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Autore: Voglioungufo    25/08/2021    3 recensioni
Role swap AU | Akatsuki Naruto | No Uchiha Massacre
ShiIta | KakaIta | ObiKonan | SakuHina | Maybe SasuNaru.
Tutti conoscono la storia di Naruto e Sasuke com'è stata scritta.
Ma se Iruka non fosse mai stato l'insegnante di Naruto?
Se Sasuke non avesse mai perso il suo clan?
Se Shisui non si fosse sacrificato per il bene di Konoha?
E se Obito, abbandonato il piano dello Tsuki no Me, avesse preso Naruto con sè?
E se Sakura, stanca di essere sottovalutata dal suo maestro, scappasse per inseguire il vero potere?
Sarebbe un'altra storia, la storia che voglio raccontarvi...
Genere: Avventura, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Itachi, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Obito Uchiha, Sasuke Uchiha, Shisui/Itachi
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Cap VII
Averne cura
 
 
 
 
Tra tutti i posti in cui poteva nascondersi, Madara… Tobi… Obito (chi era? Perché non lo sapeva più?) non capiva perché avesse proprio scelto la scultura di pietra del Quarto Hokage che sovrastava Konoha. Una celebrazione in lutto attraversava la via principale del villaggio, verso il cimitero. Era il 10 Ottobre, il giorno dell’attacco, della morte del Quarto Hokage. Da lì il Villaggio sembrava così piccolo e debole, ignaro della minaccia che si trovava ancora una volta su di lui.
Ma Obito era davvero una minaccia arrivati a questo punto? Cosa serviva attaccare questo mondo, prendere vite e versare sangue? Non c’era nessun riscatto, nessun paradiso che poteva realizzare.
Zetsu gli aveva mentito.
Le tavole erano manomesse, qualcuno aveva riscritto sopra gli antichi insegnamenti inventando una favola per gli sciocchi. Sciocchi come Madara, che avevano creduto all’impossibile: la pace non esiste, non può nemmeno essere creata con un’illusione. Ancora non capiva come il vecchio e potente Uchiha non si fosse accorto del tranello, a Obito era bastato osservarle con il Mangekyo per vedere che sotto il sottostante c’era un altro significato. Era un bene che Minato gli avesse insegnato quella lezione, forse era per quello che – tra tutti i posti – era andato a nascondersi in ciò che restava dell’ex-sensei.
Un movimento alle sue spalle gli fece capire che non era stato l’unico a scegliere di nascondersi lì.
Fulmineo afferrò uno shuriken e lo lanciò alle proprie spalle. L’arma si conficcò sul terreno, ai piedi di un bambino, che dallo spavento cadde all’indietro e singhiozzò.
“Non ho fatto niente, non è colpa mia!” gridò con le lacrime agli occhi. “Quindi lasciami in pace, dattebayo!”
Obito sbatté le palpebre, insicuro su come agire per la prima volta da quella che pareva un’eternità. Conosceva quel bambino, lo aveva tenuto in braccio nel momento esatto in cui era nato, perfino prima dei suoi genitori. Mentre il silenzio si allungava notò i lividi sul volto minuto, le ferite stavano già iniziando a guarire ma erano ancora arrossate sulla pelle, segno che era stato picchiato di recente.
“Chi è stato?”
Si bloccò nel sentire il suono della sua stessa voce, si stupì di come uscisse ruvida e roca, come se la sua gola fosse consumata.
Il bambino, Naruto se ricordava lo stupido nome che sensei aveva dato a suo figlio, lo studiava come se fosse una potenziale minaccia.
“E a te che ti frega”.
“Chi?” insistette e non capì nemmeno perché fosse così importante. Si accorse solo che la sua rabbia stava crescendo, ribollendo nelle vene, e non si preoccupò nemmeno di sopprimerla. Sentì il desiderio di incendiare ancora una volta Konoha.
“Nessuno, va bene!” scattò Naruto sulla difensiva.
“Dimmi chi è stato”.
“I senpai all’Accademia!” gridò all’improvviso, ma la rabbia durò solo un secondo. Le sue spalle si piegarono sconfitte e abbassò lo sguardo, lacrime caddero dai suoi occhi. “Sei contento, dattebayo?!”
Non rispose, scosso dalla risposta che conosceva già. Si sedette sulla testa di pietra, la calma apparente che nascondeva una tempesta che infuriava piena di odio dentro di lui.
Non capiva questo mondo, non l’avrebbe mai capito.
Come potevano celebrare il giorno della morte dello Yondaime picchiando la sua eredità? Naruto era solo un bambino eppure avevano alzato le mani contro di lui.
