Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: IroccoPerSempre    02/08/2021    0 recensioni
L'evoluzione di Rocco (e Irene) prima della nascita di Diego
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ma quella del mese scorso” gesticolò Rocco incredulo “n’altra volta è venuta?”.
Sì, proprio quella, quel genio che voleva entrare in una 42!” esclamò Irene mentre masticava il suo panino, appoggiata al bancone davanti alla scrivania di Armando.
Quel giorno lei e Rocco stavano consumando il loro pranzo in magazzino, invece che all’aperto come erano soliti fare. La Moreau si era lasciata sfuggire che desiderava portarsi avanti del lavoro arretrato e Irene aveva colto la palla al balzo per offrirsi di aiutarla, per poi arrivare in magazzino da Rocco già a metà pausa pranzo. Lui l’aveva aspettata per mangiare assieme – dandole in questo modo la sua più grande dimostrazione d’amore – e nel frattempo si era anticipato con delle commissioni assegnategli da Armando, tenendo la mente lontana dal pensiero che a quell’ora avrebbe volentieri divorato un bue, tanto era affamato.
L’approccio di Irene alla propria ambizione di diventare capocommessa stava cambiando lentamente insieme a lei e, se prima cercava di scavalcare le altre, ora cercava semplicemente di mostrarsi servizievole, facendo passare il proprio zelo per mancanza d’appetito, per non mettere in cattiva luce le sue colleghe.
Talìa tu” commentò Rocco scuotendo la testa “sempre qua dentro sta…
Irene chiuse gli occhi, mentre addentava il panino, in segno di assenso.
Te lo giuro, la prima cosa che farò quando potrò decidere io sarà tenere lontani individui del genere… ci mettono a soqquadro il negozio per poi andare via a mani vuote” disse Irene spazientita, tra un boccone e l’altro.
Rocco abbassò la testa, ridendo sommessamente. Aveva smesso di commentare le manie di grandezza della sua fidanzata quando si tradiva con congiunzioni quali “quando”, e non “se”, come introduzione a “potrò decidere io” (ergo “diventerò capocommessa”). Non che lui non avesse sogni e non fosse ambizioso ma lei era una forza della natura, aveva quella sicurezza che prima o poi ce l’avrebbe fatta che lui in svariati ambiti non aveva in egual misura.
Quindi, perché smorzare quell’entusiasmo? L’amava per quello e gli era di ispirazione.
Lui la aiutava semplicemente a temperare quegli istinti omicidi che le prendevano con quella categoria di clienti difficili, istinti, a dirla tutta, poco consoni al suo ruolo di commessa, figurarsi a quello di capocommessa.
Ecco, forse non è proprio la cosa giusta da fare… forse” suggerì Rocco ironico “vedi che il cliente ha sempre ragione, ah, lo dice pure il Dottor Conti”.
Irene allargò le braccia, in segno di esasperazione “Ho capito, Rocco”, concesse lei “ma questa gente non è un investimento per il Paradiso; perdiamo tempo appresso a loro e non ci caviamo un ragno dal buco”.
Che c’entrano i ragni mo’?” chiese Rocco facendo il finto tonto.
Irene inclinò la testa, intenerita da quella domanda: “È un modo di dire Rocco, significa ‘non ottenere risultati’”, rispose mentre accartocciava l’involucro del suo panino.
Rocco, che non vedeva l’ora di sfatare quel mito: “Lo sapevo! C’è nel libro che sto leggendo per la scuola”, ribatté tutto orgoglioso.
Irene schioccò le labbra, lanciandogli stancamente l’involucro del panino addosso, mentre nel frattempo rideva.
Rocco rise a sua volta: “Disordinata!” fece chinandosi a raccogliere la pallina di carta. “Be’, pe’ na volta che so qualcosa, sono contento
Irene inclinò la testa e si avvicinò a lui accarezzandogli le braccia: “Ma io lo so che sai un sacco di cose, sei tu che hai sempre il bisogno di dimostrarmi qualcosa”.
Rocco la guardò senza sapere cosa dire. Forse era vero che sentiva spesso di dover essere alla sua altezza. E obiettivamente sapeva di non averne motivo. Se c’era qualcuno che l’aveva sempre trattato come l’uomo che era, che non gli aveva mai nascosto la verità con la scusa di “proteggere i suoi sentimenti”, o altre accortezze stupide e inutili, era lei. Forse, chissà, era una semplice paura incontrollata di perderla, perché ancora non riusciva a credere che stessero assieme. Anzi, era sicuramente quello.
Quando aveva confidato questa cosa ad Armando, lui gli aveva risposto in tono ironico: ‘Ma dai… stai finalmente con la persona di cui sei innamorato e hai paura di perderla? Assurdo...
Rocco, ma è NORMALE. Almeno agli inizi è così, i primi mesi che stavo con Emma, la guardavo in continuazione per paura che non fosse reale o che non stesse davvero al mio fianco. Poi le cose cambiano…
E Rocco si era immediatamente illuminato dinanzi a quel segnale di speranza ‘Poi si guarisce da sta cosa?’ e Armando si era fatto una bella risata ‘Sì, poi se le cose vanno bene, il sentimento si trasforma in qualcosa di più saldo e ti viene una specie di… sicurezza’. ‘In che senso?’ aveva chiesto Rocco, curioso.
Be’, che ne avete passate tante ma siete ancora lì, nonostante tutto, e che quella persona ti ama pur avendo visto il peggio di te’, concluse Armando.
Rocco dopo quella conversazione se ne era andato via pensoso. A quel punto non sapeva se desiderare che attraversassero dei problemi e delle incomprensioni serie per arrivare a quello stato di sicurezza o sperare che evitassero degli screzi profondi e rimanere col dubbio.
Sai che con me non devi?” chiese Irene ridestandolo da queste riflessioni.
Lo so, lo so.” si affrettò a puntualizzare lui. L’ultima cosa che voleva era riversare su di lei questi complessi esistenziali. “È che non te l’ho detto ma stamattina il Dottor Conti mi ha detto che un giorno mi farà capomagazziniere ma devo prendere prima la terza media.
