Videogiochi > Genshin Impact
Segui la storia  |       
Autore: marinrin    24/07/2021    1 recensioni
[ Genshin Impact | Giallo&Esoterismo | Kaeluc/Luckae (niente esplicito - scelta del lettore) & minor JeanLisa | menzione del bloodbrother oath| Ispirata da Kara No Kyoukai con forti riferimenti a religione ed occulto ]

C'è un ufficio in periferia che non può essere trovato a meno che non lo si cerchi con intensità.
Là, dove l'antica statua dell'arcangelo Michele punta il dito, sorge protetta da una arcaica porta in noce, la misteriosa agenzia investigativa di Lisa Minci.

Mistero, occulto, antiche religioni: una spirale asettica che guida verso lo spettro dell'inspiegabile.
Tre rintocchi echeggiano attraverso le mura scandendo mostruosamente il tempo ed il ritmo ciclico dell'avvenire.
Nel vuoto, lo sbattere delle ali cremisi di una farfalla rompe l'equilibrio, spinta dal desiderio di raggiungere il gufo reale che mira alle stelle; una vista dall'alto.
E tu, stai volando o solo fluttuando?

1998: In un mondo in cui l'Origine del vuoto è compromessa, una sequenza di omicidi scuote l'opinione pubblica.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Diluc Ragnvindr, Hu Tao, Jean Gunnhildr, Kaeya Alberich, Lisa Minci
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: Raccomando ai miei nuovi indomiti lettori di leggere assolutamente le note del primo capitolo per chi non l'avesse fatto.
Lo so che siete brv e già sapete le cose ma è importante ricordarlo onde non ritrovarci con spiacevoli gnigni o grrrrr.
Grazie per iniziare quest'avventura insieme a me! 
 
Come al solito, ogni commento/recensione è super prezioso e stra gradito!
Ti auguro buona lettura, mio indomabile lettore! 
( ✧≖ ͜ʖ≖)



 



 
Omen
presagio


 

 
 
