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Autore: Jeremymarsh    30/07/2021    5 recensioni
[AU ambientata nel Sengoku Jidai]
Durante una semplice operazione di perlustrazione, Inuyasha, generale in una guerra tra demoni e umani che va ormai avanti da due anni, si spinge fino oltre il territorio nemico per raggiungere il villaggio in cui la sua promessa sposa viveva prima che il conflitto scoppiasse. Qui viene scoperto dalla sorella minore di lei che gli rivela intenzionalmente una cosa che non avrebbe dovuto.
Scioccato, Inuyasha decide di imbarcarsi in una nuova e pericolosa missione che potrebbe costargli la vita o peggio.
[Inukag con piccola parentesi Inukik]
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, Kaede, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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N/A: La citazione a inizio capitolo la riconoscerete immediatamente. Si tratta de "La guerra di Piero" di De Andrè. In realtà inizialmente ne avevo messa un'altra di Fenoglio, ma mentre scrivevo una scena in particolare, mi è venuta in mente questa canzone e ho pensato fosse perfetta per ciò che accade in questo capitolo. 
Se a fine capitolo avete capito a quale scena mi riferisco, battete un colpo! 
Detto questo, buona lettura! 

 


Capitolo Otto: Battaglia finale
 
 
E mentre marciavi con l'anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore.
 
Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue.
 
E se gli spari in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore.
 
E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l′artiglieria
Non ti ricambia la cortesia.
 
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chieder perdono per ogni peccato.
 
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato ritorno
 
 
 
Mentre i primi raggi di sole illuminavano l’intero campo di battaglia delle terre ad Ovest, quello che si stagliava di fronte al confine che li separava dal territorio nemico, un’ombra nera di enormi dimensioni si faceva sempre più vicina.
 
Gli odori rimanevano per lo più nascosti ai demoni grazie alle maschere, ma i rumori provenienti da tale ombra si facevano sempre più chiari. Grida e incitamenti riempivano le loro orecchie mentre l’ombra si avvicinava e diventava nitida, andando a rivelare non una massa informe, ma centinaia e centinaia di combattenti umani, mischiati tra loro e allo stesso tempo distinguibili grazie alle loro divise.
 
Un minor numero di persone, anch’esse dotate delle stesse maschere indossate da ogni demone, indossava un completo in pelle e rinforzato da un’armatura composta da ossa di demoni in punti più deboli, come la pancia e l’inguine, e nelle giunture. Era la tipica uniforme degli sterminatori.
 
I cacciatori invece, ne indossavano un’altra che avrebbe dovuto farli somigliare ai samurai ma che di simile non aveva nulla; erano solo una brutta copia che mancava di ogni saldo valore che veniva attribuito a quei famosi combattenti. Non solo lasciava scoperti punti vitali che, seppur piccoli, sarebbero stati facili da colpire per un demone con movimenti più veloci e una vista più sviluppata, ma sembrava rallentare anche i loro movimenti. Loro costituivano la maggior parte dell’esercito nemico.
 
Infine gli spiritualisti, in numero più o meno eguale a quello degli sterminatori, indossavano la tipica veste da monaco, prete o sacerdotessa. I loro abiti rispecchiavano la loro vocazione ed era anche simbolo dei loro poteri spirituali.
 
Accanto a ognuno di essi erano distinguibili le armi più disparate a seconda del soggetto.
 
Superato il confine demoniaco, fu facile riconoscere lo shock sulla maggior parte dei volti umani: quel loro attacco a sorpresa si era rivelato un contrattacco da parte del nemico. Era evidente che qualcuno li aveva traditi e fatto la spia, altrimenti in che modo sarebbero potuti essere così preparati e già pronti ad accoglierli?
 
Eppure, ignorando il turbamento maggiore sui volti degli sterminatori che avevano subito riconosciuto le maschere indossate dai demoni più vicini, i cacciatori non persero tempo e cercarono di mettere in atto la seconda parte della loro incursione non più a sorpresa.
 
