Vespro dei beati sposi (seconda
parte)
We’ve been running from love
We’ve been running from love
And we don’t know what we’re doing here
No we don’t know what we’re doing here
We’re only here
Sharing our free love
Let’s make it clear
That this is free love
No hidden catch
No strings attached
Just free love
No hidden catch
No strings attached
Just free love
Depeche Mode, Freelove
Un racconto sull’amore
sottaciuto
«Oh cazzo».
Abbacchio sbatté le palpebre più volte, come se si stesse ridestando da un
sogno a occhi aperti. Il Marcantonio degli anni trenta lo aveva spinto a
varcare la soglia del luogo che lo spaventava di più in assoluto e adesso non
aveva idea di come risolvere la situazione.
«Finalmente siamo entrati» disse la risoluzione della situazione puntando il
naso in alto.
Il cielo, da pallido ed evanescente, si era trasformato in una trapunta di
stelle accompagnate dalla mezzaluna, unica e discreta fonte di luce del
labirinto di viti. I suoni provenienti dall’esterno, comprese le voci delle
altre anime e il papulare dei pavoni, si erano spenti all’improvviso, e questo
fece loro capire di essersi completamente isolati dal resto dell’aldilà.
«Che posto magnifico» proseguì la risoluzione della situazione stavolta
voltandosi indietro, laddove prima c’era l’ingresso coi roseti «la parete è
chiusa, quindi mi sa che Narancia aveva ragione: non si esce se prima non si è
detto la verità».
«Certo, la verità» quello di Abbacchio era appena un mormorio. Se avesse avuto
ancora un vero cuore pompante sarebbe crepato d’infarto «senti, non è che… non
so, mi dici cosa fare? Magari cercare una via d’uscita…».
Bucciarati incrociò le braccia e spostò il peso del corpo su una sola gamba.
Anche se c’era ancora qualcosa che lo tratteneva dall’esprimere la sua vera
essenza, lo trovava più disteso, più umano. Così come lui aveva abbandonato la
maschera del capobanda inflessibile e pragmatico, Abbacchio non si era più
avvicinato a un bicchiere di vino. Due delle cose che li abbruttivano erano
andate distrutte assieme ai loro stand.
«Quante volte devo ripeterti che non sono più il tuo capo e che non devo più
impartirti ordini?».
Dal suo tono di voce sembrava rilassato, se non quasi divertito, eppure
Abbacchio si sentiva come se gli avesse stampato cinque dita in piena faccia.
Scosse il capo e si stropicciò gli occhi: se pensava a quello che avrebbe
dovuto dire per uscire da lì rischiava di farsi venire un attacco di ansia.
«Va bene, ritiro quello che ho detto e cerchiamo di uscire» riprese Bucciarati
facendosi d’un tratto accondiscendente. Sarebbe stato evidente anche a un cieco
che Abbacchio si trovava in difficoltà «vogliamo andare a destra?».
Il più taciturno dei due fece un cenno di assenso e seguì quello che un tempo
era il suo capo verso la direzione scelta. L’ipnosi che gli aveva fatto muovere
le gambe fino a lì era svanita e la paura era tornata ad attanagliargli
l’addome. Chiunque avesse pensato quel posto era sicuramente un genio del male.
«Sei stato bravo a resistere alla forza attrattiva del giardino di Mitra¹
per così tanto» disse Bucciarati proseguendo nel suo cammino «ma presto o tardi
ci saresti entrato lo stesso».
Abbacchio seguitava a non parlare e a stringere convulsamente il mazzo di rose
che gli avevano regalato Mista e Trish. Con quei fiori appresso lui e
Bucciarati sembravano una coppia di sposi che si avviava lungo le navate di una
chiesa.
Che razza di immagine mentale.
«Anche se nella nostra condizione dovremmo essere felici sono preoccupato per
te» Bucciarati aggirò un vicolo cieco e svoltò a sinistra «devi perdonarmi, so
che sto facendo un discorso stupido visto che siamo adulti, ma quando uno dei
miei sta male per qualcosa sto male anche io. È… un brutto vizio, lo so».
Abbacchio emise uno sbuffo dalle narici.
