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Autore: time_wings    01/09/2021    1 recensioni
[In revisione]
Da… un capitolo:
“Ci siamo trovati sotto un cielo – certo, era simulato, ma questo conta poco – e ti avrei raccontato la storia più bella del mondo, quella che nessuno si prende mai la briga di raccontare perché la tranquillità e la pace forse non fanno la fama. Peccato che, al crescere della gioia, cresceva la più complessa e particolare delle emozioni: la fiducia.
Questa storia è tragica e il mio più grande rimpianto resta quello di averci creduto.
Forse, semplicemente, per noi non c’era speranza."

Questa storia, come molte altre, parla di una grande amicizia, di un amore nascosto, di un fratello abbandonato, di difficili addii. Certe cose nascono alla stazione di un treno, altre finiscono nello stesso posto. Dove ci porteranno? Be', avanti.
O… la storia di come “alla fiera dell'angst per due soldi un malandrino mio padre comprò”.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Regulus Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CW: droghe leggere


32. Frammenti di mondo

 








23 settembre 1979
 
Peter si lasciò cadere a terra con uno sbadiglio, poi addentò un acino d’uva con aria assorta. L’uva sapeva di sciacquone e sogni infranti, ma ciò che contava era l’intenzione.
Poggiò i tre acini rimasti sul tavolo di fronte a lui. Se quel tavolo voleva assomigliare a un kotatsu stava fallendo miseramente, ma almeno era basso, il che significava puntare in alto in materia di kotatsu. Agli altri tre capi del tavolo, uno per ogni acino, sedevano Remus, James e Sirius, planimetrie alla mano.
“Perché ti è rimasta una Caccabomba?” domandò Remus a Sirius, infilandosi una mano tra i capelli e dando una scrollata frustrata.
“Perché l’ultima va messa alla fine nei condotti di aerazione.”
“Sirius” James sciolse un bottone alla giacca “non c’è nessun condotto di aerazione.”
“Davvero? Merda.”
La situazione era questa: quattro giovani uomini in smoking stavano sabotando il matrimonio di uno di loro. Sabotare era la parola che avrebbe scelto chiunque li avesse sorpresi a tramare quel piano, loro avrebbero optato per rendere interessante.
“Me ne occupo io…” intercettò Remus, il contrasto tra l’ordine dei suoi capelli e quello dei suoi abiti ambiva a quello di James Potter più o meno quanto quel tavolino da caffè ambiva a diventare un kotatsu. Sirius alzò distrattamente una mano a dargli una sistemata ai capelli, gli occhi ancora incollati alla planimetria del locale come se uno sguardo avesse potuto cambiarla.
Anche il locale non era un locale, a dire il vero. Era un negozio che si chiamava ‘frammenti di mondo’ e vendeva tutta una serie di gingilli che andavano da teiere cinesi a utensili decorativi brasiliani. La proprietaria era un’amica di famiglia di Mary MacDonald che aveva assistito alla prima manifestazione magica della ragazza e che quindi era a conoscenza del non trascurabile dettaglio che al mondo esistesse la magia.
“Va bene, tu ti occupi delle Caccabombe” acconsentì James, puntando un dito contro Remus per poi deviarlo verso Sirius, “tu puoi gestire da solo i fuochi d’artificio?”
“Qualunque cosa destinata a esplodere è in buone mani con me, Jamie.”
Remus annuì e parlò attraverso un respiro: “questa è la più grande bugia che tu abbia mai detto.”
“Be’, John,” per la cronaca, l’uso del secondo nome di Remus era diventata la cosa più irritante e stupida della loro relazione, più che altro perché Remus non poteva usare il secondo nome di Sirius, perché era anche quello di suo padre. Sarebbe stato strano, “sai che ti dico? Puoi anche…”
Un bussare alla porta sventò ogni attacco verbale di Sirius. I ragazzi si liberarono delle prove delle loro malefatte proprio mentre la testa di Marlene McKinnon faceva capolino all’interno della stanza.
“Che state facendo?” domandò, cessando di essere una testa levitante e facendosi largo, sospettosa, nell’ufficio della signora Liddell, momentaneamente adibito a stanza dello sposo.
“Compere.”
“Il tè.”
“Un pisolino.”
“Sesso.”
Deliberarono i ragazzi nello stesso momento. Nell’ordine presentato: Sirius, Remus, Peter e James.
Marlene sollevò un sopracciglio e cominciò a guardarsi attorno a caccia di prove della loro colpevolezza.
“Abbiamo…” Remus esitò con lo sguardo in quello della ragazza, mettendo su l’espressione sicura di chi riporta uno sterile fatto di cronaca, “fatto sesso prima di un pisolino e ora stavamo comprando del tè.”
Sirius alzò a scopo dimostrativo la teiera cinese che avevano preso in prestito. “Vuoi una tazza di tè?” domandò. Questo era l’effetto che entrare nel regno di una signora Liddell faceva alla gente.
Marlene non si espresse sulla questione. “Va bene, non mi interessa. James, giù tra dieci minuti.”
“Dieci minuti?! Ma non sono pronto!” disse con indosso l’abito e in testa i tentativi falliti di Sirius di dare senso ai suoi capelli. Anche Dorcas era venuta a dare una mano, in quella fase delicatissima, ma aveva per lo più riso di lui. In parole povere, era prontissimo.
Marlene sollevò un sopracciglio, scettica. “Qualunque piano stupido abbiate in mente dev’essere pronto tra dieci minuti.”
Li guardò. 
"Oppure devo essere inclusa."
E con questo se ne andò.
 
