Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Dorabella27    27/08/2021    6 recensioni
Questa storia inizia quasi vent'anni dopo il 1789, quando la Rivoluzione è ormai un lontano ricordo e la Francia vive i fasti del Primo Impero. Siamo nel campo del what if, anche se per sapere dove sia lo switch, il punto di svolta, l'anello della catena che non tiene - per dirla con Qualcuno - e che ci dà una diversa versione dei fatti rispetto a quella di Madame Ikeda e di Dezaki, vi chiedo di pazientare, poiché, lo sapete bene, la linearità - lo avete visto - non è il mio talento, ma tutti i pezzi andranno al loro posto, alla fine. O, almeno, lo spero. Insieme, mi è venuta questa idea, forse un po' pazza, un po' cercando di riabilitare (ma ne ha poi bisogno?) il buon conte di Fersen e un po' riguardando per l'ennesima volta un film che mi è molto caro (non quello di Demy). Buona lettura a chi vorrà seguirmi in questa che sarà una cavalcata a ritroso negli anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Robespierre
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era accaduto una mattina - si era all'inizio della stagione dei furti del Cavaliere Nero:  André stava attendendo Oscar ai piedi dello scalone d'onore per andare insieme a Versailles. Avevano discusso per buona parte della notte su come catturare e prevenire le mosse di quel ladro che sembrava inafferrabile; lui in poltrona, ricordandole, ogni tanto, come per caso, che sarebbe stato meglio se fosse andata a riposare dopo oltre quindici ore di servizio; lei, Oscar che sembrava non sentire lo scorrere del tempo né la stanchezza, camminando, ancora in uniforme, avanti e indietro, mentre misurava a passi lenti e cadenzati l'ampiezza del salone con la grande vetrata affacciata sulla fontana al centro del cortile, e tormentava con i denti l'unghia del pollice, la mano sinistra chiusa a pugno, le dita della destra che tamburellavano sull'elsa della spada, che si era dimenticata di sciogliere dal fianco, tanta era la tensione di quei giorni.
"Oscar, andiamo a letto. Sono le due passate".
"Ancora un attimo, André. Io non capisco come il cavaliere nero possa andare tanto a colpo sicuro nelle case degli aristocratici; come se sapesse, se conoscesse...:"
Alla fine, ben dopo le tre, si erano ritirati. Ma, mentre vegliava a letto, André sapeva bene che nemmeno Oscar, divisa da lui da pochi passi, dietro la parete alla sua destra, stava dormendo.
Il mattino dopo, mentre la attendeva, pensando che il suo leggero ritardo fosse dovuto alla notte insonne, e immaginando magari di cogliere dei leggeri aloni intorno ai suoi occhi color fiordaliso, il marchese di Marivaux si era palesato nell'atrio. Era sceso dalla sua carrozza, ferma davanti al grande ingresso, spintonando con malagrazia il cocchiere che cercava di sostenere il passo traballante del suo padrone, certo esito di una nottata spesa fra il casinò di Parigi e le case di tolleranza più celebrate della capitale, e irrorata da fiumi di champagne e Borgogna. "Levati dai piedi!", riuscì ad articolare all'indirizzo del costernato cocchiere che cercava di sorreggerlo; parole sgarbate, biascicate con voce impastata, e accompagnate dal tentativo di mollare al solerte servitore un calcio, che mancò il bersaglio tanto sua Grazia il marchese era ubriaco; quindi, appena varcata la soglia del palazzo, si appoggiò al muro e vomitò a terra, nell’atrio, un fiotto scuro e temulento.
Poi, pulitosi alla meglio la bocca con la manica della marsina di seta già imbrattata di vino e di chi sa cos'altro, aveva intercettato lo sguardo di André, che lo fissava, immobile e inespressivo.
"TU, servo!", gridò roco, passandogli accanto barcollante, e indicando la larga macchia che si spandeva a terra dietro le sue spalle, "Pulisci, presto!".
"André è il mio attendente", aveva detto in quella una voce secca e severa: Oscar, palesatasi in cima allo scalone, stava scendendo a passi lenti e calmi. "E non rientra certo fra le sue mansioni pulire per terra quando mio cognato ritorna a casa ubriaco".
"Che cosa hai detto, Madamigella Comandante?", le chiese in un sibilo puzzolente di vino, prendendole il mento fra le mani, quando ella fu un passo da lui.

