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Autore: SkysCadet    07/08/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La ragazza si sentì improvvisamente avvolgere da un calore che la stringeva come una soffice coperta, mentre la sua ombra si allungava davanti ai suoi occhi, percorrendo le piccole dune della sabbia fino a sfiorare la battigia in cui si era fermato Acab. Lui aveva iniziato ad inspirare ed espirare muovendo lo sterno vistosamente perchè ne aveva solo sentito parlare da chi, negli alti piani del suo mondo, si beffava di loro e delle loro capacità. Tuttavia, chi ne parlava, ritornava sempre a parlarne a fatica, come quando un cane viene bastonato e, al solo ricordo dell'esperienza vissuta, trema e impallidisce.

Non avrebbe mai creduto di avere l'opportunità di vederli con i suoi occhi e così da vicino. Tra i membri del gruppo Lucifer si vociferava che quegli esseri avessero il potere di tenere legato il loro Signore Oscuro per mille anni.

Voci, dicerie... si disse mentre le gambe tremavano e il suo cuore pompava timore e riverenza. Ed era solo luce incandescente quella che Acab stava ammirando, mentre lentamente posava lo sguardo su quella ragazza che, ancora, non aveva realizzato quanto, rispetto a lui, fosse fortunata.

E mentre gli occhi di Ariel ricambiavano il suo sguardo, fissando il volto sconvolto dell'adepto si irrigidì alla vista di raggi di luce incandescenti che le attraversavano il corpo.

Quel calore e quella luce le attraversava la pelle, mostrandole i vasi sanguigni come linfa candida. Fu così che, sbarrando gli occhi, ed emettendo un lieve gemito, percepì una fitta allo stomaco, mentre il cuore tamburellava vivacemente nello sterno.

Acab le diede le spalle per riaprire quel varco che il padre aveva rinchiuso con un gesto deciso del braccio sinistro. Judas era scomparso immerso nell'oscurità delle acque di quel mare nero.

«Sai, è strano» iniziò a dirle, facendola sobbalzare, immersa com'era nel guardarsi le braccia e i palmi delle mani in cui scorreva quella linfa luminescente, «benché tu non abbia ancora scelto definitivamente a quale Regno appartenere, loro tre sono già qui» rivolgendole uno sguardo che Ariel fece fatica ad interpretare. «Adesso sei nelle Sue mani» rifletté .

Fu in quel momento che Ariel rivolse lentamente lo sguardo dietro di sé, preparando la mente, il cuore e l'anima alla vista di qualcosa che aveva fatto fuggire i maestri dell'ombra.

Poco prima di fissare lo sguardo verso quelle figure tenne la testa bassa a contemplare i granuli di sabbia diventare oro. Alla fine si fece coraggio, inspirando profondamente pose la mano sulla fronte a coprire gli gli occhi come se stesse fissando il sole in pieno mezzogiorno.

Erano tre colonne di luce che si scagliavano verso il cielo nero, imponenti e maestosi, luminosi come il sole; fiamme nei loro sguardi, come saette provenienti dalle stelle; corpi possenti come alberi di pini sfioranti il cielo, figure incandescenti di una luce propria, candida e spettrale; pronunciavano parole sconosciute con armonico suono: parole di donne e di uomini.

Ariel era in preda ad un tremito incessante e mentre ascoltava il dolce e ineffabile suono di quelle voci serafiche, pensò di essere in un altro mondo, un mondo da cui sarebbe stato difficile decidere di tornare indietro. Cercando di comprendere dove si trovasse e pensando di essere incosciente, la ragazza si inebriava di dolci profumi e colori brillanti, mentre quelle voci erano una miscela di sinfonie e parole arcane.

Ariel non riuscì a reggere alla meraviglia che le si era manifestata, tanto che, alzando il mento a scorgere la fine delle loro figure, sentì la testa così pesante da farla crollare in ginocchio sul morbido suolo sabbioso e umidiccio.

Una di quelle figure le si avvicinò e lei, già sbiancata e tremante, scosse la testa più e più volte, fin quando l'essere le si accostò in figura d'uomo per dirle qualcosa.

«Non temere Leone di Dio, Egli ci manda a proteggervi» ombre sottili si delinearono in quel volto dai tratti umani e dal sorriso innaturale.