***

Il signor Evans era vedovo da otto anni ed età e rimpianti erano sparsi sul suo viso in forma di rughe ed espressioni. Era un uomo che aveva guadagnato poco e perso troppo, ma se c’erano due cose che non aveva mai perso erano la speranza e un pizzico di animo romantico.
Di tanto in tanto, la Morte gli faceva visita per sottrargli qualcuno e lo salutava con un gesto che suggeriva un appuntamento futuro di cui sarebbero stati gli unici invitati. Il signor Evans annuiva ogni volta, confermava la loro promessa con un cenno del capo, e poi le diceva: ‘Non adesso’.
Il signor Evans, quando aveva quindici anni, aveva sognato di vedere il Brasile, l’Alaska e la Cina e poi l’aveva fatto, perché era un tipo determinato. A cinquant’anni abbondanti e un numero di acciacchi che tendevano a invecchiarlo, il signor Evans sognava solo di vedere le sue figlie sposarsi e realizzare i loro sogni, ed era per questo che, da persona determinata quale era, diceva alla Morte: ‘Non adesso’.
Indossava dunque uno dei suoi sorrisi più smaglianti mentre accompagnava sua figlia all’altare.
Quando Lily aveva sei anni e non esisteva altra magia che quella confinata nei libri fantastici che le leggeva, lui aveva sognato quel momento adornato da merletti bianchi, una chiesa sontuosa e un marito composto e radioso che aspettava sua figlia all’altare.
Invece era in un negozio di cianfrusaglie dalle mura tutte storte e un mucchio di ragazzi, compresa sua figlia, si era adoperato a spostare tutti quei gingilli verso le pareti esterne del locale per disporre tavoli, sedie e, in fondo, un arco di fiori di giglio. Il risultato era un po’ eccentrico un po’ esilarante, perché a quel punto milioni di oggetti dall’utilizzo ignoto osservavano lo spettacolo in una calca compatta e variegata. Per un uomo che aveva contribuito a dare alla luce Petunia Dursley, il signor Evans era fuori di sé dalla gioia.
Quel locale brulicava di energia, una carica elettrica che aveva sperimentato solo quando era stato vicino ad altri maghi e streghe e che rivedeva, fievole, anche solo in sua figlia quando era sola. L’uomo in piedi sul palchetto di legno, che da ora in poi chiameremo altare, era in realtà poco più che un ragazzo e non era composto e sobrio come se lo era immaginato quando Lily aveva sei anni, ma era di sicuro radioso. Sorrise a sua figlia come se avesse voluto regalarle il mondo intero e prenderla in giro contemporaneamente e il signor Evans, come il romanticone che era, approvò in silenzio.
Lily sorrise a suo padre e abbandonò il suo braccio per raggiungere il ragazzo sull’altare. James Potter, così si chiamava il giovanotto, chinò il capo in segno di ringraziamento e il testimone strano accanto a lui gli fece l’occhiolino. Il signor Evans non poteva sapere che era fuori come un balcone anche per gli standard del mondo magico e pensò quindi che fosse un rituale da stregoni per scongiurare il malocchio. Visto che voleva che il matrimonio di sua figlia avesse successo, il signor Evans ricambiò l’occhiolino. Sirius Black, così si chiamava il testimone strano, si morse forte il labbro per non scoppiare a ridere. Poi il signor Evans prese posto nella prima fila antecedente ai tavoli.