In un secondo una enorme nube dai mille colori andò a inghiottire gran parte dell’esercito nemico. Si innalzava alta e nascondeva i combattenti agli occhi degli attaccanti. Nessuno poté vedere in che modo, socchiudendo gli occhi e trattenendo il respiro nonostante la maschera, i demoni rimanevano in piedi. Erano rimasti intaccati dai vapori che avrebbero dovuto mandarli k.o. sfruttando il loro fiuto più sviluppato.
 
I fumi dei veleni resero impossibile anche ai demoni di vedere chi c’era accanto a loro e nessuno notò il sollievo che si dipinse sul volto del Generale Cane quando si accorse che le polveri erano di quelle che attaccavano solo l’olfatto e non colpivano attraverso gli occhi e la pelle. A quanto pare, convinti che l’assalto a sorpresa avrebbe funzionato e che in nessun modo i demoni avrebbero potuto prevedere la loro arma segreta, gli umani avevano pensato che bombe di questo genere sarebbero state abbastanza.
 
Ed era vero, se Inuyasha non avesse ascoltato di nascosto i loro piani, l’attacco li avrebbe colti impreparati e per molti sarebbe stato fatale; una cosa buona era uscita dal gesto sconsiderato del mezzo demone, almeno.
 
Ma se ci fossero stati strateghi più abili tra le file umane, questi si sarebbero assicurati di avere un secondo piano di riserva e procuratosi dei veleni che avrebbero potuto anche oltrepassare le maschere protettive degli sterminatori. La cosa in parte sorprese Toga, gli umani che lui aveva combattuto in quei due ultimi anni gli erano sembrati molto più intelligenti, eppure la fatica di una guerra andata avanti per troppo tempo sembrava avere effetti anche su di loro. Li aveva resi più imprevidenti e avventati.
 
La nube sembrò accecare tutti per qualche minuto prima di disperdersi; i cacciatori e spiritualisti rimasero immobili nell’attesa di vedere crollare a terra demone dopo demone e approfittarne per ucciderne quanti più fosse possibile prima che potessero riprendere i sensi. Volevano che la battaglia finisse presto e con meno morti da parte loro. Troppo presi dall’eccitazione dovuto al conflitto e dalla sicurezza data da quelle armi, non si accorsero in che modo gli sterminatori erano lì bloccati dalla sorpresa e cinerei – loro sapevano che quelle maschere identiche alle loro avrebbero protetto i demoni dagli effetti peggiori dei veleni. Questi strinsero a sé le loro armi e si prepararono per il peggio una volta che la nube si fosse dissolta, consapevoli che non avrebbero visto alcun nemico già a terra come gli altri speravano.
 
Cercarono di avvertire i compagni non sterminatori, ma quelli come gli sventati e soprattutto accecati dalla troppa sicurezza, si erano già avviati oltre la loro linea difensiva e, quando finalmente le figure nemiche tornarono a farsi nitide, fu troppo tardi.
 
Il contrattacco che seguì fu devastante.
 

 
 
Nel frattempo, approfittando del caos generato dai fumi, uno spiritualista, accompagnato da cinque cacciatori che avrebbero dovuto fargli da scudo e sentinella nel caso qualche nemico si fosse accorto dei loro movimenti, si faceva strada nel territorio demoniaco. Correva a più non posso e si allontanava dal luogo della battaglia principale per raggiungere il castello dove risiedeva il target principale di quell’assalto.
 
Miroku.
 
Il monaco andava recuperato a tutti i costi e portato in salvo oltre i loro confini, mentre il resto dell’esercito cercava di avere la meglio sui demoni. Non poteva sapere se questo sarebbe stato il conflitto finale, ma sperava che l’esercito potesse abbatterne quanti più riusciva.
 
Non poteva neanche sapere, però, avendo lasciato il campo molto prima che la nube si fosse dissolta, che l’attacco a sorpresa era fallito su tutti i fronti e che si stava trasformando secondo dopo secondo in una carneficina. Le perdite maggiori, tuttavia, sarebbero state riscontrate tra le loro file, e non in quelle demoniache.
 
