttavia non aveva con sé quella notte.

A nulla era valso metterla in guardia, perché lei era stata ferma su tale decisione, ed i suoi veri scopri li aveva rivelati solo a pochi scelti. Tra essi c’era ovviamente Jun, che infatti si fidava di lei.

La missione assegnata loro da Rea e Florence era stata chiara, e l’infiltrazione furtiva in territorio nemico stava filando liscia. Dopo un paio di ore erano giunti al quartiere in cui erano concentrati gli accampamenti di Alvarez, e se ciò che avevano fatto fino ad allora lo avrebbero potuto portare a compimento anche una manciata di soldati esperti, l’irruzione nella base nemica poteva essere portata a termine solo da loro due. Non erano state parole dette da loro stessi, ma da Rea in persona.

Edra aveva in sottofondo nella sua testa, come musica ascoltata distrattamente, il discorso del giorno prima della sua master. Dovevano dare il tutto e per tutto quella notte.

“Jun, tu sei pronto a sacrificarti per la nostra gilda, e per il nostro regno?” Nonostante lei si reputasse una persona a cui era difficile strappare dei momenti di debolezza del genere, sentì il bisogno di valutare quanto il suo compagno in quella pericolosissima missione fosse saldo ai suoi stessi princìpi.

Si trovavano nell’antro dei folletti, la fossa al centro di un dedalo di vicoli, con barricate che arrivavano fino al cielo e costruivano dei passaggi sopraelevati dove spie, ricognitori e cecchini erano sempre di guardia. Davanti a loro c’era l’ingresso di una villa, una porta della luna non troppo larga che rappresentava uno dei tanti ingressi per il loro quartier generale. L’angusto spazio avrebbe fermato qualsiasi carica di numerosi soldati, e permetteva di vederci attraverso in modo altrettanto limitato. Si intravedeva una costruzione di assi stretta e luna, come una torre.

Il giovane ninja si dedicò a scegliere con cura un’arma da lancio da un cinturino che portava al petto, ma al contempo la sua mano destra impugnò il peluche del lupo bianco e lo agitò di fronte alla Capitana.

“Wolfie ci tiene alla sua vita, e preferirebbe non morire mai, così come non vorrebbe veder sacrificare i suoi compagni di squadra. Però questo è al tempo stesso il motivo per cui Wolfie ha deciso di scendere in campo con te, Capitano Edra: noi due insieme possiamo sicuramente farcela, ed impedire una gran perdita di vite!” per fortuna Edra era abituata a sentire il ragazzo esprimersi con quella voce buffa, facendo da ventriloquo al suo stesso Tesoro Oscuro, oppure avrebbe potuto fraintendere la serietà nascosta dietro quelle parole. Erano stati trasmessi rispetto e fiducia persino in quella strana interazione.

“Grazie, sono felice di sentirtelo dire.” Sospirò di risposta, per poi accovacciarsi per terra e da lì distendersi sul fianco, ponendo la testa oltre lo sbocco del vicolo che li separava dalle vedette. Immersa nell’ombra com’era era impossibile esser vista, ma sfruttando quella prospettiva abbassata riuscì a scorgere qualcosa infrangersi contro il pallore della luna oltre l’ingresso della base, cosa che prima gli era occlusa alla vista. Si trattava di una torre di vedetta sopraelevata, così tanto che da lì nessun’arma di Jun l’avrebbe potuta raggiungere. Comunicò allora il piano da seguire, elaborato in base a ciò di cui disponevano.

Le guardie stavano parlando senza però voltarsi e guardarsi in viso. Per quanto fossero sull’attenti, c’era malcontento nelle loro parole.
“Lì dentro si festeggia e noi siamo qui da soli.” Disse uno, al che l’altro bofonchiò “lo stai ripetendo da mezz’ora. Basta adesso…” era così annoiato da non riuscire nemmeno a sembrare minaccioso.

“Si sentono da qui le grida e la puzza di alcohol. Non ho capito perché loro devono stare dentro a festeggiare con i rinforzi di ieri mattina, e io invece no!” e allora l’altro preferì sfotterlo sogghignando: “Forse perché tu l’alcohol non lo sai reggere. Se ci attaccassero anche adesso, loro saprebbero almeno reggersi in piedi, mentre tu dopo un boccale e mezz-” la voce gli morì in gola.

Gorgogliò una schiuma calda, che come in un bicchiere di birra appena versata gli inondò la bocca mentre osservava il suo amico fare la stessa fine. Si portò una mano nel punto in cui vedeva il proprio sangue zampillare sotto il suo mento, per sfiorare l’impugnatura di un piccolo pugnale.

Alle loro spalle, sopraelevato di almeno cinque metri da terra, la vedetta vide le suddette guardie accasciarsi a terra in contemporanea. Inevitabilmente si allarmò, ma quella distrazione gli impedì di vedere due figure ammantate sbucare dalle ombre, sorvolare i cadaveri ed emergere proprio dal cancello che doveva difendere. Una di esse si fiondò nella sua direzione, ma non sembrava intenzionata a scalare la torre. D’altronde, non gli serviva farlo.

