Ricordati di me
*
Epilogo
*
Infilò nella
valigia l’ultima maglietta bianca in modo ordinato.
Era pur
sempre uno stilista e non sarebbe stato giusto nei confronti di quel capo
accanirsi gettandola dentro alla rinfusa e con non curanza.
Aveva
imparato il rispetto di ogni tipo di stoffa fin da piccolo, da quando la sua
passione per il disegno, taglio e cucito si era fatto strada dentro di sé, non
importava se era un abito elegante o semplicemente un paio di mutande, ognuno
doveva sempre essere trattato nella giusta maniera.
Ripose anche
le ultime due toghe color arancio dentro l’armadio, sospirò quando lo chiuse,
segnando la fine della sua prigionia, o liberazione.
Era finita.
I guardiani
del tempio avevano dato finalmente il via libera e poteva tornarsene a casa con
la sua famiglia.
Lui e Adrien
avrebbero potuto ricominciare a vivere, o meglio ad andare avanti con la loro
vita.
Gabriel,
liberato dall’influenza negativa del miraculous della
farfalla, avrebbe affrontato la vita con un’ottica diversa ripromettendosi di
essere più indulgente con il figlio e concedendogli quella libertà che si confà
ad un ragazzo di sedici anni.
Adrien, si
era ripromesso che non avrebbe mai più rinfacciato al padre le azioni commesse
in passato e che lo perdonava per tutto, inutile continuare a portare rancore,
la mamma questo non lo avrebbe voluto, avrebbe semplicemente detto “il
passato è passato, l’importante è saper perdonare per continuare a vivere.”
E avrebbe
avuto ragione.
L’unica che
questo non lo aveva ancora capito era Marinette.
Da quando
avevano aperto quell’ultima maledetta porta, era cambiata.
E una volta
che anche quell’ultimo ricordo era stato aggiunto alla collezione e che la
lanterna aveva sprigionato il suo potere catapultandola nel suo corpo custodito
dallo stregone e da Su-Han, non aveva voluto vedere Adrien per ben due giorni.
A nulla
erano valsi i tentativi di Tikki, mandata lì per
parlare con lei, a farla rinsavire per dirle che ormai era tutto finito.
Il timore
che in qualche modo Chat Noir si ritrasformasse in Chat Blanc, era ancora vivo
dentro di lei.
“E se un
giorno Papillon tornasse?” Le aveva detto con la voce rotta dal pianto.
“Papillon
non esiste più, e i miraculous verranno tutti
custoditi dai guardiani, non permetteranno che nessuno li porti via.” Le
rispose Tikki con la solita calma pronta a farla
ragionare.
“Si, ma...”
“Si, ma…un
bel niente Marinette, hai fatto di tutto per avere
Adrien nella tua vita, e ora che lo hai lo vuoi lasciare? E per cosa? Per una
situazione che si è verificata in un futuro che non esisterà mai?”
“E’ complicato da spiegare, Tikki.”
“Ascolta, Marinette…io non potrò più essere la voce della tua
coscienza, e l’unica cosa che ti posso dire è quella di fare la scelta giusta,
una scelta di cui non ti dovrai mai pentire.”
*
Adrien aveva
bussato alla porta del padre, pronto anche lui con le valigie a lasciare quel
posto.
Un paio di
settimane fa probabilmente si sarebbe dato del pazzo solo a pensare di voler
scappare da quel luogo di pace, ma ora ne sentiva proprio il bisogno.
Era stata
una buona idea andare al monastero insieme a Marinette,
almeno aveva riavuto i suoi ricordi e l’aveva aiutata come promesso.
Lui il suo
lavoro lo aveva eseguito e mantenuto fede ad un impegno, ora era lei quella che
doveva fare la sua mossa, una definitiva però.
Le aveva
concesso il suo giusto spazio dopo che si era rintanata nella sua stanza giorno
e notte senza mai uscire.
Eppure
rimaneva ora lì fuori ad attenderla seduto sul pavimento di legno con la
schiena appoggiata alla parete bianca, la sentiva piangere, disperarsi, e ogni
suo tentativo per entrare in quella camera risultava vano.