Mentre molti cadevano a terra colpiti da artigli affilati, zanne appuntite e spade demoniache nettamente superiori alle blande armi umane – solo quelle rinforzate e costruite a partire da resti demoniaci degli sterminatori sembravano tenergli testa – Kiyoshi e i cinque cacciatori al suo fianco cominciavano a vedere la figura del castello principale che si erigeva davanti a loro. Aumentando il passo, si ritrovavano davanti ad esso.
 
Le guardie a difesa di quelle mura erano in numero inferiore rispetto ad un giorno normale, proprio perché la maggior parte era impiegata nella battaglia finale e, con gli occhi, il monaco cercò di trovare una qualche apertura che potesse condurlo nei sotterranei, dove era sicuro si trovasse ancora Miroku.
 
Dopo un giro di perlustrazione che durò anche troppo per i suoi gusti, riuscirono a trovare un’entrata secondaria difesa da solo una guardia. Un sorriso perfido si distese sulle sue labbra mentre tirava fuori un ofuda carico – Kiyoshi avrebbe continuato a servire il suo Budda anche durante l’operazione di salvataggio. Quello scelto era un suo gioiellino capace di immobilizzare il nemico e poi ucciderlo con le più atroci sofferenze  piuttosto lentamente; il demone sarebbe rimasto a terra a marcire mentre lui recuperava Miroku.
 
Un attimo dopo l’ofuda fu lanciato alle spalle del malcapitato. Il pezzo di carta andò a colpirlo tra le scapole. Il demone, ancora piuttosto giovane, si irrigidì e poi, quasi come se fosse diventato una statua di pietra, crollo a terra tutto d’un pezzo. Non aveva avuto nemmeno una possibilità, la paralisi colpiva immediatamente qualsiasi organo, nemmeno la lingua gli sarebbe stata utile per chiamare aiuto.
 
Kiyoshi era un monaco spietato, senza scrupoli e purtroppo per il giovane demone, anche piuttosto abile. Se Inuyasha gli fosse capitato a tiro non avrebbe avuto molto scampo. E il monaco era ancora infastidito dal fatto di non essere riuscito a scaricare la sua rabbia sul mezzo demone quindi la scena che gli si presentò davanti lo soddisfò ancora di più mentre gli occhi brillavano di una luce diabolica e malsana.
 
I sei passarono davanti al corpo del malcapitato e nessuno si risparmiò, calci e pugni furono tirati, mentre gli occhi del demone non reagivano nemmeno più, erano vuoti e vacui. Kazuo sentì la vita scivolargli via mentre attorno a lui la guerra continuava imperterrita, consapevole che lasciarsi andare al dolore non sarebbe servito a nulla e che il suo corpo sarebbe stato trovato troppo tardi. E così si rinchiuse in un mondo che apparteneva solo a lui, lontano da tutto e tutti, mentre moriva con la pace e l’armonia che lo aveva sempre contraddistinto in ogni cosa che faceva e che aveva sempre fatto parte di lui sin dal giorno in cui suo padre aveva scelto il suo nome.
 
Inconsapevoli di ciò che accadeva nella mente del giovane demone destinato a morire troppo presto, Kiyoshi e i suoi compari procedevano scaltri e individuavano il passaggio più vicino per i sotterranei. I corridoi che portavano alle celle erano stretti, così come le scale che avevano sceso, l’aria umida e la luce poca nonostante fuori il sole fosse alto. Non osarono però accendere una fiaccola per paura che ci fossero ancora delle guardie nascoste e solo il monaco poté proseguire più tranquillo mentre affilava i sensi e i cacciatori dietro di lui guardavano a destra e a sinistra senza l’arroganza che di solito trasudava da tutti i loro pori.
 
 

 
 
Michi se ne stava rannicchiato nella sua cella bestemmiando ogni Dio che gli capitava a tiro e lanciando inviperito piccoli ciottoli contro le mura della sua prigione.
 
Quei bastardi lo avevano lasciato lì a marcire mentre le sue orecchie captavano i suoni della guerra che proseguiva violenta e sanguinolenta. Digrignò i denti dalla rabbia: aveva aspettato così tanto per un attacco di quel genere, strappare la carne di quegli spiritualisti di merda a morsi, farli a pezzi e godere delle loro grida e invece… ecco lì incapacitato e annoiato a morte. E perché? Tutta per colpa di quel mezzosangue bastardo che continuava a essere il cocco di papà anche se ormai non era più un cucciolo. Dal suo sguardo trapelava tutto l’odio per Inuyasha ma un luccichio gli illuminò gli occhi al ricordo di ciò che era successo il giorno prima.
 
