Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: IroccoPerSempre    28/08/2021    0 recensioni
L'evoluzione di Rocco (e Irene) prima della nascita di Diego
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ormai all’imbrunire di quel tardo pomeriggio fresco che già preannunciava l’inverno, Irene chiuse la porta dello spogliatoio dietro di sé e, all’udire quello scatto ormai familiare, di fine giornata, tirò un sospiro.
Che non era però affatto di sollievo.
Espirando le rimase comunque un peso amaro, che non sapeva come strapparsi dal cuore.
Solo in quel momento si rese conto di aver trattenuto il fiato per tutto il secondo turno e negare a sé stessa che era stata praticamente in apnea solo per non piangere dinanzi a clienti, colleghe e superiori equivaleva a mentire.
Era stata sua precisa intenzione essere l’ultima a lasciare il Paradiso quella sera. Ed era perfettamente cosciente di quanto fosse stato infantile nascondersi dietro il paravento dello spogliatoio, nell’attesa che tutte andassero via, solo per evitare le domande indiscrete delle ragazze alla vista della sua faccia sbattuta.
Ma chi voleva prendere in giro: in realtà, era solo per evitare Rocco.
Quello di Irene non era nemmeno desiderio di tenere il punto; era che, davvero, non avrebbe saputo cosa dirgli qualora avesse incontrato il suo sguardo.
Giurava che Rocco si sentisse allo stesso modo perché, in condizioni normali, l’avrebbe cercata anche nei pertugi o negli stipiti delle porte, neanche fosse un animaletto minuscolo.
Accidenti, a volte Irene lo faceva persino apposta a nascondersi in ogni dove per sorprenderlo alle spalle, solo perché rideva fino alle lacrime vedendolo saltare per lo spavento come un gatto davanti a un serpente.
Le venne una fitta al cuore al sol pensiero di immaginare sé stessa e Rocco ancora felici, sorridenti. Una scena che in quel momento le sembrava ormai lontanissima e irraggiungibile.
Si guardò attorno, realizzando solo in quel momento quanta strada avesse fatto e dove si trovasse.
Fortuna che l’aveva guidata la sua memoria muscolare fino alla fontana in piazza perché, fosse stato per la sua testa, che si trovava da tutt’altra parte, si sarebbe sicuramente persa.
E così, alla vista della prima panchina in pietra che si trovò davanti, ci sprofondò sopra, esausta.
E pianse.
Ringraziò Dio che la piazza fosse ormai vuota - era infatti quasi ora di cena – e poté singhiozzare apertamente, cosa che non aveva mai fatto nemmeno in casa propria per paura che qualcuno potesse sentirla.
Non si sarebbe mai aspettata che le facesse così male avere ragione.
Perché stavolta ne era certa, aveva ragione lei.
Curvò la schiena stringendosi nelle spalle per la vergogna quando le ripassò davanti agli occhi come un lampo lo sguardo inquisitore di Rocco. L’aveva fatta sentire sporca e quella brutta sensazione non l’aveva ancora abbandonata.
Aveva dimenticato quasi tutto del catechismo, ma ancora ricordava che Eva aveva avuto una reazione simile dopo che Dio l’aveva messa davanti alla sua colpa.
Andiamo bene, la derise una vocina.
Già il semplice fatto che le fosse venuto in mente quel paragone assurdo da terza elementare, le suggeriva che aveva fatto bene a scappare da quella conversazione. Come Adamo ed Eva erano scappati dall’Eden.
Erano stati cacciati, ignorante! - la corresse quella vocina.
Dettagli… Vabbè, lei non sopportava le sconfitte, quindi era andata via da sola prima che si azzardassero a cacciarla.
Insomma, progenitori dell’umanità a parte, c’era qualcosa che non andava e aveva fatto bene a defilarsi così, si disse.
Non c’era nulla di normale, e men che meno di accettabile, in un fidanzato che ti facesse sentire come una sgualdrina. Per un motivo simile, poi.
Quindi tutto le confermava che aveva ragione, per l’appunto.
Ragione, ragione. Ho ragione io.
Si ripeteva quelle paroline come una frasetta motivazionale.
Normalmente avere ragione le era dolce come il miele, le restituiva la sua caratteristica spavalderia, la rassicurava riguardo alla giusta direzione da intraprendere.
Ma ora?
Niente di tutto questo.
Stavolta avere ragione non le era affatto d’aiuto, su nessun fronte.
A che serviva avere ragione se Rocco le mancava come l’aria? A che le serviva se non poteva avere lui?
Non puoi avere lui, le ricordò la vocina.
Traduzione: a quest’ora poteva averlo già perso per sempre, realizzò.
 
Scosse la testa e cercò di ricomporsi, fallendo.
 
