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Autore: Enchalott    02/08/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Acqua e polvere
 
L’Haiflamur era un tartaro del colore dell’argilla e l’oscurità lo rendeva uniforme. Il vradak planò nel buio della notte, infilandosi in una formazione rocciosa. La cavità fungeva da nascondiglio e da stazione: dall’esterno era un insospettabile cumulo di sassi, ma occultava il necessario per sopravvivere all’assenza di risorse.
L’uomo smontò dal rapace e gli parlò sottovoce. I cavalli nitrirono piano, captando l’odore selvatico: si avvicinò per calmarli, carezzò il collo di un maestoso esemplare bianco e l’animale gli sfiorò la spalla con il muso rosato.
«Perdonami per lo straordinario notturno, Issara. Non ami il buio, ma farò in modo che i tuoi zoccoli non cadano in fallo.»
Salì in arcione, guidandolo all’aperto: le impronte ricurve rimasero impresse pochi secondi nella rena lambita dal vento. Partì al trotto leggero e procedette a zig zag tra le asperità affioranti, poi spronò certo che nessuno lo stesse seguendo.
Giunse a meta sul fare dell’alba, una linea ciclamino schiariva l’orizzonte. Sciolse la sciarpa che proteggeva il volto e lasciò libera la chioma ruggine, raccolta in una coda che scendeva sulle spalle.
Le sentinelle, schizzate dall’ombra armi in pugno, si rilassarono nel riconoscerlo.
«Bentornato, Elefter.»
Kamatar staccò dalla sella un paio di bisacce rigonfie.
«Non è granché, mi dispiace.»
«I cacciatori sono rientrati, non resteremo a digiuno.»
«Ottimo, ho una fame incredibile.»
Prendendo in consegna il purosangue, i guardiani ridacchiarono rallegrati dall’usuale buonumore del loro capo.
Kamatar raggiunse i compagni in una costruzione scavata tra i macigni cinabro: il falò istigava le concrezioni vetrose, facendole scintillare come rubini. Prese posto e si liberò del mantello, accettando la brocca d’acqua.
«Non c’è molto» sospirò alle occhiate ansiose dei suoi «L’Ojikumaar è inavvicinabile, Ishwin ha timore di contrariarlo.»
Sui volti dei presenti affiorò la delusione. Il giovane Khai addentò il cosciotto arrosto e rispose alla valanga di domande.
«Da Minkar giunge invece una buona notizia. Mahati ha giustiziato Namta, nemmeno i suoi sudditi lo rimpiangono. Il nostro infiltrato riferisce che Amshula è di parere opposto rispetto al marito.»
«Ci appoggerà?»
«Azzarderei un cauto sì. I termini della collaborazione devono essere definiti, ma è libera di agire, ora che è vedova: il figlio è troppo giovane per prendere le redini della guerra e ha bisogno di alleati. L’assedio divora il suo popolo nel corpo e nella mente. Incontrerò il mio contatto nei prossimi giorni.»
Gli astanti si scambiarono commenti fiduciosi, mentre Kamatar appoggiava l’osso spolpato e beveva un sorso ristoratore.
«La principessa salki?» lo interrogò un altro.
«Non l’ho vista. Ma è una bambina, dubito che possa assumere il ruolo di mediatrice. Mi è giunta voce che abbia già spazientito il promesso sposo e che la tengano sotto stretta sorveglianza. Questo complica le cose.»
«Il Šarkumaar non si è mai espresso in merito agli schiavi. Potrebbe fare al caso nostro se il primogenito proseguisse la linea oppressiva di Kaniša.»
«L’unica certezza è che non sarà Mahati a sedere sul trono.»
«Potremmo fare in modo che lo ottenga, Elefter. Sarebbe utile conoscere il suo punto di vista e su questo la straniera tornerebbe in gioco.»
Kamatar aggrottò la fronte e si liberò della veste impolverata.
«L’idea del complotto di palazzo mi disgusta. Non sono diventato hanran per porre la corona in capo all’uno o all’altro principe, ma per eliminare ogni disuguaglianza.»
Allacciò in vita la cintura di lino e sistemò la casacca rosso cupo, atta a confondersi tra le sfumature dell’Haiflamur.
