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Autore: Placebogirl_Black Stones    18/08/2021    1 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 38: Le conseguenze di una decisione
 
 
Si sedette in macchina e strinse forte il volante fra le mani, cercando di calmare la rabbia. In quel momento avrebbe potuto prendere a pugni anche quel gorilla di Camel tanta era la collera che le scorreva nelle vene. Non vi era nulla che fosse andato per il verso giusto in quella giornata, l’unica cosa che voleva era andare a casa, mangiare del gelato e andarsene a dormire.
Mise in moto la macchina e lasciò in tutta fretta il parcheggio, immettendosi nelle trafficate strade di Manhattan.
Dopo dieci minuti di guida si ritrovò ferma ad un semaforo, intrappolata in una coda di auto. Era l’orario in cui molti tornavano a casa da lavoro oppure andavano a procurarsi qualcosa da mangiare per cena. L’attesa che quel semaforo scattasse contribuì ad accrescere il suo nervosismo: era diventata intollerante verso ogni minima cosa. Guardò fuori dal finestrino aperto e fu allora che la sua attenzione venne catturata dal negozio di dischi che stava sul lato opposto della strada. Ci passava davanti ogni giorno ma non aveva spesso l’occasione di entrarvi. Quel posto era come un piccolo tuffo nei ricordi, un luogo raro e pertanto affascinante. Il progresso della tecnologia aveva fatto sì che i modi per ascoltare la musica cambiassero drasticamente, nessun adolescente era più interessato a stringere fra le mani un disco e a sfogliarne il libricino all’interno: potevano scaricare musica da Internet (spesso illegalmente) e trovare qualunque tipo di informazione sulla band. Lei invece era rimasta fedele ai cari e vecchi LP, aveva persino conservato un vecchio walkman ancora funzionante che qualche volta utilizzava al posto dello stereo, quando non voleva disturbare troppo i vicini.
I suoi pensieri furono interrotti dal semaforo che finalmente era scattato e dalle macchine davanti a lei che avevano ripreso a muoversi. Rivolse un ultimo sguardo al negozio di dischi e poi si allontanò seguendo le macchine davanti a lei.
 
Una volta arrivata a casa si tolse le scarpe gettandole in un angolo svogliatamente: trovava fastidiosi persino i tacchi che solitamente amava tanto. Avrebbe dovuto fare la spesa prima di tornare al suo appartamento, ma non ne aveva nessuna voglia. Prese un cucchiaio dal cassetto delle posate e si diresse verso il freezer, estraendo un grosso barattolo di gelato, per poi lasciarsi cadere a peso morto sul divano. Cercò il telecomando del televisore e quando lo ebbe trovato iniziò a cercare un film o qualunque programma che avrebbe potuto aiutarla a rilassarsi, mentre prendeva grosse cucchiaiate di gelato dal barattolo. Purtroppo la fortuna non fu dalla sua parte nemmeno in quel frangente, il palinsesto non offriva nulla che catturasse la sua attenzione. Si ritrovò così a pensare nuovamente a quanto accaduto poche ore prima, alle parole di James e all’invito di Shuichi. Sapeva che il primo la amava come una figlia, tuttavia non poteva accettare che si fosse intromesso così nella sua vita, imponendosi e dandole ordini come se avesse ancora otto anni. Sapeva anche che il secondo non avrebbe ceduto facilmente, probabilmente la stava aspettando a casa sua nonostante tutto. Si chiese se fosse davvero il caso di andarci, se avrebbe potuto cambiare le cose, ma la risposta ad entrambe le domande nella sua testa riecheggiò come un sonoro “no”. Shuichi non aveva nessuna intenzione di dirle che l’amava e aveva ribadito che anche esprimendo il sentimento a parole non lo avrebbe reso di certo più reale. Lui sosteneva di amarla, ma lei non riusciva a credergli fino in fondo. Le aveva dato delle prove, ma a lei non bastavano. Aveva colto nel segno dicendole che il motivo per cui voleva sentirsi dire quelle parole a tutti i costi era perché si era convinta che pronunciandole sarebbero state più reali, ma aveva anche avuto ragione nel ricordarle che le parole a volte sono solo parole e non sempre rispecchiano la realtà. D’un tratto nemmeno quel dolce gelato bastava più a risollevarle il morale, quindi si alzò dal divano e lo riportò nel freezer. Aprì poi il frigorifero alla ricerca di qualcosa di fresco da bere e l’occhio cadde sulla bottiglia di Scotch che Shuichi aveva portato al loro primo appuntamento. Sospirò esausta: tutto intorno a lei sembrava ricordarle di lui. Forse era un segno, forse il karma, il destino, l’intero universo o qualunque altra cosa fosse le stava dicendo che non poteva sfuggire da lui, che le loro vite erano collegate e che nonostante il dolore, la rabbia e le paure non poteva fingere che Shuichi non esistesse, nemmeno per un secondo.
Prese un bicchiere e si versò un goccio di quello Scotch, buttandolo giù tutto d’un fiato. Si chiese cosa avrebbe potuto farla stare meglio e le tornò in mente quel negozio di dischi che aveva visto poco prima. Forse un po’ di musica l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.
 