A che serviva tenere il punto con la persona che amava se poi, perdendola, la sua vita sarebbe valsa infinitamente meno? (Ovvio, lungi da Irene Cipriani anche solo pensare che la vita di una donna non sarebbe valsa affatto dopo aver perso un uomo)
Ma, davvero, non conveniva scegliere il male minore?
E quale sarebbe esattamente questo “male minore”, chiese l’altra parte di sé, fingere per tutta la vita?
Non era da lei fingere di essere qualcun altro. Aveva già provato per un giorno e non era stato affatto credibile. Né pratico. Né giusto, a dirla tutta.
Fingersi qualcun altro no, continuò, ma almeno essere più comprensiva, forse?
 
Dopo lo sfoggio in bicicletta, Rocco non aveva quasi battuto ciglio dinanzi alla novità delle donne coi pantaloni; quando ripensava alla presentazione dell’abito British, la intenerivano ancora le sue guance rosse e quanto velocemente aveva distolto lo sguardo davanti alle sue ginocchia lasciate scoperte da quel lembo di stoffa troppo corto, ma poi aveva accettato anche quello; e, suo malincuore, si era ormai abituato all’idea che le donne sentissero il bisogno (ma che bisogno c’è, ricu iu, quando lo diceva a parole sue) di indossare un bikini in spiaggia.
Si portò una mano alla fronte, realizzando solo in quell’istante che al centro di ognuno di quegli eventi c’era una costante. Sé stessa.
Sempre lei a scandalizzarlo, a spingerlo spesso molto oltre il limite delle sue convinzioni. Che cosa pretendeva ancora da lui?
 
Be’ pretendeva che almeno non reagisse in maniera così ottusa; anche questo era chiedere troppo?
Il fatto è che lui non è ottuso; è solo che è puro, innocente, corresse mestamente quella vocina.
Forse avrebbe fatto bene a rimanere…
Se fosse rimasta, se si fosse presa il tempo per cercare di spiegargli che certe sensazioni sono normali anche in una donna…
La riassalì la paura che ora fosse troppo tardi.
 
Prima dell’inizio della loro relazione entrambi avevano previsto quanto sarebbe stato difficile conciliare due caratteri così diversi; era come se stessero costantemente in bilico su un filo sottile che separava l’assolutamente arricchente dall’assolutamente tossico.
E fin lì nulla di nuovo. Anzi, lo “sforzo” di mantenersi in equilibrio su quella corda immaginaria non era nemmeno da considerarsi un vero e proprio sforzo.
Era eccitante, stimolante, non ci si annoiava mai.
Il problema sorgeva con scontri come questo (e di quella gravità non se ne erano mai verificati prima tra loro), dove si prospettava un dubbio atroce:
“venirsi incontro” significava ancora amarsi in modo sano oppure annullarsi in favore dell’altro?
 
Basta! - intimò a sé stessa.
Si guardò intorno di nuovo, fisicamente provata da quel tumulto interiore.
Come aveva osservato poco prima, la piazza era vuota perché era ora di cena; unico momento di vera congregazione in una città frenetica come Milano.
D’istinto si asciugò le gote umide e si alzò dalla panchina.
A causarle quella reazione immediata era stata la premura di seguire l’esempio di chi, a quell’ora, si stringeva attorno alla propria famiglia.
Mai come quella sera sentiva che le era di conforto tornare da Stefania;
perché, se sapeva di non poter stringere tra le braccia Rocco, almeno avrebbe potuto godere della presenza di un altro membro di quella famiglia così singolare che si era costruita.
Incontrare gli occhi di qualcuno che teneva davvero a lei. Anche solo per farsi pregare dall’amica di raccontarle cosa c’era che non andava e farla impazzire di frustrazione quando le diceva senza mezzi termini che non aveva abbastanza esperienza per poterla capire.
Sorrise. La sua natura spartana in fatto di sentimenti poteva abbandonarsi almeno una volta a quel desiderio egoistico?
Decise di sì.
E così, nonostante il grande peso sul cuore che non accennava ad andarsene, si sforzò di focalizzarsi su quella piccola speranza di sollievo e affrettò il passo verso casa.
 
