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Autore: Nana_13    11/08/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12

 

Lezioni dal passato 


“Ecco! Ci siamo!” esclamò Margaret esultante. “Ora cerca di non perderla, mantienila accesa!”

Con uno sforzo notevole Rachel si focalizzò sulla sfera di fuoco sospesa a mezz’aria, concentrando tutte le sue energie nel tentativo di non farla spegnere come le volte precedenti. 

“Piano, Rachel. Dosa la forza.” 

-È una parola- pensò, mentre con un respiro profondo cercava di incanalare lungo tutto il corpo la magia che sentiva scorrere nelle braccia. Era trascorsa più di una settimana ormai dalla scoperta del suo elemento e, dopo aver superato la prima fase, ora si stava dedicando alle altre due, concentrazione e controllo, che in realtà andavano di pari passo. Margaret generava sfere di fuoco che lei doveva bloccare e mantenere in aria per qualche minuto, senza spingersi troppo oltre da spegnerle. All’inizio non riusciva a dosare la magia e le perdeva subito, ma a furia di tentativi stava cominciando ad assumere sempre più il controllo dei propri poteri e ad affinare le sue capacità. Solo la sua precettrice non sembrava mai soddisfatta e continuava a spronarla affinché facesse sempre di più.

“Forza, puoi farcela! Ricorda: cuore, concentrazione, controllo. La prima fase è andata, ora devi superare i tuoi limiti.”

“Lo so, me l’hai già detto una ventina di volte!” replicò, la voce rotta dalla fatica. Non si riposava da ore e la stanchezza iniziava a farsi sentire, ma mise da parte quel pensiero e si concentrò solo sulla magia, riuscendo infine a mantenere il fuoco acceso per il tempo che si erano prefissate. Ce l’aveva fatta.

Con un semplice gesto, Margaret richiuse le dita a pugno e la fiamma si spense all’istante, permettendole di interrompere il flusso. “Complimenti, mia cara. Sei stata brava.” si congratulò soddisfatta, prima che il suo sorriso si spegnesse lentamente. “Rachel…”

Ormai allo stremo, la vista le si annebbiò, sentì cedere le gambe e sarebbe crollata a terra se Margaret non l’avesse sostenuta. 

“D’accordo, è giunto il momento di riposare.” riconobbe, accompagnandola a sedersi e affrettandosi poi a portarle dell’acqua. 

Mentre beveva una lunga sorsata e ritrovava la lucidità, Rachel rifletté sul fatto che fosse la prima volta dall’inizio dell’addestramento che le capitava di svenire. Certo, ogni sera aveva la sensazione che un esercito di carri armati le fosse passato sopra, ma addirittura perdere i sensi…

D’un tratto avvertì la necessità di esternare le sue preoccupazioni. “Perché la magia mi fa quest’effetto?” chiese, mentre svuotava avida la bottiglietta. “È come se mi risucchiasse le energie. Mi sento sempre così stanca…”

Vide Margaret esitare un istante; poi lasciò perdere quello che stava facendo e le si sedette accanto. “È del tutto normale i primi tempi. Il tuo corpo non è abituato all’uso prolungato dei poteri e ad ogni modo devi tener presente che la magia ha sempre un prezzo.”

Rachel alzò un sopracciglio, spaesata. “Un prezzo?”

Lei annuì. “Si tratta di qualcosa che attinge energia direttamente dalla nostra forza vitale, dunque è necessario fare attenzione nell’utilizzarlo. Bisogna servirsene con moderazione.” spiegò, seria in volto. 

-Non promette bene...- “Se sono così stanca solo per aver fatto levitare una fiammella, non credo che arriverò molto lontano.” disse Rachel, abbassando lo sguardo amareggiata.

“Non arrenderti tanto facilmente, sei ancora alle prime armi. Ne hai di strada da fare.” la incoraggiò Margaret. “Inoltre, hai il mio stesso sangue nelle vene. Non dimenticarlo.”

Il tono fiero e compiaciuto con cui lo disse la fecero sorridere, anche se ben presto l’ansia tornò a tormentarla. “Sì, ma non sono te. Potrei non migliorare abbastanza in fretta per la pozione…”

Margaret però la afferrò per le spalle, interrompendo le sue paturnie e spingendola a guardarla negli occhi. “Ora ascoltami. Non è sulla pozione che dobbiamo concentrarci al momento, ma su di te. Non è prudente esagerare con l’addestramento e stavolta non ho intenzione di commettere gli errori del passato.” 

Dalla sua espressione Rachel intuì che si fosse appena resa conto di aver parlato a sproposito. “Che vuoi dire?” le chiese perplessa.

