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Autore: laguindiz    25/08/2021    0 recensioni
Stanca della sua vita di prigionia nella torre, Mahogany Stark decide di andare alla ricerca del suo posto nel mondo, scappando di casa.
Durante la sua prima fuga, incontrerà il famoso Captain America e, dopo un profondo scambio di battute con il supereroe, tra i due scoppierà una scintilla. I due saranno spesso messi alla prova dal segreto che custodiscono e ancor più dai numerosi attacchi di un nuovo nemico che si fa strada tra le fila dell'Hydra: il Soldato d'Inverno.
Le carte prima o poi verranno scoperte, e solo allora Mahogany avrà la possibilità di trovare il suo scopo, esprimendo appieno il suo genio nella realizzazione della sua Iron Girl Suit.
Basterà questo upgrade per affrontare al fianco degli Avengers la nuova minaccia impersonata dall'Hydra guidata da Teschio Rosso?
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salgo, correndo, tutti i gradini che separano i due piani fino a sbucare nuovamente accanto all'ingresso del salotto. Mi precipito in camera mia alla velocità della luce, trovando la porta aperta e mio padre in piedi davanti alla scrivania mentre sfoglia un mio libro di testo. "Papà?" L'uomo con il pizzetto stravagante solleva la testa dalle pagine del libro di letteratura, che ripone esattamente dove l'ha trovato, per poi puntare gli occhi su di me e fare qualche passo in avanti. Allarga le braccia e, in compenso, assottiglia lo sguardo. "Dov'eri?" "Nella biblioteca," mento "dovevo portare giù qualche vecchio libro." I suoi occhi mi scrutano attentamente, come se volessero a tutti i costi scovare la mia bugia. Poi, con un cenno della testa, mi ordina di sedermi sul bordo del letto. Mentre cammino nella sua direzione, mio padre prende la sedia della mia scrivania, la ruota di centottanta gradi e vi si siede, incrociando le braccia sullo schienale e appoggiando il mento su di esse. "Sei riuscita a corrompere Happy?" Increspo le labbra, trattenendo un sorriso. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato prima o poi: Happy è un pessimo bugiardo e certe volte, soprattutto quando si tratta di me, non prova nemmeno a mentire ai miei genitori. Sollevo le spalle, sfoggiando uno sguardo innocente. "Cosa devo dirti... è una pessima spia!" Ci fissiamo negli occhi per una manciata di secondi prima di scoppiare a ridere. Tony appoggia la fronte contro il suo avambraccio, mentre io mi lascio cadere di schiena sul materasso. Porto le mani sulla pancia, che quasi duole a causa delle risate. Mio padre allunga poi il braccio, picchiettando le dita sul mio ginocchio per attirare la mia attenzione. Sollevo leggermente la testa per vedere la sua mano farmi cenno di abbassare la voce. "Così ferisci i suoi sentimenti!" Stringo le labbra in un sorriso per cessare le risate e, con uno slancio delle braccia, torno a sedermi con le gambe incrociate. Inclino la testa verso sinistra, osservando ogni minimo dettaglio del volto di mio padre, persa nei pensieri che affollano la mia testa.  "Non sei arrabbiato?" Chiedo di punto in bianco dopo svariati attimi di silenzio. L'uomo di fronte a me sposta gli occhi in modo rapido e ritmico sul mio volto, stando però bene attento a non incrociare mai il mio sguardo. "No," risponde in tono serio e distaccato "Sono io ad aver sbagliato: ho infranto il nostro accordo e meritavi più fiducia." Tira l'angolo destro del labbro in un mezzo sorriso; così facendo, delle piccole rughette appaiono sotto la palpebra inferiore dell'occhio di quello stesso lato del viso. "Infondo, avrei dovuto immaginare che te ne saresti accorta subito, sei molto intelligente... e sei mia figlia!" Alzo gli occhi verso il soffitto, sbuffando per l'esasperazione, ma al contempo incapace di trattenere un sorrisetto. In quello stesso momento, il mio cellulare