 
Ma non vi siete più parlati da allora?” chiese Stefania accorata.
Rocco abbassò lo sguardo e poi sussurrò: “No, non mi sono ancora avvicinato”.
Stefania lo guardò confusa: “Scusa ma perché bisbigli? Ti ho già detto che Irene non c’è…
Macché, mica bisbiglio per quello” sussurrò Rocco e poi si corresse, ricordando amaramente lo stato delle cose con la sua fidanzata: “Cioè se ci fosse lei, farei la stessa cosa”, ammise.
Poi si voltò e agitò la mano puntando il pollice verso casa propria.
Ahhhh” esclamò Stefania realizzando che Rocco si riferiva alla zia Agnese, ergo a quanto avrebbe gongolato se avesse saputo del litigio tra i due fidanzati.
Insomma, una conversazione clandestina su tutti i fronti, pensò Stefania.
Eh. Capito mò?” disse Rocco alzando le sopracciglia in segno di complicità.
Stefania annuì solenne. Poi Rocco riprese: “Ma come l’hai trovata tu oggi?” chiese già paventando la risposta.
Stefania sospirò allargando le braccia: “L’ho trovata come Irene…” ironizzò “come quando sta male per qualcosa, ma le chiedi cosa c’è che non va e non ti risponde neanche se la corrompi con un biglietto gratis per la Settimana della Moda”.
Come si aspettava. Rocco si portò una mano al viso massaggiandosi gli occhi.
Comunque ora vedo di estorcerle qualcosa appena rientra” si affrettò a rassicurarlo Stefania toccandogli d’istinto il braccio in segno di conforto.
Rocco era uno straccio, pensò la ragazza, e, se aveva delle colpe in quella situazione con Irene, di sicuro in quel momento stava espiando tutti i suoi peccati.
Rocco annuì “Grazie, Stefa’” poi si voltò d’impulso verso la tromba delle scale: “SE rientra…. mi sto iniziando a preoccupare
Stefania storse la bocca, valutando, “Chissà, magari è andata dal padre?
Seh, ‘dal padre’” fece Rocco distrattamente “quando Irene sta male, il padre è l’ultima persona che vuole vedere”.
Stefania si convinse a escludere quell’opzione vista la sicurezza di Rocco. D’altronde nessuno la conosceva come lui.
Poi, cercando di sdrammatizzare un po’, ma non perché fosse curiosa (no, affatto), gli chiese:
Ma giacché ci sei, perché non mi dici TU cos’è successo?” lo implorò con le mani giunte sbattendo platealmente le ciglia come una bimba innocente.
Era riuscita nell’intento perché il volto di Rocco si ammorbidì momentaneamente in un sorriso tra l’esausto e il divertito. E schioccò le labbra mentre alzava la mano per deriderla: “Va che bedda, ha finito Irene a fare la cuttigghiara (pettegola, ndt) e mò cominci tu”.
Eddai eddai eddai” implorò Stefania, ormai senza ritegno, piantandogli entrambe le mani sull’avambraccio.
Rocco cercava stancamente di divincolarsi ma non voleva ammettere che gli stava facendo bene sorridere in quel momento: “NO-NE, Stefa’ eddai, è Irene che è amica tua e se vuole te lo dice lei”.
Stefania lo liberò dalla presa all’istante, fingendo indignazione e appoggiandosi le nocche sui fianchi “Ah, e io non sono tua amica?! Be’, in tal caso non so che ci facciamo qui, buonanotte Rocco” e si voltò drammaticamente facendo finta di andarsene.
 
Rocco le prese fiaccamente il braccio e la costrinse a voltarsi mentre ancora sorrideva: “NEL SENSO CHE” si affrettò a precisare “è amica tua, confidente va’, e vi dite le cose – certo, quando Irene sta di luna perché lei mica è ‘na persona normale – ma insomma hai capito”.
Sì, vabbè…” lo liquidò Stefania divertita. “Io chiedevo perché visto che lei, come hai detto appunto tu, spesso non ‘sta di luna’ per parlare, almeno se ne so qualcosa in più riesco ad aiutarla meglio” disse a braccia conserte guardandosi la punta della scarpa, mentre si fingeva totalmente disinteressata.
Precisiamo, io SONO disinteressata, pensò Stefania. Ed era vero, adorava Irene come una sorella, ma era anche TANTO curiosa e poi si sentiva anche un po’ in diritto, a dirla tutta, visto che era la sua migliore amica insieme a Roberta e, di riflesso, Rocco l’aveva ufficialmente adottata come una sorellina minore.
Con sfottò annessi.
In ogni caso quella scenetta non avrebbe convinto nessuno, figurarsi Rocco, che, quanto a malizia, aveva preso la laurea a Scuola Cipriani.
Rocco sogghignò scuotendo la testa “NO Stefa’, fai la brava su… controlla solo se mangia, che quando sta nervosa salta il pranzo, la cena e compagnia bella” disse gesticolando.
Stefania abbassò le braccia sconfitta, mettendo su la sua tipica faccia imbronciata di quando non riusciva a spuntarla.
E va bene” rimarcò lei con voce volutamente più greve “allora se non vuoi parlare con me perché non parli con la diretta interessata?
Rocco chiuse brevemente gli occhi, colto nel vivo. “Devo capire… delle cose, prima” disse rimanendo sul vago mentre menava una mano per l’aria.
Stefania inarcò le labbra in un’espressione confusa: “Ah, chiarissimo…” commentò ironicamente.
 