Questo era l’errore del mondo, ciò che avrebbe dovuto correggere con il piano dello Tsuki no Me.
Se solo Zetsu non gli avesse mentito per tutto quel tempo.
Si accorse che Naruto si era asciugato le lacrime e ora lo guardava curioso. Quello era il giorno del suo ottavo compleanno, eppure sembrava così minuto e scheletrico, molto più piccolo della sua reale età.
“Perché indossi una maschera?” chiese facendo un passo avanti.
Obito non rispose.
“Sei comparso all’improvviso, come hai fatto? Sei uno shinobi?”
Scrollò le spalle.
Allargò un sorriso sdentato. “Anch’io diventerò un ninja. Diventerò perfino Hokage, credici!”
Sussultò nel sentire il suo stesso vecchio sogno e gli fu così facile capire perché lo stesse dicendo. Se lo fosse diventato tutti lo avrebbero notato, lo avrebbero ammirato e non picchiato.
“Sarò l’Hokage più migliore” continuò illuminandosi sempre di più, come un piccolo sole. “Sarò così migliore che tutti mi ammireranno! E i bambini al parco giochi vorranno stare con me! E nessuno dirà che sono un mostro! E la vecchia dell’alimentari non mi urlerà contro e comprerò dai negozi e…”
“Non puoi compare dai negozi?” lo interruppe. La sua voce risultò calma, distaccata.
Naruto fece un passo indietro e distolse lo sguardo, dimenandosi un po’ per il disagio.
“No, mi cacciano” spiegò.
“Nemmeno da mangiare?”
Annuì. “Però Ichiraku-san mi dà sempre il ramen, adoro il ramen, il suo ramen è il migliore del mondo, è il più buonissimo, ogni volta…”
Non lo stava più ascoltando, la rabbia era tornata prepotente come uno tsunami, si sentì bruciare fino alla cenere da essa. L’odio per questo villaggio insulso, per quell’intero sistema… sembrava destinato a non finire mai. Tutto quello che voleva fare era distruggere.
“Ehi, non mi hai detto come ti chiami!”
Tornò con lo sguardo sul bambino. “Non ho un nome” rispose.
“È impossibile, dattebayo, chiunque ha un nome!” si indignò.
“No, io non ho nessun nome, perché non sono più nessuno”.
Non era nemmeno più Madara, non dopo quello che aveva scoperto, non dopo essersi reso conto che quel sogno era solo il delirio di un vecchio pazzo manipolato. Aveva perso ogni scopo ormai.
Naruto lo toccò, si aggrappò al suo braccio e strinse così forte da farlo sussultare. Improvvisamente  in panico se lo scrollò di dosso e si alzò, mise spazio tra loro.
“Che cosa stai facendo?!”
“Ti ho toccato” rispose serio come solo un bambino può esserlo. “Se ti ho toccato vuol dire che sei qui, sei qualcuno, non puoi essere nessuno. Quindi devi avere un nome!”
Non riuscì a gestire o decifrare l’improvvisa ondata di emozioni, era talmente disabituato a qualcosa del genere che si agitò. Fece un passo indietro mentre Naruto continuava cocciuto:
“Inoltre solo i fantasmi sono nessuno e tu non puoi essere un fantasma perché i fantasmi mi fanno paura e invece tu non mi fai paura!”
Dovresti averne.
“E…E…” questa  volta parve esitare, in imbarazzo, ma strinse i pugni. “E sei stato gentile con me, mi hai ascoltato e quindi non sei nessuno ma sei qualcuno perché sei mio amico!”
Una contrazione al petto lo fece ansimare. Sgranò l’occhio nel rendersi conto che era il cuore.
Amico.
L’ultima persona che gli aveva rivolto quella parola era stata Rin.
Provò l’istinto di allungare una mano e toccarlo a sua volta, ma non ci riuscì, si sentiva senza fiato nei polmoni. Fece un passo indietro, scosso da tutto quello.
“Io… sono…” Si sentiva la gola stretta, il cuore che batteva doloroso dopo tutto quel tempo di vuoto. “Obito”.
Il nome sembrava estraneo alla sua bocca dopo così tanto tempo a non pronunciarlo, dimenticarlo. Ma Naruto sorrise.
“Io sono Uzumaki Naruto!” gridò. “Futuro Hokage, dattebayo!”
Non riuscì a rispondere nulla, nemmeno a sorridere, la stretta al suo petto era sempre più soffocante.
“Io… devo andare. Non dirlo a nessuno. Non dire a nessuno che mi hai visto. Tonerò. Tu… non dirlo a nessuno”.
Naruto lo guardò incuriosito. “È un segreto?”
“Sì, un segreto” assicurò. “Io…”
“Tornerai” completò per lui il bambino, sempre più felice. “Va bene, manterrò il segreto dattebayo!”
Sparì in kamui con impressione di quell’ultimo accecante sorriso.
 
