A svegliarla, la mattina seguente, fu il rumoroso sferragliare di una locomotiva sui binari, che passava a tutta velocità sotto la finestra della sua stanza. Alexis aprì gli occhi contro voglia e si stese supina. Si stropicciò le palpebre e, passandosi poi le dita sulle guance, si stupì di trovarle bagnate.
Ho pianto nel sonno?
In effetti, ricordava di aver sognato qualcosa, ma ogni volta che si sforzava di afferrarne i brandelli, questi le sfuggivano come sabbia tra le dita.
Si costrinse ad alzarsi e si diresse alla finestra. Scostò le vecchie tende e guardò il panorama fuori: era una bella giornata e il sole splendeva nel cielo.
Guardandosi nel riflesso del vetro, notò che era ancora vestita. Ricordò che, la sera precedente, si era addormentata prima di potersi cambiare, così andò in bagno, si spogliò e si fece una doccia veloce. Una volta pronta, uscì dalla camera e scese al piano terra.
Appena mise piede nel pub, calò di nuovo il silenzio. Le persone che l’avevano vista la sera precedente si concentrarono sulla colazione, mentre i nuovi arrivati la osservavano incuriositi, non riuscendo a capire il motivo di tanta tensione.
Alexis cercò di non badarci e si incamminò verso il bancone; calamitò su di sé tutta l’attenzione del barista. Questi, infatti, intento a servire una giovane coppia, non appena l’aveva vista avvicinarsi, li aveva lasciati perdere per servire lei. Non era molto contenta di quella reazione, ma non replicò: prima fosse uscita da lì e meglio era.
«Ha dormito bene, signorina Black?» le chiese il proprietario, augurandosi una risposta positiva.
Non appena sentito quel cognome, la giovane coppia, che la stava guardando male, si voltò e concentrò tutta la sua attenzione sul menù.
«Più che bene, la ringrazio per l’interessamento» rispose Alexis.
«Dovere, signorina, dovere» glissò lui, con un sorriso tirato. «Allora, cosa posso fare per lei? Gradisce qualcosa per colazione?» si affrettò ad aggiungere, sfregandosi le mani con fare nervoso.
Lei scosse la testa e cercò di guardarlo negli occhi, ma lui continuava a fissare il bancone.
Non voleva fargli del male, per Grindelwald! Va bene che aveva detto di essere una Black, ma questo era davvero esagerare. Sembrava che la ritenessero capace di uccidere con un solo sguardo. Era solo una ragazzina di quindici anni, non una spietata Mangiamorte sostenitrice di Lord Voldemort.
Si costrinse a restare calma e scosse la testa. «No, la ringrazio, non ho fame. In compenso, vorrei che mi indicasse la strada per Diagon A…»
Il barista non la lasciò neanche finire: uscì in fretta dal bancone e le fece cenno di seguirla. Sembra proprio che voglia liberarsi di me il più presto possibile – considerò Alexis.
«Ma certo, certo! Mi segua, signorina Black! Da questa parte!»
L’uomo la condusse in quello che sembrava il retro del locale. Era un vicolo cieco: un piccolo terreno rettangolare, circondato da un muro di spesse pietre. Per un attimo, Alexis pensò che il barista volesse prenderla in giro, ma visti i riguardi che sembrava avere verso di lei (verso Alexandra Black), le risultava abbastanza difficile pensare fosse veramente così.
«Faccia qualche passo indietro, signorina, per favore» la avvertì, mentre si avvicinava al muro. Lei seguì il consiglio e arretrò fino a toccare la porta con le spalle.
L’uomo tirò fuori la bacchetta dalla giacca che indossava e la puntò contro il muro. Colpì cinque o sei mattoni (Alexis non ne tenne il conto) e poi si ritirò vicino a lei. Il muro tremò per qualche istante, quindi i mattoni cominciarono a ritirarsi pian piano verso l’esterno, mostrando una larga via piena di gente.
L’espressione di Alexis era la sorpresa concretizzata: osservava la gente camminare frenetica, entrare in una miriade di negozi e uscirne con buste piene, pronta a dirigersi verso la prossima meta.
Poteva sembrare tutto così semplice e banale, a vedersi, ma lei sapeva che era magico.