Quanto avrebbe voluto schiacciare sotto il suo stivale quell’inutile ammasso di carne che ricopriva cariche alte non a causa della sua forza, ma perché era stato abbastanza fortunato da nascere come figlio del Generale.
 
Il Generale… si lasciò sfuggire un suono ricco d’odio e disapprovazione. Eccone un altro che da qualche secolo era caduto a picco. Collaborare con gli umani, risparmiarli, copulare con uno di quelli, farci addirittura un figlio. Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi al solo pensiero. E lui ora si ritrovava anche a occupare una cella puzzolente che aveva sempre ospitato sporchi umani, che fine… come si era anche solo permesso di buttarlo lì dentro e dimenticarlo?
 
Oh, quanto Michi avrebbe voluto togliersi lo sfizio e uccidere il mezzo demone per poi sperare che il vecchio ci lasciasse le penne durante la guerra, magari anche indirizzarlo. Così almeno si sarebbero assicurati un futuro senza dover leccare i piedi agli stessi umani a fine guerra. Con Sesshomaru come nuovo Generale, Michi era convinto che avrebbero continuato a prosperare per secoli e secoli e ad assicurarsi la purità della specie senza quegli esseri immondi che puzzavano di umano e giravano liberi per le loro terre. E chissà, magari Michi avrebbe potuto usarli come schiavi personali se Sesshomaru fosse stato magnanimo.
 
Troppo perso nei suoi vaneggi, mentre sognava un mondo ricco di odio e la loro razza superiore che governava su tutto, Michi non si accorse dei rumori che provenivano dall’entrata destra dei sotterranei. Si trovò faccia a faccia con un paio di occhi il cui odio faceva a gara con il suo e un sorriso diabolico che superava anche il suo il giorno in cui aveva schiacciato a terra il mezzo demone causa dei suoi guai.
 
“Ma bene, bene… come siamo fortunati, non è vero ragazzi?” disse Kiyoshi rivolto ai cacciatori alle sue spalle. La sua voce sarebbe potuta sembrare quasi melodiosa per quanto era contento di trovare qualche altra vittima sacrificale a sua disposizione, se non fosse stato per il veleno che trasudava da ogni parola.
 
Erano da poco arrivati nelle celle e purtroppo Kiyoshi si era subito reso conto dell’assenza dell’aura di Miroku; quello non era sicuramente un buon segno. I suoi sensi gli suggerivano morte e dolore; l’odore che anche un umano percepiva facilmente in quei corridoi angusti avvalorava ancor di più la tesi e la rabbia non faticò a raggiungerlo.
 
Poco dopo aveva percepito l’unica aura lì sotto, altrettanto arrabbiata e disgustata, e il sorriso perverso era ricomparso. Si era lasciato andare a una risata altrettanto perfida che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque fosse stato sano di mente e aveva invece suscitato ilarità nei suoi lacchè.
 
Raggiunta la cella si ritrovò davanti un demone un po’ malridotto, ma robusto, a cui per qualche motivo era stato impedito di prendere parte alla guerra. Beh, pensò il monaco, tanto meglio per lui e per i cacciatori.
 
Ci sarebbe stato da divertirsi e nel frattempo avrebbe estorto qualsiasi informazione riguardo Miroku. Il demone, un toro se i suoi sensi gliela raccontavano giusta, aveva i minuti contati, ma forse gli avrebbe risparmiato un po’ di dolore se gli avesse dato le risposte che voleva, forse
 
 

 
 
La guerra non era cominciata da molto, eppure il sangue già macchiava gran parte del suolo sul quale poggiavano i piedi e le grida di dolore e di rabbia riempievano le loro orecchie. La morte non si era fatta attendere, ancora una volta la guerra offriva le sue 1000 anime a Izanami, ma non c’era alcun Izanagi a dar vita ad altre 1500.
 