Edra piantò le suole per terra dopo un lungo scatto, lasciando dei solchi fumanti sul terreno e tuttavia trovando la stabilità giusta per prendere la mira. Fosse stato in direzione del sole, il suo bersaglio sarebbe stato quasi impossibile da centrare, ma il dolce chiarore della luna le fu invece d’aiuto: caricò dietro la testa una spranga di metallo che aveva trovato nei vicoli e la scagliò con la sua forza sovrumana contro la vedetta. Essa si ritrovò impalata all’altezza del petto, strappandogli qualsiasi tentativo di urlare mentre l’impatto lo sbalzò all’indietro, nel vuoto. Atterrò morto tra le braccia di Jun, evitando che un tonfo secco allertasse altri eventuali soldati.

Fortunatamente, come avevano origliato poco prima, sembrava che la maggior parte delle truppe di Alvarez fosse rintanata ancor più all’interno della zona.

I due mercenari poterono allora spogliarsi delle cappe ed indossare le placche nere ricoperte da un mantello dei soldati appena uccisi. L’abito della vedetta sulla torre avrebbe attirato troppo l’attenzione per via dello squarcio sul petto, e per questo non venne utilizzato. Le spoglie dei soldati più integri furono vestite dei vecchi mantelli e assicurati con dei legacci al muro del loro posto di guardia, così che nella fioca luce sembrassero ancora vivi ed operativi. Il ragazzo ninja fu rapido nell’eseguire questa strategia che tuttavia non gli era nemmeno stata ordinata dal suo capitano, in quanto gli aveva voluto lasciare carta bianca in una materia in cui era sicuramente più competente di lei.

L’infiltrazione nella base, grazie alle divise rubate, fu più che facile: fecero qualche test passando nel campo visivo di qualche soldato in ricognizione da solo, e non destarono per niente l’attenzione. Ben presto furono così nel cuore dell’accampamento nemico. Lampade a lachrima erano disposte sul terreno, regolate per non emettere troppa luce: l’Impero disponeva di quel materiale più di Fiore, e vedere le strade costellate di così tante rare pietre provocò un senso di disagio nei due soldati, come quando si assiste ad uno spreco di cibo.

Per quanto l’illuminazione fosse a dir poco intima, il vociare delle milizie rimbombava tra le strade, guidandoli fino ad una piazza ghermita da soldati su ogni mattonella o lastricato del perimetro. Qualcuno sui balconi, qualcuno sui tetti, ed era evidente che anche le case lì attorno fossero riempite. La mente di Edra fagocitò l’immagine di una bomba proprio al centro di quella piazza, che cancellasse i loro nemici una volta e per tutte: sarebbe stato rischioso, oltremodo suicida, ma nemmeno una tecnica che non era stata usata dalla parte avversaria in precedenza.

Li videro, erano tre ombre sedute a bordo della fontana, con attorno un gorgo di loro commilitoni che mostravano un misto di rispetto e fiducia. Parlavano serenamente:

“Capitano Crannhog, domani la raderemo al suolo questa città se i suoi animali non si danno una calmata!” un coro di risate si alzò dopo la battuta di un soldato, ma nessuna di queste fu esplosiva come quella di un uomo dalla stazza gigantesca, che però si arricciò i lunghi baffoni con un ghigno vanitoso.

“Soldato…” e facendo scivolare un braccio alle sue spalle come per cingere in un abbraccio un’amante, andò a sfiorare qualcosa “… i miei cuccioli sono più docili e ben educati di quella puttana di tua madre!” quel qualcosa era un grosso alligatore nero dal lungo collo ripiegato. Sembrava enorme così com’era, ma ad una seconda occhiata fu facile vedere come fosse in realtà disteso, con le giunture piegate sotto la pancia.

Il Coccodrillo Levriero emise un basso gorgoglio, e da come il suo padrone sospirò intenerito significava che avesse appena fatto le fusa. Qualche altro esemplare, tra una dozzina distesi più indietro, singhiozzò in cerca di attenzioni. A Fiore non c’erano i coccodrilli levrieri, erano bestie capaci di vivere a lungo solo a temperature altissime e al massimo fungevano da spauracchio nei racconti dell’orrore dei bambini per quando c’era un’estate torrida che avrebbe potuto presagire la loro invasione.

“Soldati” richiamò l’attenzione una donna, seduta in cima alla fontana con una custodia adagiata sulle gambe ma assicurata alla vita con cinghie nere e dorate “… sono fiera di voi. Per come state rispettando gli ordini dell’Imperatore, e di noi vostri superiori. È nell’interesse di tutti che Crocus rimanga intatta, perché quando la conquisteremo diventerà casa della nostra gente.”

La donna, che a dirla tutta sembrava di età abbastanza vicina a quella di Edra, aveva corti capelli castana raccolti in un basco, tranne per un ciuffo lungo che si arricciava con un dito della sua mano guantata.