La sua voce, simile a quella di un bambino, ma autorevole come un condottiero, la fece indietreggiare lentamente e portare la mano davanti a sé, pronta a proteggersi dall'ignoto ma, al tempo stesso, per sfiorare l'essenza; quando l'alato allungò l'arto candido verso le falangi della giovane, ella ne avvertì un bruciore dolce e il formicolio di una scossa, ma la consistenza di una pelle simile alla sua la fece trasalire.

L'essere di fronte a lei era un ragazzo, dal volto pallido come la luna e i lunghi capelli albini, che ricadevano sulle spalle coperte da una tunica chiara, senza maniche, su dei pantaloni del medesimo colore e di un tessuto così leggero da esser riconducibile al cotone o al lino.

Con il cuore che le arrivava in gola, non riuscì ad emettere suono quando gli altri due alati si manifestarono nella forma simile al loro compagno: ragazzi dai volti femminei e il corpo scultoreo.

Ariel, a quel punto, riuscì ad articolare solo poche parole: «B... Basta...» balbettó, quasi singhiozzando e stringendo i denti «Ba...Basta così.» ripetè visibilmente provata da quell'esperienza.

Ne aveva abbastanza. Il suoi occhi scettici avevano visto abbastanza.

Si sentì collassare e, di lì a poco, si sarebbe accasciata al suolo. Ma, prima di abbandonarsi al sonno, ebbe il coraggio e l'ardire di pronunciare un'ultima frase: «Dite al vostr...nostr...a Lui... che mi arrendo.» Si lasciò cadere tra le braccia di quell'essere che, spalancando le ali, l'avrebbe ricondotta a casa.

***

«Gabriel...Michael...Rafael...»

Heliu si svegliò, sentendo pronunciare quei nomi da una Lucia dormiente; le toccò la fronte pensando che le fosse salita una febbre improvvisa, ma la freschezza e il placido sorriso della giovane gli trasmisero tranquillità. A quel punto si convinse del fatto che il Creatore le avesse rivelato qualcosa di lieto, mentre al Centro di Aggregazione Joshua stava per incontrarsi con Simon.

Era entrato nel suo studio, aprendo la porta solo sfiorandola e facendola sbattere contro il muro in maniera del tutto innaturale. Il colorito del suo volto era candido e gli occhi, ora spenti e lucidi, erano contornati da un cerchio scuro di chi aveva pianto e aveva passato la notte insonne.

Ansimante e quasi privo di forze, si era accasciato sulla poltrona di fronte a Simon che aveva osservato tutta la scena con un volto scuro e accigliato, di chi, a suo malincuore, aveva compreso tutto. E fin nei minimi dettagli.

«Dove sei stato, Joshua?»

Simon o fissò stringendo le labbra dietro la folta barba, serrando la mascella con i pugni chiusi e stretti lungo i fianchi. In piedi dietro la scrivania, ripercorreva i ricordi di quel ragazzo che con poche parole faceva innamorare tutte le sue coetanee e fedeli sorelle di fede, che non avevano mai avuto alcuna chance con chi aveva deciso di votarsi di propria volontà al celibato per essere un grande nel Regno dei Cieli dopo l'esperienza con Evelyn.

Un ragazzo che, stupidamente, aveva frainteso una naturale propensione alla sola cura dello spirito con una decisione forzata e sciocca, che lo aveva portato a rinunciare più volte al dono di una ragazza quale compagna di vita, senza comprendere che una donna accanto sarebbe stata una elevazione e un motivo in più per comprovare la sua fedeltà a Dio e al suo Regno, mai come in quel momento, combattuto fin dalle fondamenta.

L'aveva pregato, l'aveva invitato a desistere da quella decisione più e più volte, ma il suo orgoglio sfioravano la tracotanza di chi si era scelto una propria via, lontana da quella mostrata da suo Padre. Non gli aveva più creduto, da allora.

«Tu sei il mandato... Tu conosci ogni cosa» gli rispose con sguardo truce.

La mente di Simon ritornò a quella notte di pioggia in cui l'aveva salvato dalla stessa situazione in cui si trovava in quel momento, mentre, osservandolo ansimare in quella poltrona di pelle marroncina, il cuore saltava e schiacciava lo stomaco in fitte di dolore infuocate di rabbia e rimorso.

