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Autore: Ombrone    06/08/2021    0 recensioni
I crimini più orribili si commettono pensando di essere nel giusto.
Combattendo gli usurpatori che minacciano il regno di sua sorella, la Regina, Barid dovrà decidere se uccidere una persona innocente.
Una storia light fantasy ambientata in un Universo dove spero di poter scrivere altre storie. La prima della serie della Lacrima Nera.
Ci sono delle scene e immagini forti che possono disturbare.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Fu Hax’ino, o Aksino, che dir si voglia portar un'altra anfora di vino e a riempirgli le coppe. Piegandosi la scollatura generosa era in bella vista e sorrise, invitante, a Barid prima di allontanarsi, portando via l’anfora vuota.
Sono seduti in una delle nicchie vicino al camino lui e uno dei Compagni, quello della cui astuzia si fida maggiormente e che, finito di bere un lungo sorso, schiocca le labbra e rompe gli indugi.
“E quindi?” chiede.
“Quindi cosa?”
“Quindi cosa volete da me? Cosa vuole la Vostra eccellentissima Grazia? Ditemi. State qui a perdere tempo a bere con me, quando avete quel gran bel paio di tette,” chiaro di chi parlava, “che sospira con passione ogni volta che Vi guarda… Avete sempre una gran magia con le donne.”
“Gli lascio regali che valgono la metà di una dote.”
“Ottima magia. Principesca.” Altra sorsata e cenno di approvazione. “Ma ora rispondetemi, come posso servirvi? Eh?”
“Ho bisogno di parlare.”
“Beh va bene, immagino che ci si distragga e si perda il filo del discorso se si prova a parlare con lei, io mi distrarrei. E di cosa vogliamo parlare? Donne, cavalli o battaglie?”
“Non so che fare.”
“In fatto di donne, di cavalli o di battaglie?”
“Siete odioso, amico mio.”
“Vostra Grazia, me lo ricorda spesso. Riprovo a indovinare: Vostra Cugina, la figlia del Granduca?”
“Sì, Yaranno. Ci ho parlato oggi, abbiamo pranzato insieme.” L’altro non replicò, e dopo un attimo di silenzio Barid continua. “A quanto pare l’avevo già incontrata, anche se non me lo ricordavo, lei sì invece. Venne a corte anni fa col padre. La sera ci fu un gran ballo e lei mi ha raccontato che fui io che li guidai, lei ed altri bambini, fino a una delle gallerie segrete del padiglione centrale da cui si poteva spiare di nascosto il Salone e vedere la gente che ballava. Dice che le feci fare pure un giro di danza.”
“È vero?”
“Bah… il fatto me lo ricordo, lei in particolare in verità no, doveva essere veramente solo una bambina tra tanti. Ero scudiero di corte a quel tempo, c’era una qualche udienza e mi ricordo mi rifilarono tutta una masnada di ragazzini e ragazzine. Li feci davvero sgaiattolare la sopra a spiare. Mi sembrava divertente”
“Quindi?”
“Anche lei ha perso la madre da piccola.”
“Toccante, voleva qualcosa?”
“I corpi del padre e dei fratelli, per dargli sepoltura nelle cripte. Gliel’ho concessi… ho dato ordine, anzi domani controlla tu…”
“E che altro voleva?”
“Parlare...”
“E di cosa? Quanta reticenza…”
“Mi ha raccontato che è promessa a uno dei figli di Balielly. Mi chiedeva se, secondo me, la vorranno ancora, o se ora che non è più figlia di un Granduca il matrimonio salterà. In quel caso se saremo noi a Corte a trovarle uno sposo.”
Una pausa. Il silenzio si prolunga, ancora e ancora, entrambi sembrano fissare le loro coppe senza voler riprendere a parlare.
“Ma davvero? Cos’è uno scherzo macabro?”
“No, non vi sto prendendo in giro io, e non mi stava prendendo in giro lei a me. Era sincera. È solo una ragazzina.” Intercala una profanità più adatta a un accampamento militare che alla sala di un castello. “Non so che fare. La sua, l’altro giorno, non era né arroganza, né tanto meno disperato coraggio… era… era pura incoscienza.”
“Cosa le avete risposto?”
“Niente ho ascoltato, sorriso, glissato. Che dovevo dirle? Cosa mai dovevo dirle? Forse: non ti preoccupare piccola mia, non è un problema. La tua sorte è finire decollata per esporre la tua graziosa testolina sui cancelli del Palazzo di Giustizia accanto a quelle di tuo padre e dei tuoi fratelli? Niente matrimoni di cui darsi pena.”
“Argomento di sicuro poco indicato per conversare civilmente a tavola.”
“Odioso.”
L’altro sorride di nuovo, ma è un sorriso amaro e si sporge verso di lui abbassando la voce.
“Chiamo il Gatto, ve la portiamo in un bosco e torniamo solo con la sua testa. Risolto.”
