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Autore: blue___birddd    03/08/2021    2 recensioni
Con le gambe a penzoloni giù dal molo e un nodo alla gola, Vic Lacey non guarda crollare il suo elaborato castello di carte. Tutto quello che vede sono le sue vecchie scarpe da tennis bianco sporco dondolarsi appena sopra la superficie del mare nero. Ha le nocche spaccate e le unghie mangiate fino alla carne viva, le guance bagnate e la paura che trema nei polsi, ma non si guarda indietro.
Storiella senza troppe pretese scritta per liberarmi delle nuvole nere che avevo intorno.
[TW!menzioni di suicidio]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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   Con le gambe a penzoloni giù dal molo e un nodo alla gola, Vic Lacey non guarda crollare il suo elaborato castello di carte. Tutto quello che vede sono le sue vecchie scarpe da tennis bianco sporco dondolarsi appena sopra la superficie del mare nero. Ha le nocche spaccate e le unghie mangiate fino alla carne viva, le guance bagnate e la paura che trema nei polsi, ma non si guarda indietro.

   Dietro di lui c'è la città grigia e arancione, instancabile formicaio pieno di contraddizioni. Da qualche parte là dietro c'è una via uguale a tante altre con una casa piccola e fredda, una madre delusa, arrabbiata e ubriaca e il vuoto di un padre sconosciuto. In fondo non è poi così tanto, a pensarci bene. Davanti a lui c'è l'abisso, a perdita d'occhio fino all'orizzonte, e fa quasi paura quanto quello che c'è dietro. E forse è abbastanza, invece.

   Giù nel mare, una ragazza grida e ride mentre un ragazzo la spinge sott'acqua e la abbraccia e ride anche lui. Un vecchio cammina solo sul bagnasciuga, le mani dietro la schiena, baciato dalla luce dorata del tramonto. E Vic non può vederli ma li sente, alle sue spalle, i bambini che si rincorrono con passi pesanti sul molo e litigano per qualche regola inventata e poi eccoli a giocare e rincorrersi di nuovo. Non può vederli, così chiude gli occhi e guarda con quelli della mente. I volti, però, sono diversi: c'è lui e Martie e Dene e Flick e tanti altri nomi a cui non ha voglia di pensare perché è troppo stanco. Quei giorni tanto lontani trovano comunque il modo di stringerlo in una morsa dolorosa, così apre di colpo gli occhi e sussulta come se il colpo l'avesse ricevuto per davvero. C'erano Martie e Dene e Flick e tanti altri e probabilmente ci sono ancora, alle sue spalle, ma qui c'è solo lui e la forza di girarsi l'ha persa da un pezzo. Una parte di lui, quella più rancorosa, si chiede se non possano essere loro a voltarsi, per una volta, ma mette a tacere subito quella vocina cattiva: che senso avrebbe? Tanto stanno camminando in due direzioni opposte. Lui è solo, nessuno torna indietro per lui. È giusto, si dice, è logico. Non è chissa che: perché dovrebbero? Non si dice che fa male perché da quando in qua ha il diritto di prendersela per queste piccolezze? Però fa male, fa male, fa male...

   Vic si preme forte la mano sugli occhi per cercare di impedire a quell'inchiostro nero come la pece di allargarsi e inghiottire tutti i suoi pensieri o quello che rimane; esala un respiro spezzato e sa che non sta avendo molto successo, pregusta già l'attimo in cui crollerà...

   Poi qualcosa di ruvido e umido gli sfiora la guancia e lui, sorpreso, sposta la mano dagli occhi, allontanando quell'abisso nero in cui stava per sprofondare. Un cane bianco scodinzola e gli lecca il viso e forse Vic sente il suo cuore tornare al posto giusto perché non si accorge nemmeno che ha iniziato a sorridere finché non ha la testa affondata nel pelo caldo dell'animale e lo accarezza piano. Il cane è così vivo che gli viene da piangere e lo abbraccia e ride e si sente uno stupido perché davvero, era così semplice.

   Dei passi si avvicinano. Il proprietario? Vic si prepara un sorriso e un ringraziamento e magari, perché no, a chiedere il nome del suo piccolo eroe personale. Alza lo sguardo e scioglie l'abbraccio quando lo sconosciuto è vicino e i passi si fermano, già pronto a parlare e parlare e parlare. È semplice, si dice.

Lo scatto di un moschettone, uno strattone e Vic si sente come se gli mancasse l'aria. Le parole brusche e affilate risuonano per parecchi secondi nelle sue orecchie.

   «Via! Via, levati di lì!» Il disgusto non lo vede, perché l'uomo col cappello non l'ha neanche guardato in faccia. Però lo sente ancora e ancora e ancora e gli avvelena la testa e il cuore e fa male, fa male, fa male.

Non sa cosa gli prende, davvero. Non lo sa. Però inizia a piangere come un annegato; piange, singhiozza e cerca a fatica di riprendere il respiro, ma è tutto inutile e piange ancora, senza fermarsi, portando le gambe al petto, senza neanche curarsi di nascondere il viso e piange e piange e piange.

Sente ancora tanti passi dietro di lui, ma non si fermano. Perché dovrebbero?

   Perché dovrebbero?

Sul molo pieno di gente, Vic è solo. È solo in città, a casa, a scuola. È solo e nessuno lo vede. Quando è successo? Non se n'è nemmeno reso conto. Forse è scolorito piano piano, pezzo dopo pezzo, ma non saprebbe dire quando è iniziato. Questa volta si guarda indietro e vede solo una pila di cose. Si guarda indietro per tutte le volte in cui non l'ha fatto, nonostante sia difficile, straziante, ma il risultato non cambia. Non riesce a definire, in quella pila, cosa è cosa, i perché sì e i perché no, le persone e le parole: è tutto sfocato. Ma alla fine non ha importanza.

   È semplice, si dice, cercando di smettere di piangere. Quando sei già invisibile, sparire non ti fa più così paura. Ma allora perché gli tremano le mani, mentre si rialza? Perché gli tremano le gambe, mentre cammina a passi lenti e malfermi lungo il molo? È il freddo, si dice. Ha freddo, è tardi, è ora di tornare a casa e salutare sua madre e tornare nella sua stanza.

   Sì.

Con le gambe a penzoloni nel vuoto e un nodo al collo, Vic Lacey non guarda crollare il suo elaborato castello di carte. Forse è già crollato molto tempo prima, non ha importanza.

Dietro di lui, la città grigia e arancione continua il suo corso come se nulla fosse successo. Davanti a lui, l'enorme abisso scuro e spaventoso non è cambiato. Perché dovrebbe?

Perché dovrebbe, in fondo?

   
 
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