Poi d’improvviso sobbalzò alla vista di qualcuno (qualcuno a caso), che solo lei riusciva a scorgere perché rivolta verso il pianerottolo, e con un guizzo degli occhi fece segno a Rocco.
Colto il segnale, il ragazzo cambiò discorso alzando ostentatamente il tono di voce: “Allora, Stefa’, hai detto prossima settimana viene la signora per la pigione?!”.
Stefania gli resse il gioco e annuì vigorosamente “Sì sì!”.
Neanche lui risultava molto credibile. Anzi, peggio, si sentiva patetico e stupido.
Avrebbe fatto bene a schiaffeggiarsi; perché era arrivato a comportarsi in modo così infantile? - si chiese.
Per un attimo si sentì di nuovo come quel Rocco ignaro del mondo che se ne stava impassibile vicino alle pecore.
 
Ce la fai a guardarla in faccia almeno?!  - lo rimproverò la sua coscienza.
Cercò di farsi coraggio e riuscì a voltarsi verso di lei.
 
A quell’incrocio di sguardi, sia Rocco che Irene percepirono quello che sembrava loro un pugno allo stomaco.
Ciao…” fece lui flebilmente.
Irene socchiuse le labbra per usare lo stesso saluto ma le uscì solo un deferente anche se poco energico “Buonasera…”, che si costrinse a rivolgere a entrambi e di cui si pentì, prevedibilmente, subito.
Ora, Stefania ci metteva tutto l’impegno per non ridere – si portò una mano alla bocca con nonchalance e si morse il labbro superiore – ma questi due gliela rendevano difficile.
All’asilo sono più maturi, decretò tra sé e sé sentendosi un po’ mamma.
E pensare che avevano fatto di tutto per non incrociarsi durante la giornata proprio per quel motivo, ovvero evitare situazioni di imbarazzo come quella.
Entrambi fecero per aprire bocca e dire qualcos’altro ma la gola si seccò loro all’istante.
Allora Irene abbassò lo sguardo ed entrò trafelata in casa passando dietro a Stefania. Ringraziò Dio che la porta fosse spalancata.
Rocco e Stefania si scambiarono un breve sguardo; il primo delusissimo e più triste di prima, anche se non sorpreso, e la seconda gli fece cenno con l’indice che la conversazione era solo posticipata, mentre lo salutava con la mano e chiudeva la porta dietro di sé.
Fece un sospiro preparandosi psicologicamente ad affrontare un’Irene nervosissima o tristissima (?) o entrambe le cose (?), pensò. Cercò di capirci qualcosa in più osservando i suoi movimenti scattosi, ma allo stesso tempo stanchi, mentre le dava le spalle ed era insolitamente silenziosa.
 
Poi la ragazza si guardò intorno, incerta, e cercò di iniziare la conversazione risollevandole un po’ l’animo, come aveva fatto poco prima con Rocco:
‘Buonasera’?” disse sogghignando “ma l’avevi capito che stavi salutando Rocco e non Antonio Segni?” rifacendosi al saluto ossequioso proferito da Irene poco prima.
Mmh” rispose Irene a mezza voce “chissà se da domani non ci sarà più differenza tra i due” mentre metteva a posto la giacca sulla sedia “o forse già da oggi… chi può dirlo…” disse con ironia amara voltandosi verso l’amica.
E fu solo allora che Stefania poté scorgere gli occhi lucidi di Irene e si intenerì, abbandonando per un attimo quel fare giocoso.
Solo per un attimo però. Se infatti Irene per ora aveva convissuto solo col proprio punto di vista, Stefania aveva visto anche quello di Rocco e la sua faccia da cane bastonato le diceva che stavano male entrambi allo stesso modo e che quindi tra loro non poteva essere finita, contrariamente a quanto insinuato da Irene.
A differenza del disfattismo di quest’ultima, a caratterizzare Stefania era ancora quello spirito romantico dell’adolescenza, che le consentiva di affermare in tutta certezza frasi come: ‘L’amore è sufficiente per superare ogni ostacolo’, e tutte quelle scemenze là, come ci teneva a precisare Irene.
Questo fu il rapido flusso di pensieri che passò per la mente di Stefania, mentre spostava una sedia e vi ci si accomodava, così facendo capire all’amica che era disposta a mettersi all’ascolto.
È andata davvero così male?” chiese con voce quasi materna.
 