L’unico dettaglio che stonava della sua persona era dei curiosi occhiali da sole che portava calcati sugli occhi, nonostante fosse notte e la luce delle lachrime per nulla intensa.

“Ma perché stai parlando con questo tono caldo e profondo, come una presentatrice?” Inarcò un sopracciglio il bestione di capitano affianco a lei, una reazione che tutti i presenti avevano avuto allo stesso tempo. La donna inspirò, allargando il suo sorriso e rilassando i muscoli del volto.

Dopodiché gli piantò il suo stivale col tacco in faccia, sbraitando mentre agitava una bottiglia di vino: “Perché sono una capitana strafiga e sexy, ecco perché!” palesemente brilla.

In molti risero, “povero capitano Crannhog, la Capitana Sephia lo maltratta sempre” qualcun altro la incoraggiò ululando “ma che povero?! Vorrei essere io al suo posto, ti prego Capitana calpestami, molestami sul lavoro, distruggimi di botte!”. La situazione era più che leggera, a dir poco colloquiale.

Tutti chiacchieravano gli uni con gli altri in un’unica massa umana di soldati sempre con le armi alla cintura e l’uniforme indossata. Si respirava professionalità e diligenza nonostante l’atmosfera da festicciola. Proprio per questo la Capitana di Fiore non riusciva ad abbassare la guardia, e studiava soprattutto le principali minacce di quell’esercito nemico. Ed in particolar modo, mettendo a fuoco il motivo della tensione che stava accumulando in grembo, era la terza figura che ancora non aveva proferito parola tra i due capitani.

Un brivido aveva rischiato di tradire la sua flemma quando qualcuno l’aveva appellato con il titolo di Generale, poco prima. Era da mesi che non si vedeva un generale mandato dall’Impero in quella discarica di cadaveri, e questo supportava la tesi del Capitano Florence dopo aver saputo dei rinforzi: Alvarez ha intenzione di chiudere i giochi.

Jun era tornato al suo fianco da diversi minuti quando la luna non si trovava già più nel punto più alto del cielo. “È ora di andare” gli dissero gli occhi impensieriti del ragazzo, siccome niente li tratteneva più lì. Presto i loro avrebbero sfondato l’ingresso indifeso del quartier generale, ma sarebbe stato pericoloso farlo senza prima un rapporto su ciò che avrebbero trovato all’interno. La rossa annuì e si preparò ad allontanarsi, quando: “… ehi.”

Una voce amichevole, l’ultima cosa che di norma ci si sarebbe potuti aspettare da un superiore che si rivolgeva ad un suo sottoposto. Era stata la castana di nome Sephia, o almeno così era stata chiamata, non aveva bisogno di girarsi per riconoscerla.

Tirò avanti facendo finta di non aver sentito. Dopotutto c’era almeno un centinaio di gente lì, non poteva rivolgersi proprio a-

“Ehi ragazzo, ti ho già visto a Vistarion.” Al suo fianco, Jun vide la mano della capitana nemica poggiarsi sulla spalla di Edra. Seguì quel braccio con lo sguardo, incorniciando poi in seguito il volto della sua compagna di squadra quando essa si girò.

La conosceva da anni, e quella donna si era sempre fatta conoscere per essere una persona capace di ragionare ed agire a mente fredda, ed esperta nella complicata arte di nascondere le proprie emozioni quando esse avrebbero potuto tradirla in situazioni pericolose. Tuttavia, quell’aspettativa smise di essergli fedele dopo tutti quegli anni, e vide la Capitana Edra Star tremare con gli occhi sgranati dal terrore.

O forse terrore non era?

Qualsiasi cosa fosse stato, lui non la comprese, e neanche la donna di fronte a loro, ma a lei non servì comprenderlo. A lei bastò capire che qualcosa non andava: la persona che aveva scambiato per un uomo di sua conoscenza era in realtà una donna, e quel volto estraneo aveva reagito in maniera irrazionale di fronte a lei. Un campanello di allarme che risuonò forte nella soldatessa di Alvarez, la quale si irrigidì come un blocco di ghiaccio.

“Wolfie!” Jun urlò prima che lei potesse farlo, sguainando una spada corta e scoccando un colpo verso la sua avversaria. Il fendente rimbalzò contro la custodia prontamente alzata a mo’ di scudo, ma il fallimento non fu così sentito dal ragazzo ninja: la sua mossa era già stata fatta nel momento in cui aveva richiamato il suo prezioso amico.

Il Tesoro Oscuro Wolfie si ingigantì, assumendo le sembianze da gigantesco lupo bianco munito di un’imponente e folta coda prensile. Con essa afferrò il suo padrone, mentre tra i denti strappò Edra dal suolo per lanciarsela in groppa, ma prima ancora di terminare queste azioni i muscoli delle sue gambe si erano già mossi sotto un preciso obbiettivo: la fuga.