***
 
Il testimone strano non amava dirlo ad alta voce, perché faceva crollare il suo fascino da playboy, ma era elettrizzato per quel matrimonio. Questo significava che aveva anche usato il cervello. Mentre James decantava le sue promesse, qualcosa su una grotta in Norvegia in cui avrebbe seguito Lily, se lei glielo avesse chiesto, Sirius si spostò discretamente sul lato esterno dell’altare. Marlene, che aveva preso la questione della damigella d’onore più seriamente di tutti, gli lanciò un’occhiata omicida. Sirius sollevò una mano per rassicurarla e Remus lo raggiunse dal basso del palchetto.
Come già affermato, Sirius quel giorno aveva usato il cervello. Invece di rischiare di perdere gli anelli sette volte ogni ora, aveva fatto la cosa più responsabile della sua vita: li aveva affidati a Remus, che glieli lasciò cadere nella tasca destra della giacca e lo guardò negli occhi scuotendo la testa, come a ricordargli anche solo con lo sguardo che era un caso perso. Sirius diede un’occhiata agli invitati per assicurarsi di non avere la loro attenzione.
“Grazie” sussurrò, cercando di muovere le labbra il meno possibile.
“Tu avevi un compito” gli fece presente Remus.
“Invidioso?” lo provocò con un sorriso. “Se ti comporti bene la prossima volta potresti non infilarmelo in tasca, un anello.”
Remus alzò gli occhi al cielo e lo abbandonò all’altare. Letteralmente, ma non propriamente.
“John,” lo richiamò Sirius con un altro sussurro, questa volta più concitato. Catturò il suo sguardo solo il tempo di aggiungere, in tono falsamente superficiale: “stai bene in smoking.”
Il mago che aveva il compito di officiare l’unione fece cenno a Sirius di farsi avanti, lui obbedì chinando la testa e sorridendo sicuro, come se non avesse avuto la tasca vuota fino a due minuti prima.
Gli sposi si scambiarono gli anelli con un sorriso a testa e poi si strinsero la mano. Il mago, qualche passo dietro di loro, ricacciò indietro le lacrime e mosse la bacchetta sulle loro mani giunte con un gesto all’apparenza sbrigativo. In realtà sosteneva che un matrimonio, in quei tempi, fosse la cosa più romantica del mondo e aveva detto a James e Lily che sarebbe stato un onore, per lui, rendere possibile quell’unione. In breve era un altro romanticone.
Una serie di stringhe bianche si avvolsero attorno alle dita degli sposi, poi scoppiettarono fino a dissolversi, rimpiazzate da uno strato sottile di fumo color panna.
I ragazzi si baciarono, piano, tra le grida di festa davanti a loro, poi James, la fronte contro quella di Lily, sussurrò sulle sue labbra: “Scusa.”
Quattro Caccabombe scoppiarono ai quattro angoli del negozio della signora Liddell e tre oggetti dalla forma fallica, abbandonati in precedenza sugli scaffali della vecchia, presero vita e iniziarono a danzare per la sala un metro sopra le teste degli invitati.
Nessuno, mago o babbano che fosse, riuscì a capire di che genere di ninnoli si trattasse.