Non ci tengo a sentirmi derisa anche da te, quindi immagino che rimarrai col dubbio” rispose Irene categoricamente, senza inflessioni della voce.
Stefania alzò gli occhi al cielo e Irene si ricordò di quello a cui stava pensando mentre era seduta in piazza.
La storia si ripeteva: Stefania la pregava e lei si faceva desiderare.
Non quel giorno.
Vabbè mi dirai quando ti sentirai pronta, SE ti sentirai pronta” e appoggiò entrambe le mani sul tavolo per alzarsi teatralmente e andarsene nella sua stanza.
Aspetta!” fece Irene.
Stefania sorrise maliziosamente mentre le dava le spalle. Aveva sortito l’effetto desiderato.
Non la conosceva come Rocco, ma ci stava andando vicino.
Irene attese che la ragazza si rimettesse a sedere e poi, così, di getto:
Ho detto a Rocco che volevo fare l’amore con lui e ha reagito male” disse senza guardare l’amica negli occhi, mentre con la mano stirava delle pieghe inesistenti sulla tovaglia.
Stefania, come andando a rallentatore, spalancò gli occhi e si coprì la bocca con entrambe le mani.
Soffocò un suono gutturale per evitare di ridere apertamente, ma, agli occhi di Irene, che infatti la osservava di sottecchi a braccia conserte, il gesto era ugualmente grave.
Il problema era che non riusciva a trattenersi; si immaginò la scena come in un lampo e si vide davanti Rocco, l’essere forse più innocente sulla faccia della terra, che a un certo punto, senza alcun preavviso, si sente dire queste ‘paroline magiche’ e strabuzza gli occhi per la vergogna, dopodiché non ci capisce più nulla, dice qualche stupidaggine e poi scappa via, oppure no, forse rimane ma arrossisce e redarguisce…
Volendo sarebbe potuta andare avanti per ore, pensando a scenari ed epiloghi alternativi.
E non gliene veniva in mente neanche uno che non fosse grottesco.
 
Hai finito?” la ridestò la domanda secca di Irene.
Il tu per tu che aveva avuto poco prima con sé stessa l’aveva aiutata a inquadrare le cose con maggiore lucidità; quindi, essere presa in giro adesso dopo i progressi fatti, oltre a farle rivivere un’umiliazione ancora troppo fresca, le ricordava anche il suo tremendo errore di valutazione: aver pensato che Rocco potesse quantomeno capire quella parte di lei mai confessata.
Insomma, era un approccio francamente inutile.
 
Stefania allargò le braccia in segno di tacite scuse, poi si mise a mani giunte: “Scusa Irene, ma come ti è venuto in mente?”.
Irene si spazientì ulteriormente e si voltò per andare in camera sua.
Si accinse a mettere a posto dapprima la sua borsa, quindi a fare qualsiasi cosa (qualsiasi) che la distraesse, mentre nel frattempo Stefania si alzava da tavola (di nuovo!) per seguirla come avrebbe fatto un’ancella.
Non lo sai come è…” proseguì Stefania.
“…. ‘non lo sai com’è fatto Rocco’?” fu Irene a concludere quella domanda “Perché era questo che stavi per dire vero?” mentre sfilava la federa dal suo cuscino e lo addentava per infilarlo in una pulita “Hanno stancato tutte queste accortezze: ‘Rocco è innocente’, ‘Rocco è buono’, ‘Rocco è puro’, ve lo dico io cos’è Rocco” e gettò bruscamente il cuscino vicino alla testiera del letto “Rocco è UN UOMO, non è fatto di cristallo, e se non riesce a reggere neanche una confessione su come mi sento IO” si puntò il dito sul petto “senza guardarmi come mi guarda ogni giorno Agnese Amato, ossia come una sciacquetta, allora non ho capito a che serve stare assieme!” disse tutto d’un fiato, bisbigliando per paura che la sentissero (o peggio, che la sentisse proprio lui, attraverso quelle pareti sottilissime).
Stefania, che nel frattempo si era seduta sul letto di Irene, ammutolì per una manciata di secondi, fissando lo sguardo in un punto a caso per riflettere.
Perdonami, non pensavo che ti avesse fatto sentire così” disse Stefania in maniera quasi asettica, ancora fissa su quel punto.
Faceva sempre così quando stava elaborando un’idea, un concetto.
Irene alzò il mento, accettando le scuse.
Stefania tentò di analizzare la cosa, indirettamente anche scusandosi per la sua leggerezza iniziale: “Non avrà forse pensato che gli stessi mettendo pressione?” chiese.
Stefania, ma quale pressione? Gli ho detto questa cosa, mi ha detto con uno sguardo che una brava ragazza non si comporta così e io me ne sono andata, fine.” rispose Irene ancora infastidita, affaccendandosi per piegare dei panni puliti che Stefania le aveva lasciato sul letto “Non c’è stato tempo di mettere proprio nessuna pressione, neanche se avessi voluto”.
La ragazza le tirò delicatamente le mani, senza dire nulla, e la costrinse a sedersi di fianco a lei, nel tentativo di placare il nervosismo che aveva addosso.
Non voglio dire che fosse tua intenzione” disse pacatamente Stefania, e non solo per evitare l’ira funesta dell’amica ma perché stava iniziando a mettere a fuoco le remore di entrambi, “ma inquadra la cosa dal punto di vista di Rocco: si sente dire per la prima volta nella sua vita una cosa che maaaaai si sarebbe aspettato di sentirsi dire da una ragazza, figuriamoci dalla propria, e,” soppesò bene le parole “non per rigirare il coltello nella piaga, ma è una cosa su cui è particolarmente sensibile, data la sua educazione,… cosa vuoi che pensi?...” alzò le braccia come per mostrarle l’ovvietà di quella conclusione “… semplice, pensa che tu voglia qualcosa da lui”.
Irene abbassò lo sguardo, sentendosi un po’ colpevole: “Ma io non volevo fargli cambiare idea…” disse quasi in un sussurro.
Poi sentì Stefania appoggiare il gomito sul letto per inseguire il suo sguardo: “Sicura…?” chiese con un sorrisetto dei suoi.
Anche se fece di tutto per trattenersi, a Irene uscì una risata sommessa e arrossì all’istante: “Daii…” esclamò spintonandola lievemente per un braccio “è ovvio che mi farebbe piacere se cambiasse idea” si spiegò “ma non ho certo detto quella frase perché CONTAVO sul fatto che succedesse”.
Era quella la verità, Irene non stava mentendo. Se quella frase le era uscita così di getto era perché ovviamente quel desiderio c’era ma, al contrario di quanto stava implicando Stefania, che sembrava momentaneamente affetta da amnesia, anche Irene conosceva bene Rocco e non si sarebbe certo aspettata da lui una reazione rivoluzionaria rispetto alle sue convinzioni.
 