Lei distolse lo sguardo. Si vergognava di qualcosa, era evidente. Quindi si abbandonò a un sospiro, arrendendosi all’inevitabile. “Ricordi che vi raccontai di aver perso mio marito e mia figlia a causa di un’epidemia di vaiolo?”

Rachel annuì.

“Non sono stata del tutto sincera. Isabel morì di malattia sì, ma il suo corpo era già provato dall’eccessivo utilizzo della magia.” rivelò, per poi voltarsi e assistere all’espressione sconcertata della sua allieva.

“Aspetta un attimo… Tua figlia era una strega?” boccheggiò allibita. “Non avevi detto di aspettare da secoli che la tua erede si manifestasse?” 

“Infatti è così. Dopo la sua nascita, mi accorsi che in lei scorreva un potere simile al mio. Non altrettanto potente e comunque neanche paragonabile al tuo, ma pensai che addestrandola personalmente ne avrei fatto un’ottima strega. La mia speranza era di ripristinare una nuova cerchia e insieme di poter muovere contro coloro che avevano sterminato i Danesti.”

A Rachel però premeva di sapere altro. “E poi cos’è successo? Perché dici che è stata la magia a ucciderla?” domandò fremente. Forse rischiava di apparire indelicata, ma doveva sapere.

Lo sguardo della donna si fece ancora più cupo. “Sono stata io.” confessò allora. “Anche se indirettamente, la responsabilità è mia. Accecata dalla sete di vendetta, spinsi mia figlia oltre un limite che non era in grado di superare. Pretesi troppo da lei, non mi accorsi neanche che i suoi poteri la stavano consumando, o semplicemente mi rifiutavo di vederlo. Se non l’avessi forzata in quel modo, forse avrebbe potuto sopravvivere alla malattia. Era così giovane…” A quel punto, la voce le tremò e fu costretta a interrompersi per evitare di piangere. 

Rachel si sentì subito invadere dal senso di colpa e si rese conto che avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi. Ora non trovava le parole per consolarla, ammesso che ce ne fossero, così sollevò lentamente la mano e la posò su quella di Margaret con fare comprensivo. “Mi dispiace molto.” Fu la sola cosa che riuscì a dire.

Lei scosse la testa, rassicurandola con lo sguardo. “Sono passati tanti anni. In effetti, è la prima volta che mi capita di raccontarlo a qualcuno. Nemmeno Ayris ne è al corrente.” Poi fece una breve pausa, in cui sembrò riacquistare il controllo di sé. Dopotutto era una donna forte, la più forte che Rachel avesse mai conosciuto. “Ho trascorso decenni tormentata dal rimorso e ora che tu sei qui non permetterò che accada di nuovo. Non rischierò di perderti come ho fatto con Isabel.” sentenziò risoluta.

Rachel le sorrise, grata che si preoccupasse tanto per la sua salute. A vederla sembrava avere al massimo una decina d’anni più di lei, eppure in quel momento emerse tutto il peso della sofferenza che le sue spalle erano costrette a portare da secoli. Tutto a un tratto, si sentì quasi in dovere di impegnarsi per migliorare. Doveva farlo per Claire, ma anche per onorare la memoria di Isabel. Così si alzò, infusa di nuova energia, e guardò Margaret con aria decisa. “Allora, riprendiamo?”

 

Intanto, a diversi metri di distanza, Dean e i ragazzi proseguivano con gli allenamenti nel retro del cottage. Juliet questa volta era rimasta in casa ad aiutare Ayris, rassicurandoli che non avrebbe rinunciato del tutto, ma soltanto rallentato un po’. 

Dopo la consueta sessione di riscaldamento, Dean propose di provare uno scontro corpo a corpo contro di lui, stabilendo che fossero abbastanza pronti. 

Mark, però, non sembrava altrettanto convinto. “Ne sei proprio sicuro?” 

“Non preoccuparti, farò in modo di commisurare la mia forza alla vostra.” lo rassicurò, intuendo i suoi timori. Detto ciò, si mise in posizione, invitando Mark a fare lo stesso. Quindi attese che fosse lui a fare la prima mossa. Con discreta soddisfazione scoprì che era molto migliorato, probabilmente anche grazie agli insegnamenti dei guerrieri Jurhaysh, per quel poco che aveva potuto usufruirne, e non ebbe bisogno di correggerlo troppe volte. Tuttavia, le differenze nello stile di combattimento si sentivano e comunque Mark non era ancora neanche lontanamente alla sua altezza, così dopo qualche minuto riuscì ad atterrarlo con il minimo sforzo. 

“Non male.” gli concesse, mentre lo aiutava a rialzarsi. 