***
 
“Ti prego.”
“Sta’ tranquillo!”
“No, sono serio, non puoi…”
Sirius si cacciò in bocca l’ultimo assaggio di pollo alla kiev, poi si alzò in piedi e sollevò una mano per richiamare l’attenzione degli invitati.
“Grazie papà Evans per aver parlato prima di me, il suo discorso è stato…” Sirius si prese una pausa a effetto. James si prese una pausa per schiacciarsi una mano afflitta in fronte. Lily avrebbe voluto prendersi una pausa dalla vita. “Illuminante.”
Qualche sorriso si diffuse in ‘frammenti di mondo’: la massima aspirazione di un comico.
“Per coloro che non mi conoscono, io sono Sirius Black,” si portò una mano al petto e sorrise, “il fidanzato di James,” si voltò a guardarlo e gli mostrò il labbro inferiore in segno di ironica tenerezza.
James scosse la testa, ma si lasciò trascinare dalla risata degli invitati.
“Ma non siamo qui per parlare della mia relazione. No, siamo qui per celebrare un’altra storia d’amore!”
James e Lily si scambiarono un’occhiata.
“Sta andando bene!” disse lei, l’osservazione condita con un cucchiaio abbondante di sorpresa.
“Lily è Gesù Cristo.”
“Cazzo” commentò James a denti stretti, chiedendosi perché il testimone fosse Sirius e non Remus.
L’affermazione del giovane strappò un coro di risate ai meno invischiati in faccende religiose.
“No, sul serio, seguitemi. Facciamo un po’ di conti, vi va? Prima di Lily…” il ragazzo ravanò con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni. Ne tirò fuori uno strappo spiegazzato di pergamena. “Avanti Lily, per così dire, James ha fatto perdere un totale di milleduecentoquaranta punti alla casa Grifondoro e ha fatto guadagnare un totale complessivo di…” lanciò un’occhiata agli invitati, il tono lasciava intendere l’imminente rivelazione di un’informazione sensibile: “venti punti alla suddetta casa.”
James sorrise, più che altro perché era vero.
Dopo Lily, invece, il mio socio è cambiato. Ragazzi, auguro a tutti, giovani e più anziani, sì dico a te Euphemia!”
“Oh, ma smettila!” arrivò una voce dal fondo della sala. Euphemia Potter sventolava una mano fingendo offesa. E comunque aveva solo cinquant’anni!
“Insomma auguro a tutti di trovare una persona che veda qualcosa di più in voi, un animo nobile sotto una crosta di bravate. E vi auguro che quella persona vi prenda e vi porti via dalla criminalità. Quell’uomo” indicò James, guardandolo solo di sbieco, “quell’uomo è cambiato. Ma ci arriveremo poco alla volta.
“Vorrei partire dalle basi e informare i qui presenti che una sera di qualche anno fa le cose si misero molto male nella Sala Comune Grifondoro. Io stavo vivendo un sincero dramma personale, Remus stava cercando di studiare e Peter aveva mangiato troppo pasticcio di pollo a cena e stava tirando delle bombe di questa portata” schioccò le dita e una Caccabomba esplose da qualche parte nella sala. L’avrebbe preferita nel condotto di aerazione, ma a quanto pareva alla signora Liddell piaceva giocare a fare la tirchia.
“Ma non è vero!” contestò Peter.
“Pete, questo non è un discorso interattivo, quando arriverà il tuo turno racconterai la tua versione.”
“Io non ho un turno.”
“Oh, grazie al cielo” Sirius fece roteare gli occhi, “dicevo che quella sera facemmo la cosa più logica che quattro adolescenti in crisi possano pensare di fare: andammo a scassinare l’ufficio del nostro professore di Pozioni. Ora, per quelli di voi che non hanno familiarità con la magia, respirare in una stanza che contiene una pozione che si chiama Amortentia significa anche sentire l’odore della persona che si ama di più. In termini semplici, se siete innamorati di Peter siete fottuti.”
Il negozio della signora Liddell esplose di risate e Peter allargò le braccia e mimò con le labbra uno sconsolato: ‘ma perché sempre io?’