Stefania fece spallucce come a voler suggerire tacitamente: ‘sì, ma il risultato è stato lo stesso’.
E comunque questo non giustifica come mi ha fatto sentire”, si difese subito Irene, “te lo giuro, mi sarei aspettata di tutto,” proseguì, “che arrossisse, che mi dicesse ‘sei sempre la solita’… Tutto, ma non questo” abbassò la testa, di nuovo triste in volto.
Stefania la guardò con profonda comprensione e immenso affetto.
Meditò su quella triste realtà, quella in cui erano sempre le donne a doversi sentire colpevoli, sbagliate e in ogni caso a dover pagare, qualora si cedesse IN DUE a errori di quel tipo.
Non certo per sadismo, ma con amarezza, Stefania diede allora voce a quei pensieri:
E mi dispiace tantissimo, però” fece una pausa, visibilmente in difficoltà, “guardati intorno Irene, gli uomini purtroppo la pensano così: se una donna non è più vergine, difficilmente qualcuno se la sposa poi. Quelli di qui sono così per cultura…” si riferiva a quelli del nord “Rocco è così per cultura E per religione, ma il risultato non cambia”.
A Irene venne subito in mente Marcello. Avrebbe giurato che quel ragazzo non avrebbe mai infranto la promessa di sposare Roberta (che peraltro indossava già il suo anello di fidanzamento) solo perché si era “macchiata” (nauseava Irene il sol pensiero di quel termine orribile) di aver perso la verginità con lui.
Ma Marcello era una mosca bianca nonché l’eccezione che confermava la regola. Non aveva quindi senso, oltre che essere indiscreto nei confronti di Roberta, portarlo come esempio.
Stefania aveva ragione, la società in cui vivevano era ipocrita e profondamente sessista.
Irene strinse i pugni e si voltò di scatto verso Stefania: “E a te sembra giusto questo?” chiese retoricamente.
Stefania ammutolì, interdetta. Mmmh, no, era ovvio che non le sembrasse giusto, ma…
IO DICO DI NO.” si infiammò Irene ancora di più “Perché se è così, gli uomini devono cambiare e se gli uomini non cambiano, allora noi non ce ne facciamo proprio nulla di loro. Meglio stare sole! Non ci mancano certo uno stipendio e le capacità per essere indipendenti” concluse, quasi paonazza per la rabbia.
Quel piccolo comizio improvvisato, simile a quel giorno di svariati mesi prima in cui era dritta in piedi sul divanetto delle veneri con una gonna corta e tutte le movenze di una suffragetta, le aveva lasciato il fiatone, ma Irene fece subito appello alla propria forza di volontà per calmarsi.
Stefania corrugò la fronte, mentre sfruttava quella tregua concessale dall’amica per meditare sulle sue parole.
‘Gli uomini sono così? La soluzione NON è dover essere noi a piegarci perché tanto funziona così. La soluzione è farne proprio a meno!’
Quel sillogismo le sembrò tutt’a un tratto di una giustizia, o giustezza (?), disarmante.
Inutile dire che prima di allora nessuno che l’avesse cresciuta le aveva prospettato quell’opzione.
Dopo aver riflettuto, concluse che da quel momento amava Irene un po’ più di prima. Non sapeva come fosse possibile, ma solo lei riusciva sempre ad andare alla radice del problema con quell’ovvietà e quel coraggio.
In questo caso anche a costo di perdersi per strada chi amava.
Era tutta un fuoco lei, caratteristica comune a tutti i trascinatori di popolo. Purtroppo, però, il fuoco aveva la tendenza a mietere vittime in maniera indistinta, anche laddove c’era qualcosa di recuperabile.
E fu allora che a Stefania tornò in mente lo sguardò abbattuto di Rocco. È vero, non si era ancora avvicinato alla fidanzata per parlarle, ma aveva tutta l’aria di essere in conflitto con sé stesso e quindi parzialmente contrito.
E se così era, allora apparteneva alla categoria di vittime che “quel fuoco” avrebbe potuto risparmiare, no?
Anche quello le sembrò un sillogismo pieno di senso.
Hai ragione” concesse Stefania sorridendo teneramente “… ma tutti i più grandi cambiamenti necessitano di tempo e pazienza. E le rivoluzioni troppo rapide rischiano solo di sfumare troppo velocemente non lasciando alcun segno.” Poi le prese la mano. “E così con Rocco,” sottolineò volutamente quelle parole e Irene incontrò il suo sguardo “devi dargli tempo di metabolizzare”.
Irene assentì, stupita da quel paragone insolito ma indovinato.
Era più serena ora che anche Stefania le suggeriva che poteva trattarsi solo di tempo, ma in un certo senso era anche più confusa di prima.
Come doveva muoversi? Doveva essere lei a forzare un confronto o semplicemente attendere pazientemente? Sospirò.
La pazienza, una virtù che le veniva difficile praticare, soprattutto nel ruolo di fidanzata.
 