                                                  Un vecchio detto diceva che la magia poteva essere compresa solo da coloro cui mente era abbastanza aperta per vedere al di là del Velo.
Questo non era altro che  il confine tra reale ed irreale, sovrannaturale e naturale: a detta di fanatici, si faceva addirittura più sottile in base alla sete di conoscenza ed all’impegno mostrato dalla persona.
In onestà, era veritiero in parte: seppure molti non lo accettassero, c’era una certa predisposizione dinastica che giocava in merito; il sangue non era acqua dopotutto, ed era questa la ragione per cui quelli chiamati come ‘maghi’ tendevano ad essere estremante selettivi in fatto di discendenza.
Kaeya sbadigliò, muovendo i primi passi verso l’interno senza ulteriori cerimonie: ad aprirsi di fronte a lui fu un lungo corridoio, cui non riusciva a scorgere fondo, dal pavimento in marmo nero (e dal taglio piuttosto lavorato, tra l’altro).
Una prima impressione da ‘sconosciuti’ a certi tipi di ambienti era quella certamente di un vano statico, quasi vuoto: gli infissi erano totalmente immersi nella semioscurità dopotutto, quasi che nemmeno gli spiragli dati dall’apertura del portone ligneo riuscissero a permearvi.
Una persona ‘normale’ non avrebbe dato peso a certi particolari, specialmente se sprovvista della capacità del vedere oltre e senza comprensione del significato di rune affisse: il pensiero razionale, sarebbe stato quello di una chiara bolletta della luce non pagata.
L’uomo dai capelli blu ne rise al pensiero: bastò infatti che l’infisso si richiudesse per svelare il segreto di quella falsa asetticità.
La luce filtrata dal vetro del rosone colpì uno dei tanti cristalli che pendevano dal largo soffitto: in pochi secondi, luce inondò il pavimento, splendendo d’iride e dando alla stanza un aspetto che pareva uscito da un recente racconto fantasy.
«Sia fatta la luce.» mormorò Kaeya, osservando come ora tutto apparisse rigorosamente più ricco e pieno. Fosforo alchemico e pietre d’ametista erano una combinazione non così rara come potesse sembrare.
Il primo, impresso nel vetro del portone, rappresentava l’illuminazione spirituale ed era un simbolo della rifrazione dello spettro, le altre rappresentavano invece l’equilibrio, la guarigione e la purificazione.
In altre parole, erano un eccellente modo per costatare chi stesse entrando, intenzioni comprese, con tanto di calmamente pronto all’evenienza.
Le mura, nel frattempo, avevano preso una tinta lilla con diversi motivi floreali: in quel contrasto chiaro scuro, spiccavano attigui mobili d’annata barocca.
Ne approfittò per specchiarsi e sistemare l’orecchino, facendo attenzione ai preziosi vasi della sua datrice sparsi praticamente qua e là sul percorso.
Nell’aria olezzava un fortissimo profumo di viole misto a rose; ed a proposito di rose viola, queste non mancavano mai nelle composizioni: erano praticamente la firma della proprietaria, le metteva letteralmente ovunque, quasi nello sfregio di marchiare i suoi territori.
Scrollò le spalle, finalmente pronto a procedere verso la prima porta aperta, mentre l’eco di quelli sembravano televisori ridondava fastidiosamente sempre con più alto volume man mano si avvicinasse.
«Splendida giornata, non trova, miss Lisa?» tanto d’inchino nel poggiarsi allo stipite.
Incrociò le braccia: un sorriso furbo a cercare, poco dopo, lo sguardo altrui.
«Oh, come sempre in perfetto orario, ufficiale Alberich.» cinguettò quella, rigirando tra i guanti scuri la sua montatura rossa.
Lisa Minci, la sua altra datrice di lavoro, se così poteva definirla, era una bellissima donna.
Capelli castano chiaro in una delicata coda laterale, viso curato e privo di imperfezioni come fosse porcellana.
Le  labbra fini non mancavano mai di un tocco di rossetto rosato e gli occhi verde smeraldo brillavano d’un aura di mistero. Indossava sempre un completo elegante, mai scomposta: a tal proposito quel giorno vestiva con una gonna violacea a sigaretta ed una camicia bianca sino al gomito, aperta, cui spiccavano orli del probabile reggiseno nero; rispetto alla moda dura del tempo, specialmente per le donne, Lisa era senza ombra di dubbio un’avanguardia e forse anche per questo, il giovane dai capelli blu aveva imparato a rispettarla fin da subito.
Prese tranquillamente posto alla scrivania. L’occhio ceruleo di Kaeya ne seguiva attento i movimenti, finendo con difficoltà a scostarsi dal voluminoso cappello che, per qualche ragione lui ignota, la donna non toglieva mai nemmeno al chiuso.
La televisione continuava a ripetere il servizio di quella mattina.
«Ce n’è stato un altro. Ma questo già lo sai, no?» commentò Lisa.
Il ventiquattrenne alzò le sopracciglia, spostando il volto verso lo schermo del televisore ed ascoltando meticoloso quasi fosse la prima volta quello stesso servizio.