Un gesto di diniego.
“È di sangue reale.” Risponde Barid, con altri basterebbe dire questo, ma l’altro, dopo un attimo di silenzio, risponde.
“Non ho paura di maledizioni, o che qualche Demone vostro antenato venga a prendermi. Lo affronterei spada in pugno e vediamo come finisce.”
“No, non dubito del vostro coraggio, ma non è comunque cosa che posso lasciar fare.” Uccidere qualcuno del sangue non era cosa da prendere alla leggera, il Sangue era sacro e non poteva essere sparso da chiunque.
 “Non dovevate parlarci, lo sapete anche voi. Adesso vi trovate di fronte a una persona reale, che non vi ha fatto nulla, che magari è pure simpatica, una ragazzina che non merita certo questa sorte, vero? Ma cosa dobbiamo fare è pure questo molto chiaro.”
“In nome di tutti i miei antenati Demoni, non è facile. La ragazzina è innocente, dannatamente stupida, ma innocente.”
“Cosa mai significa essere innocenti, ditemelo Voi? A che serve esserlo? Quando abbiamo lasciato Città del Sale al saccheggio perché aveva resistito, quanti innocenti sono morti? Quante ragazzine innocenti hanno fatto fini peggiori quel giorno? E l’ordine era vostro ed era mio.”
Il tono è duro, la risposta non è da meno.
“Follia, c’erano buone ragioni per fare quello che è stato fatto, e le sapete. Qui? Che utilità ne viene? Nulla. È una ragazzina, illusa, senza contatti, alleati, appoggi e denari. Senza cattiveria.”
“Ahh adesso capisco, o siete diventato folle voi, o volete semplicemente che vi ripeta tutto quello che già sapete.”
“Bene, allora fate l’odioso e ditemelo.”
“Per prima cosa avete di sicuro un ordine della Autarca, vero?” Aspetta che l’altro annuisca. “Uccidili tutti e riportami le loro teste, questo vi ha detto, no? È non lo ha detto solo per essere stata offesa, la nostra Regina è saggia, è saggia e donna ed è ben cosciente di quello che serve che voi facciate. La ragazzina è pericolosa anche da sola, anzi da sola lo è molto più del padre. Non sono i soldi, non sono gli alleati, non è nemmeno la malizia, la cattiveria, anzi tutto il contrario. Lo sapete meglio di me, l’unica cosa che le serve è quel goccio di sangue che condivide con voi e la Regina. Il Granduca aveva una legittima pretesa sul trono. Ma per fortuna era uno sciocco ambizioso. Incapace. Lo abbiamo beccato a braghe calate, e portato alla sua distruzione.
La ragazzina è peggio, lei non ha ambizioni per sé e non ha nemmeno potere lei stessa e questo la rende lo strumento perfetto per chiunque invece abbia entrambe. È una semplice bandiera, per chiunque vi voglia male. E ce ne sono tante di persone ambiziose, che odiano voi e odiano la regina. E sono più furbi e capaci del defunto Granduca. Lei è lo strumento perfetto per le loro ambizioni. Le ambizioni di tutti quelli che non ne hanno titolo, e sono tanti, lo sapete meglio di me.”
“Un giocattolo.”
“Uno giocattolo, certo. Non per malizia, sono convinto del Vostro giudizio, sono sicuro che in lei non ci sia cattiveria, malizia o qualunque cosa. Ma questo non cambia la situazione è inevitabile che succeda quello che deve succedere. È….. l’inevitabile svolgersi degli eventi. Non può andare diversamente, perché questa è la natura dell’uomo e del mondo.”
“Bene anche voi filosofo, a quanto pare.”
“Io sono quello che Voi mi comandate di essere. È inevitabile che degli ambiziosi vedano la sua utilità, è inevitabile provino a usarla, ed è inevitabile quello che noi dovremo fare, per evitare che la, a sua volta, inevitabile accada. Non c’entra l’innocenza, non c’entra la bontà, non c’entra la sincerità. Noi singoli non abbiamo voce in capitolo, agiamo sulla base di fatti inevitabili. Le nostre scelte sono futili, non cambiano la realtà delle cose, la logica del potere ha le sue regole, noi possiamo solo decidere quali esseri umani reciteranno la loro parte e quali invece usciranno di scena. Ma le parti sono tutte scritte.”
Si riempirono nuovamente le coppe.
“Le scelte che si potevano fare le avete già fatte, quando avete giurato di proteggere vostra sorella, la nostra Regina, contro tutto e contro tutti.” Sorride, ricordando. “E veniste a svegliarmi in piena notte a chiedere il mio aiuto e dei miei fratelli per fare entrare a Palazzo il regimento della Guardia Piccola e metterla al sicuro…. E io avevo più affetto per Voi che buon senso e accettai di rischiare la pelle, e come la rischiamo la pelle. Un suicidio.”