Stefania la riscosse da quei pensieri, tornando al suo tipico atteggiamento allegro perché già sicura di suscitare la reazione positiva di Irene:
“… e poi, se ti avesse già escluso dalla sua vita, non si sarebbe mai fermato a chiedermi come stai, né si sarebbe preoccupato che non sei ancora rientrata a casa”.
E quella reazione non tardò ad arrivare.
Ah sì?” il volto di Irene si riaccese di speranza, ma lei si schiarì la gola, facendo passare l’intenzione di quella domanda per pura curiosità e non vero interesse. Ovviamente fallì.
L’ingenuità, un tratto che Irene non avrebbe mai riconosciuto come proprio, l’aveva portata a bersi la storia che Rocco si stesse informando per davvero della proprietaria e della sua stupidissima pigione, piuttosto che della sua fidanzata.
Ma seriamente ci aveva creduto? Sì.
Ed era l’amore che rendeva le persone così disfattiste? Ancora sì.
Che stress, pensò.
Ma guardala, la nostra rivoluzionaria” cantilenò Stefania divertita “prima ‘non so che farmene di uomini del genere’” scimmiottò la voce solenne usata da Irene poco prima “e poi le dico di Rocco e va in brodo di giuggiole…” e le stuzzicò il fianco con il solletico.
Irene si dimenò ridendo, con l’accenno a un ritrovato buon umore.
Poi, sempre sull’onda del disfattismo, ma stavolta con fare decisamente più giocoso, minimizzò: “Vabbè si è informato di come stavo, si fa di solito con i vicini di casa di lunga data, no?”.
Stefania scosse la testa trattenendosi dal ridere: “Non ti rispondo neanche guarda...!”.
ANZI NO!” esclamò Irene “Forse vuole stare ancora con me, MA” alzò un dito per puntualizzare “solo perché sono ancora vergine e quindi ancora… ‘papabile’? È così che si dice?
Stefania sospirò, rassegnata, e si accinse ad alzarsi dal letto.
Niente, mi tocca tenermela così, pensò mentre rideva tra sé e sé. “Il bello è che ci credi pure. Impossibile, pessimista, cupa e negativa!” cantilenò con tono volutamente greve, mentre la sua voce si perdeva nell’altra stanza.
Io avrei detto ‘realista’, ma va bene” controbatté Irene appoggiandosi alla porta.
Stefania la ignorò di nuovo: “… pure lamentosa come una gatta in calore. E permettimi di dire che” gesticolò con le braccia “questa sera, ‘in calore’, è un’espressione decisamente appropriata” disse, evidentemente con il chiaro desiderio di morire, del tutto conscia dei modi efferati che la sua amica avrebbe escogitato per porre fine alla sua vita.
Irene fece per aprire bocca quasi sul punto di ridere, mentre le passavano per la testa mille insulti tra i più coloriti.
Per buona sorte di Stefania, lei aveva però già fatto grandi passi avanti sul fronte autocontrollo; alzò quindi solo un sopracciglio e rispose con voce neutrale: “Sono indecisa se optare per un cucchiaio di legno o aspettare sulla sponda del fiume il cadavere del mio nemico, che saresti tu,” e la indicò “e ridere di gusto quando toccherà a te”.
Stefania scoppiò a ridere: “Aspetta aspetta” e bofonchiò tra uno sbadiglio e l’altro “Ti usciranno i capelli bianchi se continuo di questo passo”.
Irene scosse la testa dinanzi alla vera e propria inesorabilità che Stefania scorgeva nel proprio destino di ragazza alla ricerca, per ora fallimentare, del ragazzo giusto. Inesorabilità. A neanche vent’anni. Non faceva una piega.
Non si sa chi è più melodrammatica stasera” commentò semplicemente, mentre Stefania frugava tra le sue cose alla ricerca dello smalto.