Poi si sedette, lentamente, continuando a fissarlo e poggiando i gomiti sulla scrivania intrecciò le mani e se le poggiò sulle labbra barbute. «E ci credi veramente al mio mandato

La testa di Joshua, che per tutto il tempo era rimasta piegata da un lato e con lo sguardo fisso al soffitto, ricadde verso il basso, come se si fosse risvegliato da un sogno tormentato.

«Tu chi credi che sia il mandato?» continuò a domandargli Simon, pregando di risvegliarlo dal suo stato di incoscienza solo col potere della Parola dell'Angelo della Chiesa di Filadelfia.

«L'unto di Dio...» ispirò. «Colui che incarna la Sua Parola; la bocca e il braccio di Dio. Gesù Cristo sulla terra.» rispose quasi farfugliando quelle parole che risiedevano nella sua memoria, come una preghiera recitata al mattino.

Simon battè le mani, con una smorfia di disapprovazione: «Tutto molto bello, se solo fosse anche nel tuo cuore» con la consapevolezza di avere davanti un ologramma al posto del figlio che aveva cresciuto.

«Lo è. Altrimenti non sarei qui.» Lo sguardo vivo e il tono deciso di Joshua fecero sbarrare gli occhi nocciola di Simon, che, con un lieve sorriso, posò la schiena nella sua poltrona girevole.

«Però hai abbandonato la verità, Joshua. Perché non mi hai detto nulla e ti sei tormentato l'animo? Non ci sarebbe stato niente di male nell'amare una ragazza bisognosa di affetto.»

«A chi ti riferisci?»

«Non dubito certo che questa notte tu l'abbia passato da solo, ma mi riferisco ad Ariel.» Joshua era tornato improvvisamente in sé. Deglutì per mandare giù la nausea, i gomiti sulle ginocchia e le mani a coprire il viso.

«Diciamo che non pensavo avessi bisogno di lei» si rialzò con viso imperlato di sudore.

«Quindi tu ami solo coloro di cui hai bisogno.»

«Io volevo diventare un tuo ministro e lei mi sarebbe stata di inciampo.»

«Il tuo ragionamento non ha nulla a che vedere con i pensieri del Padre Celeste e io mi sento terribilmente colpevole di averti lasciato solo...»

«Solo?» ripetè Joshua, insofferente.

«Quando mi chiamasti prima di andare a casa di Ariel, era chiaro che temessi che succedesse qualcosa, ma io ho avuto fiducia in te, solo che, poi, non mi hai confidato nulla. Ho atteso, invano.»

«Non è successo nulla quel giorno... E lei oggi non c'entra niente.»

«Non cercare di sviare l'attenzione da quanto è accaduto. Non sono solo l'Angelo di questa Chiesa, Joshua. Sono tuo padre.»

«Mio padre non mi avrebbe mai chiesto di perdonare un lurido verme come Acab!» Joshua alzò la voce protendendosi verso la scrivania, stringendo convulsamente i braccioli con le mani tremanti.

«Al tuo padre carnale non importava il tuo perdono o il tuo benessere!» rispose di rimando Simon, alterando il tono della voce e mostrando rossore in viso, battè i palmi contro la scrivania.

«Il mio benessere era anche avere una vita fuori di qui.» rivelò lui, indifferente.

«E chi ti ha mai impedito di andare a trastullarti con chicchessia, eh? Sei sempre stato tu a seguirmi in ogni dove, tanto che io ho sempre dovuto fermarti. Io. Io, Joshua ti ho salvato la vita da quel mondo fuori di qui. Pensavo davvero che tu fossi il mio Timoteo*, ma evidentemente il tuo orgoglio è rimasto sempre recondito. Hai agito carnalmente, per tutto questo tempo...»

Joshua rivolse lo sguardo verso la porta di legno grezzo di tinta chiara e poi alla foto del predecessore di Simon posta su una mensola al lato destro del controtelaio; in quel momento, avvertì un peso sul cuore mentre gli occhi grigi di Peter sembrava che lo stessero osservando dentro, indagando nelle aree più cupe del suo cuore.

«Dov'è Ariel, adesso?»

Joshua aveva sentito dei passi oltre la porta; dei passi insicuri che si bloccavano non appena i due avevano iniziato ad alzare il tono della voce.

Qualcosa gli suggerì che la ragazza fosse lì ad ascoltare la conversazione; qualcosa come se un briciolo di colpa fosse riaffiorata dentro il suo animo e sentisse il bisogno di rimediare al modo in cui si erano lasciati.