Porta alle labbra la coppa e le beve fino in fondo di un fiato.
“Finito, parlare di queste cose fa venir sete. Tesoro bello, porta un'altra anfora. Facci felici Hax’ino.” Lui, a quanto pare, azzeccava il giusto accento.
La ragazza, che aspettava in un angolo della stanza, arriva immediatamente, con nuovo vino, ancheggiando e sorridendo. Riempie le coppe. Lascia l’anfora in mezzo a loro.
“Posso fare altro per voi Signori?”
“Oh, no, tesoro, per me null’altro” Sorriso malandrino. “Caso mai altro te lo chiederà Sua Grazia, tra poco.” Le fa l’occhietto facendola ridere. Poi si rivolge di nuovo a Barid. “I vostri… scrupoli… sono… nobili, non rassegnarsi, io credo, mantenga la nostra umanità, ma sono futili. Amico mio, è inevitabile, prima o poi sarà o lei o voi. Agendo adesso eliminate un rischio, salvate vite, addirittura.” Sorride, mesto. “Ma tutto questo lo sapete meglio di me, volevate solo sentirvelo dire. Per sentirvi meno solo.”
“La solitudine… ahhh non c’è solitudine se si hanno buoni amici.” Le coppe vengono alzate una ennesima volta. “La potrei semplicemente chiudere in monastero?” Propone all’improvviso. “E un’alternativa logica, e le risparmierei la vita. Una vita da uccello in gabbia, vero, ma una vita.”
“Non so cosa vi direbbe la Regina, voi forse siete l’unico a poter disubbidire a un suo ordine…, ma vi dico cosa penso io: i capelli tonsurati ricrescono. Le porte dei monasteri si aprono. No, non è un’alternativa, è un’illusione.
Una pausa poi ripete fissando la sua coppa.
“Posso farlo io. Veramente. Per me non ne è nessuno.”
“No, non voglia che voi vi macchiate di un sacrilegio. Mi prendo le mie responsabilità. Devo. Sarebbe da vigliacchi. Farlo ricadere su di voi o su qualcun altro…. nascondersi dietro di qualcun altro? Non lo farò. Le dirò cosa le aspetta, è del Sangue, saprà… saprà… insomma.”
“Cosa avete? Perché tutta questa… attenzione. Vi ha colpito così tanto? Cosa ha la ragazza?”
“Mi ricorda la Regina… troppo…, non possono essere più diverse fisicamente, lo so.” Previene. ”Ma sono uguali, entrambe forzate a recitare una parte che non hanno chiesto, una parte mortale.  Ne uccido una per proteggere l’altra, ma sono solo un uomo mortale e non so cosa riserverà il futuro. Come faccio sapere se quello che faccio è giusto?”
“Ora altro vino, poi dimenticate tutto tra quelle tettine che vi aspettano. Ci penserete domani.”


Non ci pensò domani. La prima udienza per ricevere i giuramenti di fedeltà andò oltre il previsto.
Non arrivarono, come si pensava, solo i principali nobili della provincia, scaglionati nei giorni a seconda della distanza e dal tempo necessario per percorrerla, piuttosto la mattina del primo giorno la folla era tale che fu necessario schierare i soldati e scudieri per tenerla sotto controllo.
A quanto pare metà città si era presentata: Aristocratici, borghesi, e popolani. Sembrava che la gente, passata la paura, avesse capito che gli eserciti reali non erano lì per saccheggiare e far pagare il tradimento del Granduca alla popolazione e ora tutti erano ansiosi di farsi vedere e di vedere il famoso Gran Bastardo. Tutti con gli abiti della festa.
I due Prefetti cittadini vennero frettolosamente reclutati per far ordine, regolare le precedenze e garantire le dovute introduzioni. I programmi che si erano immaginati radicalmente modificati.
Le principali famiglie della città vennero invitate a un pranzo (preparato in gran fretta), i borghesi tirati a lucido ed ebri di tanto onore ebbero il privilegio di una presentazione a Sua Grazia nella sala del trono (con momenti di rara commedia, tra inchini malfatti e riverenze traballanti), mentre per i popolani ci fu un saluto dalla balconata e poi, visto che non bastava, una caracollata improvvisata per la via principale della città dal castello alla piazza del mercato e ritorno, traboccante di gente, e questa volta acclamante.
In definitiva un successo, al di là di alcune situazioni al limite del ridicolo e altre al di là della noia sopportabile da un essere umano (di sangue reale o plebeo che fosse), la provincia sembrava più che contenta di essere in pace con la Regina e passata la sbornia di ambizione del defunto Granduca sembrava che tutti volessero solo essere lasciati a vivere la loro vita, a “prosperare” come disse nel suo brindisi a pranzo uno dei Prefetti. E alla prosperità e alla pace reale si brindò e alla lunga vita della Regina e Autarca e a quella di suo fratello il Primo Giudice.
