Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: EleAB98    25/08/2021    4 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo XI – Neanche Un Minuto Di Non Amore – Parte Seconda

Martedì


Avevamo trascorso una piacevole mattinata. Io e la Rossi ci eravamo abbandonati a un'affascinante perlustrazione della Galleria fiorentina a suon di battutine e sguardi di fuoco. Perlomeno da parte mia. Notai con sorpresa che la mia collega, il più delle volte, distoglieva l'attenzione da quelle (semi)false avances con ammirevole costanza, parlando di argomenti ben lontani da quelli propinati dal mio cervello.
Una parte di me, quasi cominciò a pensare che stessi davvero esercitando un certo ascendente su di lei. Io volevo tuttora servirmi della mia arte di casanova, affinarla, lasciare che quelle provocazioni la confondessero oltre misura. In poche parole, volevo vendicarmi di quanto accaduto poche ore prima, ma, al tempo stesso, volevo intrigarla, farle capire cos'avesse perso sin dall'inizio. Un forte conflitto interiore, tra l'altro irrisolto, aleggiava in me. Ma il mio desiderio per lei era talmente intenso, che soltanto ripensare all'accecante sensualità che Megan mi aveva dimostrato su di quel letto, provocava in me un folle brivido. Quello dell'eccitazione. Il mio orgoglio, solitamente, resisteva a ogni sorta di richiamo, ma a quello primordiale non poteva esserci scampo. Non avevo un rapporto sessuale da almeno una settimana, e a questo non ero affatto abituato. Gli effetti dell'astinenza cominciavano a farsi sentire, e tenermi vicino a quella diavolessa mi faceva un male tremendo. Contenere l'irrefrenabile impulso che mi coglieva quando ero al suo fianco era sempre più difficile. Mi sorpresi altrettanto a pensare, però, che quei giorni di riposo forzato fossero trascorsi a gran velocità.

«Che ne dici di quel ristorantino laggiù? Mi sembra ottimo per placare la fame che attanaglia il nostro stomaco.»

«Ma non i nostri bollenti spiriti», esalai, regalandole l'ennesima occhiata sfacciata.

«A quelli penseremo più tardi», rispose Megan, stando al gioco.

«Ci conto.» Motteggiai parzialmente l'evidente falsità che celava quell'asserzione. Sarebbe stato molto più semplice se lei fosse stata, almeno un poco, attratta fisicamente dal sottoscritto. Quella mattina, malgrado il suo insulso giochetto, non mi era parso di notare un reale interesse verso il mio corpo, che, diciamocelo, non era poi troppo scolpito a regola d'arte – anche se, di contro, dimostrava di mantenere una buona tonicità. Era tutto nella norma, tanto per capirci. Le altre donne, a ben guardare, avevamo amato sfacciatamente quel corpo, vi avevano tracciato i percorsi immaginari più strampalati che riuscissero a creare, vi avevano stampato i baci meno casti che potessero propinargli. E io, come appurato ormai da anni, avevo un ego profondamente smisurato. E la Rossi, sin dal primo momento, aveva tentato di spegnerlo del tutto. Per non parlare di quella Summer – in arte Stefanie. Non avrei mai dimenticato quell'orribile esperienza, tra l'altro non avevo più testato la mia forza virile da quella sera. Avevo commesso l'irreparabile errore di rifiutare Melanie nel momento del bisogno, del riscatto, del rimbambimento totale cui ero caduto. E ora, ne stavo pagando care le conseguenze.

«Cosa preferisci? Costata di maiale o bistecca alla fiorentina?» le chiesi, non appena prendemmo posto.

«La seconda, ti ringrazio», mi rispose Megan, senza troppi giri di parole.

La scrutai dall'alto in basso; lo facevo spesso con le persone, quando i dubbi attanagliavano la mia mente. «Qualcosa non va?»

«Perché me lo chiedi?» Indurì la sua espressione.