Si voltò verso il barista che, incontrando il suo sguardo, chinò subito la testa. Lei alzò gli occhi al cielo, stufa di quelle reazioni così reverenziali, e sorrise. «La ringrazio di tutto, arrivederla» lo salutò, quindi gli diede e spalle e si mescolò alla folla nella grande strada.
E così, era quello il mondo dei maghi? Era ancora più fantastico di come lo aveva immaginato quando Sirius glie ne aveva parlato.
Prima di decidere la sua prima meta, si guardò attorno, interessata a ogni piccola cosa. Si fermò di fronte alla vetrina di un negozio di calderoni, poi davanti a quella di un negozio di animali e ancora di fronte a un negozio di oggettistica. Quello che catturò di più la sua attenzione, fu un negozio che vendeva ogni sorta di accessorio per il Quidditch. La vetrina era piena di ragazzi che guardavano con aria sognante un manico di scopa lì esposto.
Facendosi spazio, Alexis riuscì ad arrivare in prima fila e a osservare l’oggetto di tanto interesse: la Nimbus 2001. Onestamente, non riusciva a capire la differenza tra quella e le scope che aveva in casa: le sembrava solo più nuova.
Sirius le aveva raccontato molte volte del Quidditch: sia lui che James erano stati dei campioni, ai tempi in cui frequentavano la scuola. Ogni volta che le illustrava qualche partita, era sempre entusiasta e sembrava tornare il malandrino che era stato da giovane. Eppure, Alexis sapeva che lei e quello sport non sarebbero mai andate d’accordo, lo sentiva a pelle. Sicuramente, l’amore del padre per il Quidditch doveva averlo ereditato suo fratello. Senza contare che lei soffriva terribilmente di vertigini.
Si allontanò dal negozio, per avviarsi alla sua prima meta: la Gringott. Ora c’era solo un problema: trovarla! Cominciò a guardarsi intorno, aspettandosi di scovare un negozietto con su scritto “Gringott”, ma, quando si trovò di fronte l’enorme struttura bianca, restò letteralmente di sasso. Era enorme! E il nome della banca spiccava, scritto in oro e a lettere cubitali, su quello sfondo di marmo: non ci si poteva proprio sbagliare.
Salì l’ampia scalinata e si introdusse all’interno: si ritrovò in una stanza maestosa, affollata di alte scrivanie in legno, dietro le quali si affaccendavano dei brutti folletti ben vestiti.
Si avvicinò a uno di quelli liberi e attese che le rivolgesse l’attenzione. Questi alzò lentamente lo sguardo e la osservò attraverso un paio di occhialetti da vista ad ellisse. «Camera?» chiese, senza tanti convenevoli, la voce gracchiante.
«711» rispose prontamente lei e frugò nella borsa, per prelevare la chiave. Gliela mostrò e il folletto uscì da dietro la scrivania, facendole cenno di seguirla.
Attraversarono la grande sala, fino ad arrivare a una fila di carrelli consumati posti sopra dei binari. Le aprì la portiera sgangherata e lei entrò, seguita da lui.
«Si tenga forte» l’avvisò con voce atona, appena prima che il carro partisse all’improvviso, a tutta velocità.
Correva per quei binari in tutte le direzioni: destra, sinistra, sopra, sotto, in obliquo. L’aria creata dall’attrito della velocità le feriva il viso e la costrinse a chiudere gli occhi lacrimanti. Finalmente, dopo quella che sembrò un’eternità, il carro frenò violentemente, con uno stridere poco rassicurante.
Il folletto, tranquillo, scese dal mezzo e la invitò di nuovo a seguirlo, quindi si diresse verso una porta poco lontana.
Appena mise un piede a terra, Alexis sentì il terreno danzarle sotto i piedi e barcollò, rischiando di cadere all’indietro. Per fortuna, la sua schiena andò a sbattere contro qualcosa di solido alle sue spalle, che le impedì di rovinare sgraziatamente a terra. Quando un paio di mani l’afferrarono per le spalle, si rese conto che non era andata a sbattere contro qualcosa… ma contro qualcuno.