Al Granduca, ai suoi figli morti sul campo di battaglia, o all’unica sua figlia ancora in vita nessuno fece nemmeno un accenno.

“…. Ho quindi deciso di portare con me al mio ritorno alcune delle sculture che adornano la sala del trono, ritengo possano essere una piacevole aggiunta nel Salone di Gala del Palazzo Orientale, sono sicuro le apprezzerai.”
Sciocchezze, su carta si potevano mettere solo cose simili: sulla situazione politica, su come avrebbe rimandato indietro al più presto uno dei regimenti di fanteria per semplificarsi la logistica, ma non poteva certo confessare quanto gli mancasse e quanto gli pesasse starle lontano, questo lui e la Regina se lo sarebbero detti a voce, non appena si fossero rivisti, ma non erano cose da affidare a una lettera.
Con la coda dell’occhio, scorge Aksino seduta sul bordo del letto, le mani incrociate in grembo, che lo fissa. Si gira verso di lei.
“Ti sto annoiando.” È una affermazione.
Lei risponde con un sorriso e ovviamente nega. Diritto di annoiarsi lei non ne ha.
“No, mi piace vedere le persone che scrivono. Le vostre parole saranno lette da qualcuno lontano, o magari rimarranno per il futuro. Deve essere bello saper scrivere. A chi state scrivendo?”
“Alla Regina.”
Gli occhi di Aksino divengono improvvisamente enormi mentre le bocca si apre in una silenziosa espressione di meraviglia. In un attimo è in piedi: compie un curioso balletto di indecisione, al ritmo di un passo avanti, uno indietro, due in avanti, che la porta allo scrittoio. Una mano scatta in avanti, le sue dite sfiorano la pergamena. È solo un secondo, ritira la mano, nascondendola dietro la schiena e fa due rapidi passi indietro.
“O santissimi spiriti, la Regina la toccherà?” la mano riappare da dietro la schiena se la fissa, come stupefatta.
Barid non può fare a meno di sorridere.
“Si gioia mia, la Regina molto probabilmente prenderà in mano questa lettera.”
Lei quasi saltella, tenendosi la mano. Una risata nervosa.
“O santissimi spiriti!”
“Brucia?” scherza lui. La ragazza diviene improvvisamente seria, si riguarda la mano e poi scuote la testa senza parlare, guardandolo preoccupata. Lui scoppia a ridere.
“Mi state prendendo in giro!” Protesta lei.
Barid le prende le mani tirandosela vicino.
“Ti sei forse scottata a toccare me?”
“Ma lei è la Regina! Io non avevo mai nemmeno visto qualcosa che la Regina avrebbe preso in mano! Non è vero che la Regina non si può guardare in volto?”
Sembra diventata una bambina e non la ragazza spudorata che lo aveva allietato nelle ultime notti.
“Eppure io brucio molto più della Regina.”
Il richiamo al suo ruolo è sufficiente a spingerla a baciarlo, ma nei suoi occhi continua a leggersi lo stupore.
“Voi prendete in giro pur la Regina!” Cos’è? Paura, meraviglia, forse indignazione.
“Privilegio fraterno.” Taglia corto, lo scherzo era stato più che sufficiente. “Ora, devo andare a parlare alla Duchessina.”
Fa per alzarsi, ma lei non si muove esitante e dopo un attimo di esitazione lei lo blocca.
“Ma è molto tardi!” Si guardano. “La Signora Duchessina sarà già nelle sue camere per coricarsi.”
“A quest’ora? Che ne sai tu?”
“Io penso di sì.” La risposta è esitante.”Io…”
“La conosci bene?”
Lei evita il suo sguardo. “No, non bene mio Signore. Io…”
“Però lo pensi…”
“Io.. scusate mio Signore, io…”
“Tu parli tanto gioia mia…” La ragazza continua a evitarne il suo sguardo. “Cosa pensi della Duchessina?” Finalmente lo guarda, ma non apre bocca. “Dimmi, sono curioso…”
Gli occhi di lei si riabbassano e inizia a parlare, lentamente parola dopo parola, in punta di piedi.
“È una brava Signora… è gentile con tutti… anche con me…. Ed è sempre generosa… non so…, Signore, ecco…io non la conosco bene… è molto bella.”
Tace di nuovo.
“Comunque ti piace…” Lei annuisce. “bah…. Si ti capisco. Vabbene ci sarà tempo domani mattina, anche per completare la lettera. Ora badiamo a noi.”
Aksino sembra sollevata.


Non era nemmeno l’alba quando lo svegliano, addormentato tra le braccia morbide di Aksino.
Questa volta non bussano nemmeno prima di entrare.
“Vostra Grazia, ha provato a fuggire.”