Sul momento, non replicai. Mi sembrava pensierosa. Distaccata. In un mondo tutto suo. «Sicura di stare bene?» reiterai, volevo che lei mi dicesse che non mi stavo sbagliando.

«Stavo soltanto riepilogando il piano nella mia testa. Nulla di più.»

Incurvai le mie labbra all'ingiù. Non mi convinse. Che mi stesse dicendo una bugia? Decisi di ignorare quella sensazione. In fin dei conti, non era affar mio. «Okay. E... ti dispiacerebbe condividerlo con me?» Le rifilai un sorriso che, molto probabilmente, avrebbe ammaliato qualsiasi donna. Persino un muro. Ma non lei, constatò la mia coscienza, che di tanto in tanto si divertiva a fare capolino come i fastidiosi topini che sostavano nella soffitta di casa mia.

«Dobbiamo trovare dei documenti che attestino l'illegalità delle transazioni di Thompson. Dopodiché, dovremmo parlare con le fonti interessate, e—»

«Far scoppiare lo scandalo. Tutto chiarissimo, Megan. Ma non mi hai ancora detto come faremo a—»

«Ho tutto sotto controllo.»

«Beata te», mormorai. «Io sto cominciando a perderlo, invece», la guardai distrattamente; sostenere il suo sguardo, questa volta, mi risultò difficile. Fortunatamente, ci salvò il cameriere, un giovanotto tutto pepe che riscosse nell'immediato le ordinazioni. Il resto del pranzo trascorse nel quasi assoluto silenzio. Ognuno sembrava perso nelle proprie riflessioni. Io, dal canto mio, continuavo a studiare Megan con discrezione e bramosia, quasi volessi cogliere in lei un sincero interesse per me. Avrebbe mai ceduto al mio fascino indiscusso? O forse, avrei ceduto io? Quella femme fatale avrebbe potuto provocarmi ancora una volta, e io dovevo contemplare quell'eventualità per decidere se, nel caso, fosse più utile scappare o calpestare la mia dignità di uomo. E cedere, quindi, agli impulsi della carne. D'altra parte, l'incessante bisogno di riaffermare il mio spirito era ancora ben impresso sulla mia persona, sia fuori che dentro di me. In ogni singola cellula di cui ero fatto.
 

Il resto del pomeriggio, ci ritrovammo nella hall ad annoiarci a morte. La cara Megan aveva insistito affinché tornassimo in hotel perché i suoi costosissimi tacchi a spillo stavano cominciando a ucciderle i piedini di fata che si ritrovava, e io, incarnando la parte del maritino modello del tutto assoggettato alle richieste della sua donna, acconsentii senza battere ciglio alcuno. Avrei chiamato un taxi, ma lei, essendo troppo orgogliosa per ringraziarmi di quella premura, si era permessa di rifiutare senza se e senza ma. Una volta varcata la soglia dell'hotel, ci imbattemmo nell'occhiata divertita dello stesso receptionista che, al nostro arrivo, ci aveva assegnato l'unica stanza disponibile. 

Gli sorridemmo entrambi con fare sprezzante. No, non avevamo ceduto alla passione, avrei voluto dire a quell'idiota, il cui malizioso sorriso fece andare in bestia Megan. Guardai l'orologio per l'ennesima volta. Le sei del pomeriggio. Sbuffai sonoramente. Come diamine avrei passato il tempo restante? Guardai Megan di sottecchi. Anche lei, accasciata sulla poltroncina di pelle bianca, con le gambe incrociate, stava dilettandosi a leggere un romanzo. O meglio, Il Romanzo. Thomas Hardy era sempre stato il mio scrittore preferito; chiaramente, lo avevo conosciuto a scuola, ma la spinta finale mi era stata data da mia zia, insegnante di Lingua e Letteratura Inglese. Grazie alle sue continue lezioni, Via Dalla Pazza Folla diventò il mio romanzo di punta.

Tornai a concentrarmi su Megan. «A che capitolo sei?» mi decisi a domandarle, troppo curioso di scoprirlo.

«Capitolo III.»