«Adesso salta fuori che siamo tuoi anche se non sei più il capo di niente? Che
è sta storia?»
«Guarda che non mi sto contraddicendo» Bucciarati
si voltò a guardarlo, i fiori stretti al petto come se reggesse il suo tesoro
più prezioso «voi siete miei perché avete dato un senso alla mia vita, mi avete
rubato l’anima e ve la siete tenuta dentro, e io ho rubato le vostre
anime per tenerle con me nel bene e nel male. Voi mi appartenete e io
appartengo a voi perché siamo una cosa sola».
Sentendo quelle parole, Abbacchio si strinse d’istinto nelle spalle e mandò giù
un groppo alla gola che rischiava di sopraffarlo. Da vivo non avrebbe potuto
permettersi di esternare certi pensieri.
«Per dirla in altri termini, questa pace non me la posso godere se tu non fai
lo stesso, e anche se non bevi più da quando siamo qui ti vedo solo soffrire»
«È che» Abbacchio si morse il labbro, si sentiva uno schifo sapendo che proprio
Bruno, che quella pace se la meritava, si sentisse in quel modo per colpa sua
«è che sai come sono fatto… Per farmi fare una confessione devi tirare giù il
calendario con tutti i santi. Sono uno difficile da sopportare»
«Leone» disse Bucciarati senza smettere di avanzare.
Abbacchio si drizzò in tutta la sua figura, era raro sentirsi chiamare per nome
da lui.
«Che c’è?»
«Ti si ama anche per questo, sappilo».
Alla rigidità posturale si era aggiunto il rossore al volto, che cercò di
nascondere chinando il capo per permettere che i capelli gli scivolassero
davanti.
«Ah, questo vicolo lo abbiamo già superato se non vado errato» Bucciarati si
era fermato e con l’indice della mano libera dai fiori si pungolava il mento «mi
sa tanto che ci siamo persi»
«Ci credo, hai imboccato per due volte la stessa strada» Abbacchio sollevò la
testa il tanto che bastava per orientarsi nel dedalo di viti intrecciate e
grappoli, e, braccio e mano tremante, afferrò il polso di Bucciarati per
condurlo nella via opposta, assumendo il comando della missione più difficile a
cui stesse partecipando.
«Vieni, questa parte non l’abbiamo ancora esplorata»
«Va bene capo» lo canzonò Bucciarati.
Pur senza fermarsi, Abbacchio si era voltato a guardarlo con occhi sottili.
«Mi prendi in giro?».
Bruno assunse un’espressione innocente. Lo stava facendo apposta.
«Assolutamente no».
Abbacchio non rispose alla provocazione e tornò a voltargli le spalle: non
c’era proprio verso di uscire, anche perché aveva l’impressione che i rami
delle viti avessero un moto che gli consentiva di creare nuove pareti e nuovi
vicoli ciechi. Ovunque andassero era un susseguirsi di pampini e grappoli gonfi
e invitanti, grappoli gonfi e invitanti e stelle ingentilite dalla mezzaluna
che non smetteva di seguirli proprio come quelle maledette colombe sul carro
dorato.
«Aspetta» disse dopo un po’ girandosi intorno «quella parete prima non c’era,
stiamo camminando verso il centro senza poter proseguire e nemmeno tornare indietro.
Ma come funziona questo labirinto?».
Teneva ancora Bucciarati per il polso, ma il legittimo proprietario non sembrava
infastidito dalla cosa. Anzi, si mise persino a ridere.
«Visto? Te l’ho detto che ci siamo persi, ma tu continui a voler cercare di
uscire» profferì Bucciarati con sguardo enigmatico.
Il punto di non ritorno stava per essere raggiunto e non c’era davvero via di
scampo.
«Allora fammi capire, ti piace l’idea di restare qui dentro per l’eternità?».
Bucciarati liberò delicatamente il polso dalla presa di Abbacchio e infilò
l’ultimo vicolo che avevano incontrato: poggiò la schiena sui rami rigogliosi
di pampini e lì rimase, senza abbandonare i fiori e l’espressione
indecifrabile.
