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Autore: crazyfred    27/08/2021    10 recensioni
Alessandro, 45 anni, direttore di una rivista di lifestyle. Maya, 30 anni, sua assistente personale. Borgataro lui, pariolina lei. Self made man lui, principessina viziata ma senza un soldo lei. Lavorano insieme da anni, ma un giorno, la vita di entrambi cambierà radicalmente ... ed inizieranno a guardarsi con occhi diversi. Sullo sfondo: Roma.
(dal Prologo) "Quando Alessandro l'aveva assunta, oltre al suo aspetto patinato, aveva notato la sua classe e il suo buon gusto, oltre ad una sensibilità ed intelligenza nascoste, ma scalpitanti e volenterose di venire fuori. Forse nemmeno Maya si rendeva conto, all'epoca, che razza di diamante grezzo fosse. Alex però, che nello scoprire talenti era un segugio infallibile, non se l'era fatta sfuggire."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 6


 
Il sabato mattina di Maya non era come quello di tutti gli altri impiegati, che possono permettersi prendersela con calma perché liberi dall'ufficio e dal lavoro. Ancora a stomaco vuoto, si buttava a capofitto in 30 minuti di HIIT per scaricare ogni tensione. La prima cosa che aveva tagliato dopo la diffida della padrona di casa, era stato l'abbonamento in palestra. A tutti aveva detto che si era iscritta ad un esclusivo club di Los Angeles che seguiva le star di Hollywood e che forniva corsi on demand, che le era utile anche per tenere il suo inglese allenato. Ovviamente non era vero un cazzo. Seguiva dei video su Youtube e un gruppo di fitness su Facebook che forniva schede gratuitamente.
Dopo una bella doccia e un meritato caffè - in accappatoio e asciugamano a turbante in testa, che le dava più gusto - Maya tirava fuori dall'armadio i suoi abiti più comodi, mocassino college o Hogan a seconda della stagione e, inforcati gli occhiali, li metteva come frontino, in caso ce ne fosse stato bisogno durante il viaggio. Sì perché ogni due settimane - o almeno quando sua sorella non era di turno in ospedale - il sabato era il giorno del pellegrinaggio: così lo aveva ribattezzato, e Lavina, per una volta, non aveva fatto una piega a riguardo. Maya passava a prenderla con l'auto - perché Lavinia si preoccupava della sua impronta di carbonio ed usava solo mezzi pubblici, ma non si faceva scrupoli ad usare quella altrui - ed insieme si dirigevano verso i Castelli, a Grottaferrata, dove la madre viveva in un'elegante villa d'epoca con il suo nuovo compagno - un conte o un marchese, la situazione titoli non era proprio ben chiara - e la loro cagnetta Bianca, una Jack Russell vispa e giocherellona.
Lavinia era sempre di buon umore in queste occasioni e, quando poteva, non diceva mai di no alla proposta della madre di prepararle una stanza per la notte; non che Maya disdegnasse quelle visite, purché rimanessero un appuntamento a cadenza quindicinale e non si sforassero le 3 ore. L'aria pulita e l'assenza dei rumori della città andavano assunte con il contagocce. I mobili d'antiquariato e il silenzio le mettevano ansia. Preferiva di gran lunga tornarsene in città a mettere in ordine la sua casa fredda e contemporanea.
Uscite dal Raccordo, il telefono di Maya iniziò a squillare. Mise in vivavoce.
"Maya, tesò ho trovato la tua chiamata" era Olivia.
"Sì, ciao Olli, come stai tesoro? È parecchio che non ci sentiamo!"
Lavinia sgranò gli occhi. Non poteva credere a quello che stava sentendo. Maya, dal canto suo, pregava tutte le divinità esistenti in tutte le lingue che conosceva che non si rendesse conto di quanto le stesse leccando i piedi in quel momento. Sua sorella, però, dopo l'iniziale smarrimento, non se la bevve e infatti scuoteva la testa. Era paracula, ne conveniva lei stessa.