I soldati di Alvarez si resero conto del misfatto quando ormai quel colosso di pelo li aveva travolti come una valanga, saettando verso il distretto degli alti palazzi. -Troppo alti per raggiungerli con un balzo e fuggire dai tetti…- ragionò, ripresasi dall’iniziale shock, la Capitana alvareziana. Aprì la custodia, svelando un fucile che prontamente imbracciò: un’arma del genere ad Alvarez era praticamente impossibile da forgiare in massa, ma quell’arma era ancor più unica ed eccezionale, come indicava l’aura maligna che pulsava assieme a delle mostruose venature gialle sul suo acciaio nero.

Tuttavia il Tesoro Oscuro della Capitana Seraphia Keller, detta Sephia, non sparò un colpo. Non avrebbe sortito nessun effetto. Il suo occhio telescopico era puntato sui tre in fuga, ma l’indice esitava ad avvicinarsi al grilletto fino a che non si sarebbe presentata l’occasione propizia.

La ritirata, o meglio, fuggire dalle fauci della morte come stavano facendo Jun e Edra, era ben diversa dall’affrontare una battaglia. Mentre sul campo i loro timori erano ottenebrati dalla tensione e dall’importanza di sferrare il colpo decisivo prima che lo facesse il nemico, in quel momento erano più che impotenti. Il cuore pulsava loro in petto così forte che quel maledetto palpitio copriva il suono delle grida nemiche. Grida di soldati che li inseguivano, e che riorganizzavano una strategia: a quel punto era palese che stessero temendo un’altra irruzione alle porte della loro area, ma se Rea e Florence avessero agito in fretta avrebbero potuto comunque coglierli impreparati.

Almeno i due giovani erano al sicuro da quei soldati in preda al panico e disorganizzati, perché non avrebbero mai potuto raggiungere la velocità di Wolfie. Coloro che invece quell’andatura potevano eccome eguagliarla si presentarono presto alle loro spalle, inseguendo l’ombra che la luna gettava su di loro: soldati a cavallo dei coccodrilli levrieri, gli animali più veloci del deserto nelle estremità dell’Impero di Alvarez.

Edra osservò sgomenta quei cavalieri bizzarri quanto mortali avvicinarsi a loro, e rimpianse di non avere con sé la sua arma. Con un sol colpo avrebbe potuto distruggere le fauci dei rettili prima che si serrassero su Wolfie. Tuttavia se Jun, la persona che più teneva a Wolfie nell’intero mondo, non aveva ancora battuto ciglio da che era iniziato quell’inseguimento, allora significava che senza dubbio c'era un giusto motivo per non preoccuparsi. E infatti egli non parve affatto sconvolto dal vedere i mostri squamati barcollare, perdendo terreno e anche l’appoggio delle loro lunghe zampe sulla terra, mentre visibilmente si sforzavano di correre ancora ed ancora. Resi inutili dalla loro stessa stazza goffa, inciamparono su loro stessi e si rovesciarono sulla strada con un ronfo.

Il ragazzo dai capelli bluastri mantenne la sua espressione stoica, interpretabile solo dagli occhi sottili al di sopra della maschera, dimostrando a modo suo un certo compiacimento nel vedere il suo piano andato a buon fine. Infatti, quando poco prima si era allontanato dalla capitana per un giro di ricognizione nella folla, si era potuto infiltrare tra le persone addette a consegnare il cibo ai coccodrilli e aveva somministrato alle bestie qualche goccia di veleno.

“Ti ammazzo, bastardo di Fiore!” un soldato però tradì ogni aspettativa, e non si lasciò disarcionare dai coccodrilli, ma anzi balzò in avanti prima di farsi trascinare al suolo. Probabilmente la sua unità era quanto più simile si avvicinasse a quella di un ninja di Fiore, denotando capacità acrobatiche e di equilibrio: il suo saltò fu calcolato al millimetro per piombare con una lama rivolta verso il basso su Jun.

Questi però non era immobilizzato su di una sella come loro poco prima, e poteva vantare di un veivolo senziente ed in perfetta sintonia con lui. Questo permise a Wolfie di spostare in alto la coda con la quale sorreggeva il suo padrone, anticipando il colpo del nemico prima che prendesse troppa velocità. L’accelerazione dell’ascensione verticale assistette Jun in un taglio a forma di luna crescente, con il quale squarciò il petto del suo avversario fino alla gola, tra un suo rantolio agonizzante. Sangue piovve su affilati occhi di ghiaccio, e su una maschera da vero ninja di Fiore.

Il cadavere non fece in tempo a scivolargli da davanti, che il ragazzo intravide uno scintillio sinistro. Non fosse stato per le lampade lachrime non avrebbe mai notato quel loro bagliore riflettersi sulla superfice dell’acciaio, a distanza così elevata che nessun’arma a distanza avrebbe mai potuto raggiungerlo, se non un cannone. Ma ciò che sparò non fu affatto un cannone.

“Duvalier!” gridò una voce femminile, pronta a vendicare la morte di un suo uomo “Alzati e combatti!”