«Tuttavia» moderò «Sarebbe sciocco precludere un’opportunità. Se il secondogenito si rivelasse propenso a una riforma, meriterebbe il mio appoggio. È abituato a spartire la tenda con i soldati, li tratta con equità, vive in modo spartano e non ha mai punito uno dei suoi in base al rango o al clan. Pare diverso rispetto al padre e al fratello.»
«Confermo» intervenne uno dei presenti «Ho combattuto sotto il suo comando. È spietato, ma agisce in accordo alla legge marziale, non per quella che sancisce l’inferiorità degli schiavi.»
«Eravamo guerrieri, accettavamo la crudezza del codice d’onore khai. Il principe ha guadagnato il nostro rispetto sul campo, non lo ha preteso di diritto» dichiarò un altro.
«Lo siete ancora!» ribatté Kamatar «Guerrieri che lottano per una causa diversa!»
Scrutò l’insorgere rosato del primo sole e prese la sua decisione.
«Contattate le dorei al servizio della principessa salki.»
 
Yozora ammirò il tripudio dei giardini del palazzo reale. Per un attimo immaginò di essere a casa in primavera, quando gli alberi esplodevano di boccioli e le foglie brillanti stillavano la rugiada fresca del primo mattino.
Mirai si muoveva dietro di lei silenziosa e vigile: l’aveva attesa sulla soglia degli appartamenti del Šarkumaar, armata e impeccabile nell’uniforme della guardia reale. Non aveva pronunciato che poche parole, limitandosi ad accompagnarla. Durante la passeggiata non avevano incontrato nessuno.
Un incanto per gli eletti.
Si domandò come fosse possibile mantenere quel verde sotto i soli impietosi di Mardan, che dalle prime ore gareggiavano per percuotere la terra con la loro arsura. Le si strinse il cuore quando selezionò la risposta più coerente. Raggiunse una panca di marmo alla frescura discreta di un salix.
«Sedete con me, Mirai, possiedo già un’ombra.»
La nisenshi si piegò sulle ginocchia e si accomodò nell’erba ai suoi piedi.
«Non era quello che intendevo, ma è un inizio» sospirò Yozora.
Si arrovellò su come intraprendere una conversazione, ma il timore di offenderla la frenò. Le sarebbe piaciuto diventare sua amica, certo nei limiti del possibile e del misterioso concetto khai di affetto.
«Parlate la lingua salki?» tentò.
«Desolata, altezza.»
«Oh no, è un bene! Mi aiuterete a migliorare nel vostro idioma. Fatico a capire, talvolta non trovo il termine atto a esprimermi. È deprimente!»
Mirai ascoltò sorpresa: la giovane era a Mardan da poche settimane e non aveva frequentato la corte, ma era l’unico esempio di ostaggio reale che si fosse interessato alla cultura locale. Inoltre la sua umiltà era ammirevole.
«Farò del mio meglio.»
Yozora sfilò i sandali, incrociando le gambe sotto la veste fluente.
«Mi chiedo come questo paradiso riesca a resistere al clima. Quando ero in groppa al vradak del principe, non ho avvistato neppure un albero. Forse ho sorvolato la zona più selvaggia del vostro mondo.»
La nisenshi spalancò gli occhi all’udire che l’Ojikumaar l’aveva portata in sella.
«No, mia signora, il regno dei Khai è sabbia e pietra. I giardini reali sono alimentati dall’unica sorgente sotterranea, l’acqua scorre in profondità e viene distribuita da un sistema di pompe idrauliche. La terra resta umida e le piante non avvizziscono.»
La ragazza abbassò il capo e si fissò le mani, giocherellando con il bracciale.
«E le persone?» sussurrò mesta.
Mirai la fissò interdetta.
«Esse non avvizziscono?» specificò Yozora «L’acqua è un lusso, ma non si tratta di un profumo raro o di una stoffa pregiata. Risulta essenziale alla sopravvivenza e dovrebbe essere condivisa, non sprecata in egoistici vezzi. Non credete?»
La guerriera chinò la testa, ma non sfuggì alla potenza di quelle parole. Era la prima volta che sentiva qualcuno esprimere preoccupazione nei riguardi di chi non apparteneva all’élite, per giunta si trattava di una sottomessa. Nessun clan se ne sarebbe interessato. Si interrogò sull’ascendente di quel modo di pensare e l’empatia per chi aveva umili origini prevalse per un istante sull’addestramento.