 
**

Naruto sbirciò attentamente l’interno della stanza. Non si vedeva nessuno, era completamente vuota. Al contrario vide una grossa pergamena su un tavolo. Doveva essere quella che lui e Shisui dovevano recuperare, quella che conteneva la informazioni sul suo sigillo.
Sicuro di essere solo scivolò dentro la stanza e richiuse la porta alle spalle.
Moccioso, ti caccerai in grossi guai, borbottò una voce cavernosa nella sua testa.
Non sussultò, riconoscendo il Kyūbi che, come al solito, stava dando consigli non richiesti.
“Non mi beccheranno, dattebayo” lo rassicurò. “Sono stato attento”.
Afferrò la pergamene, iniziando a srotolarla dall’inizio. Aveva un piano e tutta l’intenzione di metterlo in pratica. Il motivo per cui Obito e gli altri erano così riluttanti a lasciarlo andare in giro era la sua debolezza, non conosceva tecniche shinobi incredibili come loro e anche nell’ultimo scontro… era stato sopraffatto così facilmente! Ma le cose non sarebbero rimaste così. Avrebbe imparato delle tecniche pazzesche, così incredibili che Obito avrebbe dovuto riconoscere che ormai era uno shinobi fatto e finito e non aveva più bisogno della loro protezione. Anzi, poteva essere lui a proteggere loro, avrebbero combattuto insieme.
Tutti i buoni propositi però svaporarono quando vide la prima tecnica segnata sulla pergamena.
“Bushin?!” sbottò mettendosi le mani nei capelli. “Perché proprio la tecnica in cui sono più negato?!”
Sei negato perché non hai un briciolo di controllo sul tuo chakra, moccioso, borbottò la volpe, sempre di grande supporto.
“Non ho controllo del chakra per colpa tua!” replicò stizzito.
Umpf, tutti i miei altri Jinchūriki prima di te non hanno avuto questo problema.
“Perché loro avevano degli insegnati che sapevano come addestrare un Jinchūriki!”
Adorava i ragazzi dell’Akatsuki, ma era ovvio che nessuno sapesse da che parte girarsi con lui e il chakra del kyūbi (in fondo era per quello che avevano rubato il Rotolo Proibito) ed era molto sicuro che la strategia di Hidan di inseguirlo con la sua falce spronandolo a sopravvivere non fosse vero allenamento.
Da parte del Kyūbi ci fu un lungo silenzio, in cui Naruto guardò sconfortato la pergamena. Forse poteva passare alla tecnica successiva?
Aspetta, questo è Kage Bushin, obiettò la volpe.
“E quindi?”
E quindi, moccioso, forse riusciamo a tirarci fuori qualcosa di buono…
 