«Jean è preoccupata.» aggiunse la maga, versando del tè nella tazzina di fianco alle carte sulla sua scrivania; dal profumo era decisamente lavanda.
«Sei curioso?» chiese, proponendo quasi di unirsi a lei nell’indicare la credenza.
Kaeya si limitò ad un gesto di rifiuto cortese.
«Questo è il quarto caso. Tutte ragazze diverse, da scuole altrettanto disparate, e che non hanno nessun collegamento tra loro. Nessun problema nella vita privata.» mormorò l’agente, toccando repentino la tempia destra mentre la datrice aggiungeva dello zucchero. «Le famiglie non hanno idea del perché si siano suicidate.»
Lisa prese il primo sorso.
«Quindi danno per scontato avessero sviluppato un qualche disagio personale che le avesse spinte improvvisamente a togliersi la vita senza alcun messaggio d’addio. Sono decisamente troppo banali.»
«Messaggio d’addio?»
«Esatto, la chiave di lettura dovrebbe essere riferita proprio ad un elemento simile.» continuò, socchiudendo gli occhi così da godersi meglio la fragranza del tè. «Pensaci, se volevano morire avrebbero trovato un modo per non dare fastidio a nessuno. No?»
«E questo contraddice il fatto si siano buttate da un palazzo… È questo che volevi dire?»
Gli occhi di Kaeya parvero in effetti illuminarsi; un sorriso rigò il volto di Lisa.
«Bingo. Se non si prova alcun legame per questo mondo, non si sente nemmeno la necessità di annunciarne la propria dipartita. Non aver scritto un messaggio d’addio implica l’essere disposti a scomparire di buon grado: ma, pensaci, una morte simile che attira così tanta indiscrezione, è essa stessa una specie di messaggio d’addio, no?»
«Nessuna di loro aveva realmente intenzione di morire.»
«In altre parole ”è come se fossero uscite a far compere ed un tragico incidente stradale le avesse colte alla sprovvista”.» confermò la donna, terminando piano la sua bevanda «O almeno è ciò che ha detto Diluc.»
Capelli lunghi e sciolti, d’un cremisi intenso, erano ben visibili dalla sua postazione. La figura del giovane Ragnvindr sostava su uno dei divanetti, completamente immobile, a braccia conserte.
«Ha iniziato a indagarci quasi un mese fa. Non mi ha ascoltato quando gli ho detto di lasciar perdere. Il Darknight-Hero è sempre sin troppo diligente verso il dovere.» aggiunse.
L’uomo dai capelli blu sapeva di  non poterla biasimare: conosceva sin troppo bene la testardaggine del suo fratello giurato, e all’onor del vero, nemmeno lui vantava di sviare da un simile difetto; persino quello li univa.
«Mi domando quando tornerà…» Un’occhiata malinconica «Anche se non è ancora in pericolo di vita, ormai non può più nascondersi a lungo.»
Le rassicurazioni erano inutili, ma ironicamente una parte di Kaeya accettò di buon grado il pensiero di Lisa nel menzionarglielo.
Sapeva cosa Diluc fosse, o almeno in tanti anni l’aveva imparato.
Magus… Il velo permetteva la nascita di simili entità continuamente ed il dono fatto alla casata Ragnvindr era di quanto più malsano potesse capitarne.
La prima volta che Lisa aveva incontrato Diluc, il suo primo pensiero era risultato l’ammirare l’enorme quantità di circuiti magici in suo possesso: qualitativamente, aveva riferito, non erano che nella media, ma qualcosa di innaturale permetteva lui di usare gli elementi in maniera troppo precisa per il suo livello.
Kaeya all’inizio dei suoi studi non aveva avuto altre idee se non quella di un probabile sciamano o di un druido: c’era andato vicino, ma lo sguardo della donna ed il suo ‘vietare’ a Diluc di usarla esageratamente fece intuire lui ci fosse molto di più.
“Sappiamo benissimo cosa vuol dire” – sentenziò una voce; Kaeya scosse il capo.
In ogni caso, il rientrare in una simile categoria permetteva almeno dei vantaggi dal punto di vista fisico ed al momento era ciò che più contava.
Era un mondo complicato; a volte i pazzi che sbatteva in prigione avevano decisamente ragione.
«Sei instabile.» commentò la strega alzandosi dalla sua postazione per avvicinarsi.
«È tutto collegato?»
Lisa scosse il capo, mormorando sottecchi un “non me la sento di escluderlo”.
Lo sguardo cadde di nuovo sul televisore e poi su Diluc, lì addormentato.
Una mano finì tra i capelli blu prima di prendere alcuni scatoloni riposti all’angolo della stanza e sollevarli frettolosamente.
Aveva un debito verso quella donna e conosceva il suo posto: era alla stregua d’un famiglio, d’una semplice arma; tutto sommato non l’infastidiva nemmeno in vista di quello che ne avrebbe guadagnato.
Scrollò le spalle.
«Di già?» chiese quella.
«Sistemo le carte e torno a casa. Non vorrai che Jean si preoccupi di non vedermi tornare a lavoro prossimamente, no?» ammonì Kaeya, non senza un riso ricambiato.
E così fece: Lisa lo guardò andare via, trovandosi a porre l’occhio anche sull’uomo dai capelli rossi.
Un sospiro prima di tornare a sedersi.
 




