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Autore: Dorabella27    22/07/2021    8 recensioni
Questa storia inizia quasi vent'anni dopo il 1789, quando la Rivoluzione è ormai un lontano ricordo e la Francia vive i fasti del Primo Impero. Siamo nel campo del what if, anche se per sapere dove sia lo switch, il punto di svolta, l'anello della catena che non tiene - per dirla con Qualcuno - e che ci dà una diversa versione dei fatti rispetto a quella di Madame Ikeda e di Dezaki, vi chiedo di pazientare, poiché, lo sapete bene, la linearità - lo avete visto - non è il mio talento, ma tutti i pezzi andranno al loro posto, alla fine. O, almeno, lo spero. Insieme, mi è venuta questa idea, forse un po' pazza, un po' cercando di riabilitare (ma ne ha poi bisogno?) il buon conte di Fersen e un po' riguardando per l'ennesima volta un film che mi è molto caro (non quello di Demy). Buona lettura a chi vorrà seguirmi in questa che sarà una cavalcata a ritroso negli anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Robespierre
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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2.
André lo aspettava davanti alla carrozza: non sembrava cambiato, nonostante ormai avesse superato i cinquant'anni; la figura sempre diritta, le spalle ampie e solide, la camicia bianca dal colletto slacciato sotto la redingote scura; solo un solco profondo ai lati della bocca dichiarava che non era più il giovane uomo che portava la cassetta delle pistole a Oscar, quella sera, al tramonto; ma la voce profonda e gentile, mentre veniva verso di lui per stringergli la mano, era sempre la stessa, e lo stesso era il sorriso che aveva imparato a conoscere tanti anni prima, solo un po' più velato e malinconico.
"Fersen! Quanto tempo!"

"André! Che piacere! Credevo che non ci saremmo rivisti più!"
 
"Entrate, vi prego..".
 
Erano ancora davanti all'ingresso, quando un cavallo arrivò al galoppo. Mentre si avvicinava, e si precisava il bianco del manto dello stallone impetuoso, e il biondo dei capelli del cavaliere, a Fersen corse un brivido lungo la schiena. Poi, il cavallo si fermò a poca distanza da loro, e il cuore di Fersen si fermò per un istante, quando la ragazza, bionda, slanciata e atletica, con gli ultimi raggi del sole a illuminarle la faccia e a confonderle i lineamenti, smontò con un movimento elastico, e con tono entusiasta si rivolse ad André: "Zio, Germanico è stato davvero il miglior acquisto delle nostre scuderie da molto tempo a questa parte. È un piacere montarl...oh! Ma abbiamo visite!", si riscosse, e piantò in faccia a Fersen due occhi nerissimi, tendendogli la mano con un gesto franco.
Mentre lo stalliere interveniva a reggere le briglie, per portare il cavallo alle scuderie, Fersen rispose, con una stretta altrettanto franca, al gesto della ragazza.
La stretta di lei era energica, vigorosa, in barba a ogni galateo; intanto, Fersen la scrutava, ridimensionando lo stupore che per un attimo gli aveva fatto rivedere Oscar al galoppo su César.
"Françoise Athénaïs de Jarjayes-Marivaux, per servirvi, Monsieur ...", si presentò la ragazza, stringendogli la mano.
"Fersen. Hans Axel conte di Fersen", disse lui di rimando, osservando i suoi capelli biondo cenere, la sua figura alta e longilinea, ma con un seno generoso che tendeva la giacca da amazzone rossa dal collo bordato di velluto nero che le segnava vezzosamente la vita sottile, il piccolo neo sopra il labbro superiore, e la bocca carnosa atteggiata a un sorriso vivace e aperto.
"FIIIIIIII", la ragazza si produsse in un fischio smorzato, con espressione stupita. "Quel Fersen? Accidenti!", e lo squadrò con i suoi occhi indagatori e diretti, stavolta con uno sguardo stupito, e un movimento all'indietro del capo, secco e repentino, come se cercasse di riscuotersi da una visione tanto imprevista da renderla incredula.
"Françoise, se tua madre fosse qui....", le suggerì con la sua voce pacata e profonda André.
"Ho capito, ho capito, zio André, lo so", rispose lei con tono annoiato, occhi chiusi e mani levate, lo staffile ancora nella destra, e la sinistra a roteare nell'aria, come se quell'ammonimento non fosse il primo, ma l'ennesimo di una lunga serie, di una geremiade sempre uguale, e sempre inascoltata. E poi, rivolta a Fersen: "Lo zio André mi ricorda sempre i miei deprecabili modi: niente inchino (e qui mandò uno sguardo in tralice, divertito e furbo, ad André, che non poté non lanciarle un sorriso), una stretta di mano più da bracciante del mercato ortofrutticolo che da piccola, tenera marchesina delicata, e soprattutto, il fischio ... ma per fortuna lo zio quando mi fa notare queste cose ha un po' più garbo di mia madre, il sergente maggiore Clothilde, o, per gli intimi, Sua Grazia, madame la marquise de Marivaux. E ora, prima che maman venga a rimproverarmi, vado a ricompormi e rendermi presentabile (lo disse come se stesse citando una frase tante volte ripetutale) per la cena. Perché vi fermerete per la cena, vero? E sarete nostro ospite anche domani, vero?".
"Certo, marchesina de Marivaux. A più tardi", disse con un inchino cerimonioso e insieme ironico Fersen, seguendo la figura energica della ragazza che saliva saltellando i gradini dello scalone d'onore, per andare nella sua camera a prepararsi. Anche André seguì con lo sguardo Françoise, poi si volse verso Fersen, e con un'espressione in cui il conte rivide l'ombra del sorriso dolce, mite e malinconico del ragazzo conosciuto tanti anni prima, gli disse, con semplicità:
"Mia nipote Françoise è ... è quello che si dice "una ragazza moderna".
"Lo vedo, André. E l'impressione, devo dire, è molto piacevole". In Françoise, nei suoi modi aperti, nella sua figura atletica e insieme sensuale, Fersen stava cercando di mettere a fuoco le ombre  e i frammenti di lei.
"Buonasera, conte di Fersen. Spero che le maniere di mia figlia Françoise non vi abbiano scandalizzato. Talvolta è .... come dire ... assolutamente incontenibile!", disse la donna altera ed elegante, materializzatasi improvvisamente accanto ad André; ed espirando profondamente, la dama alzò lo sguardo lungo lo scalone e il corridoio del piano nobile, come a voler intercettare gli ultimi passi della figlia, prima che si ritirasse nella sua stanza. Poi, lo guardò ancora e con un sorriso compito e convenzionale, si presentò: "Clothilde Marie de Jarjayes, marchesa di Marivaux. Onorata della vostra presenza nella nostra dimora, conte di Fersen".
Entrare a palazzo fu come essere investito dall'onda dei ricordi. Ricordi emozionanti, ricordi  belli e dolorosi, ricordi di un mondo che era finito.
"La cena sarà servita alle otto, Conte di Fersen", lo congedò con gelida cortesia la marchesa, in cui Hans non riusciva a trovare se non una vaghissima somiglianza con Oscar, forse solo in quegli occhi di ghiaccio che sembravano però non conoscere il calore di un sorriso.
 
   
 
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