Il desiderio di prendersi quel titolo, Irene e Rocco, lo avevano discusso fin dai primi giorni della loro relazione, quindi non serviva il Dottor Conti a spingerlo in quella direzione. Anzi, conoscendolo, i due fidanzati erano sicuri che non l’avesse detto perché lo riteneva davvero un prerequisito necessario per ricoprire quel ruolo – lui prima di tutti era certo che Rocco lo meritasse già, perché capace e ligio al dovere – lo usava semplicemente come sprone in più a fargli proseguire gli studi, lasciati in sospeso da quando aveva conseguito la quinta elementare.
Insomma, sto un po’ teso, ce la voglio fare…” Irene gli strizzò gli occhi per vedere come concludeva la frase e poi lui si affrettò a puntualizzare “… per me prima di tutto.
Oh, bravo!”. Lo voleva sentir parlare proprio così. “Comunque lo sai che, come ti ho detto una volta, ci vuole un certo stile per imparare le cose” e iniziò a misurare la stanza a grandi passi solenni “una buona intonazione facilita la memoria”.
Rocco sogghignò scuotendo la testa davanti alla sua drammaticità.
Non ridere!” gli intimò puntandogli un dito contro, recitando volutamente con aria drammatica “lo sai che ho ragione…” e si riavvicinò alla scrivania di Armando per prendergli il libro. Lo aprì su una pagina a caso e si mise a leggerlo a voce alta con la sua solita disinvoltura.
Per esempio, se leggi così: ‘Gli esseri viventi vivono in relazione tra loro e con l’ambiente che li ospita” si aiutava con gesti plateali della mano “all’interno di particolari ecosistemi dotati di un equilibrio ben preciso’ ti rimane più impresso”.
Lui le passò avanti, divertito, e le sfilò il libro dalle mani - e Irene rimase interdetta con le mani aperte a mezz’aria - “Seh, l’intonazione ti aiuta pure con gli esercizi di matematica, Ire’?”. Imitò volutamente quel tono scettico che ebbe la prima volta che Irene lo aiutò con gli esami, quando le chiese: ‘Che è, Lascia o raddoppia, Ire’?’. Ma se allora, scettico, lo era davvero, adesso era solo felice di essere lontano anni luce da quel momento. Da quell’universo, ormai per lui surreale, in cui non si erano ancora trovati.
Non la lasciò rispondere a quella domanda retorica e continuò in tono scherzoso “Comunque grazie lo stesso perché mo, co sta scenetta che hai fatto,” le disse puntandole il palmo della mano “sti ecosistemi qua…” disse colpendo lievemente il libro con le sue nocche “non me li dimentico”, mentre con il braccio si accostava Irene contro il proprio fianco e si appoggiava al bancone.
Vedi come ti torna utile il fatto di avere una…” e alzò il mento per impegnarsi a pronunciare bene quelle due parole  in siciliano “‘zita fodde’?”. (fidanzata pazza [n. d. a.])
Rocco scoppiò a ridere rumorosamente portandosi la mano alla bocca.
Irene rise di rimando e lo provocò dicendogli: “Dai sono stata brava, dì la verità”.
Rocco scosse la testa, ancora incapace di parlare per il ridere, e infine disse con sicurezza: “Sono più bravo io col lombardo”.
Irene gli disse  “È tutto da vedere…”. Niente, non smetteva di ridere. Allora Irene, in un insolito moto di umiltà, gli chiese: “Allora insegnami tu!
Quando si calmò Rocco le rispose: “Eh, piccio’, prima il dovere poi il piacere. Dopo l’esame” e le stampò un bacio sulla guancia per poi tornare a sfogliare il suo libro con la rassegnazione dell’esaminando che vede già la propria fine imminente.
Irene glielo rubò dalle mani: “Be’, ma se ci pensi il piacere può anche essere un intermezzo al dovere” non sapeva neanche lei perché quel piglio la colse proprio in quel momento - stupì prima di tutto lei - fatto sta che proferì quelle parole con una voce diversa, volutamente ambigua, “così poi il dovere ci pesa di meno”.
Rocco corrugò impercettibilmente la fronte e si schiarì la gola, un’azione incontrollata per tentare di celare l’effetto che semplici parole come quelle avevano su di lui, se pronunciate da Irene.
Poi d’istinto la prese per mano e la guidò furtivamente tra gli scaffali.
E a cosa devo questo gesto?” chiese Irene cadendo dalle nuvole, con un luccichio negli occhi, mentre le loro mani si intrecciavano. Domanda tutt’altro che innocente. Sapeva esattamente a cosa fosse dovuto.
E Rocco rispose con ovvietà “Faccio come dici tu: in-ter-mez-zo il dovere col piacere” tirò a indovinare, con un sorriso malizioso stampato sul volto.
E Irene gettò la testa all’indietro ridendo di gusto. Rocco rise con lei mentre prendeva il suo viso tra le mani e raggiungeva la sua bocca.
***
Non era un caso che si fossero rintanati proprio lì.
Non era un caso che quell’angolo di magazzino lo considerassero ormai tutto loro. E soprattutto che fosse strategicamente dietro le tende. Avrebbero così avuto tutto il tempo di ricomporsi dopo aver ascoltato i passi dell’eventuale primo arrivato.
Erano mesi che le loro pause pranzo finivano così e a Irene sembrava di fare ogni giorno uno sforzo più grande per riacquistare la percezione del tempo e dello spazio attorno a sé, per riaprire gli occhi e riabituarli alla luce, per far sparire quel rossore sconveniente con cui si sarebbe facilmente tradita con il resto del mondo.
Sarà che il modo in cui Rocco la toccava si faceva sempre più disinvolto, sicuro, sarà che Irene percepiva ad ogni occasione meno timidezza da parte sua nell’incollarsi completamente a lei, meno soggezione nel farle sentire le reazioni incontrollate del suo corpo… e poi c’era quel dannato modo che aveva di accarezzarle d’istinto la nuca mentre si baciavano, per poi risalire con quelle sue dita lunghe e intrecciarle coi riccioli biondi, così da sostenerle la testa dolcemente.
Qualsiasi di questi fosse il motivo, il risultato non cambiava. Quel giorno non riuscì a trattenere quello che per tutti i mesi precedenti si era ripromessa di non confessargli per pudore, riuscendo sempre, sapientemente, nell’intento.
Si staccò dalle labbra di lui per riprendere quel fiato che sembrava esserle mancato per un tempo indefinito e mentre le palpebre erano ancora pesanti e gli occhi ancora lucidi, le uscì naturale come l’aria sussurrargli: “Rocco, voglio fare l’amore con te”.
 