Voleva solo
parlare con lei, dirle che l’amava e che il futuro apocalittico a cui aveva
assistito non si sarebbe mai verificato perché non era stato il loro amore a
causare tutto quello, non lo poteva credere possibile e poi ufficialmente non
erano più portatori di miraculous, perciò il problema
non persisteva.
“Marinette?” Aveva chiesto lo stilista mentre percorrevano
il corridoio.
Adrien
deglutì “E’ ancora in camera sua.”
“Il nostro
volo parte tra un po'.”
“Lo so e lo
sa.” Rispose spicciolo.
“Non posso
credere che una cosa impossibile l’abbia potuta influenzare così.”
Adrien fece
spallucce “Non vuole parlarmi, e non so cosa fare. La voglio aiutare, ma non me
lo permette.”
“Forse so
come sbloccare la situazione. Aspettami all’aeroporto.”
“Non vuole
ascoltare me, come puoi pretendere che lo farà con te?”
“So essere
persuasivo, e questo tu lo sai.”
*
Non aveva
avuto bisogno di bussare perché quando Marinette
aveva visto Adrien andarsene dal monastero uscì dalla stanza trovandosi l’uomo
austero davanti.
“Oh! Ha
mandato lei, vedo…” Disse in tono quasi seccato.
“Marinette, parliamo un po'…” La invitò a seguirla nel
giardino dove passava sempre la maggior parte del tempo durante la sua
permanenza.
La ragazza
non aveva potuto sbattergli la porta in faccia, ma le era rimasto fare quello
che le aveva ordinato.
Si
accomodarono nella panchina di marmo bianco e dal perfetto stato di cui godeva
sembrava essere stata appena scolpita e laccata, all’ombra di un salice
piangente dove volteggiavano diverse farfalle bianche.
Rare a
Parigi visto l’inquinamento che cresceva ogni anno.
Una le si
posò sopra una spalla.
“Perderà il
volo così.”
“Lo
perderemo in due, e lo sai che non è un problema, basta una telefonata e
ritornano a prenderci.”
“Non voglio
che lo faccia per causa mia.”
“Marinette…è il minimo che possa fare.” Sospirò, ora che
aveva riacquistato la memoria gli era più facile parlare con lei, almeno poteva
capire cosa realmente stesse dicendo “…e grazie per non aver detto niente a
nessuno.”
“Non potrei
mai farlo. Se lo facessi Adrien perderebbe anche suo padre, e non voglio che
accada, non sarebbe giusto. Quindi signor Agreste, sa che da parte mia non
uscirà una parola, e non userò il suo passato per ricattarla o cose simili.”
Gabriel le
sorrise “Non avevo alcun dubbio su questo.”
“Non ho
intenzione né di far del male a lei e né ad Adrien.” Marinette
arricciò le dita delle mani iniziando a tremare dall’imbarazzo.
Lo stilista
le posò una mano sopra le sue per calmarla.
“Marinette…lo so e lo sa anche Adrien.”
“Mi starà
odiando in questo momento.”
“Se c’è una
persona che conosco che non è capace di odiare è proprio mio figlio.”
“Già…”
“Ti vuole
molto bene, Marinette…perché lo stai evitando?” Le
chiese in tono calmo e amorevole e si sorprese lui stesso della sua modulazione,
di solito avrebbe affrontato quella conversazione con la solita espressione
autorevole ed accigliata pretendendo che tutti facessero quello che lui
comandava, si vede che l’aria del monastero gli aveva fatto bene al suo
spirito.
Marinette non rispose.
“Lo sai che
Chat Blanc non potrà mai esistere…”
Marinette sussultò, era chiaro che Adrien gli
avesse parlato del suo alter ego akumizzato, del
resto in quella realtà era stato lui l’artefice di tutto.
L’unica cosa
era capire come si era arrivato a ciò, e fino a che non l’avesse scoperto,
meglio restare alla larga da lui.
“N-non è
detto…la causa di quel disastro è solo colpa nostra, Chat Blanc ha detto
chiaramente che è stato il nostro amore l’artefice di tutto e io non voglio che
questo accada.” Una lacrima le rigò il volto.