“Jamie caro si bloccò come un pezzo di legno davanti alla pozione, la guardò sbollire, poi si voltò per comunicarci le liete novelle. Noi stavamo rubando oggetti, discutendo di puzze, il mio amico Remus stava avendo un momento spirituale-olfattivo particolarmente tropicale, ma James si girò, serissimo vi dico, e disse: ‘Mi piace Lily Noiosa Evans’.”
Caos.
Anche le reliquie ultraterrene della signora Liddell risero.
“Se credete che il mio amico sia un cafone lasciate che vi dica come Lily ha ammesso il suo interesse alla sua damigella d’onore. Io c’ero, ero nello stanzino accanto.”
“Perché diavolo eri in uno stanzino?” si intromise Lily.
“Che t’importa perché ero in uno stanzino? Siamo qui per sfottere te. E comunque non so come farvelo capire: questo non è un discorso interattivo. Ad ogni modo, Lily si lanciò in una spiegazione dettagliata dell’incontro ravvicinato che aveva avuto in biblioteca con James, il che avrebbe dovuto destare raccapriccio negli animi più forti, e infatti Lily concluse quella che era una palese dichiarazione d’amore con un diplomatico e soprattutto veritiero: ‘Mi fa così arrabbiare, lo detesto!’, il che, se conoscete Lily, è un segno di amore eterno.”
Lasciò che gli invitati si adeguassero al leggero cambio d’atmosfera che aveva imposto a quel punto solo con uno sguardo. Quando fu soddisfatto della qualità più seria del loro silenzio, riprese la parola.
“Con questo in mente, io ho portato con me una cosa, una specie di reliquia, un reperto archeologico.”
Sirius prese a tastare la giacca e le tasche dei pantaloni. James e Lily si scambiarono un’occhiata che doveva tradursi in qualcosa di simile a: ‘Ne sai qualcosa?’, ‘assolutamente no’.
“Trovata!” Sfilò dal taschino interno del gilet un rettangolo di carta dai bordi bianchi e lo guardò per un attimo di sincera riflessione, prima di voltarlo e mostrarlo agli invitati. “Questa è una foto degli sposi che ho scattato il 6 aprile del 1976. Potete notare James che si rende ridicolo e Lily che realizza di essere importunata e si prepara a disintegrarlo: i loro habitat naturali, insomma.”
I parenti risero, ma fu un suono più esitante, più indeciso. Perché James, dal suo tavolo, guardava Sirius come se avesse avuto in mano un’arma carica.
“James voleva questa fotografia a tutti i costi, avrebbe fatto carte false, ma io lo ignorai. Gli dissi che l’avrebbe avuta solo se ci fosse riuscito. O incorniciata e appesa sulle mura di una casa in cui c’era anche Lily o dimenticata a prendere polvere in una scatola a casa mia.” Sirius si voltò verso James e gli sorrise. Poi lanciò la foto in alto e mosse un dito più volte per tenerla in aria mentre fluttuava verso di lui. “È tua, amico.”
James la afferrò al volo e unì le sopracciglia colpito, dividendo il suo sguardo tra Sirius e la fotografia. L’aria era satura di quella sorta di commozione che si diffonde quando tutti gli indizi trovano senso in una soluzione, quando il tempo dà valore alle cose e in nessun’altra circostanza.
“Ma ora basta sentimentalismi, vi ho mai detto di quella volta in cui Lily incantò le palle di James?”
La sala ululò di risate.
“No, comunque dico davvero, ho visto poche persone non mollare mai come quei due: James nella sua disperata conquista di Lily e Lily nella sua altrettanto disperata negazione di quegli stessi sentimenti. Anzi, ‘fanculo le ‘poche persone’, non ho mai conosciuto nessuno tanto ostinato” ammise Sirius, indicando con una mano James e Lily, seduti poco dietro di lui. “Auguro a ciascuno di voi di trovare qualcuno che vi guardi come James guarda il suo riflesso.” Sirius sollevò il suo bicchiere tra le risate degli invitati. Con quel gesto, invitò tutti a fare lo stesso. “Salute e figli Bambi, ragazzi!”
 