Parcheggiò l’auto nel primo posto disponibile sul lato destro della strada e s’incamminò verso il negozio che si trovava qualche metro più avanti. Le luci erano ancora accese, segno che l’orario di chiusura non era ancora arrivato. Entrò e fu subito accolta dal commesso sorridente, un ragazzo più o meno della sua stessa età che indossava una t-shirt di una rock band che lei non conosceva. La salutò e lei ricambiò il sorriso e il saluto, iniziando poi a girare lentamente nel negozio, soffermandosi a guardare gli album suddivisi per genere. Diede un’occhiata ai dischi in vinile, ricordando la collezione che suo padre aveva e che era bruciata insieme a tutto il resto. Si spostò poi sui CD, prendendone alcuni e leggendo i titoli dei brani sul retro della custodia.
Mentre setacciava l’angolo dedicato alla musica rock, le capitò fra le mani un vecchio singolo dei The Cure: “Lovesong”. La band non era mai stata una delle sue preferite, ma quel brano in particolare le era sempre piaciuto per la semplicità del testo che allo stesso tempo esprimeva un sentimento di amore puro, sincero e immutabile nel tempo. Da ragazzina aveva desiderato un giorno di provare un amore come quello e alla fine lo aveva provato per davvero, ma la cruda realtà le aveva fatto realizzare che a volte ottenere quello che si vuole non equivale ad essere felici.
Si guardò intorno alla ricerca di uno di quei lettori CD appesi al muro, messi a disposizione dei clienti perché potessero ascoltare un disco prima di acquistarlo. Ne trovò uno libero e si diresse lì, estraendo con delicatezza il CD dalla custodia e inserendolo nel lettore. Indossò le cuffie appese a fianco e premette il tasto play. La tipica melodia che contraddistingueva i The Cure risuonò nelle sue orecchie, facendole chiudere gli occhi. Ascoltò le parole una dopo l’altra, immaginando di poterle dedicare all’uomo che amava. Quel ritornello, quell’unico ritornello che rispecchiava ciò che provava e avrebbe sempre provato per Shuichi:
 
However far away
I will always love you
However long I stay
I will always love you
Whatever words I say
I will always love you
I will always love you

 
Non importava quante volte potesse ferirla, quanto si trovassero distanti o quali parole gli rivolgesse: lo avrebbe amato per sempre. Anche se cercava di evitarlo, se lo aveva ferito dicendogli certe cose, il suo cuore era sempre con lui e non poteva fare niente per cambiare questa condizione.
Terminò di ascoltare quella canzone e poi ripose nuovamente il disco nella custodia, stringendolo fra le mani e dirigendosi alla cassa. Pagò quell’unica canzone e ritornò alla macchina, diretta verso casa di Shuichi. 
 
