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Autore: DanceLikeAnHippogriff    30/08/2021    1 recensioni
"E a chi mi guarda confuso / dal mio saltellare sconnesso / – a volte sicuro, a volte goffo – / voglio dire che non è mai troppo tardi / per mettersi a giocare con se stesso."
Genere: Generale, Poesia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi'
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Partiamo dal presupposto che sono una persona che i confini non li capisce. Che siano fisici o personali. I confini personali li capisco solo se sono gli altri a tracciarli per sé, e li rispetto con tutte le mie forze. Sia loro che sanno quando e come tracciarli, sia i confini che definiscono. Io, di mio, non li comprendo né riesco a tracciarli per me.

È forse per questo che a volte mi ritrovo in situazioni un poco in bilico in cui vorrei direi “No”, un chiaro inequivocabile e cristallino “No”, eppure non lo faccio mai. Non lo faccio perché dentro di me sento una vocina che mi sussurra all’orecchio e al cuore che se dicessi quel minuscolo “No” risulterei una pessima amica, una figlia irriconoscente, una compagna di corso egoista. E quindi, spesso dico “Sì” e devo mantenere promesse che mi risultano scomode e che non vorrei dover mantenere. Che mi fanno sentire con l’acqua alla gola. Che mi fanno sentire costretta. Sebbene poi, io sia sempre e comunque felice di poter aiutare qualcuno, alle volte questa punta di fastidio in gola permane, acre.

Io non so dire “No” né tracciare confini. Non mi piacciono i confini né i “No”, forse perché so bene quanto sia brutto sentirsi negare qualcosa e quindi cerco di non essere quel tuffo al cuore quando si chiede una cosa con la speranza nelle ultime sillabe della voce. Così facendo, però, non mi sono accorta che di torti e delusioni ne ho subiti parecchi, e tutti per mano mia.

C’è stato un momento in cui ho deciso che mi sarei voluta più bene, tanto quanto ne volevo agli altri, e che avrei cercato di ascoltarmi, conoscermi, capirmi e rispettarmi.

Prendere quella decisione è stato semplice.

Metterla in atto, molto meno.

Non riesco a contare le volte che mi sono sentita scorbutica, distante, antipatica ed egoista per aver detto un semplice “No”. La liberazione di quell’unica sillaba che mi sfuggiva dalle labbra veniva subito schiacciata dal senso di colpa e dalla vergogna di aver fatto sentire male qualcuno, deluso, triste. Di avergli o averle negato una mano amica. A volte, capita che tracci confini per le cose sbagliate. Mi impunto su dei “No” che forse potevo tenermi dentro e, quando ci ripenso, mi sento stupida e penso a quanto sarebbe stato meglio evitare di ribellarsi alla piccola me che urla “Sì” a pieni polmoni.

Perfino oggi, a distanza di anni, non riesco ancora a capire come evitare di sentirmi male quando dico un “No”. Se non voglio fare qualcosa, il primo dubbio che si insinua sibilante nella mia mente è che sono solo pigra e che avrei potuto dire “Sì”, che non mi sarebbe costato niente, che avrei fatto felice la persona che mi aveva chiesto un semplice favore e che mi sarei risparmiata il tormento di quel sibilo costante. La felicità degli altri è la mia felicità, una frase e una verità che mi porto nel cuore da quando posso ricordare. Ma, insieme a questa regola d’oro, cerco di ricordare che anche la mia felicità fa la mia felicità. E che anche quella è importante.

Il mio è un percorso in bilico tra limiti e confini che cerco di seguire pur non sapendo tracciare. Una sfida con me stessa, come quando sotto i portici ti imponi di non pestare mai le linee delle mattonelle, aumentando il passo e con esso la difficoltà del gioco, scovando con occhio attento e sempre più febbrile il percorso migliore per non schiacciare la tanto temuta linea. A volte mi capita di rimanere in bilico su un piede solo, l’altra gamba a ciondoloni, indecisa su dove trovare appoggio sicuro. E magari la gente che ti passa affianco ti guarda, confusa e incuriosita dalle difficoltà che mi impongo da sola su un percorso che ai loro occhi è semplicissimo. Banale. Piatto.

Per me, invece, quelle linee sono insidiose come vipere e non so mai se pestandole schiaccerò loro la testa o la coda. Se quel “No” mi farà stare bene o male. Se farà stare bene o male la persona che lo riceverà. Se riuscirò a gestire ciò che comporta quel mio rifiuto.

Eppure, sebbene non sia granché brava a tracciare limiti e confini, mi piace vedere come, mattonella dopo mattonella, sia riuscita a capirmi almeno un poco. Mi dico che quei momenti passati a ripensare a un “No” e a un “Sì” sono serviti, con il loro tormento e con il loro sollievo. Probabilmente le mie mattonelle non finiranno mai e io continuerò a cercare di capire come funzionano le loro linee, e forse non tutti capiranno perché continuo testardamente a evitarle sotto questi portici infiniti.

 

E a chi mi guarda confuso
dal mio saltellare sconnesso

– a volte sicuro, a volte goffo –

voglio dire che non è mai troppo tardi
per mettersi a giocare con se stesso.

 

  
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