Una formula del genere, urlata nella notte, fu abbastanza tetra da far gelare il sangue nelle vene al ragazzo, il quale immediatamente sollevò la lama corta del kodachi per difendersi da un eventuale colpo. Lo vide arrivare, ma fu troppo veloce perché, come aveva capito, si trattava di un’arma per nulla convenzionale. Era un Tesoro Oscuro.

Non gli accadde nulla, e non avvertì Wolfie ricevere alcun danno. Il suo primo pensiero fu voltarsi verso la propria capitana, preoccupato per lei, ma la udì appena sussurrare “Jun…” prima che un tocco freddo sulla pancia lo facesse trasalire. La sensazione di gelo passò in fretta, perché poi in quel punto preciso ci fu solo caldo, molto caldo, un fiotto di caldo. Uno zampillio di sangue, per la precisione.

Osservò confuso il soldato che aveva appena ucciso premergli la spada in profondità nel fianco, torcendogliela in modo da squarciare brutalmente la carne. Avrebbe potuto giurare di avergli tolto la vita dagli occhi, ma ora stava venendo fulminato da due orbite nere come la pece, come se fossero sature di sangue scuro e denso.

La mano di Edra si serrò nella bocca del nemico, sollevandolo dalla mascella e scagliandolo fuoribordo con uno slancio disperato. Appena in tempo poté accogliere tra le braccia il compagno, ferito gravemente.

“Jun!” sentì Wolfie perdere velocità “Jun, ce l’abbiamo quasi fatta! Resisti.” Aveva visto tanti, troppi morire sotto i suoi occhi in modi simili, ma il vedere un sacrificio così vano compiersi proprio in quel punto di svolta della guerra le trasmise un dolore in petto grande quasi quanto quello che provava lo stesso Jun.

Delle urla provenienti dalla direzione opposta a quella da cui erano state abituati a sentirle la fece voltare, nonostante fosse fin troppo preoccupata per lasciarsi distrarre dal suo compagno. Intravide un posto di blocco, sicuramente prima di uno degli ingressi che lo stesso Wolfie conosceva bene: quell’entrata non era a livello della strada come il cancello dove erano entrati loro, ma attraverso tunnel e gallerie che sbucavano da un palazzo sorvegliato costantemente da più uomini. Quello stesso palazzo si stagliava alla fine della strada, il vicolo cieco di una strada imbottigliata da altrettanti edifici. Un corridoio dove sarebbe finita la loro corsa.

La donna strinse i pugni, come se potesse impugnare la sua arma. Non l’aveva con sé, certo, ma questo non le avrebbe impedito di lottare.

“Cap-Capitana…” ma una voce flebile la richiamò all’attenzione. “Ilya le aveva detto “non morire e non lasciare i tuoi uomini morire”, no? Bhe, nessuno qui vuole farle una brutta figura.” Una macchia di sangue si espanse al di sotto della maschera di Jun, in prossimità delle labbra. Dopodiché quel suo rantolio si trasformò sorprendentemente in un urlo che fece appello a tutte le sue forze.

“Ruggisci! Wolfie!” e Wolfie ruggì. Spalancò la bocca così tanto che avrebbe potuto divorare un uomo intero, ma la sua gola si gonfiò ancor più a dismisura. Dopodiché rivolse il muso verso terra mentre spiccava un balzo in avanti, al suono di balestre che si caricavano su di lui e sui suoi passeggeri.

Nessun dardo li raggiunse mai. Un boato che poteva assomigliare all’unione di tutti i ruggiti del regno animale così come all’ululato di un lupo squarciò il silenzio della città fantasma, mentre una colonna di pressione fu scagliata dalla bocca di Wolfie ed esplose in un’onda d’urto. L’enorme animale venne sollevato da terra come un uccello catturato da una corrente ascensionale, e più leggero dell’aria superò il palazzo previsto come insormontabile fino ad un secondo prima. La luna contro la quale si stagliavano era grande, tanto da illuminare d’argento persino i rossissimi capelli della donna e il sangue che sgorgava dal suo amico.

 

La stessa luna scivolava tra le fronde degli alberi per poi piovere sul corpo sfuggente di Thrax. Un’ombra tra le ombre, incapace di farsi arrestare da inutili sentimentalismi o inutili persone sul suo tragitto. L’unica cosa utile era combattere per conquistare qualcosa di nuovo, in un mondo che andava sempre più distruggendosi: pensò a Dimaria Yesta, e a come avrebbe voluto conquistare prima il privilegio di combattere al suo fianco ancora una volta prima di…

“Ehi! Che cazzo sei?!” un esserino attaccato al suo braccio catturò la sua attenzione, temendo fosse un insetto velenoso o altro, ma ad una seconda occhiata lo riconobbe subito: “… il pupazzo di quel bambino.”

Teddy, il ben vestito orso peluche di Daisuke Shirogane, era aggrappato con le sue tozze e senza dita zampe. Furono molti i tentativi del cinereo di rimuoverselo, ma quel coso gli era appiccicato addosso applicando anche una certa forza attorno al bicipite. Fermandosi un istante a riprendere fiato, ricordò la prima impressione che aveva avuto guardando Teddy, o meglio, il Tesoro Oscuro chiamato così.