Delle candide e morbide orecchie canine continuavano ad agitarsi furiosamente sul capo di un mezzo demone a causa di tutta quella disperazione, mentre il loro proprietario combatteva spalla a spalla con il suo fedele amico lupo. I suoi artigli e la sua infallibile zanna avevano già avuto la loro parte in quella carneficina. Cacciatori, con occhi duri e satanici, illusi sguainavano le loro katane credendo di poterla aver vinta contro i suoi sensi più sviluppati e all’erta; spiritualisti più scaltri e intelligenti tentavano di colpirlo con le loro frecce e i loro maledetti pezzi di carta nel tentativo di lasciare poi il suo debole corpo alla mercé di quei macellai. Ma non avevano fatto i conti con delle orecchie capaci di percepire il sibilo che si avvicinava.
 
Era maggiore il numero delle volte in cui aveva agguantato Koga per la sua lunga coda di cavallo per gettarlo a terra insieme a lui ed evitare un colpo spirituale fatale o quello in cui le sue zanne e i suoi artigli si erano macchiati di sangue?
 
Fu mentre si chiedeva questo e sentiva po’ il rimorso per tanto spietatezza che, inspiegabilmente, una Katana gli venne puntata alla gola da dietro. Inuyasha non ebbe modo di andare nel panico, né di accorgersi delle pupille dilatate del fedele amico perché, in una mossa molto avventata delle sue, spinse con più forza del dovuto il gomito all’indietro, tanto che sentì le costole del nemico fratturarsi a causa dell’impatto.
 
Era stato fortunato, proprio come era successo nel precedente incontro con Michi.  Il cacciatore, preso alla sprovvista, avrebbe potuto far scivolare la lama lungo il suo collo e causargli un danno fatale, ma forse la dea bendata non lo aveva ancora abbandonato; forse quel sorriso che aveva visto lo accompagnava ancora da lontano.
 
Fece una capriola su stesso e osservò la figura a terra e dolorante. Gli occhi si allargarono nel notare uno di quei bastardi da cui aveva origliato quella notte fatale e uno di quelli che lo avevano seguito e quasi acchiappato. Un ringhiò gli sfuggì dalle labbra, gli occhi gli lanciarono uno sguardo carico di odio, ma Inuyasha non ebbe modo di concludere la sua patetica vita perché Koga lo anticipò. Le lame argentate della Goriashi gli tranciarono la testa di netto, sangue ne fuoriuscì a fiotti macchiando le pellicce del lupo e la veste di Hinezumi del mezzo demone di un rosso impuro.
 
In pochi secondi, calci e pugni, lame e artigli ripartirono all’attacco per uccidere anche i compagni del cacciatore ormai senza testa; qualche altra freccia andò vicino al bersaglio e dei bastoni sacri gli ostacolarono i movimenti, ma nonostante tutto, Koga e Inuyasha continuarono a cavarsela.
 
Era facile da capire chi stesse avendo la meglio, si prevedeva che il conflitto sarebbe finito anche abbastanza presto e Inuyasha avrebbe solo desiderato un po’ di spazio per poter utilizzare come si deve la sua Tessaiga. Con nemici e alleati mischiati tra loro, era troppo pericoloso lanciare una cicatrice del vento che avrebbe dunque tranciato anche molti demoni; sperava che qualcuno si fosse fatto indietro per lasciargli un’apertura. Inuyasha però non era uno sprovveduto, sapeva che sarebbe stato impossibile che quei demoni assetati di sangue lo lasciassero agire e sprecare i loro giocattoli.
 
Nel frattempo, Toga stava avendo una simile battaglia interiore dall’altro lato del campo. Per lui che aveva vissuto così a lungo, combattuto innumerevoli battaglie, era facile riconoscere e distinguere i vari combattenti; ci aveva fatto l’occhio e il naso. Erano gli sguardi i primi a tradire le persone: c’erano quelli che assettati e pieni d’odio, i primi a dover essere eliminati, i primi da mettere fuori combattimento; i loro movimenti esperti e per nulla esitanti erano solo la conferma. Di fronte a loro nemmeno il Generale esitava. Sapeva che erano senza speranza e non volevano redenzione.
 