Una ventina di minuti dopo parcheggiò l’auto e salì le scale dello stabile, diretta all’appartamento dell’uomo che l’aveva invitata. Avrebbe potuto prendere l’ascensore per fare prima, ma pensò che fare qualche passo in più l’avrebbe aiutata a trovare le parole giuste da dire. Non sapeva se era pronta a rinunciare all’idea di sentirsi dire “ti amo” da lui, non sapeva se lui voleva ancora parlare con lei dopo come si erano lasciati in ufficio poche ore prima, non sapeva se fosse ancora arrabbiato per ciò che aveva detto su di lui e su Akemi la sera precedente: sapeva solo che il cuore l’aveva spinta sino a lì, con quel disco in mano, desiderosa di fargli ascoltare la canzone. Le tornò in mente la sera della pioggia di comete, quando le aveva chiesto di fargli ascoltare la canzone che l’aveva convinta a lasciare Clay e a raggiungerlo nel parco per chiarire la loro situazione. Clay…si chiese come stesse, se fosse felice. Non lo aveva più sentito da quella volta, non aveva avuto il coraggio di chiamarlo dopo averlo piantato in asso. Se fosse riuscita ad amarlo, in quel momento non si sarebbe trovata davanti a una porta chiusa, chiedendosi se bussare o meno: l’avrebbe già varcata per trascorrere una felice serata con il suo uomo.
Si rese conto solo in quel momento di aver già raggiunto la porta d’ingresso dell’appartamento di Shuichi. Se ne stava lì, in piedi, stringendo il disco fra le mani come se fosse un tesoro prezioso. Perché le era tornato in mente Clay in quel momento? Cercò di ritornare indietro al ricordo della pioggia di comete, alla notte in cui aveva deciso di dare una seconda possibilità a Shuichi. La memoria però le giocò un brutto tiro: la prima cosa che ricordò furono le parole che lei stessa gli aveva rivolto fra le lacrime.
 
“È proprio questo il punto Shu: tu non lotti per me. Se si trattasse di lavoro o di altro scaleresti una montagna per raggiungere il tuo obiettivo, ma quando si parla di me ti basta un ostacolo e subito ti tiri indietro. Tu non hai mai lottato per me mentre io l’ho sempre fatto per te. Tu mi hai sempre data per scontata, sapevi che ero lì per te e ci sarei stata qualunque cosa mi avessi fatto: per questo non hai mai mosso un dito verso di me.”
 
Abbassò lo sguardo, realizzando che anche dopo tutto ciò che c’era stato fra loro lui continuava a dare per scontato tutto ciò che la riguardava. Non dava importanza a quel “ti amo” e sembrava non voler capire quanto fosse importante per lei; al contrario cercava di farla desistere dal desiderarlo. Concentrata in quel monologo che stava facendo sul palco di un teatro vuoto, non si era mai soffermata per un attimo a chiedersi se forse, in fondo, Shuichi non avesse ragione. Alla fine aveva dimostrato a suo modo di volersi davvero impegnare per far funzionare le cose, non era stato freddo e insensibile.
 
- Guarda che sei tu quella che sta mandando a rotoli la situazione-
 
Eccola, la voce nella sua testa che sentiva ogni volta che si ritrovava in una situazione complessa con lui. Non aveva mai avuto nessuno con cui parlarle, non poteva farlo con James e non poteva farlo nemmeno con Shiho, per non rovinare nuovamente il rapporto che aveva ricucito con il cugino: forse per questo motivo dentro di lei era nata una sorta di alter ego, una voce della coscienza che le parlava ma creandole ancora più confusione.
 