"Tutto bene tesò. Scusami eh, ma il sabato mattina dormo un po' più del solito"
"Non ti preoccupare, avessi potuto lo avrei fatto anch'io. Ma io e Lavinia stiamo andando a trovare la Principessa Torlonia nella sua dimora di campagna".
No, la madre non era né una Torlonia, né una principessa. La storia che si tramandava era che una trisavola era figlia di un barone svizzero o belga mandata a fidanzarsi con il figlio di un ambasciatore presso la Santa Sede, ma aveva finito per innamorarsi di un banchiere romano: ricco, ma pur sempre borghese. Da allora la famiglia, rimasta a Roma, aveva iniziato a darsi arie di nobiltà, senza titolo né residenza di famiglia.
"Ascolta … avrei bisogno di un favore. Mi servirebbe il numero di quell'amica tua che mi avevi presentato tempo fa … quella che frequentava lo IED …" disse, vaga.
"Ma chi? Marzia?"
"Ecco sì, brava, proprio lei …"
L'aveva conosciuta non più di tre anni prima ad una presentazione di tessuti indiani organizzata da sua madre in un casale in Toscana e ne ricordava malapena il volto ma quell'insopportabile voce nasale e l'intercalare ricercato, pieno di super e troppo fico, e quei modi da finta timida che tira una ciocca di capelli dietro l'orecchio se li ricordava benissimo; le aveva sfracassato le ovaie tutta la sera con la sua ossessione per Vogue, pregandola di ottenere un articolo su Roma Glam o un colloquio, le andava bene qualsiasi cosa. Lei le disse che ci avrebbe provato, più che altro per zittirla, ma se ne scordò appena rientrata a casa. Nel frattempo, però, le aveva scroccato un vestito per andare al matrimonio di una cugina in Umbria. Non sarà stata la Coco Chanel del ventunesimo secolo, ma sapeva vestire le donne a seconda del loro fisico invece che seguendo il suo gusto personale.
Aveva provato a contattarla ma le opzioni era due: o aveva chiamato numero, o aveva bloccato il suo contatto.
"Maya, Marzia si è diplomata quattro anni fa" ecco forse erano addirittura passati cinque anni, perché ora che ci pensava bene lei lavorava con Alex sì e no da un paio di mesi all'epoca.
"Veramente? Ma come vola il tempo! È pazzesco!" doveva smetterla di essere così teatrale, prima o poi qualcuno l'avrebbe sgamata.
Sua sorella, guardandola in cagnesco, disapprovava. Maya nel frattempo aveva calato gli occhiali per proteggersi dal sole e avrebbe voluto accendersi una sigaretta, ma Lavinia gliela prese dalle mani, aggressivamente, e borbottando qualcosa a proposito dell'andarsi ad ammazzare per accendere un mozzicone.
"Metti le cuffie e ascolta la tua musica di merda su Spotify …" la sgridò, scacciandola.
Non era facile starsene in disparte, sedute in una Smart, ma Lavinia si placò, se non altro per agitare la sorella che guidava.
"No, nooo non dicevo a te, scusa" chiarì Maya al telefono "c'è Lavinia in macchina con me e ti saluta. Comunque ti dicevo … avrei bisogno del suo numero perché so che in redazione stanno preparando una serie di articoli su stilisti emergenti romani e mi sono permessa di fare il suo nome. Glielo devo …"
Non era vero un cazzo, ma poteva far credere loro quello che voleva: che il progetto non era andato in porto o che i suoi vestiti non erano in linea con il taglio che avrebbero dato agli articoli.
"Ma il direttore vorrebbe prima vedere le sue creazioni per decidere, e così ho pensato che potrebbe vestire una nostra inviata alla Charity Dinner del Festival del Ci-…"
"Oh ma che ti stai a giustificare con me? Mica faccio la segretaria di Marzia io"
"No certo, hai ragione scusa …"
Maya si morse la lingua, perché la base del Sistema Parioli era sì costruire bene le sue bugie, ma al contempo non riempirle di dettagli inutili ed impervi.