“Mi devo preoccupare di te, orso coglione? Ti vuoi forse vendicare di quel che ho fatto al tuo padroncino?” ma fu inutile parlarci, perché è inutile parlare ad un pupazzo. Solo freddi occhi di bottone gli risposero, luccicando alla luce della luna.

“Oya~oya, boy~a” canticchiò un vocione dall’alto “lo fai apposta a parlare con un peluche piuttosto che prestarmi attenzione… o forse non mi avevi visto?”

Thrax balzò immediatamente sull’attenti, percependo una sensazione di spaventosa sorpresa, simile ad una lama delicatamente appoggiata sul collo. Volse lo sguardo al cielo, incontrando sulla cima di un albero il suo interlocutore: la shilouette di un uomo.

Egli ridacchiò tra sé e sé: “No, non mi avevi visto. Peccato, mi sono distratto così tanto nell’ascoltare un povero idiota parlare con un peluche, quando avrei potuto eliminarti. A mio modo sono anch’io colpevole…”

Purtroppo per lui, da “povero idiota” in poi non era più stato ascoltato, perché infatti Thrax aveva spiccato un balzo nella sua direzione affidandosi solo ai suoi occhi: con il suo sguardo puntò l’uomo che stava per uccidere. Il fodero di Grecale si stabilizzò in orizzontale, mentre la mano del suo utilizzatore si apriva come un fiore che sbocciava delicatamente, accarezzando l’impugnatura. Un rivolo di vento soffiò alle spalle del ragazzo, anticipando il colpo che stava per essere sferrato prima ancora che il suo avversario potesse reagire.

Sarebbe successo esattamente questo, se la zampetta di Teddy non avesse mollato uno schiaffo all’arma, sbalzandola via e facendola precipitare nella boscaglia sottostante.

“Eh?” la mano di Thrax si serrò attorno al nulla più assoluto. Guardò in basso, poi guardò Teddy. “Pezzo di m-” ma non poté continuare la frase, perché un ginocchio gli si conficcò nell’incavo del collo, schiacciandogli il pomo d’Adamo. L’impatto fu tale da cancellare da i suoi muscoli le energie necessarie per respirare persino quando piombò al suolo dopo una caduta di cinque metri. Il dolore in confronto sembrò appena un piccolo fastidio.

“Ah, scusa. Eri stato sul serio disarmato, non stavi fingendo? Pensavo fosse un trucco per farmi abbassare la guardia.” L’uomo si sforzò di rimanere serio fino all’ultima parola, ma fallì miseramente: scoppiò a ridere con una mano sulla fronte e una sulla pancia, come neanche il più isterico e fradicio degli ubriachi avrebbe fatto.

Si trattava di un omaccione più fisicamente possente di Thrax, con corti capelli del colore della terracotta, i quali a stento coprivano la raccapricciante cicatrice che gli attraversava in obliquo il volto. Un volto tutto sommato allegro e piacente, nonostante lo sfregio. Dopo aver finito di ridere si sfilò la larga giacca che indossava per rivelare un body nero più adatto al combattimento.

Perché, nonostante stesse deridendo il suo avversario, sapeva che il vero scontro era lungi dal finire. Lo desiderava, lo agognava, forse anche più di Thrax, lo stesso suo avversario che ora lo guardava dal basso con gli occhi iniettati di sangue nonostante il dolore.

“Il mio nome è Vilhelm Fatus. Se vuoi puoi chiamarmi Capitano, Vil, o anche-”

“Non me ne frega un cazzo di te! So solo che ora morirai, bastardo!” lanciandosi come un cane rabbioso verso la sua spada, Thrax cercò di cogliere il suo nemico alla sprovvista mentre parlava. Tutto ciò fu inutile, perché qualcosa lo sorpassò.

Una testa di lupo in acciaio si conficcò nel terreno, intrappolando tra le fauci la lama di Grecale. Quell’ornamento era l’estremità di una lunga catena sfoderata dall’appena annunciatosi Vilhelm, e quest’ultimo non si risparmiò dal sorridere soddisfatto per l’espressione stupita che ora gli mostrava Thrax.

“Questa è mia, ora!” e con lo stesso sforzo che avrebbe fatto un pescatore per tirar su la canna da pesca, tirò a sé la sua preda. La sua forza però si ritrovò contrapposta ad il peso di un pestone con cui il ragazzo immobilizzò la catena ai suoi piedi. La terra si crepò e tremo sotto la potenza della sua ira.

“Questa spada non va da nessuna parte…”

“E invece ho detto che è mia, ora.” Vil gli fece la linguaccia, mostrandogli come stesse impugnando Grecale tra le sue mani. Per la terza volta il volto del giovane fu deformato dallo sgomento, non riuscendo più a credere ai suoi occhi.

Ciò che si trovava ai suoi piedi era solo un’estremità della catena, che bene presto fu tra l’altro ritirata dal possessore, e non la sua spada.