- Io sto solo cercando di proteggere me stessa- si ripeté, quasi sussurrando.
- Da cosa vuoi proteggerti? Da un uomo che ti sta dimostrando che ti ama?- replicò la sua coscienza.
- Non posso permettergli di ferirmi di nuovo-
- Ma non sei tu quella che lo ha ferito ieri sera? “Anche quando hai iniziato a frequentare lei hai dato per scontato che fosse la tua fidanzata oppure glielo hai chiesto per apparire come l’uomo perfetto?”- mimò le sue stesse parole - Sei solo una ragazzina ricca e viziata che corre a piangere da papà quando le cose non vanno come vorrebbe-
 
Diamine, non avrebbe mai immaginato che la sua stessa coscienza fosse una tale bastarda. Era vero, sapeva bene di averlo ferito con quelle parole, ma sapeva anche che qualunque affermazione acida e dettata dalla rabbia fosse uscita dalla sua bocca, non avrebbe di certo spento la fiamma ardente dell’amore che provava per lui, proprio come le parole della canzone. La parte di lei che stava cercando di mantenere il più razionale possibile le diceva che doveva continuare a pretendere da Shuichi quelle parole, che lui doveva fare il possibile per dimostrarle che si era meritato la sua attesa di sei, lunghissimi anni; il suo subconscio invece la stava facendo sentire sbagliata, mettendola di fronte agli errori commessi.
Dopo minuti interminabili che le parvero ore si rese conto che non sarebbe riuscita a bussare a quella porta, che non poteva incontrare Shuichi in quello stato. Non sapeva più nemmeno lei cosa voleva, dove finiva il giusto e dove cominciava lo sbagliato. Shuichi, dal canto suo, non l’aveva chiamata né le aveva mandato un messaggio per sapere come mai non fosse ancora arrivata da lui: come temeva, probabilmente era arrabbiato o forse, peggio ancora, si era stancato di rincorrerla.
Consapevole di non poter affrontare una conversazione con lui in quel momento, estrasse dalla tasca un taccuino che portava sempre con sé al lavoro per annotarsi informazioni sui casi che seguiva, cercò la prima pagina bianca disponibile e scrisse un breve messaggio, riprendendo il testo della canzone che stringeva fra le mani.
 
Whatever words I say
I will always love you

 
Jodie
 
Appoggiò il disco a terra davanti alla porta, vi posò sopra il biglietto e mentre si asciugava una lacrima sfuggita al suo controllo suonò il campanello, per poi fuggire via correndo lungo le scale prima che la porta si aprisse.
 
 
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono s’incamminò svogliatamente lungo il corridoio, mentre frugava nella tasca alla ricerca delle chiavi. Voleva farsi una doccia e poi andarsene subito a dormire, nella speranza che la notte cancellasse ogni traccia di quella giornata orribile. Teneva la testa china e pertanto si accorse della presenza dell’uomo davanti alla porta di casa sua solo quando fu a circa due metri da lui.
 
- James…- pronunciò il suo nome, sorpresa di trovarlo lì a quell’ora.
- Pensavo fossi in casa, quindi sono venuto senza avvisarti-
- È successo qualcosa?- gli chiese.
- No, volevo solo parlarti-
- Se l’argomento è quello che abbiamo affrontato oggi allora mi dispiace, ma puoi tornare a casa. Non ho nulla da dire più di quello che non abbia già detto-
- Non voglio impicciarmi degli affari tuoi Jodie. Sono solo preoccupato-
- Ti ho già detto che non devi-
- Proprio per questo mi preoccupo. Te ne sei andata dicendo che era tutto finito ancora prima di cominciare…- rammentò le sue parole.
- Ed è così, molto probabilmente- abbassò lo sguardo - Perciò puoi andare a casa e stare tranquillo-
- Invece non sono per niente tranquillo- insistette - Cosa intendi dire? Mi sembrava di aver capito che le cose andassero bene fra di voi-
- Infatti, ma le cose cambiano James-
- In ventiquattr’ore? -
- A volte anche meno-
- Ti ha di nuovo ferita?- chiuse gli occhi, sistemandosi gli occhiali.
- Forse, o forse sono io che ho ferito lui. Onestamente non lo so più- si passò una mano fra i capelli - Ma ad ogni modo non ha importanza perché probabilmente lui non mi ama quindi la storia non può andare avanti- concluse, desiderosa di terminare al più presto quella conversazione.
- Sei certa di quello che stai dicendo?- chiese dubbioso il suo capo.
- So che pensi che io sia ancora una ragazzina a cui badare James, ma sono in grado di capire se un uomo mi ama o no-
- Beh, è strano, perché non è quello che mi ha detto lui oggi. Akai ha tanti difetti, ma di certo non è uno che mente, non sui sentimenti almeno-
 