"Comunque, ti mando il suo contatto su Whatsapp. Riguardo a noi invece … da quand'è che non usciamo una sera insieme?"
"Eeeh da un po'" per fortuna, pensò Maya "a lavoro con il Festival del Cinema in arrivo è tutto un fermento. Poi sto anche cercando casa …"
Maya soffocò in gola le sue stesse parole. Sua sorella, ridacchiò, con quell'espressione da te l'avevo detto, puntandole il dito contro. Quello era ciò che Lavinia chiamava karma. Prima o poi tutto si paga, persino un castello di carte. Ma Maya non aveva soldi da spendere neanche per quello ed era ben più scaltra del karma.
"Ma sì … la padrona di casa è una stronza. Già pago 1700 Euro per un bilocale, vuole anche aumentarmi l'affitto. Ok che siamo a Roma Nord, ma non ho Paolina Bonaparte come vicina di casa. Magari è la volta buona che me ne vado a Balduina, così faccio contenta pure mia sorella che le sto più vicina"
"Maya Alberici che lascia i Parioli, questo sì che sarebbe un evento storico …"
Effettivamente era così. La sua famiglia ci aveva vissuto più o meno dalla loro costruzione, nei primi del Novecento, si poteva quasi dire che gli Alberici i Parioli li avevano fondati, ma non era propriamente una cosa di cui vantarsi per come le stavano andando le cose. Quando aveva confessato i suoi problemi a Lavinia, passati i cinque minuti di sfogo dall'incazzatura e la predica sull'irresponsabilità nonostante i suoi trent'anni suonati, la sorella si rimboccò le maniche anche più di lei e la spronò a sistemare la situazione, offrendosi anche di ospitarla per qualche tempo se si fosse reso necessario. Maya sperava non si dovesse arrivare a tanto. A trentacinque anni Lavinia viveva ancora con dei coinquilini in un appartamento vicino al Policlinico Gemelli, dove lavorava. Invece che fare vita da simil-universitaria, Maya piuttosto avrebbe dormito di nascosto in ufficio.
"Comunque se ti va ti accompagno a fare un giro di case …" aggiunse la ragazza al telefono "Max ha un amico che lavora in un'agenzia immobiliare, ci ha aiutati tantissimo quando abbiamo preso casa insieme"
Olivia non era tipa da farsi troppi problemi. Non aveva mai assorbito veramente le dinamiche romane: le conosceva, si sforzava pure di capirle, ma per lei Ponte Milvio non era una sorta di dogana come per molti altri loro conoscenti. Si fosse anche trasferita a Torpignattara, per lei non avrebbe fatto alcuna differenza.
"Devi scroccare un vestito a quella ragazza? Di nuovo?" la rimproverò sua sorella, quando chiuse la telefonata.
"No! Lo affitto a spese della rivista. Ho il permesso di mettere in nota spese tutto quello che mi serve."
"Ma perché non compri un abito a via Condotti come farebbe una persona normale?"
"Perché io non voglio essere una persona normale"
Se c'era una cosa che Maya detestava, e si stupiva che sua sorella ancora non se ne fosse fatta una ragione, era passare inosservata, mescolata nel piattume della folla. Era un'occasione speciale e, anche se era solo lavoro, lei doveva essere al top.
"Però se le dico che è per me mi manderebbe via a pedate dall'atelier dopo l'ultima volta" spiegò "almeno così se non riesco a farle avere un articolo posso sempre farle pubblicità gratuita sul red carpet con le foto che di sicuro mi faranno."
"Perché non le dici la verità?" domandò Lavinia, dopo aver rimuginato per un po' in silenzio.
"Ancora?"
"Ma no! Mi riferivo ad Olivia …"
"Per dirle cosa esattamente? Che non c'ho na lira?"