«Non ti importa più nulla della mia parola, vedo...» Soggiunse Simon, interferendo con i suoi pensieri.

«Vorrei solo salutarti al più presto, per rendere meno doloroso il mio addio.»

A quelle parole, Simon sentì un bruciore nel petto così forte che dovette imprimere il palmo della mano destra contro il suo cuore, come se anch'esso, insieme a Joshua, rompesse la protezione dello sterno e uscisse fuori da lui. Per sempre.

Era stato come un padre. Suo padre. Non un padre spirituale qualsiasi. Un padre vero, reale.

Era stato il pastore Peter a mostrargli quel modello di vita. Essere padre di figli spirituali era doloroso e gratificante al tempo stesso; lo stesso cuore di Peter non aveva retto a tante sofferenze.

Stava succedendo come quando Judas si era fatto amare da Peter come un figlio, e quello gli aveva donato se stesso e la sua stessa vita, per poi essere abbandonato e ucciso nel buio che solo i Lucifer sapevano creare. Judas lo lasciò, portando con sé la moglie di Simon e un terzo dei fedeli della chiesa di Filadelfia.

Ma Joshua no, non poteva essere così anche lui. Non proprio tu che porti il Suo Nome...

«Joshua...» Un respiro profondo. «Io vorrei solo lasciarti un ultimo messaggio» e lo fissò, cercando i suoi occhi verdi per guardarli con l'amore di un padre, per l'ultima volta. «Ma, a questo punto, devo chiederti il permesso. Posso?»

«Sì» le iridi verdi e lucide.

E gli fece male. Un grave male nel petto. «Sai il significato del tuo nome?»

«Sì...» indugiò, come se quel nome gli costasse fatica. «Gesù...»

Simon si voltò di spalle, stringendo convulsamente con le dita le mensole della libreria che sormontavano la scrivania e tentò invano di ricacciare indietro un nodo in gola, aggrovigliato di memorie e affetto.

«... Sai quello che ha passato prima della croce? Te lo ricordi?»

«Il tradimento di Giuda, quello di Pietro, il carcere, le frustate...»

«L'ha scelto lui?»

«No...» rispose Joshua prima di alzarsi e dirigersi verso la porta. «E sì...» Portandosi il cappuccio della felpa nera sul capo fin a coprire lo sguardo, continuò: «sta scritto che ha fatto la volontà di Colui che l'ha mandato

«E perché?» Simon continuò a osservare i libri impolverati di quella libreria mentre pian piano diventavano sfocati.

«Per adempiere alla missione di cui portava il Nome.»

Un lungo sospiro mentre stringeva la maniglia della porta così forte da far diventare visibili le nocche della mano. «O almeno, questo è quello che mi hai sempre insegnato tu...» concluse, indugiando.

«Dimmi solo un'ultima cosa, poi potrai lasciarmi... »

Joshua attese, mentre le mani gli tremavano.

«Cos'è il nome di Gesù Cristo, per te?»

«Il segreto per la salvezza delle anime.» Disse di fretta, prima di aprire la porta e andare via da quello studio, che lo aveva fatto dubitare. «Addio Simon...» aveva sussurrato, correndo fuori.

«A... A...Dio...» aveva pianto, Simon.

***

Così se ne andò, lasciando alle sue spalle le lacrime di Simon e Ariel, che per tutto il tempo era rimasta ad ascoltare la conversazione, attaccata al muro che dava sulle scale.

L'aveva visto aprire la porta con ferocia e poco mancò che le arrivasse addosso. Lo vide poi fuggire giù, col viso coperto dal cappuccio di quella felpa nera. Fu sicuramente quello il motivo per cui non l'aveva scorta dietro l'angolo.

Quando si spostò da quell'angolo per mostrarsi a Simon, lo vide singhiozzare piegato su una delle mensole della libreria, chiedendo al Cielo pietà per Joshua.

Quella visione la turbò più di quanto non avesse fatto la fuga di Joshua, perché Simon le era apparso come una roccia, un faro, una via. Ora sembrava che nemmeno lui potesse fare nulla per cambiare il corso degli eventi innescati dal ragazzo.

Non seppe se attendere sull'uscio dello studio o lasciarlo giustamente nella solitudine della tristezza, ma lui le rispose senza sapere -apparentemente- cosa lei stesse pensando: «Ariel... Vai da lui!»

Era successo anche quella mattina.