Pleonastico precisare di chi si parlasse. Li manda via, si siede sul letto e si inizia a vestire, quello che stava per succedere andava affrontato con gli abiti adatti. La ragazza dietro lo osserva in silenzio. Lui non si volta a guardarla finché non è pronto, gli stivali ai piedi.
Le mette in mano le solite due pezze. Le sorride, fissandola negli occhi. Dovrebbe, ma non è arrabbiato, solo tremendamente triste.
“Avresti dovuto far finta di essere sorpresa quando mi hanno dato la notizia. Sai?”
Interrompe un balbettio di scuse.
“Non sono adirato, non con te.” Le prende il mento con una mano. “Ma la prossima volta quando sei intorno a persone importanti non origliare e soprattutto non riferire ad altri di quello che senti. Qualcuno meno tollerante di me potrebbe farti tagliare la lingua o forse tutta la testa.” Lei ammutolisce. “Ora vai.”
Non se lo fa ripetere. La osserva scappare ancora avvolta in un lenzuolo, le sue monete strette in una mano, gli abiti nell’altra.
Non sarebbe stata una bella giornata.


I primi raggi del sole stanno iniziando a filtrare dalle finestre, quando raggiunge gli appartamenti della Duchessina. Fuori delle porte è fermo un drappello di soldati guidati da uno dei compagni che lo segue dentro. Nell’anticamera altri uomini.
Nella grande camera da letto, il Gatto con altri due soldati armati.
Yaranno è seduta sul bordo del letto, indossa ancora un caldo abito da viaggio in lana pettinata, una mantella di pelliccia è appoggiata accanto a lei. Le due ancelle sono in piedi in un angolo dietro il letto, il più lontano possibile dai soldati. Strette l’una all’altra, anche loro con i vestiti caldi necessari per viaggiare in quella stagione. Avevano pianto, sia loro che la Duchessina. Si vede chiaramente dai volti.
Impiega un attimo per individuare anche il paggio: è a terra, contro un muro. Le mani legate e il viso tumefatto, un labbro spaccato. Ma è vivo, conoscendo il Gatto, quasi sorprendente.
Qualcuno gli inizia a spiegare la situazione, come dei cavalli e una carrozza li aspettassero fuori, come avessero trovato una via fuga, come una delle posterle fosse stata lasciata aperta. Di come, di sicuro, ci fossero complici in città.
“È vero quello che mi dicono: che mi decapiterete?” Barid si gira a guardare la Duchessina. Si era alzata e si era avvicinata. “È vero?” ripete.
Nella voce c’è una nota di paura, ma la tiene nascosta sotto l’indignazione, la schiena dritta e la testa alta, come il primo giorno. C’è forza in lei.
La guarda, guarda le due ancelle, il ragazzo a terra, i suoi soldati e il Gatto mollemente appoggiato a un muro come se fosse annoiato.
Un brivido gli corre lungo la schiena: aveva già visto quella scena nei suoi incubi. Identica, cambiavano solo i protagonisti. Lui a terra sanguinante, la rabbia impotente della Regina, la disperazione delle ancelle, gli uomini di un altro pretendente con le spade in pugno. La morte di fronte a loro. Sarebbe potuto finire tutto in quella maniera, facilmente.
Non era andata così, lui era stato più abile di quel paggio, la regina era stata più furba. Loro sono vivi, e lo rimarranno.
“È vero?”
“Sì e vero, Cugina, Yaranno. Vostro padre ha tradito.” E tu sei pericolosa, è vero, non lo sai non te ne rendi conto nemmeno quanto sei pericolosa. Basta poco per essere in posizioni invertite. E pure tu faresti quello che faccio io, per sopravvivere e far sopravvivere le persone a cui bene.
Gli sguardi si incrociano.
“Perché?” chiede semplicemente. C’è ancora orgoglio nella voce, ma sul fondo degli occhi si inizia a intravvedere la paura, la bestia, il terrore della morte, che spinge anche i più coraggiosi a voltare le spalle, lasciare scudo e spada e iniziare e scappare svergognandosi di fronte agli spiriti e agli antenati.
“Fuori tutti, lasciateci soli. Fuori. Tutti.”
C’è trambusto, le urla spaventate delle ancelle che venivano portate via e un ringhio del paggio, trascinato da due soldati.
Dal ragazzo arrivò la più banale delle minacce “Se le fate del male, io vi ucciderò” Non riesce nemmeno a completare la frase, interrotto da una ginocchiata brutale e ben mirata, ma quello che vuole dire è chiaro. Basta guardarlo per permettere a Barid di capirlo, questa volta il ragazzo non abbassa gli occhi, brucia di… rabbia, sì, passione, anche… ma soprattutto amore: erano così simili, erano tremendamente simili.
“Non gli fare male!” Lei lo afferra per un braccio. “Non li punite, promettetelo. Non punite chi mi è rimasto fedele. Hanno solo questa colpa.”