***

La vocina perfezionista nella testa di Lily Potter, nata Evans, per una volta si acquietò fino a sparire. Era un puntino nel cielo, un suono che correva a mille chilometri all’ora e si esauriva in una stella.
Poggiò il capo su una mano e osservò volti familiari e sconosciuti danzare nel bel mezzo di un ricettacolo di ciarpame.
Nonostante l’ambiente improbabile, Lily sorrise. Quel luogo raccontava una storia, in realtà ne spifferava così tante che, se si aguzzavano le orecchie, si poteva udire costantemente un brusio.
‘Frammenti di mondo’ non era un luogo magico, la sua proprietaria non era una strega e nessuno di quegli oggetti, che la donna sapesse, era un manufatto un tempo nelle mani di un mago, eppure i suoi frammenti vibravano. Le pareti sbilenche si arcuavano con le gobbe rivolte all’esterno, come a invitare il maggior numero di persone e oggetti possibile, il maggior numero di storie.
Lily colse con lo sguardo una dozzina di candele che levitavano sopra le loro teste, le osservò mischiarsi alle luci della sala, le punte delle bacchette e i riflessi negli occhi degli altri.
Sembrava di essere in un sogno, uno di quelli a occhi aperti, però. Una delle versioni idealizzate della realtà che gli esseri umani si divertono a costruire indipendentemente dal grado di disillusione che si trascinano dietro. Forse la voce nella sua testa si era schiantata nell’atmosfera perché tutto questo non era vero, forse stava immaginando, pensando intensamente, forse stava leggendo un libro o ascoltando una canzone di John Lennon. Forse Lord Voldemort in persona l’aveva uccisa e la Morte, contro ogni aspettativa, le aveva proposto un ventaglio di sogni e possibilità inespressi.
Lily abbassò gli occhi su Marlene e Sirius che ballavano in pista. Lei alzò un braccio per consentirgli di fare una piroetta. Li guardò ridere e sperò che non morissero mai. Lavorò sul fissare quell’immagine con nitidezza nella sua testa perché potesse ricordarla in caso...
Sentì qualcuno sprofondare nella sedia accanto alla sua e respirare pesantemente. Lily non tornò indietro dal suo stato contemplativo finché quel qualcuno non poggiò la mano sopra la sua.
“Tutto bene?”
Inspirò di colpo dal naso e si voltò verso la voce. James aveva gli occhiali un po’ pendenti su un lato e la testa inclinata dall’altro. Quando incontrò i suoi occhi sorrise furbo e sincero in parti uguali. “Sì, mi stavo… guardando attorno.”
James annuì con l’aria di uno che la sapeva lunga. Si sfilò la giacca e la lasciò cadere sullo schienale della sedia, poi si liberò anche della cravatta e si sporse verso di lei. “Ti va di scappare?”
“Eh?”
James raccolse il suo sguardo confuso e annuì. “Ti va di scappare? Solo per qualche minuto.”
Ma, James, questo è il nostro matrimonio! avrebbe detto la voce e poi lei. Non possiamo scappare dal nostro matrimonio, cosa penserebbero tutti?
“Sì, ti prego” sputò fuori, come se le fosse venuto dal cuore, come se non avesse passato gli ultimi minuti a guardare con tenerezza la scena davanti a sé. Non aveva motivo per desiderare un po’ di tempo da sola con James, ma senza la voce non aveva neanche bisogno di cercarne uno.
Lui si guardò attorno con aria cospiratoria. Sembrava che da un momento a un altro avrebbe tirato fuori un bazooka o un jolly da un mazzo. Poi le prese la mano e la condusse sul retro di ‘frammenti di mondo’. Sulla strada per la porta sfiorò la spalla di Sirius, gli fece un cenno e alzò l’indice davanti alle labbra.
James le cedette il passo, galante e ironico in parti uguali, poi la porta si richiuse alle loro spalle e con essa morì ogni suono.
Sorrideva come un matto.
“Che c’è?”
“Sei proprio una tipa responsabile.”
“Siamo scappati dal nostro matrimonio” gli fece notare Lily.
“Una persona responsabile è una persona che ha fatto un numero basso di cose irresponsabili, ma per fare un numero basso di cose irresponsabili ne devi fare almeno una.”
“Una persona responsabile è una persona che non fa cose irresponsabili e basta” ribatté Lily, la sensazione scomoda e intrigante di un déjà-vu si fece strada nella sua espressione.
James sollevò un sopracciglio.
“Ma è stato divertente.”
James scoprì i denti in un sorriso grande come se avesse vinto alla lotteria, come se il mondo intero avesse deciso di cadere ai suoi piedi.
Il giorno in cui Lily aveva ricevuto la sua lettera per Hogwarts e sua sorella Petunia si era messa a sbraitare e strillare che era uno scherzo della natura, una specie di mostro che aveva infettato la loro famiglia, sua madre aveva bussato leggera alla porta della sua stanza. Lily aveva alzato la testa dal cuscino umido di lacrime proprio nel momento in cui l’uscio si era schiuso. “Non entrare” aveva detto inutilmente, perché sua madre si stava già facendo strada nella stanza in ombra.
“Oh, Lily” aveva sussurrato, abbracciandola stretta. “Tu sei speciale.”