Si voltò imbarazzata a osservare chi l’aveva afferrata e si ritrovò di fronte un ragazzo alto e longilineo, con un viso affilato lasciato scoperto dai capelli chiarissimi, che erano tirati indietro da un’elegante mano di gel. I suoi occhi d’argento la fissavano impassibili e le sue mani, dalle lunghe dita affusolate, le stringevano con delicatezza le braccia.
Un tossicchiare insistente li costrinse infine ad allontanarsi.
Alexis si girò verso il folletto, che la guardava spazientito, tamburellando un piede a terra.
«Scusami, io…» Si voltò, per chiedere perdono per l’inconveniente, ma il ragazzo le dava ora le spalle e si stava allontanando verso il folletto che lo accompagnava.
Rimase imbambolata a fissare quell’ampia schiena, fin quando il folletto che accompagnava lei la strattonò per un braccio. «Vuole sbrigarsi?!» fece inacidito.
Alexis si lasciò trascinare fino alla porta della camera blindata.
«La lampada, prego» disse il folletto, porgendole la lanterna. Lei la prese e fece luce alla serratura. «La chiave, prego» ripeté il folletto con lo stesso tono, aprendo la mano dalle lunghe dita sottili e storte.
Alexis ci lasciò cadere la chiave dentro e il folletto si voltò, la infilò nella toppa e girò per quattro volte in senso orario e due in senso antiorario. La porta si spalancò, rivelando una montagna di monete luccicanti.
Wow, certo che Sirius è ricco…
Lasciò la lampada nelle mani del folletto ed entrò con cautela all’interno della camera. Si guardò intorno, osservando la miriade di monete, di varie dimensioni e colori. Sirius le aveva spiegato la differenza tra Galeoni, Falci e Zellini, e lei l’aveva imparata a memoria, per evitare brutte figure. Fece due conti e, considerando che un Falco valeva ventinove Zellini e che un Galeone valeva diciassette Falci, cominciò col prendere due manciate di Zellini, seguite da quattro manciate di Falci e cinque di Galeoni. Ripose tutto nella borsa tracolla –che cominciò a pesare - ed uscì dalla camera, lasciando al folletto il compito di sigillare di nuovo la porta.
Nello stesso istante, anche il ragazzo di prima uscì dalla propria camera blindata e Alexis non poté impedirsi di guardarlo di sottecchi. Era inevitabile, così come il pensare che fosse davvero un gran bel ragazzo.
Aveva vissuto tutta la sua vita reclusa all’interno di Grimmauld Place, da quando ne aveva memoria, era normale per lei entusiasmarsi per ogni piccolo dettaglio di quel mondo esterno, che le sembrava straordinario. In fondo, era la prima volta che un'altra persona, che non fosse Sirius, la toccava. Le sembrava ancora di poter sentire le sue dita stringerle piano le braccia e la sua schiena aderire contro il suo petto caldo.
Il ragazzo sembrò accorgersi del suo interesse, perché Alexis lo vide sogghignare divertito alla luce fioca delle torce che illuminavano la grotta sotterranea nella quale si trovavano. Le rivolse persino un’occhiata irriverente e lei, colta in flagrante, abbassò subito lo sguardo e fissò il terreno con innaturale interesse. Si sentì avvampare e le guance le si colorarono di un rosso evidente.
«Ecco a lei, signorina Black» disse il folletto, che l’aveva riavvicinata e le stava porgendo la sua chiave.
Com’era successo per tutte le volte precedenti nelle quali era stato pronunciato il nome “Black”, Alexis non si sorprese del fatto che il ragazzo le stesse ora rivolgendo la propria attenzione in modo ben più aperto di quanto non avesse fatto prima. Ciò che la stupì, invece, fu non leggere paura o timore reverenziale in fondo ai suoi occhi grigi, quanto piuttosto interesse e curiosità.
L’intensità nuova di quello sguardo la mise ancor di più in soggezione, così si affrettò a dargli le spalle e si rivolse al folletto. «Ehm… s-sì… grazie» farfugliò, quindi lo seguì all’interno della carrozza senza più guardarsi indietro.