inizia a vibrare sul comodino. Mi allungo sul letto per afferrarlo, mentre mio padre, battute entrambe le mani sulle cosce fasciate dai pantaloni di un completo elegante, si alza dalla sedia e ne approfitta per dileguarsi. Con il cellulare alla mano e il dito pronto a trascinare la cornetta verde per accettare la chiamata, rotolo su me stessa fino a ritrovarmi sul bordo opposto del letto a guardare mio padre che cammina verso la porta. "Quindi niente più guardie del corpo?" Chiedo con un tono di voce gutturale, dovuto alla posizione da leone marino spiaggiato che ho assunto. "Forse," ribatte lui a voce alta, per farsi sentire nonostante fosse già uscito dalla mia stanza. Scivolo lateralmente al centro del letto, così da affondare la testa nel cuscino, mentre accetto la chiamata con la mano libera, portando poi il cellulare vicino all'orecchio. "Ehi!" Dall'altro capo del telefono sopraggiunge il suono di una campanella, seguito da un rumoroso vociare e dall'eco di passi veloci che fa da sottofondo alla voce affannata di Erika. "Ciao Mag, sei libera?" Fa una breve pausa, nella quale sembra salutare qualcuno che le passa accanto. "Io ho appena finito le lezioni, ti va di vederci per un caffè tra poco? Così potrai raccontarmi della tua fiamma!" Pronuncia l'ultima frase con un pizzico di malizia; riesco già ad immaginare il sorrisetto che le incornicia il volto. Arriccio il naso e scimmiotto la mia amica senza emettere alcun suono. Poi con uno sbuffo, rispondo alla sua domanda con un'altra domanda. "Solito posto?" "Andata." *** Risucchia fino all'ultima goccia del suo frappé alla banana, facendo gorgogliare la cannuccia. Allontana le labbra dal bicchiere e, mantenendo gli occhi puntati su di me, schiocca la lingua contro il palato e incrocia le braccia sul tavolo. "Wow!" Si lascia sfuggire poi, mentre finisco di raccontarle cos'è accaduto durante l'allucinazione che Wanda mi ha provocato circa una mezz'oretta fa. Ovviamente, ho dovuto rimodellare la realtà in modo da potergliene parlare senza accennare al quasi bacio che c'è realmente stato tra di noi, né dei due gemelli con i superpoteri che gli Avengers hanno salvato. La versione che le ho esposto si limitava quindi al primo appuntamento con Steve - se condividere un pacchetto di patatine fritte del McDonald su una terrazza può definirsi un appuntamento - e ad un sogno che ho fatto su di lui la notte scorsa. Scrocchio le dita delle mani sotto il tavolo. "Allora, che cosa ne pensi?" Chiedo. Erika prende un respiro grande e, incrociando le braccia al petto, appoggia la schiena contro la spalliera della panca. "Beh, hai sognato di baciarlo," solleva le spalle e gira il volto verso sinistra, increspando le labbra. "Questo non vuol già dire che infondo ti piace tanto da desiderare di baciarlo?" Abbasso lo sguardo sul liquido arancione rimasto nel bicchiere di fronte a me, riflettendo sulle parole della mia amica. Quello che ha detto è vero: Steve mi piace. Il problema è che, sebbene ne sia consapevole, non credo di essere pronta ad ammetterlo ad alta voce, né a me stessa né tanto meno ad altri. Ogni volta che ci penso, il cuore inizia a battere talmente veloce da sfiorare la tachicardia, delle goccioline di sudore, precedute da una vampata improvvisa di calore alle guance, cominciano ad imperlarmi la fronte e il collo ed un senso di agitazione e panico prendono il controllo del mio sistema nervoso. È una sensazione strana, a tratti piacevole e a tratti estremamente fastidiosa. Quando sono in mezzo alla gente poi, diventa straziante. Per questo motivo faccio strisciare la sedia sul pavimento nel maldestro tentativo di alzarmi in piedi, finendo quasi per inciampare nella gamba del tavolo. "Vado un attimo in bagno, torno subito," biascico e, senza neanche guardare la mia amica Erika in faccia, mi precipito in bagno. Apro subito il rubinetto