Lily aveva fatto una smorfia. Come se ‘speciale’, da quel giorno in poi, fosse diventato un insulto, più che una promessa.
“Un po’ più di come lo eri ieri” aveva aggiunto sua madre, inaspettatamente. Poi le aveva spazzato via una lacrima da una guancia “ma un po’ meno di quanto lo sarai domani.”
Lily aveva sorriso, una piega triste delle labbra umide di muco, lacrime e saliva.
“E sei più bella quando sorridi” aveva proseguito sua madre, lasciandole un bacio sulla fronte. “Dico davvero” aveva aggiunto, stroncando sul nascere lo scetticismo sparso sui lineamenti di sua figlia, “non importa se siamo a un gala o abbiamo appena passato un’ora a sollevar pesi. Non importa se ci trucchiamo o se ci siamo appena svegliati. Non c’è niente da fare, siamo proprio tutti più belli quando sorridiamo.”
Era vero che il mondo intero era caduto, nel tempo, ai piedi di James Potter.
C’era stata Glenda Chittock che, dopo essere stata salvata dagli approcci di Sirius, aveva sperato che lui la notasse. C’era stata Emmeline Vance che gli aveva dato il suo primo bacio. C’era stata la ragazzina Corvonero a cui aveva dato ripetizioni e lezioni di scherzi che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Poi ovviamente c’era stata Mary MacDonald, venuta fuori in ritardo perché Marlene e Sirius non avevano mai parlato. Ma il punto era che tutti cadevano ai piedi di James Potter. Anche suo padre e Minerva McGranitt. Anche Albus Silente, qualche volta, e soprattutto Sirius Black. Anche Severus Piton, se si voleva tener conto del significato letterale dell’espressione ‘cadere ai piedi’.
E anche lei, almeno un milione di volte.
James fece schioccare la lingua e le prese una mano. “Vieni con me” disse, e Lily andò con lui.
Era ovvio, cristallino come acqua di fiume, trasparente e per questo impossibile da vedere se non a posteriori. Era perché erano tutti più belli, quando sorridevano. E James sorrideva quando era a disagio e quando veniva colto con le mani nel sacco. Sorrideva quando era felice e quando credeva che Lily non lo sorprendesse a guardarla. A volte, prima di attaccare in battaglia, sbuffava derisorio e poi rideva dei suoi avversari. Altre volte le diceva che andava tutto a meraviglia, che aveva tutto sotto controllo, e le sorrideva un attimo prima di piangere. Altre volte ancora, e queste erano le sue preferite, James si svegliava con metà dei capelli che desiderava spiccare il volo e Lily si alzava sulle punte per appiattirli. Lui sorrideva consapevole a metà di uno sbadiglio. Una volta Sirius si era trasformato in corsa per prendere con la bocca un bastoncino, solo che questo gli era caduto in testa. James si era accasciato a terra dal ridere e Lily l’aveva amato.
James era famoso per amare Lily, era una cosa che sapevano tutti e che si era persa nel tempo tra un aneddoto e la sua versione più veritiera, ma Lily amava James discretamente, in un modo che accendeva la luce in una stanza e tutti cercavano la lampadina senza guardare la candela. James, però, aveva sempre saputo dove guardare.
Tranne in quel momento, perché un ramo lo colpì in fronte.
“Ma che cazzo!”
Lily scoppiò a ridere. “Se mi dicessi dove stiamo andando ti aiuterei a trovare la strada, ma no! Dobbiamo perderci nei boschi. E se avessi paura dei boschi? Guarda che è una paura vera. Non hai mai visto il mio molliccio, James, potrei starmela facendo sotto. Hai idea di che aspetto abbia una macchia di pipì su un vestito da sposa? Te lo dico io, ha l’aspetto di pipì su un vestito da sposa! E lo so perché sono…”
A Lily mancarono le prese in giro. In realtà le mancò ogni genere di parola. Il boschetto sul retro di ‘frammenti di mondo’ s’era aperto in una radura, gli alberi più solitari si ergevano scuri contro il cielo borbottante di un pomeriggio nuvoloso, buio abbastanza perché le vedesse.
Al centro della radura uno sciame di lucciole danzava in scie di luce, a ritmo del gorgogliare costante di un fiumiciattolo non lontano da lì.
“Perché…” chiese lei in un respiro più che una domanda.
“Mh?” Lily percepì James, accanto a lei, voltarsi a guardarla.
“È ancora pomeriggio, perché è… È magia?”
Non era una domanda metaforica, un interrogativo profondissimo sul significato dell’amore. Era proprio una domanda pratica.
James ridacchiò e la spinse gentilmente più vicino. Solo un po’, abbastanza perché potessero avere l’illusione di nuotare in un cielo stellato.
“Lily” sussurrò lui, perché parlare a tono normale sembrava poterli trascinare via da quei sogni, “lo sai che si illuminano per accoppiarsi? Quella lucciola sta urlando all’altra: ‘scopiamo?’ e quella: ‘sì, mmmh, vieni qui, bel lucciolone’.”
Lily sospirò rumorosamente. “Davvero poetico.”
“Ci accoppiamo anche noi?”
Lily lo guardò solo per un attimo, chiedendosi se la poesia stesse nei paesaggi mozzafiato o nella capacità di James di rovinarli con una parola. “Davvero patetico” si corresse infine.
Lui scoppiò a ridere e forse lo fecero anche le lucciole.