Pur non essendo contenta di fare un altro viaggio su quel mezzo infernale, era sollevata di allontanarsi da quel ragazzo e dal suo sguardo insistente. Lui, dal canto suo, continuò a fissarla fino a che non la vide sparire oltre una ripida discesa.
Ho pianto nel sonno?
In effetti, ricordava di aver sognato qualcosa, ma ogni volta che si sforzava di afferrarne i brandelli, questi le sfuggivano come sabbia tra le dita.
Si costrinse ad alzarsi e si diresse alla finestra. Scostò le vecchie tende e guardò il panorama fuori: era una bella giornata e il sole splendeva nel cielo.
Guardandosi nel riflesso del vetro, notò che era ancora vestita. Ricordò che, la sera precedente, si era addormentata prima di potersi cambiare, così andò in bagno, si spogliò e si fece una doccia veloce. Una volta pronta, uscì dalla camera e scese al piano terra.
Appena mise piede nel pub, calò di nuovo il silenzio. Le persone che l’avevano vista la sera precedente si concentrarono sulla colazione, mentre i nuovi arrivati la osservavano incuriositi, non riuscendo a capire il motivo di tanta tensione.
Alexis cercò di non badarci e si incamminò verso il bancone; calamitò su di sé tutta l’attenzione del barista. Questi, infatti, intento a servire una giovane coppia, non appena l’aveva vista avvicinarsi, li aveva lasciati perdere per servire lei. Non era molto contenta di quella reazione, ma non replicò: prima fosse uscita da lì e meglio era.
«Ha dormito bene, signorina Black?» le chiese il proprietario, augurandosi una risposta positiva.
Non appena sentito quel cognome, la giovane coppia, che la stava guardando male, si voltò e concentrò tutta la sua attenzione sul menù.
«Più che bene, la ringrazio per l’interessamento» rispose Alexis.
«Dovere, signorina, dovere» glissò lui, con un sorriso tirato. «Allora, cosa posso fare per lei? Gradisce qualcosa per colazione?» si affrettò ad aggiungere, sfregandosi le mani con fare nervoso.
Lei scosse la testa e cercò di guardarlo negli occhi, ma lui continuava a fissare il bancone.
Non voleva fargli del male, per Grindelwald! Va bene che aveva detto di essere una Black, ma questo era davvero esagerare. Sembrava che la ritenessero capace di uccidere con un solo sguardo. Era solo una ragazzina di quindici anni, non una spietata Mangiamorte sostenitrice di Lord Voldemort.
Si costrinse a restare calma e scosse la testa. «No, la ringrazio, non ho fame. In compenso, vorrei che mi indicasse la strada per Diagon A…»
Il barista non la lasciò neanche finire: uscì in fretta dal bancone e le fece cenno di seguirla. Sembra proprio che voglia liberarsi di me il più presto possibile – considerò Alexis.
«Ma certo, certo! Mi segua, signorina Black! Da questa parte!»
L’uomo la condusse in quello che sembrava il retro del locale. Era un vicolo cieco: un piccolo terreno rettangolare, circondato da un muro di spesse pietre. Per un attimo, Alexis pensò che il barista volesse prenderla in giro, ma visti i riguardi che sembrava avere verso di lei (verso Alexandra Black), le risultava abbastanza difficile pensare fosse veramente così.
«Faccia qualche passo indietro, signorina, per favore» la avvertì, mentre si avvicinava al muro. Lei seguì il consiglio e arretrò fino a toccare la porta con le spalle.
L’uomo tirò fuori la bacchetta dalla giacca che indossava e la puntò contro il muro. Colpì cinque o sei mattoni (Alexis non ne tenne il conto) e poi si ritirò vicino a lei. Il muro tremò per qualche istante, quindi i mattoni cominciarono a ritirarsi pian piano verso l’esterno, mostrando una larga via piena di gente.
L’espressione di Alexis era la sorpresa concretizzata: osservava la gente camminare frenetica, entrare in una miriade di negozi e uscirne con buste piene, pronta a dirigersi verso la prossima meta.
Poteva sembrare tutto così semplice e banale, a vedersi, ma lei sapeva che era magico.