Ah, senti, io ho già cenato per la disperazione ma ti ho lasciato della pasta in frigo” la informò Stefania.
Ma no, non ho fame”, disse Irene con lo stomaco ancora in subbuglio per le emozioni, “dà qua, te lo metto io lo smalto, sei già assonnata e finisce che lo sbavi tutto” fece mentre le si avvicinava.
Stefania si scansò, “Non se ne parla proprio, fila in cucina,” puntò il dito verso quella stanza in maniera categorica, senza nemmeno guardarla, “Rocco si è raccomandato con me di farti mangiare”.
Irene saltò un battito, presa in contropiede: “Ah!”. Si portò una mano allo stomaco, per tenere a bada le farfalle chissà, e sorrise.
E lo so che stai sorridendo” disse Stefania mordendosi a sua volta il labbro per non cedere.
Irene storse il naso, spazientita, e si voltò di scatto per recarsi in cucina.
Ma non smise di sorridere.
Che poi, non ho capito una cosa:” stuzzicò Stefania nel suo ennesimo atto di insubordinazione della serata, “ma sei davvero vergine?”.
Irene rimase bloccata con la scodella di pasta a mezz’aria: “Senti, novellina, vedi di abbassare la cresta. E comunque no, non sono vergine. Come sai, sono di maggio e quindi Gemelli, contenta?
Sentì risuonare la risata di Stefania dalla sua camera.
Faceva solo finta di infastidirsi per quell’insolenza assorbita dalla ragazza a forza di vivere assieme, ma Irene non poteva che andarne fiera.
Stefania stava venendo su bene. Saggia ed equilibrata lo era sempre stata, ma ora quella stessa capacità che aveva acquisito di scherzare in maniera a tratti tagliente denotava se non altro una grande sicurezza in sé, ben lontana dall’immagine di fanciulla timorosa degli inizi.
Irene sperava che la sfuriata di cui era stata artefice quella sera avrebbe aiutato Stefania ad aprire gli occhi in futuro, per evitare come la peste uomini che la facessero sentire da meno.
Poi il suo pensiero tornò a quel piatto di pasta che aveva davanti a sé.
Freddissima di frigo, ormai scotta, ma che lei stava mangiando così di gusto, perché inspiegabilmente aveva ritrovato l’appetito.
La realtà è che sapeva spiegarselo benissimo il perché.
E lì il suo pensiero volò a Rocco.
Vero, quel pomeriggio si era comportato proprio come uno di quegli uomini che non avrebbe mai augurato a nessuna delle proprie amiche, ma Irene lo conosceva e sapeva bene quanto era cocciuto e tenace nel difendere le proprie idee se ci credeva davvero. E se fosse stato davvero convinto di quello che aveva fatto, non avrebbe mai più chiesto di lei, non si sarebbe mai preoccupato che quella sera potesse magari essere troppo triste per mangiare (e mannaggia a lui quella cosa la commuoveva particolarmente), in altre parole, non si sarebbe mai voltato indietro.
Allora forse si trattava solo di aspettare che cadesse a pezzi quell’ultimo baluardo di pregiudizi che lo avevano accompagnato per troppo tempo e che nessuno si era mai preoccupato di intaccare.
Non sapeva se questa “fede” in lui le veniva per l’amore che gli portava oppure lo amava perché aveva fede in lui.
Ma che importa, si rimproverò scrollandosi di dosso quel dubbio inutile, non cambia comunque il risultato.
 
Ed era questo il risultato. Sorrise, asciugandosi una lacrima: forse anche questa volta sarebbero riusciti a rimanere in equilibrio su quel famoso filo, scampando alla caduta.
   
 
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