Un po’ ansante, lui abbozzò un sorriso e un grazie.

“Okay, adesso tocca a me.” disse Cedric con aria fin troppo baldanzosa per le sue reali capacità.

Dean lo sapeva bene, ma preferì lasciarlo cuocere nel suo brodo. Che non vedesse l’ora di sfidarlo glielo si leggeva in faccia ed era divertente vederlo così sicuro di sé. 

Le sue previsioni trovarono conferma non appena iniziarono a scontrarsi. I movimenti di Cedric erano inesperti e per lo più dettati dal desiderio spasmodico di colpirlo. L’astio che provava nei suoi confronti si percepiva a pelle. Tentò più volte di avvertirlo che stava sbagliando, ma lui non sembrava neanche ascoltarlo, finendo per sfinirsi prima del tempo. 

Nessuno dei suoi colpi riuscì ad andare a segno, finché Dean non approfittò di una falla nella posizione delle sue gambe per metterlo definitivamente fuori combattimento. Con un rapido movimento inserì il piede nello spazio rimasto scoperto e lo mandò al tappeto in meno di un secondo. 

“Questo è successo perché tenevi tutto il peso del corpo su una gamba sola.” spiegò Dean in tono neutro, guardandolo severo dall’alto. Nonostante tra loro non fosse mai corso buon sangue, non provava la minima soddisfazione per averlo steso. “Inoltre, in combattimento è consigliabile usare tutti gli arti a disposizione, non solo quelli superiori.” aggiunse.

“Sta zitto.” sibilò Cedric tra i denti, per poi fare leva su entrambe le braccia per rimettersi in piedi, pronto a battersi di nuovo. 

Aveva tenacia, Dean dovette riconoscerlo, ma purtroppo in certi casi non era sufficiente. Così lo assecondò mentre cercava disperatamente di rifarsi, senza il minimo risultato. Tutti i suoi colpi venivano schivati con una facilità estrema e più falliva più la sua rabbia si alimentava. A un certo punto perfino Mark gli gridò di farla finita, che stava esagerando, ma lui lo ignorò del tutto. 

Andarono avanti in quel modo per un bel pezzo, poi Dean decise che era arrivato il momento di darci un taglio. Quando vide arrivare il pugno di Cedric diretto alla sua faccia, agì al solito più rapidamente e le sue dita si serrarono come una morsa attorno alla mano dell’avversario. Dopodiché gli torse il braccio dietro la schiena e spinse fino a farlo cadere di nuovo a terra. Stavolta però rimase sopra di lui, impedendogli di muoversi. 

Mentre si agitava invano tentando di liberarsi, Cedric emise un ruggito di protesta, prima che Dean si chinasse su di lui per sussurrargli all’orecchio. “Vedi? È questo il tuo problema: non ascolti.”

“Levati di dosso o giuro che…”

Di qualunque cosa intendesse minacciarlo, erano solo parole a vuoto. Ad ogni modo, Dean lo accontentò, alzandosi e mollando la presa sul suo braccio. Non lo fece certo per paura, ma perché riteneva che per quel giorno fosse meglio chiuderla lì. Sportivamente gli offrì la mano per aiutarlo a rialzarsi, cosa che Cedric non accettò, preferendo fare da solo. 

“Io ascolto, ma forse è chi insegna a non essere capace.” lo provocò, spolverandosi residui di terra e polvere dai vestiti.

-Ovviamente- pensò Dean tra sé. Non riuscendo a trattenersi dal ridacchiare, scosse la testa con un misto di amarezza e incredulità. “Correggimi se sbaglio. Non siete forse venuti voi a chiedermi di allenarvi?”

“Infatti. Adesso però non sono più tanto sicuro che sia stata una grande idea.”

“Certo, perché ti rifiuti di accettare il fatto che ti ho battuto.” replicò, senza peli sulla lingua. In genere non era un attaccabrighe, non lo era mai stato. Anzi, nei limiti del possibile aveva sempre cercato di evitare i conflitti, eppure Cedric e la sua testa dura riuscivano a far perdere la pazienza anche a lui.

L’occhiata fulminante che lo vide rivolgergli non lo intimorì minimamente, ebbe solo il potere di fomentarlo ancora di più. 

“E dai, basta. Sembrate due oche che si beccano per un tozzo di pane.” intervenne Mark, tentando di sdrammatizzare. 

Cedric fece per ribattere, ma a quel punto per fortuna arrivarono Rachel e Margaret, di ritorno dal laboratorio nella grotta. 

“Che succede?” chiese Rachel, a cui da lontano era sembrato di sentirli discutere.

