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Autore: _Trixie_    31/07/2021    0 recensioni
[Good Girls]
Cinque momenti della storia di Beth e Rio, dal primo incontro fino al finale della seconda stagione. Pov alternato.
[Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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[Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.] 



III



Oodal (tamil) | Quella finta rabbia che gli innamorati ostentano dopo un banale litigio, un grande amore mascherato da rabbia che può servire a ritrovarsi con più gioia quando si fa la pace.



 
Non lo sapeva nemmeno, il motivo per cui avevano litigato. In tutta onestà, non gliene fregava un cazzo di dove Elizabeth parcheggiasse quelle auto di merda. Solo- Rio serrò la mascella, gli occhi fissi su Elizabeth in piedi dall’altro lato della scrivania.
Era arrivato alla concessionaria dopo una giornata che Rio avrebbe voluto cancellare dalla propria memoria. Rhea lo aveva chiamato lamentandosi di quanto poco tempo passasse con Marcus, come se lui non facesse del suo meglio per essere presente nella vita di suo figlio quanto più possibile, come se Rhea non sapesse che lo faceva anche per Marcus, perché non fosse costretto a crescere come era cresciuto lui, e che se si teneva a distanza per qualche giorno era per proteggere entrambi, lei e Marcus. E quando la frustrazione per le accuse della sua ex aveva iniziato a sfumare, ecco Mick che lo informava che uno dei suoi ragazzi, uno di quelli nuovi, era morto accoltellato in una stupida rissa riguardo a una scommessa di poche centinaia di dollari. E così era andato da Elizabeth. Non che ce ne fosse davvero bisogno, il loro accorda funzionava. Ma voleva essere sicuro, voleva… Non lo sapeva nemmeno lui cosa voleva, era solo andato da Elizabeth. E non era come se avesse bisogno di un cazzo di motivo per andare da Elizabeth. Erano entrambi partner della concessionaria, no?
Ma, quando lo aveva visto nel suo ufficio, Elizabeth non gli aveva sorriso, no, gli aveva chiesto cosa ci facesse lì e aveva irrigidito lo sguardo in quel modo che indicava che era pronta a rispondere a tono, a gridare e scalciare persino se fosse stato necessario. E qualcosa era scattato in Rio. Ed era disarmante, quasi fastidioso, come Rio non potesse fare altro che reagire ad Elizabeth. Al suo tocco, al suo sguardo, alle sue parole, il solo esistere di Elizabeth era una provocazione per Rio. Perciò le aveva detto che stava sbagliando. Che le sue auto – le auto che valevano di più per quello che vi era nascosto dentro, dovevano essere parcheggiate dall’altro lato della concessionaria. E quando Elizabeth aveva chiesto perché, quando aveva iniziato a fare una domanda dopo l’altra, come faceva sempre, Rio non aveva saputo rispondere. Perché di sì. Perché lo dico io. Perché devi fare quello che ti dico.  
E se i riflessi di Rio fossero stati una frazione di secondo meno pronti, la targhetta con il nome di Elizabeth che venne lanciata nella sua direzione lo avrebbe sicuramente preso dritto in faccia. Avrebbe dovuto aspettarselo. Non era la prima volta che Elizabeth gli lanciava qualcosa in uno scatto d’ira. Avevano continuato a litigare e non si erano nemmeno preoccupati di tenere la voce bassa – era tardi, non c’era più nessuno lì, a parte loro.
E poi c’era stato il silenzio, interrotto solo dal respiro pesante di Elizabeth, che lo fissava, i capelli in disordine a causa della foga.
«Che problemi hai, esattamente?» domandò infine Elizabeth, il tono tagliente.
Rio si strinse nelle spalle. Nessuno. Troppi. Tu. Tu sei il mio problema.
E Rio abbassò gli occhi sulla scrivania – Elizabeth seguì immediatamente il suo sguardo e stava ancora guardando la scrivania, rifiutandosi di incrociare lo sguardo di Rio, quando lui lo riportò su di lei.
E anche lei doveva aver avuto una giornata pesante. Rio non aveva bisogno di farle domande per saperlo. Gli bastava guardarla. Era la curva delle spalle, la tensione del collo, le occhiaie sul volto.
Elizabeth sospirò, riuscì infine a spostare di nuovo lo sguardo su di lui, incrociò le braccia al petto. «È il mio reparto» gli ricordò. «Io non ti dico come gestire il tuo reparto, tu non mi dici come gestire il mio».
Rio fece un passo verso di lei. Non avrebbe fatto la differenza, dirle o meno cosa fare con il suo reparto. Elizabeth avrebbe comunque fatto come cazzo voleva e lo sapevano entrambi.
Per questo lei era un suo problema.
Per questo era andato da lei dopo una giornata pesante.
Per questo lei lo faceva sempre incazzare così tanto.
Rio fece un altro passo verso di lei ed era il modo in cui Elizabeth lo osservava, il mento proteso in avanti, rifiutandosi di cedere terreno, anche solo di un soffio, anche solo per un istante.
Ancora un passo e il volto di Rio fu tanto vicino a quello di Elizabeth da poter sentire il suo respiro sulla pelle e il calore del suo corpo.
Teneva le mani della tasca della giacca, Rio. Le teneva lì, perché altrimenti non sarebbe riuscito a non toccare Elizabeth. A scostarle i capelli del viso, a spingerla contro la scrivania, sulla scrivania, a scoparla lì, in quello che era stato l’ufficio di quel coglione di suo marito, e sentirla sciogliersi sotto di lui, perché i gemiti di Elizabeth nel suo orecchio portassero via tutta la tensione che stringeva la schiena di Rio in una morsa dolorosa.
Rio fece un cenno del capo. Un assenso. Un ultimo sguardo di Elizabeth prima di lasciare l’ufficio.
Ed era così furioso, Rio, per la giornata di merda che aveva avuto.
E per aver cercato il sorriso di Elizabeth.
 
   
 
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