Silenzio.
 
Dopo una manciata di secondi senza alcuna reazione Irene lo guardò fissa nel volto, lievemente allarmata.
Rocco era indecifrabile.
L’effetto lusinghiero di quelle parole su di lui durò nel suo cuore esattamente una frazione di secondo, per poi essere rimpiazzato da un misto di confusione e altri elementi ancora poco chiari.
Ire’” gli venne solo da dire.
Lei poté percepire un lieve tono di rimprovero.
Irene era sempre stata ai suoi occhi una persona più disinibita delle altre, senza i freni che avevano le altre ragazze per cultura, per convenzione, per decoro…. ma era un tratto che si ravvisava più che altro nel suo modo di parlare e di relazionarsi agli altri, non nel suo modo di vivere. Si era innamorato di quel suo modo di stuzzicarlo, di ravvivare ogni conversazione con la sua scintilla e i suoi interventi ironici e fuori dalle righe.
Ma questo? Questo era …. troppo.
Irene era una brava ragazza, seria - si ripeté Rocco nella sua testa.
Ma allora come faceva ad aver detto quelle cose? Come faceva una ragazza seria anche solo a pensarle? Lui era un uomo e non osava pensarci, perché lei invece sì? Cosa faceva questo di lei?
Per la prima volta nella sua vita sperimentò quanto potessero andare veloci i pensieri di un essere umano.
 
