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Autore: Dorabella27    26/07/2021    9 recensioni
Questa storia inizia quasi vent'anni dopo il 1789, quando la Rivoluzione è ormai un lontano ricordo e la Francia vive i fasti del Primo Impero. Siamo nel campo del what if, anche se per sapere dove sia lo switch, il punto di svolta, l'anello della catena che non tiene - per dirla con Qualcuno - e che ci dà una diversa versione dei fatti rispetto a quella di Madame Ikeda e di Dezaki, vi chiedo di pazientare, poiché, lo sapete bene, la linearità - lo avete visto - non è il mio talento, ma tutti i pezzi andranno al loro posto, alla fine. O, almeno, lo spero. Insieme, mi è venuta questa idea, forse un po' pazza, un po' cercando di riabilitare (ma ne ha poi bisogno?) il buon conte di Fersen e un po' riguardando per l'ennesima volta un film che mi è molto caro (non quello di Demy). Buona lettura a chi vorrà seguirmi in questa che sarà una cavalcata a ritroso negli anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Robespierre
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
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"E ora che abbiamo finito con i convenevoli", disse Françoise, scostando il piatto con un gesto deciso, "passiamo a parlare di cose importanti. Fersen qui! Chi l'avrebbe detto?!". Finse di ignorare lo sguardo con cui sua madre, la marchesa Clothilde, l'aveva fulminata dall'altro capo della lunga tavola: adesso Françoise teneva i gomiti sul tavolo, le mani giunte con le dita intrecciate, e aveva piantato i suoi occhioni neri ancora infantili ed entusiasti sull'ospite che le sedeva di fronte.
"Dovete dirmi tutto, tutto!". E poi, dopo una pausa, "Nonno Réynier mi ha raccontato tante volte quand'ero bambina di come lo zio André e la zia Oscar vi salvarono da un assalto popolare... mi pare in rue Saint-Antoine a Parigi, giusto zio André?".
André aveva taciuto per quasi tutta la cena, sprofondato in una lunga fantasticheria malinconica, ricordando l'ultima cena di Fersen a palazzo prima di quella, una cena di molti anni fa, consumata in tre, a quello stesso tavolo, la tensione palpabile nell'aria, e lui, che sedeva a tavola accanto a Oscar, nel posto in cui ora stava Françoise, servendo il conte e la sua Oscar fra un boccone e l'altro, un po' commensale, e un po' membro della servitù, come sempre era stato ...mentre adesso sedeva alla tavola che era stata del Generale, di generazioni di Conti de Jarjayes, e veniva servito ossequiosamente dai camerieri e dai valletti della casa. Si riscosse  e cercò di focalizzare l'attenzione sulla domanda della ragazza, annuendo. "Sì, proprio così, Françoise!".
Fersen lanciò un'occhiata, prima perplessa, poi complice, ad André, seduto alla sinistra di Françoise. Ricordava ancora Oscar sconvolta nel vicolo buio, le sue braccia che lo scuotevano, le sue grida: "Il mio André, il MIO André, il MIO ANDRÉ", e come lui si fosse sentito incredulo e intenerito di fronte a quella dichiarazione d'amore disperata e involontaria, la dichiarazione di una donna sconvolta per un uomo che non poteva sentirla... e ricordava come avesse salvato André dalla marmaglia che voleva impiccarlo a una forca improvvisata, di come avesse riaccompagnato André e Oscar, di come, in quel fiacre che sapeva di stantio, lei, dopo averlo ringraziato, non gli avesse rivolto più nemmeno uno sguardo, mentre si teneva Andrè abbracciato stretto, come un naufrago si abbraccia al relitto che lo può portare in salvo, di come a un certo punto avesse cercato di distendergli le gambe troppo lunghe sul sedile, e, mentre lui gemeva per le costole incrinate, lei gli tenesse la testa in grembo, accarezzandogli piano le guance, i capelli, gli occhi, con tenerezza e delicatezza più che materne.
"Sì, in effetti, dei ribelli furiosi avevano aggredito e rovesciato la carrozza su cui viaggiavo", si stupì di sentirsi dire. E poi: "Devo ammettere che fu un'imprudenza imperdonabile avventurarsi per Parigi su di una carrozza con uno stemma nobiliare in bella vista, in quei giorni ... ma per fortuna vostra zia Oscar, che aveva un coraggio da leonessa, e vostro zio André, affrontarono tutta quella marmaglia e trassero in salvo me e il mio cocchiere!".
"Caspiterina! Che forza la zia Oscar!", esclamò Françoise, battendo un pugno sul tavolo.