Lo sguardo del paggio dice tutto quando Yaranno lo guarda, ma lei non sembrava proprio rendersene conto. Povero stupido, folle ragazzino. Non solo meno abile di lui, a quanto pare, ma pure molto più sfortunato. Però simile a lui, troppo per volergli male.
Fa un cenno al Gatto. Basta per capirsi: non li toccare. Viene ricambiato con sguardo quasi rassegnato. Il Gatto è abituato alle sue nobili follie: per essere un aristocratico non è male, ma, seppur bastardo, è pur sempre un aristocratico, valli a capire.
Rimangono soli. Tra loro una calma irreale. Si siedono nelle sedute nel vano della grande finestra, garbati computi, lei si alliscia la gonna con le mani, distrattamente. La scena potrebbe sembrare banale e cortese: un gentiluomo venuto a intrattenere una dama recitando un poema che racconta antiche gesta, oppure a corteggiarla cantando una ballata o un sonetto d’amore, ma Barid non ha mano una sintra ben accordata per accompagnare la voce. Rimango in silenzio, serve a entrambi un attimo per riuscire a incrociare gli sguardi e ancora di più prima che lei inizia lentamente a parlare.
“Non punirli, me lo concedi? Sono gli unici che mi sono rimasti fedeli fino alla fine. Nessun’altro.”
“Non gli succederà niente, hai la mia parola. Né al loro né a chi vi doveva aiutare fuori di qui. Non indagherò neppure.”
Lei ha riacquistato il controllo del suo viso, ma le mani non riescono a stare ferme, gioca con i bottoni del vestito, per tentare di nascondere i tremori.
“Io non mi ribellerò mai a Sua Maestà, non sarò mai un pericolo, un nemico. Lo sai. Lo devo giurare?”
Scuote la testa. Come dirlo?
“Non è quello che puoi fare è quello che sei. Le azioni di tuo padre hanno risvegliato tutti quelli che si oppongo alla Regina, ora guarderanno a te.”
“Ma io non ne ho colpa!” si sporge in avanti e gli afferra una mano, la voce si alza, gli occhi chiari lo fissano enormi. “Io non ne ho nessuna colpa!”
“Lo so.” La guarda negli occhi dicendolo e le stringe forte le mani.
È questo a lasciarla senza parole, la voce dell’uomo di fronte a lei non sa di affermazione o di condanna, ma di resa.
Quando riprende a parlare la sua non è nemmeno una domanda. “Ma non conta niente.”
“Nulla può cambiare chi siamo. Lo sai. Tu sei la figlia di tuo padre.”
Lei libera le mani dalla sua presa, i pugni stretti.
“Tu hai potuto scegliere chi volevi essere, io non ho avuto nemmeno questa scelta. Tu hai potuto scegliere da che parte stare.”
È lui questa volta ad abbassare gli occhi per un attimo, poi decide di dire la verità, quella nascosta, quella che lo aveva reso quello che era.
“No, Yaranno, non ho mai avuto nessuna scelta, neppure io, ho preso l’unica strada che potevo prendere.”
L’unica scelta che poteva fare. Se avesse fatta una scelta diversa i colori del mondo sarebbero svaniti in cupo grigiore, ogni cibo avrebbe avuto il sapore della polvere, ogni suono sarebbe diventato stridulo, l’aria che respirava sarebbe stata gelida. Non poteva scegliere nulla di diverso e vivere.
Lei non lo capisce, forse neppure ci bada. Il suo viso è concentrato, gli occhi fissi nel vuoto. Sembra stia parlando a sé stessa, incredula di fronte a quello che si trova di fronte.
“Non c’è niente che io possa fare, possa dire, niente che io possa cambiare.” Si sposta i capelli che le sono ricaduti sul viso, la sua voce si fa sottile, cercando un qualche tipo di conforto. “Cosa dovrei fare, allora? Cosa devo fare?”
“Devi essere quella che sei. La figlia di tuo padre, una Nevrelly, una discendente dal Demone, porti il mio stesso sangue, lo stesso sangue degli Autarchi.”
“Ho paura, come faccio?”
Barid istintivamente le accarezza i capelli. Non è possibile trattenersi, anche questa è una magia che conosce: è la bellezza della eterna bambina dagli occhi grandi e dall’espressione stupita. Provoca la simpatia spontanea di chi sta di fronte, un istintivo desiderio di aiutare e proteggere, specialmente negli uomini, giovani.
Yaranno, è chiaro, manterrebbe questa bellezza negli anni, anche a trenta, quaranta o cinquant’anni avrebbe questo potere. Sì, diventerebbe una bella donna, a suo modo, una bellezza strana ed esotica.
Ma non succederà, non vedrà mai i suoi vent’anni e sarà proprio lui ad impedirlo. Si sente disgustato, non lo aiuta il pensiero che le scelte sono fatte, sono state fatte molto tempo prima e nulla può cambiarle.