 
**
 
Itachi aprì gli occhi di scatto. Prima che potesse realizzare pienamente il luogo in cui si trovava aveva sfoderato un kunai e il suo sharingan brillava a scrutare la stanza.
Era ancora nella locanda ed era solo.
Sospirò, sconfortato. Doveva essersi addormentato mentre aspettava Shisui – che errore da principiante – ma a giudicare dalla luce del sole che entrava dalla finestra dovevano essere passate ore dall’orario dell’incontro. Non era in ritardo, come aveva pensato all’inizio, non era proprio venuto. Forse aveva saputo che qualcuno aveva fatto la spia, che Itachi aveva ricevuto una soffiata che prevedeva il suo passaggio in quella locanda. O forse la soffiata era falsa, la spia che gliela aveva rivelata del resto non era molto affidabile. Perché mai Shisui avrebbe dovuto andare in quella catapecchia dimenticata dal mondo? Fino a quel momento perfino Itachi non aveva mai saputo della sua esistenza, non ricordava di esserci mai passato davanti o di averne sentito parlare.
Era stato un buco nell’acqua, Danzo ne sarebbe rimasto deluso.
Non capiva perché il vecchio consigliere gli avesse dato specificatamente l’ordine di cercare Shisui. È vero, Itachi era il miglior shinobi di Konoha al momento, ma il Villaggio possedeva tracker migliori – gli Inuzuka, tanto per cominciare – che potevano seguire meglio le tracce lasciate dal nukenin. In fondo non era mai stato davvero legato al cugino, lo conosceva di vista, ma non aveva un legame tale che gli permettesse di capire come ragionava e quindi anticipare le sue mosse. Non erano mai stati amici, solo lontani parenti.
Ma si fidava di Danzo. Il vecchio consigliere aveva sempre le sue ragioni e raramente sbagliava nel suo giudizio. Era cinico e a volte crudele, ma bisognava esserlo per far sopravvivere una nazione. Certi sacrifici erano inevitabili, Itachi aveva dovuto impararlo da bambino.
Attese qualche altro minuto, giusto per prudenza, ma poi dovette ammettere a se stesso che quella soffiata era inutile, stava solo perdendo tempo. Rimise a posto le proprio cose quindi, recuperò le armi che aveva disseminato in giro per intrappolarlo e scese al piano di sotto. Per scrupolo controllò anche le facce degli avventori, pur sapendo che difficilmente lo avrebbe trovato lì… senza contare che ricordava a malapena il suo volto, in mente aveva solo il ritratto presente nel bingo book. Comunque, come si aspettava non c’era nessuno che avesse anche solo vagamente dei tratti Uchiha, perciò uscì dalla locanda senza che nessuno lo fermasse.
Attraversò la strada con apparenza tranquilla e rilassata, quando in realtà tutti i suoi sensi erano in allerta per rintracciare il minimo segno di pericolo. In realtà Shisui poteva essersi presentato, accorto della sua presenza e aver deciso di ribaltare l’imboscata. Sapeva che non era così, altrimenti ne avrebbe approfittato nel momento in cui si era addormentato, ma la prudenza non andava mai abbandonata.
Arrivato al ciglio della strada, saltò verso i rami degli alberi e si spostò fino ad arrivare alla tana del picchio dove aveva nascosto la sua uniforme ANBU. Era tutto in ordine, non mancava nulla, dalle armi alla fascia di Konoha. Sospirò per l’occasione sprecata e rimise i vari pezzi dell’armature, pronto a tornare a casa.
Proprio in quel momento un frusciare di piume mosse l’aria vicino al suo orecchio. Con il tantō sguainato, Itachi si voltò in allarme. Era solo un corvo… o meglio, era una delle sue convocazione che aveva messo a guardia del perimetro. Ma c’era qualcosa di sbagliato… i suoi occhi riflettevano la forma rossa e nera del suo Mangekyo sharingan, non ricordava di averne incantato uno con lo tsukiyomi…
Attivò il proprio sharingan e, nel momento esatto in cui lo fece, il genjutsu che lo circondava cominciò a spezzarsi. Itachi ricordò tutto. Come erano andate davvero le cose.
Socchiuse le labbra, gli occhi umidi alla realizzazione.
“Bastardo…” bisbigliò.
 