Eppure, negli sguardi della gente era possibile riconoscere anche la paura che faceva mirare a vuoto, agire d’istinto e spesso senza senso. Si metteva il piede in fallo e si mostrava la reticenza e la vergogna nel prendere parte al bagno di sangue. Attraverso gli occhi, quelle pupille dilatate, i volti cinerei e i gesti maldestri, Toga aveva imparato a riconoscere anime innocenti che morivano sotto gli artigli di demoni che tanti scrupoli non se ne facevano.
 
Per questo Toga aveva dato un ordine preciso prima che la battaglia cominciasse, lo aveva detto a quella parte del suo esercito che non era interessato alle idee sanguinarie del figlio maggiore: salvare quelle anime, salvarle laddove era possibile; a fine battaglia avrebbero fatto i conti.
 
Queste persone venivano messe fuori combattimento il prima possibile e trascinati al sicuro, lontano dagli occhi avvelenati e, sebbene, non fosse possibile salvarli tutti, Toga era fiero del suo operato e sperava che, il giorno dopo, avrebbero anche potuto alleviare il peso che portava nell’anima.
 
 


 
Kiyoshi era di ritorno dal castello, nelle orecchie ancora gli risuonavano le urla del demone che aveva sapientemente torturato, centimetro per centimetro, zanna per zanna, artiglio per artiglio. A quelle di lui si accompagnavano quelle dei cinque cacciatori che erano periti quando, richiamati dalle urla, le guardie demoniache erano accorse nelle celle e fatto fuori i responsabili. Kiyoshi era scappato per un pelo: sapeva che, sebbene i pugni si stringessero al pensiero di non far soffrire quelle altre anime impure, non avrebbe mai potuto avere la meglio contro tanti demoni. Era stata quindi la scelta naturale lasciare quei babbei lì a morire; avevano servito il suo compito tanto e, approfittando del trambusto, lui aveva annullato la sua aura e scappato da quelle mura.
 
Il sangue gli ribolliva al ricordo di ciò che era riuscito a strappare dalle labbra di quel toro: Miroku era morto.
 
Morto.
 
E mentre ricompariva sul campo e si accorgeva del sangue e dei corpi esamini disseminati ovunque, realizzò quanto quel monaco idiota era costato al suo esercito.
 
Per qualche oscuro motivo, il loro piano, il loro attacco a sorpresa era fallito e lui ci avrebbe scommesso che quel maledetto ibrido che avevano inseguito qualche giorno prima era in qualche modo riuscito a rientrare nelle terre e spifferare tutto.
 
Non c’era altra spiegazione. Lui era lì, aveva ascoltato tutto, era riuscito a tornare ferito nelle terre demoniache. Strinse ancora di più i pugni. Non solo gli era scappato – il primo, il primo a farla franca contro di lui – ma aveva fatto sì che i loro piani ben calcolati andassero a puttane; aveva fatto sì che tutte quelle anime impure che Kiyoshi aveva il compito di purificare gli scappassero.
 
L’avrebbe pagata, oh sì, quei bastardi con i capelli d’argento l’avrebbero pagata.
 
In quel momento scorse tre teste d’argento, tre – questo confermava il fatto che il bastardo mezzo demone fosse tornato incolume e ora stava anche aiutando i suoi alleati demoni a uccidere la sua gente – e un ghigno gli apparve sul viso nel constatare il momento propizio. Un luccichio malsano andò a completare il quadro.
 
Senza perdere tempo, incoccò una freccia e lasciò che questa facesse il suo corso.
 
 


 
Ne erano rimasti pochi ormai.
 
Toga aveva appena colpito nello stomaco un giovane sterminatore – un bambino, nemmeno ancora sviluppato, già costretto a far la guerra – quando un cacciatore approfittò del momento e lo colpì da dietro.
 
Lo attaccò mentre il Generale stava raddrizzando il proprio corpo dopo aver inflitto il pugno, quel nanosecondo in cui i sensi erano più concentrati sui singoli movimenti e sul giovane piuttosto che sull’ambiente circostante.
 
Solo un nanosecondo.
 