Restò a bocca aperta davanti a quella rivelazione, incapace di proferire parola. Desiderava con tutta se stessa sapere cosa avesse detto Shuichi su di lei a James, specie dopo che quest’ultimo le aveva appena rivelato che si trattava dell’esatto contrario di ciò che pensava.
 
- E cosa ti ha detto?- chiese infine.
- Mi ha fatto capire che i suoi sentimenti per te sono sinceri e che intende persino portarti al matrimonio del fratello per farti conoscere meglio tutta la sua famiglia. Gli ho chiesto più volte se fosse sicuro dei suoi sentimenti e lui ha sempre risposto con fermezza che intende fare sul serio con te-
 
Si strinse le mani al petto, cercando di contenere quello strano sentimento che stava provando. Si sentiva estremamente felice ma al tempo stesso anche molto triste. Forse non era Shuichi il problema, forse il problema era lei. Lei lo stava allontanando a causa dei suoi dubbi e delle sue pretese, lei stava sbagliando. Quel “ti amo” non detto era davvero più importante di tutti i gesti che aveva fatto e che ancora progettava di fare per lei?
Si prese il volto fra le mani, cercando di calmare l’uragano che vorticava nella sua testa.
 
- Ascolta figliuola, so cosa provi per Akai, ma se devi soffrire ancora una volta allora è meglio lasciar perdere. Per quanto sia vero il suo sentimento nei tuoi confronti, se tu non ne sei certa e questo ti causa dolore allora è meglio che le vostre strade restino separate. Lo dico per il tuo bene-
 
L’uomo si avvicinò a lei e come solo un padre sapeva fare l’abbracciò stringendola a sé. Poteva insultarlo, trattarlo male, mancargli di rispetto, ma James sarebbe sempre rimasto al suo fianco perché l’amava come se fosse davvero sua figlia. Con la consapevolezza di essere al sicuro fra quelle braccia, si appoggiò a lui e pianse in silenzio.
 
 
……………………….
 
 
Seduto alla scrivania, nel silenzio dell’ufficio ancora deserto, rileggeva le poche parole scritte sul biglietto che stringeva nella mano. Non riusciva a capire perché fosse fuggita lasciando solo quel breve messaggio invece di parlare faccia a faccia con lui. In quanto donna, a Jodie piaceva fare la sostenuta e farsi desiderare quando voleva ottenere qualcosa, ma a quel punto stava tirando troppo la corda. Le cose stavano andando bene fra loro, ma lei sembrava voler gettare tutto all’aria pur di sentirsi dire a voce una cosa che doveva già essere palese nei gesti.
La sera prima aveva ascoltato una sola volta la canzone che gli aveva lasciato davanti alla porta insieme al biglietto ed era stato sufficiente per capire che l’amore che provava per lui era ancora lì, ma non riusciva ad emergere perché accecato dalla paura. “Qualunque cosa io dica, ti amerò per sempre” diceva il messaggio sul foglio: un’evidente richiesta di scuse per ciò che gli aveva detto riguardo ad Akemi e alla loro frequentazione. Aveva capito che si sentiva in colpa e per questo motivo ci teneva a spiegarle che non ce l’aveva con lei, che era acqua passata; tuttavia Jodie non gli stava dando la possibilità di farlo.
I suoi pensieri furono interrotti proprio dalla donna che li stava occupando, la quale entrò in ufficio in tutta la sua bellezza, indossando un abito senza maniche che abbracciava le sue forme. Non appena lo vide, Jodie si fermò a metà strada, sorpresa del fatto che fossero soli. Se stava evitando un confronto, in quel momento doveva sentirsi in trappola.
Senza dire nulla, prese posto accanto a lui con un notevole imbarazzo dipinto sul volto. La tensione cresceva, più che un ufficio sembrava un campo disseminato di mine che potevano esplodere da un momento all’altro.
Attese che si mettesse comoda alla sua scrivania e poi allungò un braccio e posò il bigliettino proprio davanti ai suoi occhi, facendole quell’unica domanda che gli ronzava in testa da ore.
 