 
**
 
L’estate si stava facendo sempre più calda anche per lui, che aveva un corpo sintetico che solitamente lo proteggeva dalle variazioni di temperatura. L’eterna umidità di Ame rendeva qualsiasi posto del rifugio invivibile, non importa quanto si nascondesse al suo interno. Con le mani spazzolò il prato basso e osservò gli alberi attorno a lui. La radura riprodotto con il suo mokuton almeno rendeva l’ambienta un po’ più confortevole, quello era il posto adatto in cui pensare. E lui stava pensando molto cupamente.
Obito stava pensando a Shisui e più ci pensava più trovava una buona idea colpirlo con delle pigne appena lo avrebbe rivisto. Era passato un giorno e mezzo da quando si erano divisi e non era mai stato via così a lungo solo per incontrare il suo dolce innamorato, cominciava a essere preoccupato che fosse finito in una trappola. Se non fosse tornato entro un’ora al tramonto, sarebbe andato a cercarlo lui stesso. Nel caso non lo avesse trovato, doveva dar per scontato che Konoha lo aveva catturato e quindi ideare un modo per recuperarlo senza esporre troppo l’Akatsuki.
Spero che tu stia bene solo per lanciarti quelle pigne in testa, moccioso, pensò.
 Nonostante i suoi pensieri profondi – non era cosa da niente progettare un modo per infiltrarsi a Konoha e recuperare un prigioniero tenuto sotto la massima sorveglianza – si accorse dell’ombra che lo stava attaccando. Sotto la maschera il suo sharingan brillò e il calcio attraversò la sua testa come se fosse intangibile. Il colpo non andato a segno sbilanciò il suo aggressore e Obito approfittò di quel momento per scattare lontano dal suo posto ed entrare in posizione di difesa. Rotolò sull’erba, ma prima che potesse rialzarsi del tutto si trovò costretto a ricorrere ancora a kamui per via un altro aggressore.
Quanti sono?, si domandò teletrasportandosi al borde della caverna alberata, dove non avrebbe dovuto guardarsi alle spalle.
Nello spazio chiuso, alcuni di essi nascosti tra gli alberi che aveva creato, c’erano numerosi Naruto. Accigliò lo sguardo rendendosi conto che ogni copia aveva chakra sufficiente da poter essere l’originale, che erano indistinguibili gli uni dagli altri anche per lo sharingan. Cos’era quella novità?
“Obito!” gridò uno dei tanti Naruto.
Era il primo che lo aveva attaccato, si trovava dove un attimo prima era seduto a gambe incrociate. I suoi abiti erano rovinati, strappati e sporchi di terra; i capelli molto più spettinati del normale, il viso arrossato e sudaticcio. Nonostante il suo aspetto sorrideva feroce, emozionato, gli occhi che brillavano per la voglia di dimostrare qualcosa. Portò l’indice e il medio di entrambe le mani davanti al viso, incrociati verticalmente e orizzontalmente, e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
“Combattiamo! Kage bushin no jutsu!”
Con sbuffi di fumo e chakra attorno a lui si formarono altre decine di cloni solidi, riempiendo in breve tempo la finta radura.
Obito sorrise sotto la maschera: kage bushin, quello chiariva tutto. In qualche modo era riuscito a sbirciare il Rotolo Proibito e imparare la prima tecnica trascritta dal Nindaime.
Era impressionato. Soprattutto considerando la quantità di cloni che aveva richiamato in breve tempo, molto più di quanti ne avrebbe evocati un jonin d’elite, e tutti avevano una dignitosa quantità di chakra per essere utili in combattimento.
Ovviamente, kage bushin! Era quella la soluzione al problema di Naruto sul controllo del chakra, quella era la tecnica perfetta per lui. Si maledì per non esserci arrivato lui stesso, avrebbe potuto insegnargliela molto tempo prima…
Non importava, Naruto era lì, carico e sicuro di sé. Era il caso di metterlo alla prova.
“Vieni a prendermi” lo sfidò.
 