"Olivia è una brava ragazza, capirebbe"
"E se si venisse a sapere?"
"Esticazzi Maya, sinceramente … delle persone ti deve interessare la correttezza nei tuoi confronti, non il loro giudizio. Non ci esci solo per sentirti importante, fosse anche … che ne so … Kate Middleton"
Ma lei era cresciuta così, in quella bolla dorata che era stata la sua vita privilegiata e aveva finito per credere che quello era l'unico modo per essere spensierati e felici. Alla fine della fiera, riusciva anche a divertirsi sul momento ma le restava poco. Non una vacanza che potesse chiamare indimenticabile, non una serata tra amici che fosse uguale alle altre. E giudicando tutto e tutti, consapevole di essere trattata alla stessa maniera. Vuota forse, ma di sicuro non era proprio una vita leggera. Vivere con quella costante pressione addosso non era per tutti.
Arrivate a Grottaferrata, al crocevia tra due stradine strette di campagna, malamente asfaltate, che si dividevano a V, c'era un elegante cancello in ferro battuto, con tanto di monogramma familiare. Lavinia scese per suonare al citofono e a loro si aprì un lungo viale di ghiaia bianca in cui cipressi e altri alberi secolari si alzavano a protezione della proprietà dagli sguardi indiscreti dell'esterno. Tra alcuni alberi di ulivo si intravedevano la piscina e la dependance che la madre usava come studiolo. Di fronte a loro, alla fine del viale, si apriva invece un piccolo spiazzo di fronte alla faccia della villa. Era un casino su tre livelli, color ocra ma sbadito dal tempo e piante rampicanti ovunque si avesse la possibilità di farle arrampicare: dal portone d'ingresso su per il balcone del primo piano, sulla piccola tettoia che riparava le porte finestre del soggiorno e nel pergolato del terrazzino al primo piano dove, conoscendo la madre, avrebbero di sicuro mangiato. Era una bella giornata, soleggiata e calda abbastanza per approfittarne ancora nonostante fossero i primi di Ottobre.
Le due sorelle non fecero in tempo ad uscire dall'auto che alle loro caviglie si ritrovarono, festante, quella piccola peste di Bianca. L'avevano chiamata come un'antenata di Ruggero, tanto per ribadire il concetto del blasone.
"Le mie bambine!" la madre uscì nel piazzale, accogliendole a braccia aperte.
Era sempre così, Matilde faceva gli onori di casa e Ruggero se ne stava in cucina a preparare il pranzo, per fare il suo ingresso scenografico con grembiule da cucina, ascot al collo e un vassoio da portata tra le mani. Di bianco vestita, con uno scialle etnico sulle spalle, Matilde aveva l'aspetto a metà strada tra una santona e una modella di Laura Biagiotti.
"Lei ha 35 anni, io 30, il londinese 32" le ricordò Maya "direi che abbiamo passato l'infanzia da un pezzo"
"Quanto sei antipatica Maya, per una mamma i figli sono sempre piccoli come il giorno che li ha presi in braccio la prima volta" ma sua figlia scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. Con Matilde, le conversazioni prendevano sempre una piega tra il poetico e il patetico. Era di sicuro uno spirito più affine alla maggiore tra le sorelle, Maya era sicuramente più cinica e meno sognatrice, ma le voleva bene ed era contenta che fosse riuscita a rifarsi una vita dopo suo padre. Alla fine era una giovane vedova e non c'era motivo perché si chiudesse al mondo prima ancora di spegnere 60 candeline. Non l'aveva cercato, era capitato, non era certo un amore passionale ma una compagnia pacata e fedele ed andava benissimo così.
"Bianca a cuccia!" la donna riproverò la cagnolina che saltellava da una parte all'altra sui pantaloni delle ragazze "Dai, entrate, che mi dovete raccontare tutto ma proprio tutto di quello che combinate a Roma"
"Tua figlia ha ricevuto una promozione" dichiarò Lavinia, riferendosi alla sorella minore, mentre attraversavano il salone principale dove la semplicità del pavimento in cotto faceva da contrasto all'opulenza delle cornici dei quadri alle pareti e al broccato dei divani.