- Perché non hai bussato alla porta?-
 
Jodie deglutì, fissando le parole che lei stessa aveva scritto e cercando un modo per uscire da quella situazione scomoda.
 
- Credevo che non volessi vedermi- gli rispose infine.
 
Nonostante la risposta fosse assurda, capì dalla sua espressione che stava dicendo la verità. Era davvero convinta che lui non volesse stare con lei e questo lo ferì.
 
- Se non avessi voluto vederti non ti avrei invitata a casa mia, non ti pare?-
- Sì ma…pensavo che dopo la discussione che abbiamo avuto in ufficio ieri avessi cambiato idea-
- Tu pensi troppo Jodie. A volte dovresti imparare a rischiare. Se non rischi non ottieni nulla-
 
Riprese il bigliettino e se lo mise in tasca, attendendo una risposta che non arrivò. La sua ragazza continuava a tenere le sguardo basso sulla scrivania, come una bambina in punizione.
Si avvicinò a lei e approfittando del fatto che nessuno poteva vederli le accarezzò dolcemente la testa.
 
- La canzone non era il mio genere ma il testo è bello. Però vorrei che me le dicessi tu quelle parole e non che me le facessi ascoltare tramite la voce di uno sconosciuto che esce dallo stereo-
 
Jodie alzò finalmente la testa e i loro sguardi si incrociarono. Lo fissava con quei grandi occhi azzurri, lasciando trasparire tutto l’amore che provava per lui ma che si ostinava a trattenere per paura di essere ferita di nuovo. Voleva delle certezze al punto tale da attaccarsi a cose futili e non vedere quello che già aveva.
Quel momento intimo fu interrotto dall’arrivo di James, che prima bussò e poi aprì la porta senza attendere che lo invitassero ad entrare. Si girarono entrambi a guardarlo e lui tolse la mano dalla testa di Jodie. Meglio non farsi beccare in situazioni compromettenti, specie dall’uomo che li stava tenendo d’occhio e che gli aveva dato un ultimatum proprio il giorno prima.
 
- Akai, hai un minuto?- si rivolse a lui, non dopo aver lanciato un’occhiata a Jodie.
- Sì, ti seguo nel tuo ufficio- rispose, incamminandosi verso di lui.
 
Sapeva già di cosa voleva parlare e preferiva, per il momento, lasciare Jodie all’oscuro. Lanciò un ultimo sguardo a quest’ultima prima di uscire dalla porta e lesse nei suoi occhi una preoccupazione ancora più grande di quella che aveva il giorno prima.
Camminò al fianco di James lungo il corridoio, ma nessuno dei due rivolse la parola all’altro. Entrambi si trovavano in una posizione scomoda ma nessuno dei due voleva cedere, nonostante vi fosse stima reciproca. Non odiava James e sapeva che James non odiava lui: semplicemente ognuno dei due stava agendo secondo la propria concezione di cosa era meglio.
Giunti nel suo ufficio, si sedettero uno di fronte all’altro proprio come avevano fatto il giorno prima. Sembrava che il tempo fosse tornato indietro, cancellando le ultime dodici ore. Ma lui sapeva bene che nella realtà non era possibile azzerare tutto e ricominciare da capo, i frammenti del passato sarebbero rimasti, invisibili ma fastidiosi come sassolini nelle scarpe.
 