«Mi piace l’idea di sentirti dire la verità su quello che provi per me».
Trascorse un istante interminabile nel quale gli occhi dei due spiriti
saggiarono vicendevolmente le intenzioni dell’altro, consapevoli del fatto che
una conversazione del genere potesse avvenire soltanto al prezzo del martirio
della loro carne.
«Dai, stendiamoci un attimo a riposare» riprese Bucciarati «non eri tu quello
che mi aveva detto di sentirsi a suo agio solo quando è al mio fianco? E allora
dimmi come dovrei interpretare quelle parole».
E ciò dicendo piegò le gambe, si sedette sull’erba, noncurante delle macchie di
terra che potevano contaminargli il bianco del completo, e posò i fiori accanto
a sé.
«Ah» Abbacchio si lasciò scappare un sorriso amaro per simulare il suo vero
stato d’animo. Sperava in qualche modo che quella pseudo – pseudo? –
confessione restasse laggiù e invece gli stava toccando averci a che fare anche
dopo il trapasso. Ma era prevedibile: figurarsi se uno come Bucciarati si
lasciava sfuggire un dettaglio simile.
Rimanendo ancora in silenzio, raggiunse il compagno di aldilà e si accomodò al
suo fianco, più teso che mai. Poggiò anch’egli i fiori a terra e si schiarì la
gola.
«Allora, io… ehi».
Nel momento in cui Abbacchio stava cercando le parole adatte per mettere ordine
nel caos sentimentale in cui si era ingarbugliato, Bucciarati gli rese il
lavoro più complicato piegandosi di lato per distenderglisi addosso, adagiandosi
con la testa sul grembo e spargendogli i capelli sulle cosce.
«Sei un fetente!» fu la prima cosa che venne da dire a un Abbacchio spiazzato
da cotanta sfacciataggine «Dai, dillo che ti stai a divertire a vedermi così,
forza».
Bucciarati si coprì il volto con le mani, anche lui imbarazzato per l’audacia
che lui stesso aveva dimostrato. Due falangi si aprirono per permettere a un
frammento azzurro di iride di sbirciare il volto di Abbacchio e sussultò per le
risate.
«Molto, sono sincero!» gli confessò, mentre spostava lentamente una mano dal
proprio viso al torace di quello che un tempo era un suo sottoposto; percorse
la linea dello sterno e si fermò alla base del collo: i vasi sanguigni, o
perlomeno la loro proiezione psichica, pulsavano furiosamente. Restò così, in
silenzio, crogiolandosi negli ultimi istanti di pace prima della tempesta
emotiva, annunciata dal movimento frenetico del pomo d’Adamo di Abbacchio sotto
le dita, e pian piano il sorriso che gli colorava il viso si spense cedendo il
posto alla malinconia. Quando entrambi capirono che era giunto il momento di
affrontare la questione seriamente lasciò cadere la mano lungo il fianco.
«Dopo che mi hai detto quella cosa sei stato il primo a salire sulla barca. Non
avevo avuto il tempo di capire davvero cosa volessi comunicarmi, ma c’è stato
un attimo in cui il mio cervello aveva smesso di processare perché a essere
onesto, anche se avevo già intuito che la tua non fosse soltanto gratitudine,
non pensavo avessi il coraggio di dirlo di fronte a tutti. Quindi… insomma, se
abbiamo visto quel carro con le colombe e siamo entrati qui dentro vuol dire
che le tue parole significavano qualcosa, e vorrei che me lo dicessi una volta
per tutte… Per te, per me e per questi fiori».
Abbacchio si toccò dove prima c’era stata la mano di Bucciarati e trasse un
respiro profondo. Una cascata di ciocche cenere² accompagnò il chinarsi della
testa per guardare la fonte della propria serenità. Dalla gola uscì una voce
bassa, arrochita da anni di disperazione.
«Non saprei dirti quando è cominciata, però posso dirti che sei il primo uomo che
mi ha fatto dubitare dei miei gusti³… Quello che ho condiviso con te mi ha
fatto rivalutare il senso della mia vita e in virtù di questo non potevo lasciarti
da solo su quella barca. Anzi, non volevo, perché se tu fossi andato via prima
di me non so cosa avrei fatto, come l’avrei affrontato… La mia vita non avrebbe
più avuto senso e… scusa».