Contento di vederla, Mark le andò incontro, accogliendola con un largo sorriso. “Niente di che. Stavamo per rientrare.” Poi si voltò verso l’amico, fissandolo eloquente. “Vero, Ced?”

“Seh.” mugugnò lui, piegando la bocca in una smorfia, prima di precederli dentro casa, dove trovarono Juliet e Ayris alle prese con erbe e altri ingredienti vari sparsi sul tavolo da pranzo.

“Ah, giusto in tempo!” fece Juliet allegra appena vide Dean. “Tieni, assaggia.” Gli porse un bicchiere di una sostanza verdastra e dalla consistenza viscosa, che avevano da poco finito di preparare. Alla fine, lei e Ayris avevano raggiunto un accordo: in cambio delle sue lezioni di cucina, le avrebbe insegnato a mettere insieme gli ingredienti per il decotto che permetteva a Dean di fare a meno del sangue. 

Un po’ confuso, lui lo portò lentamente alle labbra, anche se esitò qualche istante prima di bere. 

“Abbiamo aggiunto degli ingredienti e diminuito le dosi di quelli già presenti nella miscela.” spiegò Ayris. “In questo modo dovremmo averne aumentato l’efficacia.”

Juliet lo osservò mentre mandava giù un sorso, ansiosa di ricevere il suo responso. “Allora? Il sapore è migliorato?”

Dean abbozzò un mezzo sorriso dispiaciuto. “Sinceramente?” chiese cauto.

Afferrata l’ironia, d’un tratto tutto l’entusiasmo sul volto della ragazza si spense. Ci si era messa d’impegno per rendere quell’intruglio un po’ più accettabile, invece a quanto pareva la situazione non era poi cambiata granché.

“Meglio di prima lo è di sicuro, ma dubito che possa essere peggio. Perciò non preoccuparti.” si affrettò a dirle, vedendo la sua delusione. 

“Non te la prendere, Juls. Lo sai quant’è difficile soddisfare Mister Perfettino.” si intromise Cedric sarcastico, baccandosi subito un’occhiataccia da Mark.

“Piantala.” lo ammonì severo, per poi seguirlo con uno sguardo di disappunto mentre si dileguava al piano di sopra, ignorando del tutto i suoi rimproveri.

Juliet guardò subito Dean con aria interrogativa, ma lui minimizzò scuotendo appena la testa, come a dire di non farci caso, così lasciò perdere. In effetti, c’era altro di cui voleva parlargli, una cosa a cui pensava da qualche giorno e che ora con la storia della miscela di erbe si era fatta più pressante. Il problema era che si trattava di un argomento piuttosto delicato e non sapeva se lui fosse disposto ad affrontarlo. Come se non bastasse, avevano fatto pace da poco e non le andava di guastare tutto un’altra volta. 

Persa nei suoi mille ragionamenti, non si rese nemmeno conto di avere un’espressione un po’ assente, cosa che naturalmente a Dean non sfuggì. 

“Va tutto bene?” le chiese, quasi in un sussurro per non attirare troppo l’attenzione degli altri.

Juliet allora si riscosse. “Sì, tutto bene.” Annuì convinta, mentre dentro stava maledicendo la sua perspicacia. Da quella sera in cucina poi, sembrava molto più attento a ogni suo minimo cambio di atteggiamento.

Come immaginava, infatti, non le riuscì di convincerlo. Tuttavia, prima che potesse dire qualsiasi cosa, con nonchalance lo prese per mano, approfittando del fatto che tutti fossero impegnati in altre faccende per guidarlo nel salotto vuoto. 

Dean la seguì senza fare domande, ma dalla faccia era evidente che ne avesse. 

Una volta certa che avessero un po’ di privacy, Juliet diede fiato ai pensieri. “Devo parlarti di una cosa. È… piuttosto importante.” 

L’esitazione nella sua voce dovette impensierirlo, anche se non lo diede troppo a vedere. “Di che si tratta?” chiese serio.

“Stavo pensando…” Juliet tentennò ancora, indecisa sul modo migliore per non essere fraintesa. “Hai considerato l’idea di poter diventare umano?” Alla fine, optò per andare dritta al punto. Via il dente via il dolore.

Prevedibilmente, Dean rimase a guardarla interdetto, attendendo che si spiegasse meglio.

“Insomma… Se Rachel riuscisse a produrre questa “cura”, potresti prenderne un po’ anche tu e non avresti più il problema del plenilunio...”

“Okay, okay. Ho capito.” Sollevando la mano, la fermò prima che andasse oltre; poi distolse lo sguardo verso il vetro appannato della finestra, d’un tratto sovrappensiero. “In effetti, avevo già valutato questa opzione.” ammise infine.