Si irrigidì. “Come fai a voler una cosa che non conosci…” deglutì, mentre si insinuava nella sua mente quel dubbio atroce “perché… non la conosci, vero?
 
La sua voce – la studiò Irene - era solo lievemente più docile rispetto alla veemenza che, era sicura, avrebbe usato due anni prima, quando ancora vedeva le donne come degli esseri inferiori. Che dire, non era proprio un gran miglioramento.
E la cosa assurda è che non aveva nemmeno detto nulla di particolarmente grave. Al sentirla, quella domanda, poteva risultare legittima se posta da una persona come Rocco, che si cimentava per la prima volta con un’idea nuova.
Purtroppo, però, erano i suoi occhi a parlare, erano quelli che non riconosceva e che probabilmente, a loro volta, non la riconoscevano più.
La reazione di Irene fu immediata; si chiuse a riccio allontanandosi di almeno mezzo metro, assunse la sua vecchia aria spavalda, quella che avrebbe usato con un passante o cliente scortese, e si mise a braccia conserte, affondando i polpastrelli nelle braccia fino a farsi male. Si sentì stringere il cuore al constatare che proprio Rocco gli avesse provocato quell’istinto.
E se invece la conoscessi?” chiese con uno sguardo altrettanto gelido.
Rocco sentì un groviglio nello stomaco dinanzi a quello che lui avrebbe giurato essere un silenzio assenso e, in quel preciso istante, la sentì lontana anni luce. Bene, ora alle sensazioni di prima andava ad aggiungersi anche una gelosia bruciante.
E se-se la conoscessi” balbettò furioso “penso che sarebbe una cosa che una brava ragazza non fa”.
E immagino sia una cosa che una brava ragazza non può nemmeno pensare, giusto?” controbatté lei.
Appunto!” disse lui in tono secco.
 
Peggio di quanto pensasse.
 