dell'acqua fredda, chino la testa sul lavandino e sciacquo il viso, tamponando le tempie con un pezzo di carta igienica bagnata. Abbasso la maniglia d'acciaio e sollevo il capo lentamente, mentre le goccioline di acqua ruzzolano sul mio volto, si incastrano tra le ciglia o precipitano sulla ceramica del lavano. I miei occhi si puntano immediatamente sulla mia immagine riflessa nello specchio, la quale, dopo un battito di ciglia, lascia spazio alla figura di Steve Rogers. L'uomo mi guarda e mi sorride, e proprio come nell'illusione creata da Wanda, allunga le mani verso di me, oltrepassando il vetro per poter accarezzare le mie guance. Premo con forza gli occhi e scuoto la testa. Sto impazzendo. Avvolgo le mani attorno al bordo del lavandino e lo stringo talmente forte che le nocche di tutte e dieci le dita impallidiscono. "Non è reale," sibilo a denti stretti. Non so bene cos'abbia fatto Wanda nella mia testa, ma qualcosa mi dice che in qualche modo sia riuscita a smuovere dei sentimenti che ancora non sapevo di covare; li ha portati a galla all'improvviso, e adesso non so davvero come maneggiarli. Prendo un lungo e profondo respiro, stacco un paio di fogli dal dispensatore per asciugarmi il volto e sistemo i miei capelli mossi dietro le orecchie. Esco dal bagno pochi secondi più tardi con uno strano vuoto che colpisce la mia pancia dallo stomaco fino al basso ventre, costringendomi a mordere il labbro inferiore con i denti per evitare di sorridere come una cretina per chissà quale assurdità che mi gironzola in testa. Il sorriso si spegne alla stessa velocità di una lampadina fulminata quando il mio sguardo si posa sul tavolo dove avevo lasciato la mia amica, ora impegnata a frugare nel mio zainetto. Aumento il passo, facendomi largo tra i clienti che consumano le loro ordinazioni in piedi, fino a raggiungere la panca sulla quale ero seduta. Strappo lo zaino dalle mani di Erika e, con gli occhi traboccanti di rabbia, delusione e lacrime amare puntati su di lei, richiudo la cerniera e me lo metto a spalle. Ignoro i suoi stupidi tentativi di giustificarsi; poso accanto al mio bicchiere quanto basta per pagare la mia bottiglietta di succo di frutta e, senza dire una parola, mi dirigo a passi lunghi e distesi fuori dal locale. Il campanellino d'ingresso suona di nuovo soltanto pochi istanti dopo la mia uscita, ma, nonostante i svariati richiami, non mi fermo: accelero anzi l'andatura, immergendomi nella scia di persone che occupano il marciapiede e confondendomi tra esse fino a disperdere ogni mia traccia. Il centinaio di emozioni forti e contrastanti mi accompagnano fino a casa: spingo le porte girevoli con prepotenza, attraverso l'ingresso della torre con decisione e, spintonando alcuni uomini in giacca e cravatta, occupo l'ascensore prima che qualcun altro ne abbia la possibilità. Poco prima che le porte si chiudano, intravedo la figura di Captain America che, invece di ascoltare ciò che alcuni agenti hanno da dirgli, mi osserva dalla reception con le sopracciglia aggrottate. Scivolo sul fondo dell'abitacolo fino ad appoggiare le spalle e la testa alla parete, reggendomi al corrimano in metallo. Stringo gli occhi e digrigno i denti nel tentativo di placare il turbine di emozioni che sta mettendo in subbuglio sia il mio cuore sia la mia mente. Quando la breve melodia robotizzata risuona nell'abitacolo, avvertendomi dell'arrivo al piano desiderato, mi affretto verso le camere da letto. Raggiunta la mia stanza, spalanco la porta per sbatterla pochi secondi dopo alle mie spalle e chiuderla a chiave. Getto lo zaino ai piedi del letto, poi cammino fino al centro della stanza e infilo le mani tra i capelli, strizzando gli occhi, ai quali sfuggono giusto due lacrime. Un singhiozzo lascia le mie labbra all'improvviso. Assesto quindi un calcio alla sedia, che finisce inevitabilmente per