"Contegno, Françoise!", sibilò la marchesa Clothilde, bellamente ignorata dalla figlia, che si girò verso André e disse: "Beh, e anche tu zio! L'apprezzamento è per entrambi, lo sai!".
"E come era la zia? Vedete, Fersen, qui nessuno mi dice mai nulla di preciso. Lo zio André dice solo "bellissima, inestimabile!". Nessuno che me la descriva mai!"
"Vostra zia era ... unica, Françoise. La sua bellezza e la sua rettitudine, il suo coraggio e la sua dirittura d'animo non avevano eguali. Era la conversatrice più affascinante e la persona più colta e gentile che avessi incontrato"... mentre parlava, fissando Françoise, seguiva con la coda dell'occhio l'espressione di André, nel cui sguardo gli sembrava di intravedere orgoglio, fierezza, e una commozione troppo abitualmente trattenuta per sfociare nelle lacrime. "E la spadaccina più abile di Francia", concluse con una risata per distendere il clima di quella conversazione, che si stava facendo troppo tesa e dolorosa. "Sapeste, Françoise, quante volte mi ha sconfitto a duello. Anche vostro zio André è stato un ottimo spadaccino, sapete? Certo, il suo stile lasciava molto a desiderare..."
"La zia Oscar doveva far girare la testa a tutti! La zia Joséphine mi ha raccontato che anche voi, insomma,  - possiamo dirlo adesso, no? -  eravate un po' innamorato di lei. Ma la zia aveva occhi solo per lo zio André, e voi eravate solo, - come diceva, zio André?- "il suo migliore amico"?
"Françoise! Contegno!", ripeté, questa volta scattando con voce allarmata la marchesa Clothilde. Ma, allora, il suo rimprovero non cadde nel vuoto, e la figlia si zittì, chinando gli occhi al tavolo con una smorfia contrita. "Perdonate, conte di Fersen. Io tendo sempre a esagerare un po'...."
"Oh, siete giustificatissima, Mademoiselle Françoise. Vostra zia era una creatura eccezionale, e nessuno poteva restare insensibile al suo fascino e alla sua bellezza".
"E la regina Maria Antonietta? Come era? È vero quel che si dice....?", chiese con vivacità rinnvata e con curiosità ingorda Françoise. Ma qui si censurò da sola: "Oh, scusatemi. Che grave mancanza di tatto. Sono davvero mortificata", disse, mordendosi il labbro inferiore, e abbassando subito dopo lo sguardo.
Il dessert venne servito e consumato fra chiacchiere leggere e convenzionali. Poi, la marchesa Clothilde si congedò, adducendo a motivo una forte emicrania, non senza aver lanciato un'occhiata profondamente critica alla figlia.
Appena ebbe varcato la soglia della sala da pranzo, Françoise parve rianimarsi.
"Sapete che la zia Oscar incontrò Monsieur l'Empereur, una volta?", domandò con gli occhioni sgranati, le braccia conserte appoggiate al tavolo, anzi, con i gomiti piantati con soddisfazione sul tavolo sin dal momento in cui la madre se ne era andata.
"Davvero?".  Fersen aveva assunto un'aria garbata e attenta, e ad André sembrò di rivedere per un attimo lo squisito conversatore che accendeva il desiderio di tutte le dame dei salotti parigini, per poi, subito dopo, abbandonarle al loro sogno di un giro di minuetto col bel conte dagli occhi pervinca che non aveva posto nel suo cuore se non per la Regina.
"Sì, e c'era anche lo zio André, vero?"
"Vero, Françoise", annuì lui, sorridente.
"La zia stava presidiando con il suo reggimento l'Hôtel des Menus Plaisirs, dove si erano riuniti gli Stati Generali ... o forse il Re aveva già vietato ai rappresentanti del Terzo Stato di radunarsi...o di entrare dall'ingresso principale ... che cosa era successo, di preciso, zio André?... Perché lo zio André c'era, sapete? Anche se era un sottoposto della zia Oscar", e subito dopo, senza attendere risposta: "E comunque, nei disordini, la zia vide passare un giovane ufficiale appena arrivato dalla Corsica, o dalla scuola militare, e gli aveva chiesto nome e grado, ed era lui! E poi, che cosa ti aveva detto, zio André? Che aveva gli occhi di un'aquila, o di un imperatore, giusto??!!!".
Parlava accalorata e vivace, con le guance arrossate, e per un attimo a Fersen sembrò di vedere il volto entusiasta di Oscar, di fronte ai suoi racconti delle sterminate foreste della Virginia, o dopo che l'aveva sconfitto in un duello. Cominciava a capire l'affetto per la ragazza che traspariva da ognuno dei gesti tranquilli di André.