«Non saprei, altezza» farfugliò imbarazzata.
«Questo luogo è gioia per lo spirito. Ma la felicità degli esseri umani non ha prezzo, dovrebbe vantare la precedenza nell’animo di chi regna. Perché i Khai sono riluttanti quando si parla di sentimenti? Forse non capirlo è una mia pecca.»
Mirai avvertì un brivido. Non era un difetto mentale della sua protetta, sapeva cosa stesse tentando di comunicarle in foggia di ingenua osservazione. Una parte di lei fremeva per darle ragione, ma la fedeltà andava alla corona, la vita apparteneva al re e le opinioni personali erano letali per l’animo di combattente. Il regno dei demoni esisteva da migliaia di anni e nessuno metteva in discussione le sue leggi.
«Sono discorsi pericolosi, altezza. Inadatti a un membro della famiglia reale.»
«Oh, perché mai?»
La nisenshi indugiò nell’impasse che le impediva di esprimere un accordo contrario ai princìpi della sua gente e di disapprovare la futura sposa del Kharnot.
«Sono persuaso che Entin condivida le ricchezze del tesoro reale con i sudditi, tanto altruista da risultare un fulgido esempio persino per gli dèi.»
Il sarcasmo dell’attestazione interruppe il pacifico confronto. Mirai piantò il pugno a terra e abbassò la fronte alla presenza dell’Ojikumaar.
Yozora si accigliò più per l’intromissione che per il giudizio rivolto a suo padre.
«Siete solito origliare le chiacchiere tra ragazze, principe Rhenn?»
L’erede al trono si fece avanti, uscendo dal lastricato bianco. La seta azzurra degli abiti schiarì sotto la luce intensa: la camicia senza maniche lasciava scoperti i muscoli delle braccia e la coda posteriore si allungava sull’erba di qualche spanna. Il fermaglio sopra l’orecchio sinistro brillava come un quarto sole, ma non riusciva a eguagliare lo splendore argenteo della chioma.
Come nelle precedenti occasioni, la sua comparsa lasciò di stucco la principessa, che si congratulò con se stessa per essere almeno riuscita a rispondergli per le rime.
«Vi stavo cercando e non ho potuto fare a meno di udire. Un argomento stimolante ma spiacevole, che non dovrebbe interessare un membro inesperto del clan reale, tantomeno una guardia del corpo.»
«È proibito esprimere considerazioni sulla floricultura?»
Rhenn sogghignò al traslato, sedette all’estremità della panchina e allungò le gambe.
«Tutt’altro, è che sono io il massimo esperto. Non dovreste distogliere una guerriera con questioni frivole. Piuttosto domandate a me, fornirei la risposta con un’affidabilità del cento per cento.»
Mirai avvampò alla dichiarazione poco sottintesa e l’inchino al principe si approfondì. Ringraziò Belker, che le aveva impedito di pronunciare qualunque ambiguità e di essere scambiata per una hanran.
Yozora si trattenne dal mandarlo al diavolo.
«Vi nascondete tra le fronde quando cercate una persona?» borbottò.
«Al contrario ero bene in vista, la vostra attenzione non è allenata. Non ci siamo, dovreste esercitarvi con maggiore perizia per non essere colta in fallo.»
«Stavolta non ho commesso sbagli! Vi divertite a prendermi in giro!»
Rhenn inarcò un sopracciglio e appoggiò indolente un gomito alla spalliera.
«No? Dunque sapete che rimanere a piedi nudi in pubblico significa che acconsentite a concedervi al primo uomo che ne fa richiesta? Quale fortuna!»
La principessa strabuzzò gli occhi e divenne paonazza.
«D-davvero!?» esclamò strozzata, cercando di recuperare le calzature.
Oh dei! Perché Mirai non mi ha avvertita!?
«No» ribatté placido il principe «L’ho inventato ora per dimostrarvi che, se avete da imparare nel piccolo, non potete discutere nel grande.»
Lei rimase imbambolata a guardarlo mentre teneva i suoi sandali tra le dita. Rhenn non si sottrasse all’esame. Mosse la mano imperioso.
«Siete congedata, nisenshi. Nessuno oserà avvicinare la mia kalhar finché rimarrò con lei.»