"Veramente?" la madre si fermò sulle scale che portavano al piano superiore dove avrebbero pranzato, sorpresa.
"Ma non la stare a sentire, mamma, non è vero. Anche perché il mio lavoro non prevede promozioni."
"Beh come lo chiami tu andare come ospite del tuo datore di lavoro ad un evento mondano? Per me è una promozione. Sta diventando una VIP"
Lavinia strizzo l'occhio a sua madre la quale, sotto la morbida e folta chioma castana, non poteva nascondere uno sguardo complice verso una figlia e un sorriso orgoglioso e furbastro verso l'altra.
"E se non ricordo male il tuo capo è anche un gran bell'uomo, Maya, no?"
"Se vabbè ciao … non mettetevi in testa strane idee voi due. È lavoro"
"Io non ho detto niente … mamma ha fatto tutto da sola"
"E va beh" si giustificò Matilde "una madre avrà pure il diritto di sperare che le sue figlie si sistemino"
"Sì ma magari non con un uomo parecchio più grande di lei e con già due figli" tagliò corto Maya.
Era fuggita volentieri dalla città per scrollarsi di dosso i pettegolezzi che sempre più insistenti le ronzavano intorno in redazione, soprattutto dopo che aveva litigato con Alice e la ragazza per vendicarsi si era data ancora più da fare a confermare le chiacchiere che correvano. Non voleva fare la bambina piagnucolosa dell'asilo e andare a riferire tutto ad Alessandro, ma stringeva i denti e aspettava che la marea passasse. Dopo l'evento, provato che non c'era niente da provare, tutto sarebbe tornato come prima.
"Tadàaaaa!"
Ruggero, questa volta, si era fatto trovare con la tavola imbandita sotto la pergola. Occhiale da vista multicolore, barba e capelli bianchi raccolti in un codino, solo a guardarlo dava una sensazione di benvenuto e di familiarità, con la sua eccentricità, il suo sorriso smagliante e le braccia sempre spalancate. Non si riusciva a non stare bene se lui era nei paraggi. Non era un padre per le due ragazze, si conoscevano da troppo poco e loro erano troppo grandi per un patrigno, ma un buon amico sì. E poi cucinava da Dio, il che non guastava. Lui, dal canto suo, non pretendeva nulla da loro: figli ne aveva, anche se lavoravano all'estero, chi in Svezia, chi in Germania e se andava bene li vedeva su Skype un paio di volte a settimana. La sua unica speranza era che potessero tornare a prendersi cura della tenuta, un giorno. 
"Spero abbiate fame, perché mi è scappata un po' la mano con le quantità" era una scusa, ma la ripeteva ogni volta. Semplicemente amava ricevere ospiti, in villa lui e Matilde non erano mai soli e lui non sapeva cucinare per meno di 5 persone.
"Io di sicuro" lo tranquillizzò Lavinia "mia sorella non saprei … ora che fa la VIP forse deve mantenere la linea"
"La smetti con questa storia della VIP?"
Le due erano cane e gatto praticamente da quando Maya era nata, l'una punzecchiava l'altra e nessuno mai aveva provato a dividerle perché era palese che fosse parte del gioco. Del resto, quando le aveva raccontato dell'invito c'era mancato poco che non ribaltasse la Smart della sorella dall'eccitazione per la notizia.
"Vogliamo tutti i dettagli, mi raccomando … e anche le foto dei personaggi famosi!!!" rincarò la dose l'uomo.
Sarà stato il vino, sarà stato il buon cibo o l'aria fresca e il profumo dei fiori che ancora incorniciavano la pergola grazie al pollice verde di sua madre, ma a questo giro Maya fece fatica a rimettersi in auto per tornare a casa. Era come se quella boccata d'aria fresca le avesse aperto i polmoni e d'improvviso avesse sempre più fame di quell'aria buona.