"Io l'ho conosciuto, il nostro Imperatore, lo sapete?"
"Davvero, Mademoiselle?"
"Françoise è buona amica di Hortense de Beauharnais", intervenne André. "E frequenta molto i salotti", chiosò, con un tono di velata critica.
"Certo che li frequento! Zio, tu non vuoi mai venire da nessuna parte, ma io non posso stare seppellita qui per sempre! Se fosse per te, tu te ne staresti sempre nel salone davanti al ritratto della zia, oppure a curare i roseti del parco! Come lo potrei trovare uno spasimante, secondo te? Vero è che la zia Oscar ti aveva in casa, da sempre, ma non tutte sono così fortunate!".
Per un attimo, lo sguardo di André si fece cupo, spento. Poi, fu riconquistato dalla vivacità con cui Françoise continuava, a beneficio di Fersen, il suo peana di Napoleone: "Oh, Monsieur l'Empereur è...è... incredibile, assolutamente incredibile! Eccezionale! Vi piacerebbe, Fersen, vi piacerebbe tanto. E' un uomo così semplice, alla mano; e poi sa tutto, ha letto tutti i libri, e quando ti guarda...oh!"
"Non ne dubito, Mademoiselle Françoise. Il vostro Imperatore è un uomo dai molteplici talenti e valorosissimo".
Un breve silenzio, poi: "A proposito di molteplici talenti: Conte, adesso vorrei dilettarvi con una mia esibizione musicale..."
"Magnifico, Mademoiselle Françoise!"
"Preferite il violino o il pianoforte?", chiese lei.
"Io  ... credo che preferirei il pianoforte", rispose Fersen.
"Ma siccome io sono pessima sia come pianista che come violinista", continuò lei, imperterrita, alzando l'indice sinistro, e senza avere fatto mostra di avere ascoltato la risposta di lui, "Vi risparmio lo strazio di una mia esibizione!".
"Siete molto sincera, Mademoiselle", disse Fersen, soffocando una risata e chinando il capo in segno di cortese assenso.
"Mi piace la gente sincera!", rispose Françoise.
"Ma anche quella che mente", intervenne André, mentre sorbiva con gli occhi semichiusi il suo caffé.
"Fondamentalmente...", iniziò lei, come se aspettasse il la dello zio.
"Preferisco la gente insana di mente!", dissero all'unisono, ad alta voce, e già ridendo, zio e nipote, con l'aria complice con cui si ripete uno scherzo ormai noto a memoria, una battuta in codice di un loro linguaggio segreto fatto di confidenza e affetto.
"Scusateci, Fersen", rise Françoise, "Ma non ho resistito. Lo zio André mi conosce troppo bene. E mi vizia , mi ha sempre viziato tanto", e gli lanciò uno sguardo dolcissimo, carico di tutto l'affetto e la gratitudine che una marchesina ventenne può permettersi di manifestare per il suo adorato, bellissimo zio.
"Sapete, quando mio padre venne ghigliottinato, io ero molto piccola, poco più di cinque anni, figuratevi....non ho  quasi ricordi di lui; ma per fortuna, con la mamma, ci trasferimmo qui...era il marzo del 1793. E, soprattutto, oltre al nonno Réynier, c'era anche lo zio André, che mi ha fatto da zio, da compagno di giochi, da insegnante di storia, da padre....". Mentre diceva queste parole, Françoise rivolse allo zio uno sguardo in cui brillavano tutte le fiamme dell'affetto più profondo, e André pose la mano sopra la sua, in un muto gesto d'intesa.
Subito dopo, con quella volubilità vivace che era parte del suo fascino, Françoise stese le braccia e con uno sbadiglio profondo disse: "Ma adesso basta! Casco dal sonno e sto diventando sentimentale, come sempre quando sono stanchissima, e la cosa non mi piace affatto. Lede il mio fascino di cattiva ragazza. Buonanotte a tutti", disse alzandosi, e mettendo, con garbo ostentato, la mano davanti alla bocca, splancata in un secondo sbadiglio, "Vi lascio soli: chi sa di quante chiacchiere fra uomini siete in credito dopo tutti questi anni!".
E si allontanò, non senza essersi seduta per un istante, fulminea, sulle ginocchia di André, avergli cinto le spalle e schioccato un bacio sulla guancia, e avergli detto: "Buonanotte, zio. E grazie, per tutto. Sempre. Ci vediamo domattina".
 
   
 
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