Il groppo alla gola che aveva represso a fatica era tornato a fargli male, più
insidioso di prima. Comprendendo quanto gli stesse costando esprimere a voce i
propri sentimenti, Bucciarati non seguitava a non profferire replica, con la
testa sempre sul suo grembo e la pazienza di chi si era conquistato l’immobilità
dell’eternità. A un certo punto gli prese la mano e se la portò al petto, e a
essa intrecciò le proprie come per infondergli coraggio.
Dio, quanto avrebbe voluto baciarlo.
«Mannaggia a te, sei adorabile» Abbacchio tirò su col naso e si passò la manica
sugli occhi lucidi «resti sempre un fetente, ma sei adorabile».
Il sorriso riaffiorò tra le labbra di Bucciarati. Il continuo intrecciarsi,
strecciarsi e ricercarsi delle mani comunicavano quello che era impossibile
esprimere verbalmente.
«Continua, ti prego» lo esortò.
«La fai facile…» Abbacchio lasciava ancora che la sua mano venisse stuzzicata
da quelle di Bucciarati, che così sdraiato altro non voleva essere che un ventenne
qualunque accoccolato sulle gambe del fidanzato. All’improvviso gli tornò alla
memoria un episodio che in un contesto meno straniante avrebbe titillato la
curiosità o il senso del pudore di chiunque.
«Te la ricordi la nostra ultima giornata al mare?».
Bucciarati smise per un attimo di giocare con la sua mano e lo guardò con le
sopracciglia inarcate. Gli riuscì di scorgerlo dischiudere le labbra e
inumidirle fugacemente con la punta della lingua.
«Scherzi? È stato lì che ho capito che non me la raccontavi giusta»
«Ok, è una domanda stupida, ma non mi viene in mente altro per riprendere il
discorso senza diventare una fontana» sbuffò Abbacchio che non sapeva se
sentirsi nervoso o semplicemente confuso «quando io e te ci siamo appartati con
quella ragazza conosciuta in spiaggia e abbiamo iniziato a farci sesso… e
mentre lei ti stava sopra ha spinto la mia testa contro la tua perché… e
avevamo paura che qualcuno della squadra ci scoprisse… come siamo riusciti a
far finta di dormire in tenda ancora non me lo spiego»
«È stato un bel bacio» commentò Bucciarati incrociando le gambe, il respiro
leggermente più pesante «ci avevi messo entusiasmo».
Abbacchio deglutì rumorosamente.
«Mi ero fregato da solo, dovevo intuire che da lì avevi capito tutto» distolse
lo sguardo dai mazzi di fiori candidi posati vicini, decisamente non adatti per
la piega che aveva assunto il discorso «non ho avuto il coraggio di chiederti
di ripetere l’esperienza, con o senza terza incomoda… L’ambiente in cui ci
eravamo ficcati e le voci che avrebbero iniziato a girare… era troppo pericoloso.
Però mi era sempre rimasto il tarlo di volerlo rifare perché così almeno avrei
avuto una buona scusa per… insomma, ficcarti di nuovo la lingua in bocca e
toccarti, anche se non ti avrei detto che quello non era solo sesso mi sarebbe
bastato lo stesso».
Bucciarati si sistemò meglio sul grembo di lui. Impercettibilmente ma
inevitabilmente, la flemma che lo contraddistingueva lo stava abbandonando e a
comunicarglielo erano soprattutto le gambe tenute ostinatamente accavallate.
«Però adesso non devi più accontentarti del sesso, o sbaglio?» nel porre la
domanda, Bucciarati gli aveva posato la mano sul petto, sotto i lembi visibili
della lingerie. La proiezione psichica dei polpastrelli fecero percepire ad
Abbacchio il ritmo irregolare del cuore.
«Mmh, no» la mano libera andò a insinuarsi tra la fronte e la frangetta di
Bucciarati, scoprendola accaldata e leggermente sudata «Ti ripeto, non so
quando ho iniziato a provare interesse nei tuoi confronti, ma quando ti ho
baciato… porca… porca miseria Bruno, mi piaci, mi piaci da impazzire e voglio
passare il resto dell’eternità con te perché tu sei il mio paradiso, la mia
pace… Sei tutto».