Un sorriso malizioso increspò le mie labbra. Il titolo dello stesso era già tutto un programma, per un casanova come me. Induceva in tentazione, lasciava presagire scenari ben poco casti. Ma sulla carta, ovviamente, non conteneva alcunché di sconveniente, anzi. «Capitolo III – Una ragazza a cavalcioni – Conversazione», esalai. «Il capitolo in cui il caro Gabriele Oak, umile fittavolo, comincia a interessarsi alla cara cavallerizza senza nome; una fanciulla dal temperamento impossibile, frivolo e volubile, che sin dall'inizio correrà dietro al giovane per poi rifiutare, inspiegabilmente, la sua tenerissima proposta di matrimonio. La vanità è proprio una gran brutta bestia, non trovate, madame? Io ne so qualcosa, ma credo anche lei... mi sbaglio?» Non la lasciai replicare. Mi guardava sbalordita.

«Come—»

«Come faccio a saperlo?» Sorrisi. I miei occhi si tinsero di una dolce malinconia, le mie labbra, in una muta espressione di ammirazione, si schiusero ancora una volta in un solenne profluvio narrativo che riguardava parte di un dialogo tra Gabriele e la fanciulla in questione:
 

«"Mi dispiace", disse lui, un istante dopo.
"Di cosa?" 

"Di lasciar andare così presto la vostra mano."

"Potete averla di nuovo se volete; eccovela." E gli diede di nuovo la mano.

Oak la trattenne più a lungo questa volta, in effetti, curiosamente a lungo.
"Come è morbida, se si pensa che poi è inverno; niente screpolata o ruvida o qualcosa del genere!" disse.

"Ecco, ora basta", disse lei, però, senza sottrarla. "Ma ritengo che stiate pensando che vi piacerebbe baciarla, no? Potete farlo, se volete."

"Non stavo proprio pensando a nulla del genere", disse Gabriele con semplicità. "Ma lo farò."»
 

Megan spalancò gli occhi. Sembrava sinceramente colpita dalla mia performance.

«Ho letto questo romanzo per ben quattro volte», mi affrettai a chiarire. «E ne ho imparati a memoria alcuni passi. Ne ero innamorato profondamente. E tuttora, mi perdo ben volentieri in quelle parole.»

Presi a scrutarla con una certa intensità e, forse, devozione. Non l'avevo mai vista così... vulnerabile. Megan, questa volta, fu la prima a scostare gli occhi da me, dopo un paio di minuti passati lì, uno di fronte all'altra, del tutto immobili. E senza nemmeno fiatare. Poi, senza alcun preavviso, si alzò e sparì dal mio campo visivo. Non appena chiuse il libro, si accinse a salire di corsa le scale, che portavano ai piani superiori. La seguii senza indugiare. Cos'avevo fatto di sbagliato?

«Megan! Megan!»

Si fermò in mezzo al corridoio, a pochi passi da me. «Ehi, Megan... si può sapere cosa ti prende?»

«Ti interessa davvero saperlo?» sbottò, acida.

Rimasi a debita distanza. «Perché sei scappata, si può sapere?»

Si voltò verso di me. «Tu non c'entri.»

«A me non sembra», ribattei, piuttosto irritato dalla sua sciocca spiegazione, se così poteva definirsi.

«E invece è così. Discorso chiuso.»

«Tu mi farai ammattire», conclusi, scuotendo la testa. Non riuscivo proprio a capirla. «Ti lascerò il tuo spazio, con la speranza che una sana dormita ti renda meno scontrosa di così. Tra un paio di ore, dobbiamo essere pronti per... insomma, sai per cosa. Stammi bene», le dissi, piuttosto freddamente.

Megan non replicò, quindi si voltò e si incamminò verso la stanza. Io, nel frattempo, avrei passato il resto del pomeriggio a riempirmi i polmoni di quel lurido tabacco, ben conscio dell'effetto che il fumo esercitava sul mio animo qualora ne abusassi.
 