 

 



 
 
                                                 Lo studio interno di Lisa era decisamente l’opposto del suo ufficio: se il primo aveva almeno una parvenza di ordine ed eleganza, il secondo era un completo ammucchiare di scartoffie e ciarpame vario.
A spiccare di più nell’ambiente erano delle bambole appese nel vano destro. A quella zona in particolare doveva stare attento perché la Minci vi lavorava con una certa maniacalità sino al punto da richiamarlo pesantemente al minimo oggetto furori posto nella piccola ala loro dedicata – caos compreso.
Fu quando l’orologio a pendolo rintoccò per la tredicesima volta che il capo di Kaeya si sollevò dalla miriade di carte portate sulla sua scrivania.
Lo sguardo cadde  irrimediabile sulla finestra che dava alito ad un vento freddo di cui si beò prima di allungare le mani verso l’alto e stiracchiarsi.
Un sospiro scocciato seguì il prendere la propria giacca da una delle tante sedie; uscendo da una serie di porticine laterali, il suo primo pensiero aveva il nome di ‘casa’.
Tutto ciò spiegava abbastanza chiaramente quanto qualcosa non andasse bene nel suo umore generale: le voci nella sua testa non erano solo peggiorate ma ora anche più opprimenti.
Nella sua situazione, le sue serate all’Angel Share o al Cat Tails erano solo lontani miraggi… Anzi, fermarsi in farmacia nella speranza di qualche sonnifero non era un’ipotesi che sentiva completamente di ignorare.
Afferrò l’accendino e stavolta riuscì ad accendere finalmente la sigaretta; decise comunque di non aspettare il pullman diretto, e fare, piuttosto, la strada per l’appartamento a piedi con la speranza di schiarirsi le idee.
Aveva appena imbucato la strada quando verso di lui venne incontro un cagnolino – un labrador, per essere fiscali.
Ma non fu l’aspetto né la razza a stravolgere il volto con una certa curiosità.
Le zampe dell’animale erano intrise di un liquido vermiglio, inzuppate al punto da lasciare sulla scia una serie di impronte; le strade erano innaturalmente vuote.
Proseguendo di qualche passo, di fronte a lui si palesò  presto un corpo: il sangue copriva gran parte del marciapiede e della piccola scalinata in rovina; ancora una ragazza e a giudicare dalla divisa anche piuttosto giovane: i vestiti totalmente intrisi.
«Il comitato d’accoglienza.» mormorò. Non c’era nulla potesse fare ovviamente, né poteva permettersi di sostarle troppo vicino. Le spaccature sul cranio erano più che evidenti: una caduta dall’alto.
Tolse il filtro dalla bocca; l’iride azzurra brillò qualche secondo, voltata verso il tetto.
E così si decise, entrando finalmente all’interno del grande palazzo del complesso Wangshen.
Bastò il primo passo perché il suo corpo si facesse incredibilmente pesante: l’aria invece raddensata, calda.
Qualche farfalla gli passò davanti e presto una risata – giovane – echeggiò attraverso le mura grigie, irrompendo la quiete.

Il coniglietto più grande si è ammalato
Il secondo prova a curarlo
Il terzo compra la medicina ♪


Iniziò a cantare: lo stesso mugugnare che già una volta aveva percepito avvicinandosi alla struttura sembrava penetrargli persino nella testa.
Era cinese, una canzone per bambini che doveva aver decisamente già sentito da qualche parte.
Perché ora?

Il quarto la prepara
Il quinto muore
Il sesto viene trasportato via
Il settimo e l’ottavo scavano la tomba per chi è morto e lo seppelliscono ♪


Salì le scale, in parte decrepite, che portavano al primo piano; qui trovò una serie di segni volti a fermare dal procedere oltre nella scena del crimine: un sospiro scocciato ed in pochi secondi, da dietro la schiena, cacciò un coltellino dalla punta argentea, lasciando il giallo dello striscione cadere mogiamente a terra.
Il corridoio che collegava i vari appartamenti, notò, dava su uno spiazzale verde che ricordava lui un chiostro.

Il nono crolla terra ed inizia a piangere
Il decimo domanda perché
Il nono risponde: quinto non tornerà mai più. ♪