“Controllala, la paura. Quella c’è sempre, non la si può mandar via, la si può solo dominare.” Questo aveva imparato, e questo le disse.
“Non so se ho questa forza.”
“Io credo di sì, ricordati chi sei. La forza c’è.”
Barid stesso non è sicuro di cosa sta dicendo e di cosa può dire, spera solo, vigliaccamente, se ne rende conto, che la ragazza di fronte a lui non scoppi a piangere rendendo il suo compito ancora più penoso e miserabile.
Lei alza la testa, la paura sembra di nuovo doma, almeno per il momento.
“Non ho fatto niente che meriti questo. Niente per cui io possa essere condannata. Non c’è giustizia in questo.”
“Non mi nascondo dietro la giustizia. Faccio solo quello che va fatto.”
Lei guardò fuori della finestra. Il sole stava sorgendo.
“Quando?”
“Io ti dico di non aspettare, aspettare aumenterebbe solo la paura.”
Lei non si volta a guardarlo, ma la sua voce diviene improvvisamente più fredda.
“Avete già il boia pronto?”
“Non c’è bisogno di nessun boia.”
Ora, sì, lo fissa in viso, stupita.
“Tu?”
“Chi altri, Cugina? Hai sangue reale. Nessuno può toccarti, sarebbe un sacrilegio. Qui ci sono soltanto io. E io non mi nascondo, Cugina, non mi nascondo e mi prendo le mie responsabilità.” Poi chiede. “Vuoi ti accompagni alla Cappella del castello?”
“No, ho già pregato stamattina. Avevamo chiesto aiuto agli Spiriti per oggi.” Un sorriso triste. “Credo che mi abbiamo già risposto.” Sembra finalmente arrivata sull’orlo del pianto a quel pensiero, ma, dopo un lungo silenzio, riacquisisce un contegno, si fissa un attimo le mani, appoggiate sulle gambe e poi chiede:
“Mi assicuri che sarò sepolta con mio padre e i miei fratelli?”
Lui annuisce.
“Farai un’offerta per me? E per loro? Posso contare su di questo?”
“Lo farò. Sarete accolti alla Corte dei Santi come meritate.”
“Grazie…” Parla lentamente soppesando le parole. “Hai promesso, che non punirai chi ha provato ad aiutarmi.”
“Sì, non farò nulla contro di loro. Hai la mia parola, sui nostri Antenati hai la mia parola.”
“Io volevo lasciare loro qualcosa, addirittura, posso?… c’è qualcosa che posso considerare mio da… lasciargli? Sono restati con me quando tutti mi avevano già abbandonato, potevano farlo anche loro, ma sono rimasti.”
“Dimmi, rispetterò i tuoi desideri, anche su questo.”
“I miei gioielli, vorrei fossero divisi tra le mi due ancelle, sarà una ricchezza per loro. Poi vorrei lasciare qualcosa ad Areth, il paggio, cosa posso lasciargli, a lui? Un premio?”
Barid tenta di non mostrare reazioni. Lei non si rendeva proprio conto che in quel povero ragazzo, Areth, c’era molto più che fedeltà.
“Lasciagli anche un tuo ricordo, Cugina, una sciarpa, uno scialle. Io gli regalerò un cavallo, un arco e una spada.” Sperando che un giorno non provi a usarli contro di me, pensa.
“Grazie, farò così, dì alle mie ancelle di trovare il velo di gala, è per lui. Posso chiederti un’ultima cosa, anche se è stupida?” Per un attimo sorride “Rufi il mio cagnolino…”
“Quello piccolino? Col pelo bianco e nero?”
“Sì lui, è scomparso quando ci hanno fermato i vostri uomini, credo sia scappato da qualche parte…”
La precede.
“È nel castello, lo troveremo, e avrà una cuccia calda, pasti abbondanti e tutte le attenzioni che merita. Prometto anche questo. Altro da chiedermi?”
 “No, non credo.” Prova a sorridere. “Non c’è altro. E ora? Cosa devo fare?”
Barid si guarda intorno, valutando il luogo, gli serve un minimo di spazio. Poi si alza, e va verso il centro della stanza.
“Vieni qui.”
Lei impallidisce.
“Qui? Adesso.”
“Qui, nessuno a parte noi, sarà veloce, non soffrirai. Sarà un attimo”
“Quanto vorrei odiarti.”
“Se ti può essere di conforto, fallo.”
“Non ci riesco…”
“Vieni qui, Yaranno.” Ripete tendendole la mano
Si alza, barcolla un attimo. Lo fissa, gli occhi enormi.
Un passo, due, un terzo con uno sforzo visibile
Poi si blocca: è veramente troppo da chiedere ad una ragazza così giovane, poco più di una bambina.
“No ti prego, non voglio morire.”
Si ferma lì in piedi, immobile a due passi da lui, una lacrima le riga il viso, poi un'altra. La bocca si contorce in una smorfia.