Avevo tenuto occupata la mia mente per quel paio d'ore pensando esclusivamente al mio lavoro. Dovevo staccare un attimo da tutto il resto, perciò avevo telefonato a Ryan Vermut. Gli raccontai per sommi capi il modo in cui io e Megan stavamo affrontando la losca situazione che ci era toccata, tra l'altro evitando appositamente le sue battutacce. Anche lui mi conosceva come un uomo che non se ne stava con le mani in tasca, anzi. Peccato che, questa volta, non avrei parlato, nemmeno sotto tortura. Quanto successo tra me e Megan era stato un semplice incidente di percorso, null'altro. Alle otto in punto, io e la Rossi ci ritrovammo davanti alla nostra camera. Come sempre, la sua bellezza mi folgorò. Vestitino di media lunghezza di colore rosso, maniche a sbuffo e merlettino fiorato. Distolsi da lei i miei occhietti perversi. «Sai dove si trova la sua stanza?» domandai semplicemente.

«Secondo piano, seconda porta a destra.»

Annuii. Percorremmo in silenzio il lungo corridoio, poi salimmo due rampe di scale. «Laggiù», mi indicò, facendomi strada.

Non appena giungemmo dinanzi alla porta, Megan prelevò una forcina dai suoi capelli raccolti in uno chignon.

«Proprio come i ladri, eh?»

«Esatto», decantò, soddisfatta. «Sono una professionista, per certe cose. Mia madre mi chiudeva spesso in camera mia, ero un uragano. Mi metteva spesso in punizione. Ciononostante, riuscivo sempre a scappare. E lei non riusciva a spiegarsi come.»

Mi abbandonai a una breve risata. «Uragano Megan, eh? Mi piace!»

«Avanti, entriamo!» mi rispose con cieco entusiasmo, dopo un paio di minuti riuscì a scassinare quella porta. La stanza di quell'uomo non era poi troppo diversa dalla nostra. L'arredamento che la componeva era piuttosto moderno, ma la cosa che più mi colpì fu la presenza del letto matrimoniale. Che io sapessi, quell'uomo non aveva uno stralcio di vita sentimentale. «Dai, tu cerca in quei cassetti, io provo a rovistare nella sua ventiquattrore.» Indicò una borsaccia piuttosto vecchia gettata sul pavimento, i manici rovinati. Mi fece quasi ribrezzo.

Aprii i cassetti. Biancheria intima, qualche vecchia camicia e un paio di calzini. Niente di compromettente. A un certo punto, nel bel mezzo della nostra ricerca, percepii uno strano rumore. «Megan? Hai sentito anche tu?» sibilai, allertandomi.

«Dio, questo è un chiaro rumore di passi! Cavolo, e ora che facciamo?!»

«Be'... potrebbe anche non essere lui.»

Per un attimo, io e la Rossi ci guardammo dritti negli occhi; dopodiché, all'unisono, ci alzammo di scatto e mettemmo tutto a posto. «Nascondiamoci!» esclamai, avevo il cuore a mille. Se quel mentecatto ci avesse scoperto, sarebbe stata la fine. La nostra fine. Non sapendo dove andare, aprimmo l'armadio ad ante scorrevoli situato di fianco al letto. Ci spintonammo all'interno di esso con esagerata paura. Magari ci stavamo solo facendo paranoie insulse. O magari no.

Ci ritrovammo vicini vicini, stretti stretti in un quasi abbraccio, avvolti nella semioscurità. Il mio respiro si mescolò al suo. Dannazione, ti devi contenere! – cercavo di ripetermi quelle parole come fossero un mantra. La Rossi, dal canto proprio, sembrava sempre più terrorizzata, ma nel contempo... non la smetteva di guardarmi. Sospirai. Tutto mi aspettavo, fuorché di finire dentro a un armadio con una donna. E che donna! Le mie manine indugiarono sui quei meravigliosi fianchi, che avrebbero fatto perdere la testa persino a un santo. Lei non si oppose a quella gentile stretta, tra l'altro non aveva scelta. E non ce l'avevo nemmeno io. Ed era questo, ciò che più mi stupiva. Non avevo scelta, non potevo fuggire da quella morsa, da quella sublime trappola. Eppure, non muovevo neppure un dito verso di lei. Mi limitavo a studiarla in tutto il suo splendore, mi limitavo a incarnare il gentiluomo che mai ero stato negli ultimi anni.