Irene si passò un dito sulla fronte, esausta, coi nervi a fior di pelle.
Una domanda… Questa cosa la pensi tu oppure la dici perché te l’hanno insegnata?” gli chiese, alla disperata ricerca di un barlume di ravvedimento in lui. Le sembrava tutto surreale. Era come se stesse assistendo alla conversazione guardando sé stessa dall’esterno.
Sempre così te ne esci tu” alzò la voce lui, visibilmente innervosito “non tutto quello che ti insegnano è sbagliato”.
Mettere in dubbio il fatto che una donna sia seria o brava, solo perché ama una persona da due anni e desidera fare l’amore con lei, è profondamente sbagliato secondo me, ma… che vuoi che ti dica… forse sono io che sbaglio” disse Irene allargando le braccia.
Rocco esitò, toccato in qualche modo da quelle parole. Perché quella pausa pranzo così piacevole era dovuta finire così? Perché si stava comportando in maniera così odiosa? Perché Irene è troppo difficile da gestire, ecco perché - disse a sé stesso. Ma è davvero Irene a essere difficile da gestire? – gli diceva la sua coscienza.
Lo sai che non è quello…” disse lui iniziando a tentennare, ma lei non se ne accorse. “Il problema è che fare queste cose prima del matrimonio… non va bene”.
 
Irene abbassò lo sguardo, sconfitta. Quella verità doveva per caso farla sentire meglio? Peccato che non le servisse a niente. Era la verità di Rocco. Una verità che non sentiva propria. Ma d’altronde di cosa si lamentava? Al solito, era lei contro i mulini a vento.
La religione gli dava ragione, la società gli dava ragione.
Forse era solo lei che era sbagliata. Come sempre.
Ingenua e stupida - si recriminò - per aver pensato che quei due anni a Milano, il loro rapporto di mesi e la sua stessa esistenza di donna anticonvenzionale al suo fianco potessero aver insegnato a Rocco ad avere un concetto diverso su una donna che faceva certi pensieri.
 
Rocco colse quell’accenno di profonda tristezza negli occhi bassi di Irene e d’istinto alzò impercettibilmente un piede da terra per riavvicinarsi a lei ma, ancora una volta, esitò.
 
Ingenua e stupida – continuava Irene a ripetere a sé stessa - ingenua e stupida.
Avrebbe voluto moderare i toni, essere la prima a cedere. Rassicurarlo dicendogli pacatamente che la sua intenzione non era mai stata quella di cambiare il suo modo di pensare, bensì semplicemente di manifestargli cosa provava lei.
Avrebbe potuto, non era certo l’umiltà che le mancava all’occorrenza.
Ma a cosa sarebbe servito?
A cosa serviva, se al suo fianco aveva un uomo che riteneva una poco di buono una ragazza che osava anche solo pensare che le donne potessero avere gli stessi bisogni fisici e spirituali che avevano gli uomini di tutti i tempi, senza che NESSUNO gliene facesse una colpa.
A cosa serviva? A sentirsi dire: ‘Vabbè Ire’, ti perdono’? Inorridì di disgusto al sol pensiero. Piuttosto preferiva spararsi un colpo in testa.
Allora si indurì di nuovo. Serrò la mascella e tornò a guardarlo dritto negli occhi.
Lo sai che ti dico? Che sono vergine, ma in questo momento vorrei non esserlo solo per scandalizzarti ancora di più”.
E girò i tacchi, furente, per oltrepassare la tenda e avviarsi verso la galleria.
 
Roccò si sentì sferzare in volto. Era sicuro che uno schiaffo ben assestato non gli avrebbe fatto così male.
La vide allontanarsi, a bocca aperta, e si sentì un peso insostenibile sul cuore come mai l’aveva avuto. Ancora una volta il suo istinto lo spinse a inseguirla, a raggiungerla oltre quel muro che avevano innalzato – o piuttosto che ‘lui soltanto aveva’ innalzato, tornava a tormentarlo la sua coscienza. Ma i suoi piedi non collaboravano, erano ancorati a terra come da catene.
Cosa le avrebbe detto, poi, una volta raggiuntala? Era lei che era in errore…. No?
Era così. Doveva essere così. Irene non poteva averla vinta anche in questo.
Ma perché cos’è, una battaglia? – lo derise l’altra parte di sé.
Ma la purezza di una donna… La Chiesa diceva che così si perde la purezza…
Era Irene che voleva mettersi sempre contro tutto e contro tutti, anche contro le cose giuste.
Ma perché non si può semplicemente rimanere ognuno con le proprie idee? – gli suggerì quella voce dentro di sé.
NO… perché allora vorrebbe dire che l’ho trattata male. E tanto. E invece io ho fatto bene a dirle che certe cose una ragazza non le deve fare ma nemmeno pensare - cercò di autoconvincersi.
Ma perché quelle convinzioni non lo aiutavano allora? Perché si sentiva soltanto un enorme, imperdonabile cretino…?
Serrò gli occhi portandosi istintivamente i palmi delle mani alla fronte, come colto da un dolore lancinante alla testa.
Quei pensieri contrastanti continuavano a martellargli nel cervello togliendogli il respiro.
 