"La porta è sempre aperta, potete venirci a trovare quando volete, anche per qualche giorno" le incoraggiò la madre, posando un bacio sulla guancia della minore delle sue figlie mentre l'abbracciava.
"Ma voi avete sempre ospiti, saremmo di troppo"
"Non sarete mai di troppo in questa casa, ragazze, non scherziamo" la rassicurò Ruggero "e poi, non c'è partita se vi confronto con quelle cariatidi che vengono per parlare di solo di quadri, vini e giardinaggio. Anche noi abbiamo bisogno di un po' di vita mondana ogni tanto …"
"Potreste venire voi a Roma ogni tanto. Saremmo ben felici di farvi da Cicerone"
Maya avrebbe voluto tirare un pizzicotto sul braccio della sorella, come faceva sempre da bambina quando, puntualmente, Lavinia faceva la spiona sulle sue marachelle. Ok giocare alla famigliola felice di campagna, ma a Roma era tutta un'altra cosa. Loro, e ci metteva anche sua sorella, avevano le loro vite e non potevano certo mettersi a fare le guide turistiche. Ma a lei cosa fregava, tanto con la scusa dei turni in ospedale li avrebbe di sicuro smollati a lei per presentarsi solo ad ora di cena. La ragazza però preferì prendere l'argomento sotto un altro punto di vista
"Ma sì … vi prendete una bella camera d'albergo in centro, ve la posso prenotare io se volete e ve ne andate a teatro … che ne so, all'opera oppure al Sistina, quello che vi pare, cenetta romantica da Armando al Pantheon - che lo so che a voi non piacciono le cose troppo complicate - e date una bella botta di vita alla vostra routine campagnola"
La madre e Ruggero le sorrisero, grati, promettendo che ci avrebbero fatto un pensierino. Maya, mentre con la sua Smart si lasciava la villa ocra sbiadito alle spalle, era tranquilla: non l'avrebbero mai fatto.
 
A Roma, invece, a casa Bonelli, qualcuno avrebbe preferito tenere la testa concentrata sul lavoro piuttosto che tornare a confrontarsi con la realtà che la sua vita privata gli metteva davanti. Se non altro si era deciso a prendere un appuntamento con l'avvocato divorzista che Francesco gli aveva suggerito, dopo giorni di ripensamenti. Alla fine, come gli aveva detto l'amico, si trattava di farsi consigliare, capire come muoversi, senza dover per forza già preparare carte o allarmare nessuno.
Accompagnati i figli a scuola e tornato a casa, aveva indossato casco e giubbino di pelle ed aveva tirato fuori dal garage la sua Moto Guzzi. Claudia non amava andare in moto; al massimo, per battere il traffico, si faceva scorrazzare su scooter più comodi e quel classico gioiellino era rimasto un vezzo tutto per lui che si era concesso per starsene per conto suo di tanto in tanto, anche solo per scendere in garage a prendersene cura. Imboccando la via Tuscolana dal GRA si era lasciato guidare un po' dall'istinto e un po' dalla strada, finendo nei Castelli Romani, costeggiando il lago di Albano, le dolci colline che lo circondano ricche di vegetazione e la residenza papale che, da Castel Gandolfo, sta di guardia sull'antico vulcano.
Il cielo terso e il calore del sole autunnale gli avevano fatto venir voglia di prendere il cellulare, chiamare sua sorella e lasciare che si occupasse lei dei ragazzi. Ma poi pensò che non aveva più vent'anni e i problemi era perfettamente in grado di prenderli di petto; lo faceva a lavoro, poteva e doveva farlo anche a casa.
Sarebbe tornato a Roma e non solo avrebbe parlato con suo figlio, ma avrebbe anche raccontato tutto ai suoi genitori: dovevano sapere le cose come stavano ma, soprattutto dovevano saperlo da lui e non da qualcuno che avrebbe dato una versione che non corrispondeva a realtà. Aveva tergiversato fin troppo.