“Ah…” Juliet ne rimase un po’ ferita. “E pensavi di dirmelo, oppure…”

“Non te ne ho parlato perché non sono così sicuro che la cosa sia realmente fattibile.” si giustificò lui con un sospiro. “Dubito che esista davvero qualcosa capace di invertire il processo. Per non parlare dei progressi di Rachel…”

“Ce la sta mettendo tutta. Ha solo bisogno di tempo.” replicò, risentita per quella mancanza di fiducia da parte sua. In fondo, Rachel aveva scoperto di essere una strega solo da un paio di settimane e già si pretendeva da lei che facesse miracoli. 

Dean annuì, sempre continuando a non guardarla. “Sì, è solo che…” disse esitante. “L’essere vampiri è una questione genetica, Juls. Io sono nato così, come può una semplice bevanda cambiare quello che sono sempre stato?”

Dunque erano quelle le sue perplessità. Non credeva che la pozione avrebbe potuto mutare la sua natura. Oppure c’era dell’altro? Juliet sospettava di sì. “Capisco i tuoi dubbi, ma qui si parla di magia. Non puoi pretendere di trovare sempre una spiegazione logica per tutto.”

“Beh, forse allora non si tratta solo di questo.” disse infatti Dean, evasivo.

Stanca di quei continui misteri, lei allora gli prese la mano, spingendolo a guardarla di nuovo negli occhi. “E allora cosa? Cos’altro c’è? Parla Dean. Possibile che debba sempre tirare a indovinare ciò che pensi, come ti senti o quello che provi? Io mi sono sempre sforzata di essere un libro aperto, mentre tu…” esitò. “So così poco di te.” Non sapeva con esattezza da dove le uscisse tutto quel coraggio, ma sentiva di dover sfruttare l’occasione per affrontare certi nodi ancora irrisolti tra loro. 

“Sai che non sono un tipo estroverso.” 

“Sì e non ti ho mai chiesto di diventarlo, ma a volte mi piacerebbe conoscere qualcosa in più su di te. Perché odi tanto essere un vampiro, tanto per cominciare.” Una prima risposta, quella più scontata, la sapeva anche lei, tuttavia sentiva che c’era qualcos’altro e voleva scoprire di che si trattava. Giorni prima, quando aveva bevuto il sangue offerto da Margaret, si era accorta della sua espressione. Sembrava molto poco propenso a servirsene, nonostante fosse consapevole di averne bisogno.

Lì per lì spiazzato, Dean aggrottò leggermente la fronte. “Cosa ti fa pensare che odi essere un vampiro?” ribatté poi, prendendola in contropiede. Non sembrava offeso o arrabbiato, solo curioso.

Juliet si aspettava di tutto tranne quella domanda. “Beh, non saprei…” mormorò. “Non dai l’impressione di viverla bene.” Ma perché le aveva risposto con un’altra domanda? Non era la prima volta che le capitava in una conversazione con lui e pensò che fosse un suo modo di sviare il discorso. Comunque, aveva idea che l’argomento lo stesse mettendo un po’ in difficoltà. Si vedeva che non sapesse bene come controbattere. 

“Non è esatto dire che lo odio.” disse infine. “Essere come me ha i suoi lati positivi, ad esempio riuscire a proteggere le persone a cui tieni quando serve. Piuttosto mi rendo conto che, se fossi umano, la mia vita sarebbe di gran lunga più semplice e di certo molto meno ingombra di sensi di colpa.” spiegò.

Juliet approfittò subito dell’assist che le aveva dato. “Appunto. Dovrà pur essere successo qualcosa per sentirti così. Se me ne parlassi, magari potrebbe aiutarti a sentirne meno il peso.” suggerì.

Dean esitò un istante. “Sei proprio sicura di volerlo sapere?” le chiese poi. “Potrebbe cambiare notevolmente l’opinione che hai di me.”

Lei annuì con decisione, sedendosi sul divano per spingerlo a confidarsi. Non aveva intenzione di arretrare di un millimetro.

Dalla faccia non sembrava ancora convinto, ma alla fine le si sedette accanto, abbandonandosi a un sospiro. “D’accordo.” cedette, prendendosi qualche secondo per raccogliere le idee. “Diversi anni fa ero con Mary in una cittadina nei dintorni di Parigi. Era plenilunio. All’epoca ci piaceva sfidarci a chi riusciva a nutrirsi per primo, così giravamo per le città in cerca di prede facili, per poi vantarcene reciprocamente.” 