“So bene chi sei, Thrax Umbral, per quanto ancora non abbia capito cosa faccia questo tuo Tesoro Oscuro.” Il sorriso dell’uomo lentamente sfumò, mentre stava catturando l’attenzione dell’altro parlando con un tono più grave.

“Te lo dirò sinceramente, io non voglio combatterti. Voglio parlare, o più precisamente voglio sapere qualcosa da te… quindi non lasciarti torturare e rispondimi in fretta. La domanda è: perché io e te, che non siamo nati nella stessa terra, abbiamo età differenti, non ci siamo mai incontrati, non abbiamo combattuto nelle stesse battaglie e non abbiamo fatto nessun mestiere simile in vita… abbiamo una cosa in comune?”

Il silenzio della notte era ancor più assordante nell’isola oscura.

Gli occhi gialli di Vilhelm splendettero come quelli di un gatto nel buio: “Il tuo soprannome è Zefiro, il vento del nord-ovest. Quando invece io finii in prigione per i miei crimini, e quei cari bastardi dei carcerieri provavano in ogni modo ad abbattere il mio morale, mi vennero dati molti soprannomi in altrettanti anni… i più di essi erano insulti, per riflettere la vita di merda che avevo condotto. Un giorno però qualcuno parlò con il direttore della prigione, e subito dopo venni rilasciato… a quel punto però venni chiamato in un altro modo, e non parlo di nomignoli per sbeffeggiarmi, ma di un nome che era diventato quasi un titolo.”

Il tintinnio degli anelli della catena tra le mani callose di Vilhelm riempì la pausa nella sua voce.

“Quel nome era Scirocco, il vento del sud-est. E ora aiutami a capire il perché, Zefiro!”

 

Più in lontananza, sempre su quell’isola ma al riparo da venti di primavera o d’estate, c’era altrettanto movimento. I quattro bodyguard di Daisuke erano sempre più esasperati nel cercare di ricordare alla loro compagna, Julia, della loro vera missione.

“Oh, ragazzi! Come siete sciocchini!” Trillò la bionda, mettendosi le mani sui fianchi in una posa fiera “Se ho capito bene chi è questo Shiro di cui state parlando, allora è spacciato in un posto come questo!”

I quattro iniziarono a disperarsi dietro le loro maschere, temendo effettivamente il peggio.

“Cioè, guardate questo posto!” continuò lei, indicando le fronde attraverso le quale era impossibile vedere “ci potrebbero essere bestie grandi così!” e spalancò le braccia sopra la sua testa. Proprio in quel preciso istante, attirata dalle urla, una bestia molto più grande di “così” spalancò le fauci e le serrò attorno ad un braccio della ragazza.

La creatura era un’enorme lucertola giallastra striata, con però la mandibola e gli artigli che la rendevano più simile ad un felino come una tigre, o un leone. Julia non poteva saperlo, in quanto parecchio ignorante e pure analfabeta, ma quella specie di Iguana Ligre era stata installata nell’isola in cui si trovavano appositamente per quella sfida. In realtà era nativa delle pianure vicino all’estremità di Alvarez, e rappresentava l’unico vero muro per i coccodrilli levriero dei deserti, in quanto bestie nettamente più forti e feroci di loro.

Ma proprio perché Julia questo non lo poteva sapere, non si interessò neanche più di tanto all’accaduto.

Intanto l’iguana masticò il braccio con i suoi denti acuminati e tirò all’indietro la destra per strappare via l’arto. La carne si tese, e si tese e si tese, o meglio, si allungò. Le guardie del corpo assistettero a questo vomitevole spettacolo con lo stomaco serrato: il braccio di Julia stava venendo strappato, ma pareva essere molto più lungo di quanto fosse in precedenza, tanto che l’animale faceva fatica a mangiarlo. Sembrava star cercando di strappare con i denti una gomma da masticare.

“Ho trovato!” esclamò la bionda, acquisendo interesse nella creatura “Ho trovato… un nuovo bracciale!”

Produsse lo stesso suono di un’esplosione, e qualcosa sfondò dall’interno la schiena dell’iguana. La sua coda rotolò via, lasciando spazio ad una grossa sporgenza nera munita di tentacoli. Quei cinque tentacoli divennero però simili a dita, quando anche la stessa protuberanza si colorò di rosa carne.

“Il dinobracciale!” Julia era in visibilio, festeggiando con il suo braccio destro ingigantitosi dopo aver indossato come un polsino quella creatura.

“Ti faccio notare che è incorretto associare i rettili ai dinosauri. È stato provato che in realtà quelli che un tempo erano i giganti che solcavano la nostra terra, non si sono affatto evoluti in lucertole o iguane… bensì in galline e simili pennuti.” Una voce acuta proveniente da dietro le fronde risuonò in tutta la sua pacatezza, nonostante per i cinque presentì parve un allarmante segnale di pericolo.