Si sporse a dare un’occhiata verso la ringhiera, quando una fiammella di fronte a lui si erse; la testa tornò a fargli male e l’occhio prese a brillare di un innaturale azzurro: una discrepanza nello spazio, constatò.
In pochi secondi uno sciame di farfalle cremisi l’investì e a stento riuscì a mantenere la posizione, provando a proteggere il volto anteponendovi le braccia.
«Vieni.»
Qualcosa ne afferrò il polso, ed in pochi secondi, si vide scaraventato contro i muri al pari d’una bambola: di fronte a lui, apparve una figura femminile: capelli castani, occhi rossicci ed un enorme cappello.
«Una ragazzina non dovrebbe andarsene in giro di notte.» mormorò, sputando il sangue dovuto all’impatto; probabilmente avrebbe avuto dei lividi niente male a cui badare.
Quella per tutta risposta, fece una giravolta con tanto d’occhiolino.
«Pft. La luna è fuori.» echeggiò asserendo all’astro «Ed eccomi qui.»
Kaeya ne rise, beffardo.
«Oh, capisco, capisco. Ma vedi, non ti hanno mai detto che la luna non si indica? Ti verranno i brufoli, signorina.»
La giovane parve intoccata dall’informazione, quanto incuriosita.
«Capisco, vuoi giocare.» aggiunse: intorno a lei una miriade di farfalle rosse.
«Lascia che ti mostri qualche trucco allora, Three butterfly!»
Ma stavolta, Alberich non se ne rimase con le mani in mano.
La lama del pugnale che recava ancora in mano si raggelò in un attimo: prima che una singola farfalla ne toccasse il corpo, fendenti d’aria gelida spezzarono le fragili ali.
«Mi dispiace, non prendere geloni mi raccomando.»
Il volto del fantasma si dipinse di scherno ed un grido spezzò la quiete. Ancora una volta Kaeya venne lanciato contro il colonnato, trascinato poi per terra, e spinto verso il cornicione: sembrava uno spettacolo di burattini.
“Lasciami andare.”
Provò a fare appello alle sue forze, aggrappandosi al ferro prima che un dolore lancinante ne colpisse la testa nuovamente: non ci voleva, non ora perlomeno.
«Lo invidio perché sta sognando…. Quel potere è caldo. Lo sento pulsare.» confessò, apparendo proprio sopra il volto di Kaeya, fluttuando libera.
Fu lì che in un attimo di lucidità, scorse degli strani segni sul muro seguire in perpendicolare verso il basso a modo di pesante incisione.
Ancora una volta gli chiedeva di fidarsi di lui, mh?
«Quella persona… È  qualcuno di terribilmente onesto, ho proprio voglio d’infastidirlo.»
Kaeya digrignò i denti similmente ad un cane rabbioso.
«Lui potrebbe volare ovunque…» mormorò «Vorrei mi portasse con sé.»
E tanto bastò perché il mondo dell’uomo dai capelli blu subisse la scossa per farlo reagire.
Rabbia, gelosia, possesso… Incomprensione?
«Tu non capisci.»
Con forza innaturale, affondò la lama attraverso la carne, lasciando il metallo stridere contro le sue ossa. Un grugnito di dolore lasciò la bocca. Il braccio cadde a terra con un tonfo e mogiamente, Kaeya si dondolò, cadendo verso il basso per recuperarlo; quando sollevò l’occhio, ormai vivido d’oro, non trovò nessuno.
La ragazza era sparita.
 


 

note sui significati:
❧  Lavanda: oltre a sonare tranquillità, nell'esoterismo la lavanda si ricollegava al culto di Venere, per cui era spesso impiegata per magie/rituali per la fortuna in amore; il suo profumo infatti secondo le vecchie leggende poteva attrarre addirittura gli uomini. Tuttavia la sua valenza non terminava qui ma presentava un duplice significato riconducibile alla protezione della persona e alla gioia. Da ciò nasce addirittura la tradizione popolare del mettere della lavanda nel corredo degli sposi, così da donare loro buoni auguri per il futuro. 
 
  Il colore viola nasce dalla mescolanza del blu e del rosso. Il primo incarna la saggezza, il secondo l’amore. Fino a oggi ha sempre rappresentato simbolicamente il mistero, la magia e la metamorfosi. E’ per eccellenza il colore della spiritualità.
 
  La farfalla rossa: nelle culture orientali spesso la farfalla è ritratta come messaggera dei morti verso i vivi.
In particolare, quelle rosse simboleggiavano addirittura buone notizie e portava sfortuna allontanarle o fare loro del male (si kaeya, ti giudico).
In diverse tradizioni il simbolo della farfalla ha acquistato valenze e connotati differenti, come rappresentazione dell'anima stessa, il cambiamento o spesso le si associa addirittura ai segreti siccome seguirle 'conduce a posti misteriosi'.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Genshin Impact / Vai alla pagina dell'autore: marinrin