Gioia…. Che hai fatto?!” lo sorprese Agnese che aveva già oltrepassato la tenda, trovandolo praticamente con la testa fra le mani.
Considerando che quell’angolo di magazzino era l’ultimo posto in cui chiunque sarebbe andato a verificare, ciò significava che era già da un po’ che evidentemente lo stavano cercando e lui non se ne era reso minimamente conto.
Brutto segno, pensò.
Niente zi’” rispose Rocco, evasivo. Ma figuriamoci se il suo viso sbattuto e i suoi occhi lucidi avrebbero mai potuto convincere Agnese.
Nel frattempo, si era affacciato anche Armando, senza però dire nulla, con un’aria leggermente preoccupata.
Non è vero che non hai fatto niente, vieni qua, forza” insistette Agnese prendendogli il viso fra le mani, con la sua caratteristica risolutezza.
Ho detto che non ho fatto niente, zi’’” si divincolò Rocco spazientito, con un tono duro che non gli apparteneva. Agnese fece per aprire bocca, con un’aria tra l’indignato e l’allarmato, ma Armando la fermò prendendola delicatamente per un braccio.
Neanche morto e seppellito Rocco avrebbe raccontato alla zia che aveva avuto un’incomprensione con Irene. Non perdeva occasione di recriminargli di aver scelto lei invece di Maria e di certo non avrebbe perso occasione questa volta di usare il tipico, materno e anche inutile, ‘Te l’avevo detto’.
Però adesso la zia si era semplicemente preoccupata nel vedere la sua brutta cera. Cosa c’entravano le sue opinioni sulla sua vita privata? - rivalutò Rocco.
Allora tornò sui suoi passi e, voltatosi, le disse con un fil di voce: “Scusa zi’, non ho bisogno di niente, grazie” e spostò la tenda per varcarla.
Allora sai chiedere scusa quando vuoi! – gli suggerì sarcastica quella voce dentro di sé. Ripensò amaramente all’ottusità usata invece con Irene pochi minuti prima e a come l’aveva fatta allontanare e gli salirono le lacrime agli occhi. Inspirò con tutte le sue forze, per evitare di piangere a pochi minuti dall’inizio del secondo turno, e si incamminò senza una meta.
In realtà una meta ce l’aveva, anche se non osava ammetterlo a sé stesso…
Rocco…” sentì la voce comprensiva di Armando alle sue spalle e trasalì quando sentì la mano di lui poggiarsi dolcemente sulla sua schiena.
Armando ritrasse la mano, rendendosi conto che Rocco era teso come una corda di violino.
… se hai bisogno, a me sai che puoi dirlo” gli sussurrò paternamente Armando inclinando la testa.
Rocco deglutì per ricacciare indietro le lacrime, sperando con tutto sé stesso di mantenere la propria dignità almeno in quello, e gli rispose “Ho litigato con Irene” e alzò lo sguardo incontrando gli occhi di Armando “ma adesso non mi va di parlarne”.
Armando annuì, comprensivo, e lo lasciò andare.
Rocco si congedò per avvicinarsi alla porta comunicante con la galleria.
Era quella la sua meta di poco prima. Che senso avesse recarsi proprio lì ancora non l’aveva capito. Poco prima non era nemmeno riuscito a inseguire Irene per fermarla, per spiegarsi, e ora la cercava?
Forse voleva solo osservarla da lontano.
Forse è l’unica cosa che hai il coraggio di fare, codardo – lo sferzò ancora la sua coscienza.
Incontrò invece lo sguardo di Maria, che si stava dirigendo dall’atelier verso il bancone a parlare con Sofia. Non c’erano più molte occasioni per Rocco di incontrare la sua compaesana da quando si era trasferita in un altro appartamento in città e, per ovvie ragioni, rifuggiva il magazzino come la peste. Da quando Rocco aveva fatto la sua scelta, Maria aveva insistito perché fosse lei, e non Irene, ad allontanarsi da un edificio in cui vivesse anche un solo membro della famiglia Amato. Si era dignitosamente defilata, insomma. Il suo astio inoltre, nei mesi, stava lentamente scemando e la ragazza, fortunatamente, si stava aprendo ad altre possibilità che non fossero quella di andare per forza in sposa a un uomo del proprio paese.
Lei alzò una mano per salutarlo e lui ricambiò con un cenno del capo.
Poi lei tornò alle sue cose, ma Rocco rimase ad osservarla per qualche secondo, riflettendo sulla calma e la quiete che ispirava. Per carità, bel caratterino anche lei, ma comunque un terreno conosciuto, a lui familiare, da sempre. Se avesse scelto una vita con lei, sarebbe stato tutto così tranquillo, pacifico… prevedibile. Probabilmente il loro più grande litigio sarebbe stato qualcosa di davvero banale come la tavoletta del gabinetto alzata o il dentifricio spremuto dalla parte sbagliata. Si maledisse. Perché non era riuscito ad accontentarsi? Perché aveva dei “gusti complicati”, come proprio Maria aveva detto profeticamente una volta?
Se avesse scelto Maria, non si sarebbe mai dovuto preoccupare di entrare in crisi su concetti che considerava ormai assodati. Certamente il resto del mondo sarebbe comunque cambiato attorno a lui negli anni, ma niente l’avrebbe mai davvero destabilizzato non interferendo direttamente con la sua quotidianità.
Non sarebbe stato tutto più semplice?
 