- Immagino tu voglia continuare il discorso di ieri- precedette il suo capo - Allora, ci hai pensato?-
- Sì- rispose James, dopo essersi preso qualche secondo - Ci ho riflettuto molto e la mia posizione non è cambiata. Per il bene di Jodie e per non creare un clima di lavoro non adatto a una mansione come la nostra, ti chiedo di porre fine a qualunque cosa sia nata fra voi-
- Sei certo che sia la cosa giusta per il bene di Jodie?- evidenziò quelle ultime parole con il tono della voce.
- So che né tu né lei riuscite a vederla in questi termini, ma analizzando la situazione da persona esterna e soprattutto consapevole di certe cose, credo che per quanto dolorosa sia la scelta migliore-
 
Si concessero alcuni secondi di silenzio reciproco, in cui lui annuì prendendo atto della decisione del suo superiore. Che James facesse sul serio lo aveva già capito il giorno prima, ora ne stava solo avendo la conferma. L’amore di un padre per i propri figli viene sempre al primo posto, qualunque sia il prezzo da pagare e lui lo sapeva bene.
 
- Tuttavia Akai, vorrei che tu non lasciassi il tuo incarico di agente. Sei una risorsa straordinaria e ami il tuo lavoro, se te ne andassi sarebbe una grande perdita in tutti i sensi. Ti prego di riconsiderare la tua decisione- lo supplicò.
- Mi spiace James, ma ogni azione ha una sua conseguenza. Non ho intenzione di rimangiarmi quello che ho detto ieri e soprattutto non ho intenzione di lasciare Jodie. Capisco il tuo punto di vista e lo accetto, ma non posso fare quello che mi chiedi-
- La ami a tal punto?- chiese.
- Puoi non crederci, ma è così- ammise.
- Allora perché lei è convinta del contrario?-
- Perché ha paura- affermò, guardandolo negli occhi - E di certo questa situazione non la aiuta-
- Paura di cosa?- chiese, anche se probabilmente conosceva già la risposta.
- Di non essere ricambiata, di essere la seconda scelta di convenienza, di essere lasciata di nuovo-
 
Calò nuovamente il silenzio ed entrambi si ritrovarono a riflettere su ciò che si erano appena detti. Tutti e due volevano il bene di Jodie, ma le loro idee erano contrastanti.
 
- Se la tua decisione è questa, ne prendo atto. Sei pur sempre il mio capo. Tuttavia vorrei avere il permesso di portare a termine questo ultimo caso di cui mi sto occupando, poi me ne andrò come stabilito. Non mi piace lasciare le cose a metà-
- Sai che non te lo impedirò, penso che tu stia commettendo un grosso sbaglio ad andare via e ogni giorno in più in cui rimani non può che farmi piacere-
- Sei consapevole però che non lascerò Jodie nemmeno per questi pochi giorni che mi restano, vero?-
- Sta solo attento a non farle ancora del male- disse semplicemente, volgendo lo sguardo fuori dalla finestra.
- Non me lo perdonerei se accadesse-
- Va’ pure dagli altri adesso- lo congedò.
 
Gli diede le spalle e si incamminò verso la porta, ma proprio mentre stava per uscire dall’ufficio James lo richiamò.
 
- Akai-
- Sì?- si voltò.
- Mi dispiace-
 
I loro sguardi non s’incrociarono, James continuava a guardare distrattamente fuori dalla finestra, in un punto impreciso, probabilmente senza nemmeno vederlo. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ma lui non aveva bisogno di vedere quelli di James per capire che quel “mi dispiace” appena pronunciato era sincero. Lo aveva capito dal tono dalla voce e dall’atteggiamento. Era un buon padre, un buon capo, una brava persona con un grande cuore. Avrebbe sempre avuto stima di lui, nonostante tutto.
 
- Anche a me- rispose infine, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Breve capitolo di transizione ma che alle fine contiene scene interessanti come quella di Jodie che lascia il CD con la canzone davanti alla porta di Shuichi e il confronto finale tra quest’ultimo e James.
Come si evolveranno le cose?
Nel prossimo capitolo ci saranno anche degli avanzamenti sul caso della mafia russa, che spero di concludere entro pochi capitoli.
Grazie a chi ha speso un po’ del suo tempo per leggere!
   
 
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