“Marinette…” Sospirò lo stilista pronto a confortarla e a
dissipare qualsiasi dubbio in lei come fosse sua figlia “…i miraculous
resteranno lontani da noi e non potranno arrecare più nessun danno, quindi il
futuro che hai visto, che tu e Adrien avete visto, non potrà mai realizzarsi.
Anche se per qualche strana ragione questi gioielli dovessero ritornare tra le
nostre mani, io non farei mai del male a mio figlio e sono sicuro che il mio
alter ego lo abbia fatto per impossessarsi dei tuoi orecchini e del suo anello
solo per riavere Emilie…tuttavia lo so, questo non mi giustifica per niente.”
Gabriel si alzò ed iniziò a camminare su e giù “…in ogni caso, Marinette, ti chiedo di parlare con Adrien, chiaritevi…poi
qualsiasi cosa deciderete di fare per me va bene, l’importante è che siate
felici entrambi, anche se preferirei vedervi insieme sia chiaro, penso che
formiate una bella coppia. Si, che siete fatti l’uno per l’altro.”
Quella sua
benedizione le aveva riempito il cuore, non si aspettava una simile dichiarazione
da parte sua, Marinette aveva sempre pensato che
Gabriel avrebbe ostacolato la loro relazione perché figlia di un panettiere,
non apparteneva al loro rango sociale e questo per lei avrebbe comportato
qualche problema in più a farsi accettare da lui come possibile membro della
sua famiglia.
Si
sbagliava, oppure se la loro relazione fosse venuta a galla prima di tutto ciò
sarebbe stato un emerito disastro, ma ormai non si poteva più dire.
“Ne è
sicuro? Voglio dire…non le dà fastidio che i miei gestiscono una panetteria?”
Ecco glielo aveva chiesto, doveva esserne sicura.
“Voglio solo
la felicità di mio figlio, e se sta con una persona amabile e rispettosa come
te, non mi importa di che ceto sociale è. I tuoi genitori sono grandi
lavoratori e non devi vergognarti se fanno i panettieri o qualsiasi altro
mestiere, ricordati Marinette…ogni lavoro è nobile e
dignitoso.”
*
Adrien era
seduto sul posto che usava sempre durante gli spostamenti con il jet privato,
fila centrale vicino l’oblò.
Ed era
proprio da quello che stava osservando la scena che gli si presentava davanti.
Marinette e suo padre che ridevano mentre si
apprestavano a salire sull’aereo.
“Siamo
pronti a decollare, signore” Annunciò Nathalie facendogli una riverenza.
“Grazie, io
vado nella mia cabina, e gradirei che mi seguissi.”
“Signore.”
Deglutì il nulla.
*
È occupato?”
Chiese Marinette ad Adrien facendo finta di non
conoscere la risposta.
“Mmm…sì” Rispose con non curanza facendo spallucce e
continuando a guardare fuori dal finestrino in segno di offesa.
Se lo
meritava. Punto.
“Ok.” Cercò
di passare oltre, ma non fece a tempo a muovere un passo che Adrien l’aveva
bloccata per un polso.
“Intendevo
che è occupato da te.” La trascinò giù lentamente facendola sedere accanto a
lui.
“Specifica
la prossima volta.” Disse in tono quasi seccato, ma quel mezzo sorrisetto l’aveva
tradita.
“Colpa mia.”
Alzò le braccia in segno di resa.
Non erano
saliti da nemmeno cinque minuti che l’insegna con scritto a caratteri cubitali “ALLACCIATE
LE CINTURE” aveva iniziato a lampeggiare e lo Stuart invitava i passeggeri
a sedersi comodi al proprio posto che tra qualche minuto sarebbero decollati
con direzione Parigi.
“Appena in
tempo eh?” Constatò Marinette soffiando in segno di
sollievo.
“Già…” Ma
avrebbe voluto dire altro.
“Mi
dispiace, Adrien! Davvero. Non meritavi che ti trattassi come ho fatto. Ho
avuto paura e non so che cosa mi abbia preso.”
Adrien la
guardò serio “No, non lo meritavo. Ho cercato di aiutarti come ho potuto e poi
mi hai letteralmente chiuso la porta in faccia.”