“Yaranno…”
“No, ti prego. Non è giusto, non voglio.”
È lui ad andare da lei. La ragazza non si scosta, non fa nulla per difendersi. Gli poggia solo le mani sul petto come a tenerlo a distanza di un passo, lui rimane lì come se le sue forze fossero davvero sufficienti a fermarlo.
“Un monastero.“ Balbetta lei. Iniziando a singhiozzare. “Prendo i voti. Mi raso i capo. Il monastero più lontano e sperduto. Tutti sapranno che sono morta, nessuno saprà dove sono. Lo giuro, non dirò mai nulla, nessuno lo saprà. Ti scongiuro. Pregherò per voi, per la Regina. Per favore.”
Barid china la testa, tace, le stringe le spalle e, alla fine, lascia cadere le braccia intorno ai fianchi.
“Va bene. Un monastero.”
Si guardano, è lei a fare un passo in avanti e ad abbracciarlo. Il viso affondato nel suo petto.
Anche lui la abbraccia sentendola tremare. La tiene così fino a che non la sente, infine, smettere di piangere.
Lei lo guarda, gli occhi così simili e così enormemente diversi da quelli della Regina
“Grazie…”
Lui sembra sorridere annuendo.
La mano destra le accarezza la guancia la guancia, l’altra poggiata sostenerle la nuca.
“Tranquilla andrà tutto bene.”
La mano scende leggermente dalla guancia, gentile. Le sorride.
Un’ultima volta.
Il movimento è brusco, bisogna metterci tutta la forza delle braccia e delle spalle per essere sicuri, si ode un suono sinistro.
La afferra mentre le gambe le cedono, per non farla cadere.
Per un attimo, prima che gli occhi di Yaranno si spegnessero gli è sembrato di vedere una espressione di stupore, ma era stato così rapido che di sicuro si era sbagliato.
La poggia sul pavimento immobile e si accascia lì accanto, la testa bassa, inerte, immobile anche lui.
Rimane in silenzio accanto a lei per parecchio tempo, mentre il sole che sorge illumina sempre di più la stanza.
Alla fine, è il Gatto a trovarlo così. Si ferma sulla porta, uno scudiero che sbircia alle sue spalle con gli occhi sbarrati, grandi come piattini.
Sentendoli entrare Barid alza lo sguardo, gli occhi che faticano a metterli a fuoco.
Cambia posizione sedendosi rozzamente per terra, i suoi movimenti sono lenti, attutiti, come se si muovesse con la difficoltà di un anziano e non dell’uomo giovane e atletico, il temibile guerriero, che è.
Il Gatto vedendolo così rompe gli indugi, lo raggiunge con quattro grandi falcate e lo afferra per un braccio, senza delicatezza, senza riguardi, e lo tira in piedi quasi a forza. Non lo lascia andare come se tema che possa cadere di nuovo.
 “Vostra Grazia… alzatevi.” Dice infine nella voce una inusitata traccia di premura. Solo allora Barid sembra riconoscere la sua presenza con un cenno del capo. “Andate, Vostra Grazia, adesso penso io al corpo.”
La testa di Barid scatta, la schiena torna improvvisamente dritta come d’abitudine, il Gatto deve lasciarlo e fare un passo indietro trafitto da uno sguardo di fuoco.
“No.” Si china, la rigidezza e torpore scomparsi, solleva il corpo della ragazza, e lo sistema sul letto in silenzio. Il Gatto che lo osserva in mezzo alla stanza, lo scudiero sulla porta.
La sistema con cura, la gonna, i capelli, le chiude gli occhi. Alza allo sguardo, sul muro, vicino al letto, sempre lei. Asa: La Giovane Vergine, a mezzo busto, il vestito con un largo scollo, i lunghi capelli rosso fuoco, gli occhi verde chiaro, il viso a forma di cuore, lo sfondo in foglia dorata.
“Non va toccata, va sepolta così, nella cripta. Con il padre e con i fratelli. Il corpo non va toccato. Fate chiamare i preti.” Si volta a guardarli e fa un gesto allo scudiero che corre via, felice di poter scappare.
Quando rimangono soli, è il Gatto a parlare, la solita aria scettica, la voce pacata di chi deve convincere un bambino testardo, ma con una sfumatura rassegnata già in partenza.
“La testa, vostra Grazia, non dovete portare la testa a corte… ?”
“No. Il corpo va sepolto intero. Basta così.”
I loro sguardi si incrociano ed è Barid il primo a distoglierlo e a sorridere, triste.
“Ho fatto abbastanza. Parlerò io alla Regina. Ci parlo io. Capirà”
Il Gatto scoppia a ridere e scuote la testa, senza timidezze. Dimostra per l’ennesima volta di essere una delle poche persone con sufficiente coraggio da ridere in faccia al Principe Demone.
   
 
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