Sulla strada del ritorno pensò a lungo alle parole da usare, ma alla fine si convinse che la cosa migliore da fare era restare sul semplice, senza troppe spiegazioni e senza giri di parole. Anche perché, da spiegare c'era veramente ben poco: lui stesso non aveva idea del perché Claudia avesse lasciato la sua famiglia per oltre due mesi.
Lasciata la moto, Alessandro andò a piedi a prendere la bambina. Ines, che era andata a fare le pulizie, lasciava sempre qualche suo manicaretto per il week end e non aveva alcuna fretta di tornare a casa per mettersi ai fornelli, tanto più che, conoscendo suo figlio, all'uscita da scuola passava sempre con gli amici a prendere patatine e Coca Cola in qualche baretto e a casa, puntualmente, non aveva fame.
Sul Lungotevere le foglie dei platani già iniziavano, lentamente, ad ingiallire: presto avrebbero formato un tappeto rossastro lungo la strada e, più in basso, sulle banchine del fiume, rendendo praticamente impossibile correre sulla ciclabile. A breve, l'ora di sfogo di Alex, di corsa fino al Foro Italico, sarebbe stata sostituita con una sala attrezzi asettica, non importava quanto esclusiva fosse. Alex aveva tutti i privilegi e i comodi che i soldi potevano comprare ma era anche consapevole che non facevano la felicità. Forse perché era ancora un ragazzo, ed era in un momento della sua vita in cui le ristrettezze non le capiva o non gliele facevano capire, ma lui la felicità l'aveva vissuta: non in un appartamento duplex, ma in una stanza condivisa con sua sorella, in un tinello con cucinino come zona giorno e un unico bagno per quattro persone; non con un parco auto a cinque zeri, ma con un Ciao comprato andando a lavorare a tempo perso dal carrozziere dietro l'angolo.
Ma Alex aveva lavorato sodo per tutto quello che aveva e non lo disprezzava; semplicemente gli sarebbe piaciuto riassaporare, anche per un po', la leggerezza di quei giorni.
Di ritorno a casa, non trovò la porta di casa chiusa a chiave come l'aveva lasciata, stranamente Edoardo era già a casa. Ma la cosa che stranì di più Alex, fu il vociare che arrivava dal fondo del corridoio. Edo era lunatico, come tutti i ragazzi della sua età alternava giorni in completo mutismo ed estraniazione a giorni di grande affabilità, ma non era tipo da mettersi a conversare amabilmente con Ines. Inoltre, era abbastanza sicuro che, quando era salito a casa in fretta e furia, dopo il giro in moto, la donna fosse già andata via.
Entrato nella zona giorno, la piccola Giulia sfilò velocemente la sua manina dalla stretta del padre, correndo verso la cucina.
"Mamma mamma!"
Claudia si inginocchiò, per prendere in braccio la bambina, accogliendola con un gran sorriso
"Amore mio! Ma come sei cresciuta!!!"
Era tornata.



 
Ciao a tutti e ben trovati!!! Come promesso oggi ci ritroviamo con un nuovo capitolo.
Come si dice: chi non muore, si rivede. E finalmente, dopo due mesi di lontananza, Alessandro rivede Claudia. Adesso sì che ne vedremo delle belle.
Presa una pausa dal lavoro scopriamo un altro lato, meno glamour ma sempre di un certo livello, della vita di Maya. In più i preparativi per il gala vanno avanti, ancora nello spirito del famigerato Sistema Parioli.
Chiedo scusa se non sono riuscita a rispondere a tutti i commenti ma siete stati tantissimi e non posso che ringraziarvi, quindi a questo giro ho preferito rispondere alle recensioni in cui c'era qualcosa che mi premeva approfondire o spiegare.
Alla prossima, 
Fred ^_^
 
   
 
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