….
 
Poi qualcosa di ben più importante attirò la sua attenzione e si ridestò da quell’atteggiamento stanco e pensoso. Si raddrizzò all’istante e, senza volerlo, si ritrovò a grattare nervosamente la soletta con le dita dei piedi, come attraversato da una leggera scossa.
La vista di lei.
Si stava affaccendando per cercare di accontentare una cliente tra le più altolocate di Milano. Il suo passo era svelto, agile, ma anche preciso, competente. La signora faceva attenzione a non lasciar cadere la sua maschera di classe e contegno, ma spesso tradiva un’aria sinceramente divertita dai modi di fare della Venere.
Rocco sorrise d’istinto, emozionato.
E fu allora che tornò sulla domanda che si era posto in precedenza, trovandovi una risposta.
La vita con Maria sarebbe stata più semplice.
Ma sarebbe stata più semplice… e basta.
Mentre Rocco avrebbe volentieri barattato decenni di semplicità per come si sentiva vivo in un minuto con lei, fosse stato anche un minuto trascorso in un litigio o un minuto trascorso a non sapere cosa le passava per quella testa intricata.
Anche se ancora non aveva gli strumenti per comprenderla, voleva sforzarsi di farlo perché non c’erano alternative per lui. Avesse scelto qualsiasi altra vita per sé stesso, si sarebbe sempre voltato a cercare Irene.
 
 
 
NOTA 1: la frase pronunciata da Irene prima di uscire dal magazzino è ispirata alla celebre frase di Kurt Cobain "I am not gay, although I wish I were, just to piss off homophobes"
NOTA 2: il paragone tra Irene e Maria che fa Rocco è ispirato alla storia d'amore tra Sennar e Nihal ne "Le Cronache del Mondo Emerso" di Licia Troisi
NOTA 3: il concetto sulla semplicità è ispirato alla scena finale del film The Proposal (2008): "I think it would be easier if we just forgot everything that's happened and I just left"...."You're right. That would be easier." 
 
   
 
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