Si voltò verso il barista che, incontrando il suo sguardo, chinò subito la testa. Lei alzò gli occhi al cielo, stufa di quelle reazioni così reverenziali, e sorrise. «La ringrazio di tutto, arrivederla» lo salutò, quindi gli diede e spalle e si mescolò alla folla nella grande strada.
E così, era quello il mondo dei maghi? Era ancora più fantastico di come lo aveva immaginato quando Sirius glie ne aveva parlato.
Prima di decidere la sua prima meta, si guardò attorno, interessata a ogni piccola cosa. Si fermò di fronte alla vetrina di un negozio di calderoni, poi davanti a quella di un negozio di animali e ancora di fronte a un negozio di oggettistica. Quello che catturò di più la sua attenzione, fu un negozio che vendeva ogni sorta di accessorio per il Quidditch. La vetrina era piena di ragazzi che guardavano con aria sognante un manico di scopa lì esposto.
Facendosi spazio, Alexis riuscì ad arrivare in prima fila e a osservare l’oggetto di tanto interesse: la Nimbus 2001. Onestamente, non riusciva a capire la differenza tra quella e le scope che aveva in casa: le sembrava solo più nuova.
Sirius le aveva raccontato molte volte del Quidditch: sia lui che James erano stati dei campioni, ai tempi in cui frequentavano la scuola. Ogni volta che le illustrava qualche partita, era sempre entusiasta e sembrava tornare il malandrino che era stato da giovane. Eppure, Alexis sapeva che lei e quello sport non sarebbero mai andate d’accordo, lo sentiva a pelle. Sicuramente, l’amore del padre per il Quidditch doveva averlo ereditato suo fratello. Senza contare che lei soffriva terribilmente di vertigini.
Si allontanò dal negozio, per avviarsi alla sua prima meta: la Gringott. Ora c’era solo un problema: trovarla! Cominciò a guardarsi intorno, aspettandosi di scovare un negozietto con su scritto “Gringott”, ma, quando si trovò di fronte l’enorme struttura bianca, restò letteralmente di sasso. Era enorme! E il nome della banca spiccava, scritto in oro e a lettere cubitali, su quello sfondo di marmo: non ci si poteva proprio sbagliare.
Salì l’ampia scalinata e si introdusse all’interno: si ritrovò in una stanza maestosa, affollata di alte scrivanie in legno, dietro le quali si affaccendavano dei brutti folletti ben vestiti.
Si avvicinò a uno di quelli liberi e attese che le rivolgesse l’attenzione. Questi alzò lentamente lo sguardo e la osservò attraverso un paio di occhialetti da vista ad ellisse. «Camera?» chiese, senza tanti convenevoli, la voce gracchiante.
«711» rispose prontamente lei e frugò nella borsa, per prelevare la chiave. Gliela mostrò e il folletto uscì da dietro la scrivania, facendole cenno di seguirla.
Attraversarono la grande sala, fino ad arrivare a una fila di carrelli consumati posti sopra dei binari. Le aprì la portiera sgangherata e lei entrò, seguita da lui.
«Si tenga forte» l’avvisò con voce atona, appena prima che il carro partisse all’improvviso, a tutta velocità.
Correva per quei binari in tutte le direzioni: destra, sinistra, sopra, sotto, in obliquo. L’aria creata dall’attrito della velocità le feriva il viso e la costrinse a chiudere gli occhi lacrimanti. Finalmente, dopo quella che sembrò un’eternità, il carro frenò violentemente, con uno stridere poco rassicurante.
Il folletto, tranquillo, scese dal mezzo e la invitò di nuovo a seguirlo, quindi si diresse verso una porta poco lontana.
Appena mise un piede a terra, Alexis sentì il terreno danzarle sotto i piedi e barcollò, rischiando di cadere all’indietro. Per fortuna, la sua schiena andò a sbattere contro qualcosa di solido alle sue spalle, che le impedì di rovinare sgraziatamente a terra. Quando un paio di mani l’afferrarono per le spalle, si rese conto che non era andata a sbattere contro qualcosa… ma contro qualcuno.
Si voltò imbarazzata a osservare chi l’aveva afferrata e si ritrovò di fronte un ragazzo alto e longilineo, con un viso affilato lasciato scoperto dai capelli chiarissimi, che erano tirati indietro da un’elegante mano di gel. I suoi occhi d’argento la fissavano impassibili e le sue mani, dalle lunghe dita affusolate, le stringevano con delicatezza le braccia.