Ecco, finalmente lo aveva detto. Peccato – o per fortuna? – che la tempesta
fosse solo cominciata.
«Santiddio che chiavica di dichiarazione che ho fatto» si affrettò ad
aggiungere cercando di sdrammatizzare. Trattenersi dal piangere gli stava
costando una fatica immane e sicuramente di lì a poco avrebbe ceduto.
Bucciarati sorvolò sulla battuta. Si alzò e avvicinò il volto a quello del
confessore, che trattenne il fiato una volta realizzato quanto i loro nasi
fossero vicini. Lo vide indugiare con lo sguardo sulle labbra serrate e poi
espresse a voce il motivo per il quale provasse tanto timore del giardino di
Mitra.
«Sai che le colombe bianche sono visibili solo agli innamorati?» gli prese il
mento tra le dita per costringerlo a guardarlo in faccia «Ti avevo detto più di
una volta che le vedevo assieme a te, ma non c’era verso di farti cambiare idea
in quella testa dura che tieni. Non volevi entrare perché avevi paura di essere
felice una buona volta, non è vero? Perché in cuor tuo sentivi di non
meritartelo».
La fronte di Bucciarati toccò quella di Abbacchio; ormai i respiri si stavano
rompendo sotto il peso degli anni passati a trascurare la loro parte più umana,
e tutto per il bene di un disegno del quale non avevano scelto di far parte.
Un rivolo salato percorse la linea della mandibola e bagnò il pollice di
Bucciarati.
«Quando ti ho visto con quel buco al petto» proseguì quest’ultimo con la voce
sempre più incrinata «e abbiamo dovuto lasciarti da solo, in realtà su quella
spiaggia avevano ammazzato me, anche quando… quando Narancia se n’è andato, me
n’ero andato io, perché siete la mia cosa più preziosa, tu sei la mia cosa più
preziosa… e dovevo stare al mio posto perché non potevo lasciarmi andare, non…».
Altre lacrime sopraggiunsero a spegnergli in gola le ultime parole,
sovrapponendosi a quelle di Abbacchio. Una mano affondò nel caschetto, mentre
l’altra andò ad asciugargli il ciglio da una goccia, e purtuttavia, anche con
quel gesto, non poterono evitare di assaggiare il mescolamento del loro dolore a
lungo sottaciuto attraverso il contatto con le labbra, dapprima cauto, dopo
sempre più profondo, più fisico, più intimo, e mentre le lingue erano intente a
esplorarsi a vicenda non si accorsero inizialmente dello spiraglio d’uscita
creato dallo stesso labirinto che li aveva intrappolati.
Quando si separarono per prendere fiato i sospiri di angoscia si erano
trasformati in fame di desiderio. Fu allora che entrambi scorsero la luce che
li avrebbe indirizzati fuori.
Si guardarono in volto: gli occhi erano gonfi e le ultime lacrime fuggiasche
rigavano le gote, ma non avevano più voglia di tornare a rivedere il sole, o
perlomeno, ad Abbacchio non interessava più uscire da lì. A un certo punto vide
che le gambe di Bucciarati erano ancora serrate, per cui ebbe l’idea di
afferrargli una caviglia per invitarlo a mettersi a cavalcioni sopra di lui.
«Che hai da nascondere? Vieni qua, non farti pregare»
«Devo per forza?» Bucciarati arrossì violentemente. Vederlo così era uno
spettacolo unico.
«Dai» la voce di Abbacchio era appena un mormorio impastato dalle lacrime,
mentre lo tirava a sé per mordergli il labbro «guarda che non mi offendo se mi dimostri
il tuo affetto».
Seppur con qualche esitazione, avvertì il peso del busto scivolargli sul bacino
e il cavallo dei pantaloni di Bucciarati gonfio contro il proprio inguine.
«Mi sono fatto sgamare» ridacchiò piano nascondendo il volto nell’incavo del
collo di Abbacchio, che ne approfittò per infilargli una mano sotto la giacca dove
c’era il pizzo nascosto.