“Ti sto
chiedendo scusa e se potessi tornare indietro di certo non innalzerei quel muro
tra di noi. L’ho buttato giù, ma vedo che ho trovato solo gelo al di là.”
“Come
speravi che reagissi?” Adrien cercò di non alzare mai il tono della voce perché
forse suo padre stava riposando e non voleva svegliarlo e se non fosse stato
così, non voleva in ogni caso disturbarlo o renderlo partecipe dei suoi drammi
adolescenziali “…forse credevi che ti bastasse chiedermi scusa perché cadessi
di nuovo tra le tue braccia?”
“N-no…Adrien…i-io
ti sto dicendo che-che ho esagerato. Lo ammetto. Ti s-sto chiedendo scu-scusa se ti ho deluso. Non è stato semplice riavere
così tante informazioni in poco tempo e quell’ultimo ricordo mi-mi ha
devastata.” Balbettò portandosi le mani sul volto facendolo sentire
terribilmente in colpa.
Era chiaro
che Marinette soffrisse e lui al posto di concederle
il giusto spazio era rimasto lì fuori ad aspettarla per tutto quel tempo.
Adrien
l’abbracciò “Non tormenterà più i tuoi sogni finché ci sarò io accanto a te. Te
lo posso assicurare.”
“Lo so, chaton.” Le sussurrò all’orecchio facendolo
rabbrividire, era da parecchio che non si rivolgeva a lui con quel nomignolo.
Adrien alzò
il mancolo del sedile che li divideva e l’avvicinò a lui finché i loro corpi
non aderirono perfettamente.
“Però…milady…potrei
tormentarti…di baci” Appoggiò le sue labbra a quelle morbide di lei “…mi hai
lasciato senza per troppo tempo” La baciò di nuovo.
“Questa
tortura mi piace decisamente di più.” Convenne lei ritornando ad assaporare
quella bocca così perfetta per la sua.
*
Qualche mese
dopo…
*
La cena era
proseguita nel migliore dei modi a Villa Agreste, cibarie di ogni tipo erano
state servite e l’unico che era riuscito a buttare giù tutto era stato
l’impavido Tom.
“Cena
squisita, signor Agreste, deve fare i complimenti alla cuoca…o cuoco.” Gli
sorrise l’omone.
“La prego,
mi chiami Gabriel.” Lo corresse lo stilista.
Se fosse
stato per Tom, nel ringraziarlo, gli avrebbe dato anche una pacca sulla spalla,
ma bastò che Sabine tirasse gli occhi per capire che non era un gesto che
avrebbe sicuramente gradito.
“Certo,
certo, Gabriel. Ormai i nostri ragazzi si frequentano da un po', è giusto che
ci prendiamo alcune confidenze…” Gli allungò il gomito ammiccando.
Marinette avrebbe voluto iniziare a scavarsi
la fossa da sola perché sapeva che prima o poi una gaffe suo padre l’avrebbe
fatta, soprattutto quando era agitato e quando si trovava in una situazione
importante come quella, ovvero la prima cena di famiglia, dove i rispettivi
genitori s’incontravano ufficialmente.
Non era di
certo una cena dove Adrien e Marinette si sarebbero
scambiati qualche promessa per il futuro, anche perché erano ancora giovani e
tutta la vita davanti, però al momento era giusto fare quel passo.
In realtà
era stato lo stesso Gabriel a chiedere ad Adrien di invitare a cena a casa loro
Tom e Sabine per ricambiare la cortesia dei dolci squisiti che gli facevano
arrivare tramite Marinette.
“Andrà tutto
bene!” Le aveva sussurrato all’orecchio Adrien prendendole una mano da sotto la
tavola tremolante, ormai conosceva Tom e sapeva anche che non faceva apposta a
straparlare, ma era l’agitazione a fargli dire cose a volte inopportune.
Adrien nel corso
di quei mesi era riuscito a conoscerlo e sorridere di circostanza quando
capitava.
Marinette sospirò, sarebbe stato un disastro
invece.
“Gabriel non
l’abbiamo ringraziata ancora abbastanza per l’opportunità che ha dato a Marinette a Shangai” Prese la parola Sabine prima che Tom
iniziasse a blaterare cose senza senso “…e grazie per averla riportata a casa
subito!”