Di quella notte passata a seguire Acab, Ariel non ricordava altro se non l'essere crollata sull'umido manto sabbioso. Tutto il resto, per lei, era stato solo un sogno.

Svegliata dalla luce prepotente del sole che si incanalava nelle fessure della serranda della sua camera, riuscì a stento a prendere il cellulare per vedere l'orario.

L'orologio segnava le ore 12.00 e il display era coperto da numerose notifiche di chiamata di Heliu e di Simon. Ma non di Lucia.

«Mio Dio...» riuscì a dire con voce rauca, mentre le palpebre facevano fatica a scollarsi e gli arti intorpiditi non le consentirono una rapida discesa dal letto.

Si stiracchiò, avvertendo l'ingombro di qualcosa che non era di certo il suo amato pigiama, e scostando le coperte si vide interamente vestita degli abiti della sera prima, compresi gli anfibi.

Quindi si mise seduta e ispezionò la sua camera quasi come se non la ricordasse più.

La scrivania posta di fronte al letto era in ordine con solo un paio di libri universitari posti di lato alla piccola TV.

L'armadio era aperto e si scorgeva la borsa a tracolla posta all'interno. «Ma che...?» con aria interrogativa si avvicinò all'anta dell'armadio, considerando che lei non avrebbe mai posto lì la sua borsa. Solitamente lei la posava ai piedi del letto.

Poi un flash.

Si vide portata sulle braccia di un essere alato che la adagiava sul letto sfatto e la copriva, mentre un altro poneva la borsa all'interno dell'armadio.

«Okay...» disse, strabuzzando gli occhi e chiudendo lentamente l'anta dell'armadio. «Devi farti vedere da qualcuno, Ariel. Ma uno bravo.»

Era come se nulla fosse accaduto, se non ché, i ricordi riaffiorati le facevano palpitare il cuore di un turbamento viscerale, mentre scendeva gli scalini per dirigersi in cucina. Quindi si fermò, posandosi con la spalla sull'architrave dell'ingresso constatando che non aveva ricevuto alcuna chiamata di Lucia e che, se a chiamarla erano stati solo Heliu e Simon, sicuramente, le era successo qualcosa.

Così, fece per aprire la porta, e, anche in quel momento, si accorse di non aver chiuso la porta dall'interno, ma che la stessa era chiusa solo dall'esterno, come se lei non fosse mai entrata dall'uscio di casa.

Quindi avvertì una fitta allo stomaco e iniziò a muovere lo sterno concitatamente, mentre, ponendosi il dorso della mano sulle labbra, il viso le si rigava di lacrime e tremante camminò all'indietro, fissando l'ingresso fino a quando i ricordi le annebbiarono la mente; ricordi di una creatura alata che oltrepassava la parete del balcone della sua camera, tenendola tra le braccia.

Incespicò nell'ultimo gradino della scala che portava alla sua stanza e, vi si sedette, singhiozzando.

«Quindi...» balbettò. «È... È tutto vero! È tutto vero!»

Si rimise in piedi e corse su per le scale quasi carponi, desiderando di vedere solo una persona: Simon.

Gli voleva parlare, lo voleva ascoltare, gli avrebbe voluto raccontare tutto, ma il pensiero di Lucia la bloccò al centro della sua stanza.

Si sentiva confusa, insicura, debole e incapace di trovare una via d'uscita al turbinio dei suoi pensieri.

«Oh Dio!» Esclamò con le falangi tra capelli aggrovigliati e il viso rigato di lacrime secche, mentre cercava di elemosinare ossigeno respirando convulsamente.

«Cosa devo fare?! Dimmi cosa devo fare!» urlò in preda ad una crisi di panico scaturita dalle incertezze e fiumi di dubbi che le inondavano la mente.

Poi, il suono familiare del telefono la fece rinsavire.

«Pronto, Ariel?» La voce di Simon.

Per Ariel fu come quando un neonato impara a respirare dando sfogo al pianto. Fu così che Ariel accolse quella chiamata, in lacrime di gioia e commozione.

Le aveva detto quel che era successo a Lucia e che ciò derivava dai vari cambiamenti che stava subendo la Chiesa dopo l'allontanamento di Joshua. La rassicurò del fatto che le avrebbe spiegato tutto una volta arrivata al Centro di Aggregazione.