«Che fai, ti vendichi?» sentì dire col fiato spezzato, le labbra gonfie per il
morso di prima che gli sfioravano la clavicola «è colpa tua e dei tuoi ricordi sul
sesso a tre»
«Se vuoi, appena finiremo noi due da soli» gli sussurrò Abbacchio all’orecchio
«possiamo cercare quelle sacerdotesse cretesi⁴ che ci avevano invitato a
entrare quando ci hai raggiunti per la prima volta»
«L’importante è che stavolta tu non fugga…» gli rinfacciò per scherzo
Bucciarati, la sua voce ridotta a un soffio «Avevano tutte diciott’anni ma sono
più vecchie di Cristo».
Abbacchio riuscì nell’impresa di sbottonargli la giacca con le mani che tremavano,
dimentico della propria condizione di fantasma e della miseria che si era
trascinata dal mondo dei vivi; l’avrebbe abbandonata sull’erba del labirinto. Quando
lui e l’amante presero a togliersi i vestiti non fecero nemmeno caso alle altre
lacrime che caddero dal cielo e che li accompagnarono lungo il vero ingresso del
paradiso, quello della psiche.
E lì sarebbero rimasti per sempre.
***
¹Secondo Treccani, il dio Mitra «garantisce i patti e protegge i giusti». Era venerato sia in Oriente che presso gli ellenici e i romani ed era una figura fondamentale nei culti misterici; si ipotizza fosse anche il dio dell'amicizia. Spulciare Wikipedia per saperne di più. L'accostamento con le viti è dovuto all'identificazione con Dioniso/Bacco («In vino veritas»).²Irl l'ho sempre immaginato biondo cenere.
³Sorry not sorry, nella mia headcanon ritengo che Abbacchio e Bucciarati siano attratti sia da donne che da uomini. La tesi è avvalorata ancor di più dal fatto che in Purple Haze Feedback si faccia accenno alle tante donne con cui Abbacchio è stato prima di entrare nella squadra.
⁴Non si conosce molto della civiltà minoica, ma una delle ipotesi riguardo la condizione femminile è che le donne, almeno quelle di status sociale elevato, fossero piuttosto emancipate. Come testimoniato dalla statuina della "signora degli animali", il loro abito tradizionale prevedeva il seno scoperto. Click per ulteriori info.
Musica in Jojo: Freelove è il terzo estratto di Exciter, il decimo album in studio dei Depeche Mode, usciti entrambi nel 2001. Proprio quest'album, assieme a Ultra, sono stati la mia fonte di ispirazione durante la stesura, quindi se avete letto tal pezzone di letteratura ringraziate zio Dave e soci. Trovo che sia la canzone capolista della playlist che l'LP per intero siano una perfetta descrizione della Bruabba, quindi se volete dargli un ascolto cliccate qui, vi assicuro che non ve ne pentirete.
Retroscena: Chattando con alcuni appassionati che leggono Jojo da più tempo di me, è saltato fuori che anche secondo loro Abbacchio ha preso una sbandata per Bucciarati. Credo sia stato quello scambio di pareri, unito alla lettura, seppur in alcuni punti la sottoscritta non concorda con la visione dell'autore, di questo bell'articolo sulla mascolinità non tossica di Jojo a darmi la spinta propulsiva per scrivere quello che avete appena letto. Tutto sommato mi sono divertita a immaginare quei due in una situazione del genere, volevo dare un contributo leggermente diverso all'immagine che si ha solitamente di questo paring e ho iniziato pensando una ipotetica confessione tra i due nell'unico luogo in cui potranno mai essere felici davvero: l'aldilà. Questo perché credo che solo nella morte possano tirare fuori le loro vere essenze di ventenni a cui è stato tolto tutto e che non desiderano altro che la pace.
Prima di salutarvi vi comunico che domenica 15 agosto non ci saranno aggiornamenti. Il penultimo racconto sarà pubblicato alla fine della settimana successiva.
Grazie come sempre per aver letto, recensito e seguito. Un abbraccio e buone vacanze.