Lo stilista
sorseggiò del vino e poggiò poi il calice “Ho trovato semplicemente giusto che Marinette vedesse la sua famiglia dopo aver riacquistato la
memoria, anche se questo ha comportato un soggiorno più breve, però sono già d’accordo
che quest’estate mi affiancherà alla casa di moda qui a Parigi, ovviamente
sempre che voi siate d’accordo.” Mise le mani avanti prima di confermare quanto
detto.
Tom si alzò
di scatto entusiasta ed andò ad abbracciare la figlia alzandola da terra “Questa
sì che è una notizia, congratulazioni bambina mia!!”
“Papà
smettila ti stai rendendo ridicolo!”
“Marinette, tuo padre non deve vergognarsi di volerti bene e
di essere felice per te.”
Era chiaro
che Gabriel e Tom non avessero nulla in comune, uno era anche fin troppo
composto, l’altro più grezzo, ma questo non significava che non amassero i loro
figli allo stesso modo.
“Scusami cara,
è che tendo ad andare su di giri quando sono felice, specie se la cosa riguarda
la mia bambina. Ma guardati…eri alta più o meno così l’altro giorno…” Con la
mano indicò qualche centimetro da terra “…e ora sei qui una giovane donna,
pronta a lavorare per la più importante casa di moda con affianco un ragazzo
come Adrien.” A quest’ultimo non risparmiò la pacca sulla spalla, il problema
era che l’acqua che stava bevendo gli andò per traverso.
“Scusa, figliolo!...un bravo ragazzo! E non come quel gatto rognoso”
L’espressione di Tom cambiò radicalmente quando pensò a Chat Noir “…voleva
mettere gli artigli addosso alla mia bambina e per colpa sua quell’abietto di
Papillon mi ha akumizzato.”
Adrien per
la prima volta in sedici anni osò versarsi del vino rosso sul bicchiere e suo
padre gli chiese di fare altrettanto trangugiando tutto in un sorso.
Tom non si
era reso conto dell’espressione dei commensali, troppo impegnato a recitare il
suo monologo denigrando Chat Noir e Papillon.
“Ma per
fortuna è arrivata Lady Bug, lei si che merita di essere chiamata super eroina,
mi ha salvato.”
“Ha salvato
anche tua figlia!” Incalzò Sabine precisando quel particolare.
“Marinette si era salvata da sola, se aspettava quel
randagio sarebbe ancora intrappolata lassù.” Senza accorgersene sbattè i pugni contro il tavolo facendo rimbalzare le
stoviglie.
“Chissà che
fine avranno fatto…è quasi un anno che non si vedono più” Sabine si portò due
dita sul mento.
Adrien,
Gabriel e Marinette si scambiarono un’occhiata, nessuno
avrebbe mai più scoperto le loro identità e quel segreto sarebbe stato
custodito gelosamente da tutti e tre.
Marinette prese la parola “Credo che non
dovremo più preoccuparci di quei tre, sono sicura che saranno da qualche parte
a godersi la vita e ormai di loro resterà soltanto il ricordo.”
*
FINE
*
Nda: Ciao a tutti…volevo ringraziare
infinitamente chi è arrivato fino a qui a leggere, e a chi mi ha sempre
supportata con commenti e inserendo la storia tra le PREFERITE, SEGUITE e
RICORDATE, rischio di ripetermi, ma grazie davvero di cuore.
Marinette ha finalmente riacquistato TUTTI i suoi ricordi ed è
tornata la ragazza di prima con al suo fianco Adrien, un Adrien che è riuscito
a perdonare suo padre nonostante tutto.
Come al
solito aspetto le vostre impressioni in merito e ringrazio fin da ora chi lo
farà.
*
Vi avviso
già che non sparirò dal fandom, ma ci rivedremo a settembre con una nuova storia,
sarà ambientato in un universo alternativo dove i kwami
non esistono, anzi, ne esiste solo uno, ovvero Plagg…e
qui mi fermo.
Vi mando un
grosso abbraccio e vi auguro buone vacanze.
Erika