**
 
Fu lo stesso gioco del gatto e del topo. Naruto era ancora un dodicenne goffo, con così tante apertura nella sua difesa che Obito avrebbe potuto metterlo a terra fin dal primo momento, non importava quanti cloni continuasse a evocare. La sua energia sembrava infinita.
Proprio per questo, continuò a spingerlo per vedere fino a quando poteva resistere, quanto poteva mostrare prima di crollare sfinito. Nel mentre prese nota anche dei vari punti da migliorare, per esempio era assolutamente necessario che acquisisse una maggior coordinazione con e tra i cloni. L’attacco era molto confuso, senza una vera strategia; poteva funzionare con certi avversari di basso rango – i cloni erano davvero tantissimi – ma uno shinobi esperto poteva facilmente trovare un modo per controbattere e vincere nonostante i numeri.
Alla fine fece esplodere anche l’ultimo clone e atterrò Naruto, ormai troppo stanco per resistere al suo taijutsu. Obito si accucciò con calma, come per osservare la sua prossima mossa. Anche se era steso a terra e vulnerabile, il ragazzino non sembrava ancora intenzionato ad arrendersi. Infatti si alzò di scatto cercando di prenderlo di sorpresa con una poderosa testata, ma ancora una volta kamui si attivò e gli passò attraverso, finendo a bocconi sull’erba.
Obito sorrise soddisfatto. “Ottimo lavoro”.
Naruto lo guardò sconvolto, frustrato. “Ma non ti ho battuto” si lagnò cadendo a sedere in modo sfatto.
Sbuffò. “Sei ancora lontano da potermi battere, raggio di sole” lo blandì. “Prima di poter battere me, devi avere ragione degli altri membri di Akatsuki”.
Il ragazzino non commentò, non era un mistero che Obito fosse il più potente nel gruppo, perfino più potente di Pain che controllava tutto Ame. Rimase zitto, scoraggiato, perciò l’Uchiha riprese la parola.
“Sei stato bravo”.
Alzò gli occhi speranzoso. “Davvero?”
“Kage Bushin non è una tecnica che tutti possono performare” spiegò. “È tra le più difficili, soprattutto quella che hai imparato tu e coinvolge la creazione di mille cloni. La inventò Senjū Tobirama e c’è un motivo se si trova nel Rotolo Proibito: non tutti gli shinobi possono sostenerla”.
“Sì, perché bisogna dividere il chakra in parti uguali in ogni clone e non tutti ne hanno abbastanza per farlo. Se ci provano possono morire per esaurimento di chakra senza rendersene conto.”
Obito lo guardò in sorpreso silenzio per quella risposta così puntuale e corretta. Naruto si agitò un po’ allo sguardo impassibile della maschera.
“Me lo ha detto Kurama…” spiegò.
“Il Kyūbi” corresse gelido, l’intera sua posa si indurì. “Continui a parlarci? Ti avevo detto di smetterla, è pericoloso”.
“Non è pericoloso” s’impuntò lanciandogli un’occhiataccia. “Siamo amici, ‘tebayo”.
“Non può essere tuo amico. È un mostro”.
“E io sono il suo carceriere!”
Ci fu un piccolo silenzio, Obito era stupito da quella presa di posizione.
“Naruto, tu sei una vittima” gli ricordò dolcemente. “Non è colpa tua”.
“E non è neanche colpa del Kyūbi se è sigillato dentro di me”. Lo guardò con le iridi blu che brillavano di decisione, la stanchezza ormai evaporata davanti a questa nuova battaglia. “Siamo entrambi vittime dello Yondaime” concluse.
Obito sentì morire sulle labbra tutte le sue obiezioni. Guardò l’ombra di tristezza nello sguardo, visibile nonostante il fuoco che lo faceva sempre risplendere. L’ombra veniva ogni volta che pensava a suo padre, Konoha, quello che gli avevano fatto… Ricordava quando aveva detto la verità a Naruto, tutta la verità, e come essa lo avesse distrutto. Quello era il momento in cui aveva temuto di averlo spezzato, di aver rovinato quello splendido sole.
Dal primo incontro, era andato a trovarlo spesso a Konoha di nascosto, scivolando nel suo appartamento la notte o andando nei solitari posti dove si nascondeva dagli altri. Era stato quel piccolo Naruto sempre allegro nonostante il dolore a fargli prendere la decisione di affrontare Zetsu e poi Nagato, rivelandogli tutto. E poi aveva offerto al bambino di lasciare Konoha con lui, gli aveva rivelato tutto ciò che il Sandaime gli nascondeva e aveva lasciato prendesse la sua scelta. Naruto aveva sofferto dalla verità, ma aveva decisamente imparato qualcosa, così come la sua solitudine e il suo dolore gli avevano dato un’empatia incredibile. Aveva solo dodici anni, ma a volte riusciva a vedere più lontano di molti ninja esperti con una semplicità disarmante. Come questa volta.
Sbuffò addolcito. “A volte dimentico quanto sei saggio”.
Il ragazzino lo guardò dubbioso, ma quando lo vide alzare una mano per alzarsi la maschera sorrise felice. Odiava quando Obito indossava la maschera, era il segnale che stava mettendo una certa distanza tra sé e il resto del mondo, che non era davvero se stesso e poteva essere Madara (il temibile e crudele nemico di Konoha) o Tobi (un fastidio confezionato su misura). Invece, quando la toglieva…