Tremava. Megan stava tremando sotto le mie dita. Dio... avrei dovuto essere ibernato, per non sentire un bel niente. Invece sentivo tutto. Ma proprio tutto. Ed ero più che sicuro che lo sentisse anche lei. Non peraltro, il mio bacino era completamente appiccicato al suo. Alzai gli occhi al cielo, pur di non incontrare i suoi. La scarsa illuminazione, per mia fortuna, aiutava senz'altro nell'Impresa delle imprese

Un sonoro sbatacchiare della porta fece in modo che il mio cuore già pulsante balzasse su in gola. Thompson era lì. Cazzo! – Megan lesse il mio labiale e mi pregò di stare zitto, di non fare alcun rumore. Smisi persino di respirare. Soltanto qualche secondo dopo, mi accorsi che il nostro amichetto non era da solo. C'era una donna, insieme a lui. E lui se la stava baciando come se non ci fosse un domani, agguantando con bramosia le sue pregiate carni. Sembrava assatanato. Spiai dalla fessura dell'armadio quello spettacolino che di sicuro, tra meno di cinque minuti, sarebbe diventato a luci rosse. Megan rimase allibita. E io, per un effimero istante, mi coprii la faccia. Mi sentii come un bambinetto colto in fallo nel rubare delle mele nel giardino del vicino. Richie Rich si gettò in quel letto senza pietà. Sovrastava quella donna con tutto il suo peso e, nel mentre, cercava di espropriarsi dei suoi vestiti. E la sua conquista non era da meno. 

Non potevo crederci. Per una volta, sarei stato un semplice spettatore. No, doveva essere uno scherzo. 

Megan continuava ad avere gli occhi sbarrati, non fu capace di sbirciare neanche un solo particolare di quelle due tigri. Quei forti sospiri divennero gemiti, il rumore della camicia strappata riecheggiò nelle mie orecchie. E tutto il resto... è storia. All'improvviso, nella coercizione di quel momento che mai avrei pensato di vivere, una sensazione di sgradevole imbarazzo permeò nel mio cuore. Una consapevolezza amara e disgustosa mi pervase. Osservando di sottecchi le movenze di quei due, quella selvaggia, violenta e brutale passione, mi resi perfettamente conto di una cosa. Al posto di quell'uomo, avrei potuto esserci io.

Sbiancai. Un forte groppo allo stomaco mi impedì di provare quel senso di onnipotenza che per anni mi aveva accecato. No, non mi venne più da ridere, e nemmeno da sorridere. Vedersi dall'esterno mi aveva fatto effetto. Ero davvero così insensibile? Mi comportavo veramente in quel modo con le donne? Quel Thompson stava trattando la ragazza come fosse una bambola di pezza, si vedeva lontano un miglio che fosse guidato dal solo desiderio. Nei suoi occhi, non aleggiava una briciola di considerazione per lei. Lo si capiva persino dalle imprecazioni che, di tanto in tanto, le lanciava – su quest'ultimo punto, almeno, potevo dichiararmi ben diverso da lui; io non offendevo le donne, nemmeno per gioco. La cosa non mi eccitava per niente. Ciononostante, quel pensiero non mi consolò. Ero davvero sconvolto. Provai un senso di esecrazione assoluta. Io rispettavo le donne ma, al tempo stesso, non le rispettavo. Pensavo soltanto ai miei sporchi bisogni. Pensavo soltanto al mio folle piacere. Pensavo soltanto a me stesso. A quel deficiente che di nome faceva Malcom Brian Stone.

 

*Neanche Un Minuto Di Non Amore: brano del cantautore Lucio Battisti (1977)

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: EleAB98