Non riuscendo a scovare chi avesse parlato, si guardarono attorno nell’oscurità più totale per qualche secondo, prima che un raggio di luce squarciasse il buio. Dei cespugli infatti erano stati scostati per permetter loro di osservare un’ampia radura senza coperture dall’alto.

Lì al cento era stata posta una poltrona a dondolo, un bizzarro tavolo a dondolo anch’esso ed un ripiano a dondolo persino lui per tenere sempre alla giusta altezza un libro, rispetto alla donna che lo stava leggendo.

Aveva lunghi capelli biondi ed occhi azzurri, e vestiva abiti che potevano costare quanto gli organi di tutti e cinque i giovani soldati rivenduti al mercato nero: un abito bianco con dei merletti di rosa perla e una larga gonna morbida e soffice come una nuvola, anche se bardata di veli con annesse gemme e numerose volte lo stesso emblema nobiliare in argento.

“Alfred, sei proprio un maleducato, cafone, buzzurro, bifolco, campagnolo, perché non fai accomodare i nostri ospiti?” trillò la misteriosa donna, sbattendo le ciglia con un sorriso.

Stava alludendo all’uomo che aveva aperto loro il passaggio, un figuro anziano in frac e con i capelli brizzolati.

“Lady Bea, come al solito mi ferisce.” L’uomo fece cenno ai presenti di superarlo, mostrandosi un po’ abbattuto per come gli era stato parlato. Quando però scrutò meglio gli ospiti, inarcò le sopracciglia: “Voi… voi siete membri dell’Accademia di Sicurezza di Vistarion. Anche io studiai lì... e se avrete vita lunga potreste finire a fare le guardie del corpo a tempo pieno proprio come me.”

“Alfred, di che confabuli?” squittì la donna, interrompendolo. “Di niente, Milady.” Le rispose lui con un sorriso, per poi sussurrare con voce udibile solo da quei quattro: “per favore, non fatelo, finché siete in tempo cambiate obbiettivi nella vita, fate i panettieri, i giudici, i fiorai, qualsiasi cosa ma non…”

La donna seduta poggiò il suo the sul tavolino a dondolo senza versare una goccia, dopodiché chiuse il libro con un gesto delicato. Sorrise a Julia, la quale stava avanzando a passo spedito verso di lei.

“Sai, stavo leggendo questo libro: “Cuore di Tenebrae”. Molto bello, parla di un vampiro che si innamora di una ragazza, e lui brilla quando è sotto la luce del sole e-”

“Ti piace il mio dinobracciale o no?” La interruppe bruscamente Julia, spalancando un sorriso da squalo. “Perché te lo sto per ficcare sotto quell’ombrello che hai al posto della gonna, e ti farà molto male, principessina.”

Per quanto la vera mostruosità di Julia fosse emersa assieme alla sua follia, l’altra donna non si mostrò spaventata. La sua reazione fu però simile a quella di una persona impaurita, ovvero irrigidirsi, diventare pallidi o verdi in volto, ed avvertire freddo sulla pelle: tuttavia si trattava di intestinale e vomitevole disgusto.

“Che fallita!” sbottò, alzando la voce e pestando per terra. I suoi occhi si erano contratti in un’espressione truce “Quanti fallimenti devono aver compiuto le persone che ti hanno messa al mondo, ed i loro antenati prima di loro, per portarti a rivolgerti così a nientepopodimeno che Beatrice Alighieri!? La sottoscritta!”

Dopo aver puntato un dito verso l’alto, se lo morse, strappando con i denti il guanto bianco che ricopriva una mano altrettanto candida. Lì, sull’indice, spiccava un anello argenteo.

“Hagea!”

Quel minuscolo ornamento, potenziato dall’ira più funesta di una Comandante di Alvarez, a breve avrebbe portato la più grande catastrofe che quell’isola avesse mai visto.

 

Angolo Autore:

Prima che vi chiediate dove sia Daisuke, vi assicuro che lui ha imparato all’accademia tutte le tecniche di sopravvivenza e sta facendo il bravo boyscout in solitario mentre cerca di raggiungere Teddy. È al sicuro e sta bene. Fine del messaggio per tutti i fan di Daisuke.

Ok, dunque: c’è stato un capitolo con un po’ di PoV un po’ più serrati rispetto a quelli visti in precedenza. Da una parte chi combatte una battaglia per poter influire sulla guerra, e dall’altro chi si addestra. Sembrano cose così distanti tra di loro, ma avrete potuto intuire quanto siano altrettanto mortali.

Spero che i lettori ed i creatori degli OC apparsi finora (ovvero tutti con questo capitolo, yeee) ci siano ancora e possano lasciarmi una recensione. Ci si sente!

Fatemi sapere in recensione o in privato come si comporterebbero i vostri personaggi in base a quanto successo (per informazioni leggete l’angolo autore dello scorso capitolo). Please, fatemi sapere se ci siete ancora (anche un messaggio in cui mi dite “we fratm, ora non lo posso leggere/recensire, ma ho visto che hai aggiornato, bravo").

Alla prossima, se ci saranno riscontri positivi!

   
 
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