Allargò il sorriso quando Obito aprì le braccia in un chiaro invito. Senza pensarci due volte si scagliò contro il suo petto, sedendosi comodamente tra le sue gambe incrociate e lasciandomi intrappolare nell’abbraccio. Era un peso leggero e caldo, ormai erano così tanto abituati a quel gesto che trovò velocemente il suo spazietto. Obito sospirò soddisfatto mentre faceva crescere, a ritmo innaturalmente veloce, un albero proprio dietro la sua schiena per potersi appoggiare e stare più comodo.  Nel mentre Naruto si aggrappò con le mani alle sue spalle, la dita arricciate ad artigliare la stoffa – lo stringeva sempre così forte, come se avesse paura di essere strappato via – e la testolina appoggiata al collo, i capelli biondo che solleticavano il mento.
Accettare Naruto nella propria vita aveva significato come prima cosa riabituarsi al contatto fisico. Si era accorto subito che il bambino era affamato di tocco1, lo cercava sempre e disperatamente; ogni più piccolo contatto gli avrebbe fatto brillare gli occhi, anche quello capitato per errore. In otto anni di vita, nessuno aveva mai mostrato un gesto d’affetto nei suoi confronti, nessun abbraccio, nessuna carezza, nessuna stretta. Era orribile. Per questo Obito aveva lottato contro l’istinto che lo imponeva di coprirsi di vestiti e maschere, mettere più spazio possibile e barriere tra sé e un altro essere umano. Aveva riscoperto la propria realtà, il proprio essere un corpo solido, per poter dare al bambino l’affetto che gli serviva per crescere.
E aveva anche derubato alcuni manuali pedagogici sulla crescita di bambini traumatizzati dalle librerie di tutte e cinque le nazioni ninja. Madara gli aveva insegnato a essere scrupoloso nella sua pianificazione.
Per questo, quando il bambino si fu ben sistemato si tolse un guanto e, con la mano libera, gli accarezzò una guancia. Questa era una cosa che aveva imparato proprio dai libri: il contatto della pelle con altra pelle libera nel corpo l’ossitocina, l’ormone della felicità; se un bambino ne viene privato con troppa costanza rischia di avere gravissime ripercussioni nella vita adulta, come depressione e ansia. Considerando che Naruto aveva otto anni di arretrati, non si tirava mai indietro. Aveva anche minacciato con la morte i membri dell’Akatsuki di non rifiutare mai qualsiasi contatto Naruto cercasse, con Sasori e Kakuzo aveva dovuto usare effettivamente un po’di forza bruta, ma alla fine ne aveva avuto ragione.
Naruto inclinò il viso assecondando la carezza e socchiuse gli occhi. La stretta si fece più disperata e tremò appena.
“Non sei… arrabbiato?” domandò incerto.
Sospirò, rendendosi conto del suo errore, non avrebbe dovuto lasciarlo solo quella notte.
“Non sono mai arrabbiato con te” lo rassicurò. “Ero preoccupato, sono preoccupato. Non voglio che ti succeda qualcosa”.
Il ragazzino tirò su con il naso, strofinando la guancia contro la mano.
“Lo so… mi dispiace” mormorò. “Ho anche messo in pericolo Shisui-nii…”
“Dispiace a me” precisò. “Non dovevo reagire in quel modo, non dovevo lasciarti solo… è solo che…” si interruppe, affranto.
Ma Naruto capì senza che dovesse dire altro.
“Madara” completò per lui.
“Madara” confermò con un sospiro. “Mi hai spaventato davvero tanto e non sapevo come reagire, quindi… ha preso il soppravvento”.
Non è che avesse davvero una doppia personalità – o tripla, se si contava anche Tobi – ma certi ragionamenti, modi di fare e reazione erano così radicati in lui che spesso scivolava nei suoi ruoli prefabbricati, nelle sue maschere, a seconda di quello che richiedeva la situazione. Così quando doveva dare un comando all’Akatsuki assumeva la personalità di Madara, o quando voleva destabilizzare un nemico diventava Tobi… Certe volte capitava senza che se ne accorgesse, le maschere prendevano il sopravvento e lui dimenticava di essere Obito. Odiava quando succedeva con Naruto.
Naruto che in quel momento lo guardava sorridendo come se l’essere stato abbandonato al buio per un’intera notte fosse la cosa più semplice da accettare.
“Va bene, sono solo felice che tu non sia più arrabbiato”.
“Non lo sono ma stato” ripeté. Gli accarezzò i capelli, cercando di avere ragione di qualche nodo che imbrigliava le ciocche dorate. “Mi dispiace davvero di averlo fatto. Non dovevo arrabbiarmi perché sei andato al festival. Sei un bambino, dovresti giocare con gli altri bambini, andare ai festival senza temere che degli shinobi ti diano la caccia…” sospirò, disgustato dal loro mondo.
“Succederà” promise. “Cambierete le cose. Tu, Nagato-nii, Shisui-nii e tutti gli altri”. Il suo sguardo si illuminò. “E io vi aiuterò, naturalmente. Hai visto che bravo sono diventato, no? Posso aiutarvi dattebayo!” insistette.
Sbuffò divertito dallo slancio. Strofinò ancora il palmo sulla sua fronte, ricevendo un suono compiaciuto.
“Vedremo” rispose senza sbilanciarsi.
 