Mirai prese atto del comando a metà tra il turbamento e l’estremo sollievo. Da una parte non avrebbe voluto lasciare la sua protetta, pur se a scortarla era il principe della corona. Dall’altra l’impaccio aveva raggiunto i livelli di guardia quando la ragazza aveva ribattuto; poi era asceso alle stelle quando l’Ojikumaar, anziché montare su tutte le furie, aveva enunciato la panzana sui piedi nudi, infine era sfociato nel parossismo quando si era chinato per raccattare da terra i calzari. Si ripromise di non lasciarsi sfuggire una sillaba. Non le avrebbero creduto, l’avrebbero punita per lesa maestà.
Quando il principe le infilò uno dei sandali, Yozora trasalì al contatto.
Mi ha definita kalhar.
«Non sono vostra sorella!» gridò scagliandogli contro l’accessorio.
Rhenn schivò senza batter ciglio e si spostò con la lestezza di un falco, bloccandole le braccia. Lei si divincolò, ma non riuscì a respingerlo. Rimase schiacciata tra il marmo del sedile e il suo corpo. La stoffa turchese dell’abito scivolò nel movimento, scoprendole le gambe.
«No? Cosa siete per osare tanto?»
«Non toccatemi!»
Per tutta risposta Rhenn se la caricò sulle ginocchia. La penetrò con lo sguardo feroce e orgoglioso di sempre.
«Allora? Definitevi, prima che io decida che siete una ragazzina da punire con estrema durezza.»
«Lasciatemi! Mahati si adirerà!»
«Non credo vi convenga comunicargli che mi avete tirato addosso una scarpa.»
«Per i segni che mi state lasciando! Chiederà spiegazioni!»
Le labbra del principe si piegarono ironiche, gli occhi sfiorarono il bracciale al suo polso: bizzarro che lo avesse lasciato a lei. Qualcosa di simile all’irritazione lo pervase. Spostò le mani sulla sua vita sottile.
«A meno che non vi mostriate nuda, qui non guarderà» mormorò caustico, godendosi l’espressione scandalizzata di rimando «Fatemi capire, perché vi urta il fatto che vi definisca kalhar
Yozora rifletté, staccandosi dall’impulsivo risentimento che l’aveva portata a reagire con veemenza. Non le era mai successo e sarebbe stato riduttivo addurre come scusa il caldo, la ripicca per il rimprovero o il desiderio di non dargliela vinta. Non era nel suo carattere mostrarsi insolente e ardita.
«N-non lo so. Forse perché non mi avete trattata come tale.»
«Vorreste che lo facessi?»
«No.»
Rhenn socchiuse le palpebre, affinando i sensi per captare le sfumature e spingersi nel suo modo di vedere le cose. L’odore che emanava lo condusse su un percorso inaspettato: aveva paura, ma si fidava di lui e sembrava parimenti delusa, arrabbiata. La sua non era una recita o la scenata di una femmina isterica.
«Ah, non mi resta che pensare che vi siate offesa perché la storia del sesso estemporaneo non era vera. Mi dispiace avervi illusa, ne avevate voglia?»
La ragazza impiegò un istante a radunare il fiato per ribattere.
«Come vi viene in mente!?»
Lui alzò le spalle.
«In effetti è torto mio nel forzarvi in una posa tanto sconveniente, ma non mi piace ammettere l’errore.»
«Oh! Avete una tale faccia di bronzo… e poi vi sopravvalutate! Credete sia lecito tenere in braccio una donna che non ha con voi alcuna parentela? Siete sposato!»
Rhenn rincarò la dose.
«È quello che vi ho domandato. Non siete mia sorella, non un’amica, tantomeno la mia amante. Stabilite il metro, mi comporterò di conseguenza.»
«Sono Yozora e basta. Potete chiamarmi per nome.»
Il che non era una risposta. Il principe indugiò sulla gradazione castano scuro delle sue iridi, calda e dolce sotto i raggi del sole. Incapace di mentire, pura in anima e corpo. Era solo questo? Si scoprì a pensare che a Mahati sarebbe piaciuta sul serio, che avrebbe contratto un matrimonio con una donna da indagare in ogni singola sfumatura. Con lei avrebbe percorso il cammino più rischioso in assoluto per un Khai, ma avrebbe avuto accanto una compagna che gli avrebbe scaldato il sangue.