sbattere contro il legno massiccio della scrivania. "Qualsiasi cosa sia successo, non credo che la sedia ne abbia colpa." Sussulto per lo spavento e, con un piccolo balzo, mi volto di schiena, posando una mano sul cuore e asciugando le guance con l'altra: in piedi davanti a me trovo un ragazzo dai capelli di dubbio gusto che scruta il mio volto con un sorriso appena abbozzato sulle labbra. Apro bocca per dare voce alle mille domande che mi frullano in testa, ma sono costretta a richiuderla quando il mio sguardo si sposta dallo sconosciuto alla porta chiusa a chiave alle sue spalle. Saetto gli occhi almeno tre volte prima di esclamare terrorizzata: "Come diamine hai fatto ad entrare?" Il ragazzo dai capelli color avorio con le radici more solleva le spalle e poi le mani, increspando il labbro inferiore. "Nello stesso modo in cui ho chiuso la finestra," ribatte con un forte accento dell'est. Subito dopo, punta l'indice verso la parete di vetro dietro di me. Nell'atto di ruotare la testa e il busto, una folata d'aria colpisce il mio viso prima a destra e subito dopo a sinistra, facendo svolazzare i miei boccoli biondi. Anche senza voltarmi completamente, riesco a vedere con la coda dell'occhio il vetro della finestra che combacia con il resto della parete. Torno quindi a guardare il ragazzo, ancora in piedi di fronte a me: le uniche differenze che noto rispetto a qualche secondo fa sono il suo sorriso più accentuato e strafottente e le braccia che ora tiene incrociate davanti al petto. Annuisco con le labbra arricciate. "Sei super veloce." Il ragazzo inclina la testa verso sinistra, alzando subito dopo gli occhi al cielo. "È riduttivo, ma sì, sono super veloce," conferma. Sposto il peso del corpo sulla gamba destra e incrocio le braccia al petto nello stesso istante in cui lui scioglie l'intreccio per farle ricadere lungo i fianchi. "Quindi immagino tu sia Pietro, il fratello di Wanda..." Lascio la frase in sospeso, nonostante sia già sicura della risposta. Pietro annuisce, facendo subito un passo in avanti. "Sì, ed è proprio per questo che sono qui," spiega "Volevo scusarmi per quello che ti ha fatto mia sorella." Una frazione di secondo più tardi, lo ritrovo ad un palmo dal mio naso mentre tiene delicatamente la mia mano destra nella sua. "Oh!" Esclamo sbigottita, sbattendo più volte le palpebre. "Quindi mi dispiace..." La sue labbra si posano poi sul dorso della mia mano, lasciando la frase in sospeso. Successivamente solleva gli occhi color smeraldo, incastrandoli nei miei, in attesa di una mia risposta. Deglutisco, e solo allora mi rendo conto di aver la bocca più asciutta del deserto del Sahara. "Mahogany," concludo la sua frase, accontentando la sua richiesta implicita di conoscere il mio nome. Non ho idea di quanto tempo passiamo in silenzio a fissarci negli occhi. Ad interrompere il nostro contatto visivo sono di per certo alcuni colpi dati alla porta della mia stanza dall'esterno. Schiarisco quindi la voce, ritraggo la mano dalla sua presa gentile e compio un passo indietro, sbattendo i polpacci contro il bordo del letto. "Jarvis, sblocca la serratura per favore," ordino al mio assistente digitale. La porta si apre nel istante immediatamente successivo al rumore sordo della serratura che scatta, rivelando la figura statuaria di Captain America. Nessuno osa fiatare. Al contrario, gli sguardi balzano da una persona all'altra e, a seconda del soggetto, esprimono imbarazzo, confusione o durezza. Il primo a rompere il ghiaccio è il gemello Maximoff che, saettando rapidamente lo sguardo da me a Cap, indica l'uscita con entrambe le mani. "Io allora vado," dice. Annuisco, riuscendo con non so quale forza di volontà a posare gli occhi su di lui. "Va bene," abbozzo un sorriso "e non preoccuparti, è tutto a posto." Alza i pollici con un sorrisetto in volto, poco prima di sfrecciare fuori