Juliet lo ascoltava in silenzio, osservandolo attenta mentre ripercorreva con la mente gli eventi del passato. Malgrado la crudezza del suo racconto, non diede segno di volerlo giudicare. Si vedeva lontano un miglio che fosse il primo a non andarne fiero.

“A un certo punto ci dividemmo, per ritrovarci come di consueto a cose fatte. Io scelsi una casa un po’ isolata dalle altre, per non dare troppo nell’occhio. La serratura della porta sul retro era vecchia, non fu difficile entrare. Così mi nascosi in cucina, in attesa…” Fece una breve pausa, per poi riprendere. “Dopo qualche minuto vidi arrivare una donna. Forse era scesa per un bicchiere d’acqua, non lo so. Era buio, non mi sentì nemmeno scivolarle alle spalle.”

Non concluse il discorso per risparmiarle i dettagli troppo macabri, ma Juliet riuscì comunque a intuire il resto. 

“Avevo appena finito, quando sentii altri rumori. Alzai lo sguardo ed era là che mi fissava. Un bambino. Avrà avuto sì e no cinque anni. Guardava me, chino sul corpo di sua madre, sporco del suo sangue.” continuò, lo sguardo perso nel tunnel dei ricordi. Sembrava che si rivedesse quella scena davanti, anche a distanza di tutto quel tempo, ed era palpabile la vergogna che quelle azioni ancora gli suscitavano.

“La cosa peggiore è che, prima di rendermene conto, sarei stato pronto ad aggredire anche lui, preso com’ero dall’euforia della caccia. Per sua fortuna, riuscii a dominarmi e a fuggire, ma da quel momento giurai a me stesso che non avrei più preso parte a tutto questo. Niente più cerimonie del plenilunio, niente gare di omicidio, niente Rosemary… Sapevo di non poter smettere di bere sangue umano, a meno che non mi fossi ucciso, ma chissà perché sono sempre stato attaccato alla vita. Perciò l’unica cosa da fare era continuare a nutrirmi in silenzio, senza inutili spargimenti di sangue. Quindi sì, la prospettiva di una pozione che metta fine a questo modo di vivere per certi versi mi alletta, e non poco. Tuttavia, è sempre meglio non farsi troppe illusioni.” concluse, con una punta di amarezza nella voce.

Travolta da un tumulto di emozioni, Juliet non ci pensò più di tanto prima di coinvolgerlo in un abbraccio di conforto, che lui ricambiò subito. 

“Mi dispiace tanto.” gli sussurrò, senza riuscire a trattenere le lacrime. Guardare un bambino negli occhi dopo aver ucciso sua madre… Non faticava a capire perché non riuscisse a convivere serenamente con la sua natura.

Dopo aver sciolto l’abbraccio, Dean le prese il viso tra le mani e i loro sguardi si incontrarono. Sul suo volto si dipinse un sorriso intenerito. “Ecco, hai visto? Anche stavolta sono riuscito a farti piangere.” scherzò, mentre le asciugava le guance con entrambi i pollici.

Juliet tirò su col naso, rispondendo timidamente al sorriso. “È colpa mia. Faccio sempre la figura della piagnucolona, mi odio.”

Per tutta risposta, Dean ridacchiò divertito. “Ho sbagliato a raccontartelo. Ora chissà cosa penserai di me.” 

“In questo momento provo solo disprezzo per chi ti ha fatto una cosa simile.” 

“Nessuno mi ha costretto, Juls. Ero perfettamente consapevole quando ho ucciso quella donna, così come tutti gli altri prima di lei.”

Lei scosse la testa, rifiutandosi di accettare che si attribuisse la colpa di tutto. “No, invece. Eri vulnerabile e ne hanno approfittato per farti fare cose che oggi non ti sogneresti nemmeno. In realtà, non sei come volevano che fossi. Tu sei migliore di loro e nessun episodio del passato potrà farmi cambiare idea.” sentenziò risoluta.

Negli occhi di Dean lesse gratitudine, ma anche orgoglio e, pur restando in silenzio, gli bastò guardarla così perché le farfalle nel suo stomaco iniziassero a svolazzare allegre. L’attrazione che provava era davvero difficile da controllare e sentiva lo stesso da parte sua. Puntualmente le faceva dimenticare qualsiasi motivo, grande o piccolo, per cui avrebbe dovuto avercela con lui e ricordava solo quelli per cui lo amava.

Dean si avvicinò, facendo per baciarla, prima di fermarsi a metà strada. “Non voglio che ci siano più segreti tra noi.” le sussurrò.

Juliet non avrebbe potuto non essere d’accordo. “Niente più segreti.” ripeté, per poi chiudere gli occhi e lasciarlo fare.