"Ho detto ..", stava ripetendo quella, glaciale, ma André aveva intercettato le parole di lei, e aveva cercato di frapporsi: "Oscar, non importa, davvero, ci metto un attimo..:"

"No!", aveva esclamato quella, in uno schiocco, e aveva preso e abbassato con calma la mano del cognato. "Hercule, non azzardarti mai più a toccarmi, hai capito? Fammi un cenno con la testa, se hai capito, sì? E ora sali subito questi gradini e cerca di ricomporti, prima di farti vedere da mia sorella e da mia madre". Hercule Timoléon de Marivaux non aveva potuto sostenere a lungo lo sguardo gelido della cognata, aveva lasciato ricadere la mano lungo il fianco, annuendo, e si era affrettato a salire lo scalone, non senza borbottare in preda a un'ira vigliacca parole confuse fra cui si poteva distinguere un "Va' , va' a fare marciare i tuoi soldatini in divisa azzurra, Madamigella Comandante, va'a comandare quelle bambolette da esposizione", e anche un più sintetico e icastico "Va' a farti fottere", che aveva fatto scattare la testa di Oscar all'insù, mentre André le metteva una mano sulla spalla, facendole cenno che non valeva la pena di infervorarsi per quell'individuo.

Erano montati a cavallo in senza parlare e senza una parola avevano percorso le poche  miglia che li separavano dalla reggia. Poi, quando ormai i cancelli di Versailles erano in vista, Oscar aveva rotto il silenzio.

"André, ti prego di non badare al comportamento di mio cognato. Non odiarlo, anzi, perdonalo, se puoi. Hercule è .... è solo un povero miserabile". Una lieve pausa "Ma non tutti i nobili sono così", aveva aggiunto poi, guardandolo fisso.
André aveva annuito. "Io non odio nessuno, e tu lo sai, Oscar".
E avrebbe voluto chiederle anche: "Oscar, perché mi dici questo? Non credi che sappia benissimo quanto tu sia diversa da quei nobili violenti e corrotti che affollano la reggia? Non credi che ti conosca, dopo tutti questi anni? Che riesca a leggere in te meglio di chiunque altro? Che mi abbia intenerito e commosso il tuo prendere le mie difese per risparmiarmi quella che ritenevi una umiliazione?".


Invece, le aveva soltanto detto: "E poi, Oscar, lo sai: io devo provvedere in esclusiva alla tua ubriachezza, e già questo è un impegno non da poco!", suscitando uno: "Stupido!", accompagnato da una risata che le aveva illuminato quegli occhi il cui azzurro per tutto il tragitto si era incupito.

E così, anche nei mesi e negli anni successivi, sempre insieme alla sua Oscar, vivendo con lei, respirandole accanto, non lasciandola mai, aveva come assorbito i suoi pensieri, la sua essenza, e nemmeno dopo si era mai sentito un estraneo, a disagio, in quel palazzo, come un servo mal tollerato, come un fuco, secondo quanto aveva insinuato malignamente Robespierre, facendo anche una allusione ancora più malevola alla "vostra situazione". 

Invece, per lungo tempo, persino negli ultimi mesi, riusciva anche a illudersi, quando era sopra pensiero, fra gli oggetti di lei, nella sua stanza, davanti alla scacchiera su cui avevano giocato le loro eterne partite, in biblioteca, nelle scuderie, sotto la quercia affacciata sul lago, che prima o poi lei gli sarebbe comparsa davanti agli occhi, che, in qualche modo, fosse ancora lì, concentrata su un libro o su un nuovo spartito, e che da un momento all'altro avrebbe sentito la sua voce.


Soltanto in quella cappella luminosa e ordinata, davanti a quel marmo bianco, paradossalmente, non l'aveva mai sentita vicina, anzi, non l'aveva mai percepita più lontana di così, benché fosse proprio dietro quella lapide fredda.
   
 
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