Un tossicchiare insistente li costrinse infine ad allontanarsi.
Alexis si girò verso il folletto, che la guardava spazientito, tamburellando un piede a terra.
«Scusami, io…» Si voltò, per chiedere perdono per l’inconveniente, ma il ragazzo le dava ora le spalle e si stava allontanando verso il folletto che lo accompagnava.
Rimase imbambolata a fissare quell’ampia schiena, fin quando il folletto che accompagnava lei la strattonò per un braccio. «Vuole sbrigarsi?!» fece inacidito.
Alexis si lasciò trascinare fino alla porta della camera blindata.
«La lampada, prego» disse il folletto, porgendole la lanterna. Lei la prese e fece luce alla serratura. «La chiave, prego» ripeté il folletto con lo stesso tono, aprendo la mano dalle lunghe dita sottili e storte.
Alexis ci lasciò cadere la chiave dentro e il folletto si voltò, la infilò nella toppa e girò per quattro volte in senso orario e due in senso antiorario. La porta si spalancò, rivelando una montagna di monete luccicanti.
Wow, certo che Sirius è ricco…
Lasciò la lampada nelle mani del folletto ed entrò con cautela all’interno della camera. Si guardò intorno, osservando la miriade di monete, di varie dimensioni e colori. Sirius le aveva spiegato la differenza tra Galeoni, Falci e Zellini, e lei l’aveva imparata a memoria, per evitare brutte figure. Fece due conti e, considerando che un Falco valeva ventinove Zellini e che un Galeone valeva diciassette Falci, cominciò col prendere due manciate di Zellini, seguite da quattro manciate di Falci e cinque di Galeoni. Ripose tutto nella borsa tracolla –che cominciò a pesare - ed uscì dalla camera, lasciando al folletto il compito di sigillare di nuovo la porta.
Nello stesso istante, anche il ragazzo di prima uscì dalla propria camera blindata e Alexis non poté impedirsi di guardarlo di sottecchi. Era inevitabile, così come il pensare che fosse davvero un gran bel ragazzo.
Aveva vissuto tutta la sua vita reclusa all’interno di Grimmauld Place, da quando ne aveva memoria, era normale per lei entusiasmarsi per ogni piccolo dettaglio di quel mondo esterno, che le sembrava straordinario. In fondo, era la prima volta che un'altra persona, che non fosse Sirius, la toccava. Le sembrava ancora di poter sentire le sue dita stringerle piano le braccia e la sua schiena aderire contro il suo petto caldo.
Il ragazzo sembrò accorgersi del suo interesse, perché Alexis lo vide sogghignare divertito alla luce fioca delle torce che illuminavano la grotta sotterranea nella quale si trovavano. Le rivolse persino un’occhiata irriverente e lei, colta in flagrante, abbassò subito lo sguardo e fissò il terreno con innaturale interesse. Si sentì avvampare e le guance le si colorarono di un rosso evidente.
«Ecco a lei, signorina Black» disse il folletto, che l’aveva riavvicinata e le stava porgendo la sua chiave.
Com’era successo per tutte le volte precedenti nelle quali era stato pronunciato il nome “Black”, Alexis non si sorprese del fatto che il ragazzo le stesse ora rivolgendo la propria attenzione in modo ben più aperto di quanto non avesse fatto prima. Ciò che la stupì, invece, fu non leggere paura o timore reverenziale in fondo ai suoi occhi grigi, quanto piuttosto interesse e curiosità.
L’intensità nuova di quello sguardo la mise ancor di più in soggezione, così si affrettò a dargli le spalle e si rivolse al folletto. «Ehm… s-sì… grazie» farfugliò, quindi lo seguì all’interno della carrozza senza più guardarsi indietro.
Pur non essendo contenta di fare un altro viaggio su quel mezzo infernale, era sollevata di allontanarsi da quel ragazzo e dal suo sguardo insistente. Lui, dal canto suo, continuò a fissarla fino a che non la vide sparire oltre una ripida discesa.