Fu così che, dopo una lunga doccia calda e un boccone di pane e marmellata, si era diretta alla fermata dell'autobus con uno sguardo ridente e delle lievi fitte alla bocca dello stomaco che non accennavano a diminuire; forse per l'agitazione e l'emozione di voler raccontare tutto quel che aveva visto, forse per il moto fluido del suo animo che adesso sapeva cosa fare della sua vita.

Tuttavia quella gioia era sfumata non appena aveva intravisto Joshua tra i passeggeri del bus: un ragazzo dal volto pallido e le profonde occhiaie, in uno stato di semi incoscienza.

Fu così che lo seguì fino al Centro, facendo bene attenzione a non farsi notare, camminando lentamente e aumentando la distanza da quel ragazzo che faceva fatica a stare in piedi.

L'aveva seguito fino all'ingresso del cortile, posizionandosi dietro un'aiuola di ortensie, mentre un suono metallico segnava l'apertura del cancello grigio.

Lì attese un paio di minuti prima di entrare e, senza incrociare lo sguardo di nessuno, si diresse su per le scale, salendo fino al terzo piano, quello riservato allo studio di Simon, al suo alloggio e altre stanze.

Mentre saliva l'ultima rampa di scalini marmorei, sentì i loro toni accesi e si fiondò dietro la porta.

***

«Che ci fai qui?»

In quel momento era di spalle, poco lontano dalla porta che dava sul cortile e dove alla sua sinistra si trovava quel divanetto in cui era stato posato da Simon la sera della sua salvezza.

Era un po' ingiallito dal tempo, ma Joshua lo fissò intensamente prima di rivolgere un'altra domanda alla ragazza che si era fermata poco prima di sbattere il viso contro le sue spalle, tanto era stata la foga della corsa. «Ti ha mandato lui, non è vero?»

La ragazza faticò a rispondere, realizzando solo in quel momento di avere quell'unica occasione di dire tutto quel che avrebbe voluto, ma in un tempo tanto breve da non riuscire a farle formulare le solite frasi ad effetto di cui, in precedenti occasioni, era ben fornita.

Si limitò ad osservarlo abbassare il cappuccio della felpa mentre il respiro si accelerava nel petto.

«La prendo come un affermazione» aggiunse, roteando tutto il busto verso di lei, che lo guardava con occhi smarriti. «Avrei dovuto essere il tuo angelo custode...» proseguì, facendo un passo verso di lei. «Avrei dovuto curare la tua anima con la Sua Parola. Invece, mi sono ritrovato l'anima avvinghiata alla tua come in una morsa.»

«Cosa stai dicendo, Joshua?»

La voce tremante, come se quelle parole l'avessero accoltellata in pieno petto.

Lui non le rispose, limitandosi ad annuire un paio di volte per dirigersi nuovamente verso la porta.

«Aspetta!»

Gli aveva urlato, tirandolo dal braccio proteso verso la maniglia.

Nell'incontro con i suoi occhi verdi, spalancati e sorpresi, Ariel si sentì sprofondare nell'incertezza di un sentimento che non poteva essere nato in pochi giorni. I ricordi di tutte quelle volte in cui li aveva incrociati precedentemente, correvano nella mente come la pellicola di un film. Un film con un orrendo finale. E lo fissò con le labbra schiuse come a voler dire qualcosa che non ebbe il tempo di pronunciare.

«Il Leone di Dio...» allungò la mano e prese il ciondolo della sua collana. Percorse il laccio di cuoio con le dita fino a sfiorare il collo, la guancia, le labbra, guardandola con disperazione, mentre il respiro rumoroso sapeva di rabbia.

Un battito di ciglia e le labbra di Joshua premettero su quelle di Ariel, impreparate al suo impeto.

Le dita affusolate le strinsero con timore i capelli bruni e lei poggiò con timore i palmi sul suo petto, avvertendo i battiti ritmici.

La baciò, imprimendole quella volontà in quella occasione mancata la sera del tè, a casa di lei.

Quando le si allontanò, con sguardo colmo di rammarico, ebbe il coraggio di dirle soltanto: «Non seguirmi questa volta.» In una carezza, le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Addio, Ariel.»

Spalancò la porta e corse fuori, sotto l'acqua di novembre, sfocato negli occhi di Ariel, lontano dalla Chiesa di Filadelfia.

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*TIMOTEO: Figlio spirituale di San Paolo a cui sono dedicate le sue Lettere nel Nuovo Testamento.
 

 

   
 
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