Mai accaduto a un figlio di re.
«Lo farò in privato.»
«In pubblico sarebbe indelicato?»
«Inammissibile. Sono l’erede al trono. Detto ciò, potete scendere dalle mie ginocchia, non vi sto trattenendo.»
La ragazza staccò le mani dalle sue spalle con il viso in fiamme.
Non me ne sono accorta per colpa di quelle domande inopportune!
«P-perché mi cercavate?» balbettò.
«Ah già. La prima prova, mio fratello mi ha pregato di istruirvi in merito.»
«Prova?»
«Il rito khai non consiste solo nella cerimonia volta a sancire l’unione. Il matrimonio si avvia tramite alcune esperienze condivise, le asheat. Ogni volta che gli sposi ne superano una, il vincolo si rinsalda, così fino alla celebrazione ufficiale.»
«Sono difficili?»
«Dipende dalla consapevolezza personale. Perciò, nel vostro caso, sì.»
«Grazie tante per la fiducia.»
Rhenn scosse la testa e gli orecchini di corindoni blu balenarono tra le ciocche chiare.
«Non prendetela male. Non siete una Khai, avete diciotto anni e non conoscete la nostra tradizione. Mahati desidera che vi istruisca e non posso che essere d’accordo, specie dopo la dimostrazione d’inesperienza che avete fornito. Immaginate quali sarebbero le conseguenze se falliste.»
La principessa lo guardò con apprensione. La pace con i Salki, la felicità di Hyrma, la libertà di suo padre, la promessa a se stessa, lo yakuwa stretto con lui: tutto sarebbe andato in fumo.
«Avete ragione.»
«Vi illustrerò in cosa consistono, vi eserciterete con me per il tempo necessario, poi vi sottoporrete alla prova effettiva con Mahati. Oggi vi mostrerò la prima delle quattro, la più semplice.»
Sommo Kalemi, ti prego, fa’ che non debba versare del sangue!
«Di che si tratta?»
«Della verità. Risponderete alle domande che vi porrò con la massima sincerità, comprese quelle scomode o private. Tra marito e moglie non devono esistere segreti, lo scopo è imparare la trasparenza.»
«Allora non è affatto semplice.»
Rhenn inarcò un sopracciglio. Non poté che trovarsi d’accordo, analizzando il suo rapporto con Rasalaje: non aveva avuto problemi durante le asheat, ma c’erano verità che non corrispondevano alle parole che pronunciava e altre che teneva serbate nell’anima, invise a se stesso. Il suo concetto di sincerità era relativo, era assuefatto a mentire alla moglie o a tacere per comodo. L’importante era il pro forma: in quello era perfetto come marito e come principe della corona. La verità aveva un volto disturbante, pertanto aveva smesso di confrontarvisi.
Con Ishwin non aveva mai simulato, ma non era un bene: era lo strato epidermico della sua personalità, quello che non aveva problemi a portarsela a letto per tornaconto, fregandosene del punto di vista altrui.
Si domandò dove sarebbe giunto prima di crollare davanti a una convenienza o a un atteggiamento di facciata. Avrebbe potuto sperimentarlo mettendosi in gioco con una ragazzina che non avrebbe retto il confronto e non lo avrebbe posto in difficoltà. Per sottoporsi all’auto esame sarebbe stato spietato e avrebbe preteso altrettanto.
Ho fatto bene ad accettare, sarà fruttuoso.
«Mi inducete a pensare che abbiate molto da nascondere» ribatté.
Yozora si fermò sulla scalinata, guardandolo da sotto in su.
«Giuro che vi annoierò a morte.»
L’Ojikumaar sorrise scaltro e la precedette negli appartamenti di Mahati. Il personale era stato congedato, Mirai era di guardia con l’ordine di negare l’accesso a chiunque.
La principessa notò il braciere appoggiato a terra, l’occorrente per attizzare le fiamme e un bacile d’acqua. Posato su un cuscino di seta c’era un pesante anello di bronzo con un’incastonatura: si domandò a cosa servisse.
«Sapete che significa “mettere la mano sul fuoco”?» chiese Rhenn.
«Si dice anche da noi, indica l’essere certi di qualcosa.»
«Esatto, la verità indiscutibile. È quello che farete tra poco.»
   
 
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