**
 
Non erano soliti stare tutto quel tempo nello stesso rifugio senza parlarsi, quindi nel breve momento dopo lo scontro Naruto aveva usato tutto il suo fiato per recuperare i giorni di silenzio. Obito lo ascoltò pazientemente, non fece commenti nemmeno quando gli parlò di come il Kyūbi lo avesse aiutato con il kage bushin. Quello che aveva detto prima lo aveva colpito davvero, come al solito Naruto riusciva a fargli vedere le cose da una nuova prospettiva… Forse doveva provare a essere più gentile con la bestie di chakra e non trattarla come una semplice arma da controllare, esattamente con faceva Konoha. Lui non voleva più accettare la logica di nessun villaggio, quindi immaginava che in ciò rientrasse anche il suo approccio ai Bijū.
Alla fine Naruto crollò addormentato a metà di una frase, tipico di lui. Aveva energie infinite, un’iperattività che metteva a dura prova tutti i membri Akatsuki (tranne Deidara e Hidan, ma sospettava che anche quei due avessero problemi di iperattività). Poi di colpo crollava, come se la sua carica si fosse esaurita. In certi momenti era quasi comico.
Non era stupito che fosse crollato in quel modo, aveva imparato il kage bushin e lo aveva sfidato, anche per un Uzumaki era molto da sostenere. Delicatamente lo sollevò, deciso a portarlo nella sua stanza, sul suo letto dove avrebbe dormito meglio.
Ma fece appena in tempo a uscire dalla stanza alberata che si incrociò con Kisame. Si accigliò nel vederlo, non avrebbe dovuto essere ad Ame, era stato mandato in avanscoperta a sud per la raccolta di informazioni. Se era tornato, era solo perché aveva delle notizie grosse.
“Che cosa succede?” chiese, conscio di averlo incrociato proprio perché lo stava raggiungendo.
L’uomo squalo lo fissò con i suoi freddi occhi chiari, soffermandosi proprio sul ragazzino che teneva in braccio. Sorrise e Obito odiò il modo in cui mostrava i denti appuntiti.
“Madara… Obito” corresse nel vedere il volto scoperto. “Speravo di parlarti”.
Obito si pentì di non aver rimesso la maschere nell’uscire dalla stanza, si sentiva troppo scoperto e in svantaggio. Si fidava di Kisame con la sua stessa vita, già all’inizio si era mostrato a lui, ma… il desiderio di nascondersi era troppo forte. Quando era con Naruto i suoi istinti di difesa diventano così forti che la paranoia confondeva chi fosse nemico o amico.
Prese un lungo respiro, costringendosi a restare impassibile.
“Dopo” disse. “Ne parleremo con Pain e gli altri, quando Shisui sarà tornato”.
Kisama scoccò la lingua. “Non c’è?”
“No” confermò superandolo. “Ma sta per tornare”.
Il tempo di fare l’innamorato era finito, Tobi stava andando tirargli qualche pigna in testa
 
 
 
 
 
 
 
1. Touch starving: non riesco a trovare nessuna traduzione di questo termine, quindi sono andata molto alla lettera anche se suona molto meh.
 
Vi avevo detto di avere fiducia! È arrivato un nuovo capitolo e non è nemmeno lungo come mi aspettavo, alla fine avevo fatto malissimo i conti xD
Spero che vi sia piaciuto il primo incontro tra Obito e Naruto, così l’interazione che hanno avuto nel resto del capitolo. Sottolineo una cosa, solo perché voi mi conoscete e potreste aspettarvi una certa dinamica… ebbene, in questo momento il rapporto ObiNaru non ha nulla di romantico. Potete vederlo come quello di un fratello maggiore con il più piccolo, di un sensei con il proprio protetto… ancora sulle ship non ho le idee chiare, ho capito come realizzare la SakuHina e ho una bella idea per i GaaLee. Ma un ipotetico risvolto romantico anche per Sasuke e Naruto è tutto da vedere, sono solo abbastanza certa che non sarà SasuNaru perché ho una mezza idea di intendere Sasuke ace, quindi nada per lui.
Comunque detto questo, breve parentesi su Itachi. Nel prossimo capitolo si vedrà meglio che cosa è successo con Shisui, ma credo sia chiaro: ha usato Amatsukami non solo per fargli dimenticare l’incontro, ma anche il profondo legame che li unisce, il loro affetto. Peccato che Itachi è furbo e conosce i suoi polli: per paura di finire sotto un genjutsu (come è successo) prima di arrivare aveva incantato uno dei suoi corvi per fare in modo che spezzasse qualsiasi possibile genjutsu. Quindi si è accorto del trucco.
 
Bene, nel prossimo capitolo abbiamo: Shisui e Obito, Itachi che fa rapporto e la piccola riunione Akatsuki. Spero di non metterci troppo.
Abbiate anche fiducia per la single parent au, che uscirà questa domenica. Per la Time travel temo dovrete aspettare Settembre invece… rip.
Grazie per seguire questa storia nonostante le pubblicazioni a singhiozzo.
Un bacio,
Hatta
   
 
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