dalla stanza. Io invece, percependo il bisogno di un ricircolo di aria, vado a riaprire la finestra: l'atmosfera in questa stanza è diventata soffocante. Mentre mi sollevo sulle punte per afferrare la maniglia, Steve spezza quello spesso strato di disagio ponendo una domanda che però suona tanto come una constatazione. "Noto che hai già avuto modo di conoscere i gemelli Maximoff." Dalla sua voce traspare un filo di ironia. Ruoto la maniglia, aprendo la finestra a vasistas. Tornata ad aderire al pavimento con l'intera pianta del piede, emetto un sonoro sbuffo. "Un vero piacere," borbotto, ricordando allo stesso tempo di come Wanda mi abbia assalita alle spalle con la sua manipolazione mentale e di come il fratello si sia intrufolato nella mia stanza grazie alla sua velocità. Mi siedo poi a gambe incrociate sul bordo del letto e, quando i miei occhi si posano ancora una volta sul viso di Steve, un sorriso, che tento di nascondere dietro la mano, si allarga sul mio volto. "È gelosia quella che vedo sulla tua faccia?" Il diretto interessato cerca di camuffare il sorrisetto sarcastico - simbolo di colpevolezza - con uno sbuffo e una leggera risata. "No," sentenzia. Avanza poi nella mia direzione, prendendo posto al mio fianco. Appoggia le mani sulle sue ginocchia e si gira verso di me, puntando i suoi occhi azzurri nei miei. Con un sorriso sincero, aggiunge: "Però mi preoccupo per te." Il sorriso si espande sulle mie labbra a dismisura. Mi volto dalla parte opposta, cercando di celare con la mano destra il rossore che appare sulle mie guance negli istanti successivi. Torno a guardare il Capitano Rogers negli occhi soltanto dopo alcuni secondi e, con la mano appoggiata sul mento, biascico: "È molto dolce." I nostri sguardi si perdono l'uno nelle iridi dell'altro, ma, ancor prima che i nostri visi inizino ad avvicinarsi tra loro, la vibrazione del cellulare sulle lenzuola dietro di noi attira la nostra attenzione. A differenza mia, già pronta ad ignorare la chiamata, Steve interrompe il contatto visivo per sbirciare il nome che compare sullo schermo. "Erika non era la tua amica?" Chiede perplesso. Annuisco in modo altezzoso e senza più guardarlo in faccia. "Perché la stai ignorando?" Sbuffo. "Non la sto ignorando." Percepisco il suo sguardo divertito bruciare sul mio profilo. "E queste tre chiamate perse?" Il cellulare smette improvvisamente di vibrare. "Quattro." Sbotto infastidita. Il soldato - che ancora indossa la sua divisa rossa, bianca e blu - incrocia le braccia al petto e si volta con il busto verso di me, sistemandosi meglio sul letto. Bagna le labbra con un rapido gesto della lingua, poi alza le sopracciglia, inclinando la testa quanto gli basta per vedermi in faccia. "Forza... dimmi cos'ha fatto." "L'ho beccata a rovistare nel mio zaino!" Esclamo, manifestando il mio sbigottimento con un piccolo salto sul posto, accompagnato dallo schiocco delle mani sulle cosce, che mi porta a guardare Steve di nuovo faccia. Corruga la fronte. "Secondo te cercava-" Lo interrompo subito. "Non lo so cosa cercava: non le ho mai parlato delle mie scarpe, non gliele ho mai mostrate e sinceramente dubito anche che possa avermi vista indossarle perché sto molto attenta," dico. Il Capitano sospira con uno sguardo serio. "Prova a chiederle perché lo stava facendo," mi consiglia "Magari era solo curiosa." Annuisco, pensierosa. In quell'istante la mano calda di Steve si posa sulla mia: i miei occhi guizzano su di lui, mentre il cuore fa un capitombolo nel petto. Sorride. "Se preferisci invece, posso chiedere a Natasha di fare qualche ricerca sul suo conto." Il bello e al contempo anche il brutto di essere circondata da spie, agenti segreti e supereroi. Scuoto la testa, abbozzando un sorriso. "Prima proverò a parlarle... ma grazie comunque."
   
 
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