Purtroppo quel momento idilliaco non durò a lungo, perché Dean tornò a ricomporsi non appena sentì le voci di Mark e Cedric, che stavano scendendo dal piano di sopra. Juliet avrebbe preferito che il bacio durasse un po’ di più, ma sapeva bene quanto non amasse farsi vedere dagli altri in certi atteggiamenti, quindi sospirando un po’ affranta si alzò dal divano, dirigendosi di nuovo in cucina.

Avevano da poco finito di cenare quando, presa dalla curiosità, propose a Rachel di mostrarle qualcosa di ciò che aveva imparato da Margaret, visto che durante la giornata non c’era mai modo di assistere a una delle loro lezioni. 

In un primo momento Rachel si mostrò un po’ reticente al pensiero di "esibirsi" così all'improvviso davanti alla sua maestra. Un conto era l’addestramento, in cui doveva seguire direttive precise, un altro utilizzare la magia in modo autonomo; poi, però, capì dai loro sguardi carichi di aspettative che non poteva tirarsi indietro. Con una breve occhiata cercò sul tavolo qualcosa che facesse al caso suo e vedendo la caraffa di vetro poco distante da lei le venne un’idea. Chiuse gli occhi per concentrarsi e visualizzare nella mente quello che aveva intenzione di fare, come le era stato insegnato; poi, nell’istante in cui iniziò a far roteare due dita, l’acqua contenuta all'interno prese pian piano a vorticare su se stessa, creando un piccolo mulinello che durò fin tanto che Rachel le muoveva. Quando di lì a poco, infatti, smise di agitarle, anche la superficie dell’acqua tornò calma come prima.

“Molto bene. Sul controllo stai migliorando.” si complimentò Margaret soddisfatta.

Anche Juliet e Mark si mostrarono entusiasti. Del resto, non era una cosa che si vedeva tutti i giorni e perfino Dean ne sembrava impressionato. L’unico a starsene in disparte con l’aria imbronciata era Cedric e Rachel non faticò a notarlo.

“Qualcosa non va?” indagò allora, insospettita da quello strano atteggiamento.

Lui, però, scosse la testa, continuando a fissare il tavolo. “No, figurati.” rispose, ma dal tono era chiaro che stesse mentendo.

Rachel, infatti, non si lasciò incantare e, dopo aver incrociato gli sguardi altrettanto confusi degli altri, tornò alla carica. “Se hai qualcosa da dire, fallo e basta.” lo incalzò.

Messo alle strette, Cedric alzò la testa e finalmente la guardò. “Lo vuoi proprio sapere? Okay.” acconsentì. “Sto cominciando a chiedermi quale sia il senso di tutto questo. Sono passate già due settimane e, mentre tu ti diverti a giocherellare con la magia, Claire è ancora prigioniera a Bran, ma a quanto pare sono l’unico qui a cui sembra interessare.”

“Sai che non è vero...” provò a dire Juliet, risentita.

“Giocherellare?” Rachel era rimasta ancora a quella parte e la sentì a malapena. “È questo che pensi stia facendo?” 

Punta sul vivo, anche Margaret intervenne per darle man forte. “Posso assicurarti che i suoi progressi sono notevoli. Imparare la magia richiede tempo e fatica, non si può sperare di diventare esperte in pochi giorni.” 

Se da un lato Rachel si sentiva lusingata dalle sue parole, dall’altra avvertiva un forte senso di rabbia di fronte alle assurde pretese di Cedric. Che ne sapeva di quello che stava passando e di tutta la fatica fatta per raggiungere un risultato minimamente apprezzabile? Come si permetteva di giudicarla? “Ascoltami bene, razza di idiota. Se c’è qualcuno per cui sto facendo tutto questo è proprio Claire!”

“Sì, ma ci state mettendo troppo tempo!” puntualizzò lui, gridando a sua volta per sovrastarla. “Mi avevate detto che una volta trovata Margaret saremmo stati in grado di salvarla, invece siamo ancora qui ad aspettare che Sabrina impari a essere una brava strega!”

“Okay, ora cerchiamo di mantenere la calma…” tentò Mark.

Ormai, però, Rachel era troppo infervorata per dargli ascolto. “Ma se sei stato tu a convincermi a farlo!” urlò di rimando. “Hai insistito perché ci provassi e adesso ti aspetti che in due giorni impari a controllare un potere latente che fino a ieri non sapevo nemmeno di avere? Fossi in te, farei pace col cervello!” 

“Non dico questo, ma di certo non mi aspettavo neanche di restare bloccato qui per settimane. Magari non ti stai applicando abbastanza.” sputò Cedric, altrettanto velenoso. 

Quella frase bastò a far scendere il gelo nella stanza.