La lama della lancia lo trapassò; Toga abbassò lo sguardo per osservare quella punta insanguinata che gli spuntava dal petto, a sinistra del cuore. Peccato, pensò lui, il cacciatore doveva migliorare proprio la mira se contava di colpirlo al cuore.
 
Senza farsi scalfire, come se il colpo lo avesse lasciato indifferente, rimosse la lancia. Non digrignò nemmeno i denti e il suo corpo non tremò nemmeno per un secondo.
 
Dietro di lui, un Comandante aveva già eliminato il cacciatore colpevole.
 
Dilettante, pensò Toga mentre era impegnato a rimuovere l’oggetto contundente. Ecco chi mandano a far la guerra e a morirci, dei dilettanti.
 
Ma quel secondo momento fu abbastanza.
 
Aveva pensato alla tristezza di quella guerra e rimosso una lancia che non avrebbe mai potuto definirsi mortale per uno del suo calibro e si era distratto.
 
Eppure fu abbastanza ad accendere una luce maniaca e malvagia negli occhi di un monaco deviato.
 
Quando Toga finalmente registrò il sibilo fu troppo tardi.
 
Quando la testa di Inuyasha scattò in quella direzione, le pupille si dilatarono e un urlo terrificante gli scappò dalle labbra mentre le gambe si muovevano di loro accordo, fu troppo tardi.
 
La freccia era stata scoccata.
 
E prima di essere gettato a terra e il suo corpo squarciato dagli artigli ora verdi-veleno del figlio maggiore, Kiyoshi ebbe modo di ridere sguaiatamente e maniacalmente del suo successo.
 
Sarebbe morto, per lui era la fine, ma almeno poteva vedere che era stato lui – lui – a scoccare la freccia che aveva buttato in ginocchio l’Inu-no-Taisho.

 

 
N/A: Iniziamo con le comunicazioni di servizio e poi parliamo di questo bel capitoletto. Ho quasi finito di scrivere l'epilogo, quasi perché mi manca la parte più sdolcinata insomma, che è sempre quella che mi riesce più difficile perché in realtà io le cose troppe zuccherose non le digerisco bene, quindi quando mi è richiesto e scrivo, sono io stessa a farmi venire le carie per quello che ho scritto. 
Tuttavia mi stava venendo troppo lungo quindi alla fine ho deciso di dividerlo in due perché c'era proprio un punto che diceva: Dividimi! E vabbè quindi questa storia che inizialmente ne doveva avere 4 di capitoli, alla fine ne avrà 10 e l'ultimo sarà anche abbastanza lunghetto. Però prometto che settimana prossima vi posto il nono, tanto sono stata brava a postare questo entro la decina, no? 

Ora venendo a ciò che succede qui: 
Inuyasha → Ehi, io ci ho provato a cercare la gif, mezz'ora ci ho messo invece di andare a cucinare e invece niente, ho trovato solo l'immagine. 
 
Eccolo il nostro mezzo demone alla fine di questo capitolo 😱. Tratto dall'episodio 46: Kageromaru e Juromaru. 

Izanami e Izanagi sono Dei Giapponesi. Secondo la mitologia, quando Izanagi lasciò dietro nello Yomi (la terra dei morti) la moglie Izanami, questa per vendicarsi dichiarò che avrebbe ucciso 1000 anime al giorno, il marito le rispose che ne avrebbe create altrettante + 500. Per questo motivo Izanami è anche considerata la dea della Morte. 

Per quanto riguarda, invece, il giovane demone ucciso, il suo nome significa Armonia e Pace, scelto per l'occasione se andate a rileggervi il pezzo. 
Per la morte di Kiyoshi, invece, avrei voluto fosse Inuyasha a ucciderlo, ed era mia intenzione, ma poi mi sono ritrovata a scrivere di Sesshomaru che lo fa a pezzi perché ho pensato che tra i due, Inuyasha sarebbe tipo corso in aiuto o sarebbe stato troppo scioccato, mentre Sesshomaru che è il più violento dei due, sicuramente avrebbe subito pensato a vendicare il padre. 

Grazie per essere giunti fin qua! Spero che il finale di questo capitolo non vi abbia sconvolto troppo. Alla prossima! 😜
   
 
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