Rachel ribolliva di rabbia e ultimamente non era un buon segno. Sapeva che se fosse rimasta in sua presenza un secondo di più non sarebbe riuscita a dominarsi, così fece per lasciare la tavola, decisa a toglierselo dalla vista. “Basta, non resterò qui a farmi insultare da te.” Non appena si mosse, però, venne colta da un forte capogiro, che la costrinse a reggersi al tavolo per non cadere.

“Ti senti bene?” le chiese Mark allarmato, alzandosi di scatto per andare a soccorrerla.

Con lo sguardo un po’ perso, lei annuì e si sedette di nuovo. 

“Niente paura, ha solo bisogno di riposare. La giornata è stata lunga e impegnativa.” li rassicurò Margaret pacata.

Juliet lanciò all’amica un’occhiata apprensiva. “Vuoi che ti accompagni di sopra?”

“No, preferisco prendere una boccata d’aria. Qui dentro mi sento soffocare.” alluse lei in risposta, lanciando un’ultima occhiata di traverso a Cedric. Era davvero strano come nel giro di un minuto fosse passata dalla volontà di spaccare tutto a quel senso di spossatezza, come una specie di torpore. Nonostante fosse abbastanza sicura di riuscire ad arrivare alla porta sul retro da sola,  quando Mark si offrì di accompagnarla non trovò la forza di opporsi. Prima di uscire si munirono di cappotti e sciarpe, dato che la temperatura notturna si avvicinava tranquillamente a quelle polari e volevano evitare di ammalarsi. 

Una volta sul porticciolo che dava sulla serra, Rachel si appoggiò alla staccionata e il suo sguardo incontrò subito quello di Mark, scoprendolo a dir poco preoccupato. “Sto bene.” ribadì allora, senza riuscire a celare l’insofferenza che la domanda le aveva provocato; poi, resasene conto, gli rivolse un debole sorriso per alleggerire la situazione. “Davvero.”

Lui annuì. “Okay.” finse di assecondarla. “Quindi questi improvvisi mancamenti dovrei considerarli una cosa normale?”

Rachel sospirò di nuovo. Quanto avrebbe voluto che quella conversazione finisse in quel preciso momento. “Ti prego, non farne un dramma. È stato un semplice giramento di testa.” rispose paziente. “Usare la magia si sta rivelando più impegnativo del previsto e poi stasera ci si è messo anche Cedric...” Non poté non tornarle in mente il racconto di Margaret sulla figlia e su ciò che le era capitato a causa dell’eccessivo sforzo e si chiese se fosse il caso o meno di renderlo partecipe della cosa. Questo prima di realizzare che dirglielo sarebbe servito solo a farlo preoccupare di più, così allontanò l’idea. 

“Sono sicuro che non pensava davvero quello che ha detto. Ha solo avuto una brutta giornata…”

“Da mesi non abbiamo che brutte giornate, ma questo non lo autorizza a sfogarsi su di me.” replicò indispettita. “Una volta tanto potrebbe anche azionare la testa prima di dare fiato alla bocca.”

Mark fece un sospiro, annuendo consapevole. “Lo so. Più tardi provo a parlarci io.” 

Sventolando la mano, però, Rachel liquidò la questione. “Non preoccuparti. Sono troppo stanca perfino per continuare ad avercela con lui.” 

“Potresti dire a Margaret di rallentare un po’. Magari state correndo troppo…” 

“Mark…” mormorò, lanciandogli un’occhiata di traverso.

Afferrato il concetto, il ragazzo alzò le mani in segno di resa. “Okay, okay. Sto esagerando e tu hai tutto sotto controllo. Come vuoi.” 

Rachel ridacchiò divertita. Le faceva piacere vederlo così in pensiero per lei, ma doveva fidarsi e lasciarla fare. Continuando a sorridergli, si avvicinò per lasciargli un rapido bacio sulle labbra.

Dopo averla ricambiata, Mark le sorrise a sua volta. “Non voglio stressarti. È solo che…”

“Lo so. Va tutto bene.” lo interruppe, intuendo già il resto. “Scusa, ma ora ho proprio bisogno di andarmene a letto.” aggiunse poi, discostandosi e facendo per tornare dentro.

“Ti amo.” fece in tempo a dirle, mentre era ancora sulla soglia.

Presa alla sprovvista, Rachel si voltò di nuovo. “Sì, anch’io.” Un attimo dopo le venne il dubbio di aver risposto in maniera un po’ troppo sbrigativa, ma ormai era fatta. Non sapendo come rimediare, sfuggente distolse lo sguardo e rientrò in casa.

 
   
 
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