***
 
Sirius schioccò le dita e ne puntò uno contro il signor Evans. Sembrava il richiamo forzatamente amichevole di un capo spietato o l’ammonimento di un marinaio esperto al suo mozzo. Il signor Evans sgranò gli occhi e si indicò, come ad accertarsi che ce l’avesse con lui. Sirius, intanto, s’era avvicinato e gli aveva pure lasciato cadere un braccio sulle spalle.
“Signor Evans” lo salutò con un sorriso storto, mentre Remus, rimasto indietro, raggiungeva l’improbabile coppia con la macchina fotografica tra le mani, “è il momento della sua intervista.”
Il signor Evans, gli occhi ancora sgranati e la mente che notava senza sosta quanto fossero stravaganti questi maghi, divise il suo sguardo imbambolato e un po’ confuso tra Sirius e Remus.
“Quella è la telecamera” gli venne in aiuto Sirius, che comunque lo vedeva un po’ in difficoltà.
“Quella è… una macchina fotografica” argomentò il signor Evans. 
“Si sta divertendo, signor Evans?” domandò Sirius, ignorando la precisazione e posizionando il pugno chiuso sotto il mento del padre di Lily a mo’ di microfono.
“Sì, è una cerimonia stravagante” ribatté lui, fiero di aver trovato un modo per usare quella parola senza offendere nessuno, “anche se è da un po’ che non vedo gli sposi.”
“Oh, mi rende proprio la vita facile, signor Evans!” trillò Sirius, il braccio ancora mollemente appoggiato sulle spalle dell’uomo. Riportò il falso microfono su di sé e guardò dritto in una telecamera che non riprendeva. Remus rise. “Perché è il momento del QUIZZONE!” Sirius disse QUIZZONE proprio tutto in maiuscolo.
“Il quizzone?”
“No, il QUIZZONE,” lo corresse lui. Come già detto, era tutto in maiuscolo. “Attenzione papà Evans, perché si sta giocando ben cento galeoni.”
Il signor Evans sgranò gli occhi come se la questione fosse diventata d’improvviso spinosa per lui. Aveva sentito Lily nominare questi fantomatici galeoni, nel corso degli anni, ma non era mai riuscito a capire come convertire la valuta in sterline. Amava sentirli nominare, però, perché si sentiva un pirata in spedizione per terre lontane. E il signor Evans aveva amato tanto viaggiare.
“Gli sposi sono andati: a) a raccogliere mele candite nel bosco; b) a stanare scoiattoli per arrostirli per gli ospiti; c) a prenotare un biglietto di sola andata per la Malesia; d) a ingravidare un Pollodoro.”
Il signor Evans si accigliò. “Che cos’è un Pollodoro?”
“Oh, il Pollodoro,” Remus si sporse oltre il lato destro della macchina fotografica. Lasciò che il suo dito scivolasse sul pulsante di scatto in un gesto distratto e per questo facilmente identificabile come premeditato. Il signor Evans strizzò gli occhi per il flash. “Il Pollodoro è una rarissima specie di pollo magico che ha la particolare funzione di…”
“Di fare uova d’oro?”
“No, è il piumaggio del pollo a essere d’oro. Ha la particolare funzione di piantare erbacce al posto dei tulipani. In Olanda è noto come L’incubo d’oro. Una vera seccatura, mi dia retta.” Non era vero. Il Pollodoro non esisteva.
“Oh!”
Remus collezionò la foto che aveva scattato e diede un’occhiata di prova, ma era ancora bianca.
“Forza signor Evans!” lo incalzò Sirius, “il QUIZZONE ha altri partecipanti da intervistare!”
“Oh, mi dispiace, la mia risposta è la a. Raccogliere mele candite.”
Sirius scambiò un’occhiata con Remus, espirando attraverso labbra semichiuse in un’esternazione drammatica di delusione. “Ma come, signor Evans, le mele mica nascono candite!”
“Ma io pensavo…”
“Però!” lo interruppe Sirius, alzando un dito e allacciando uno sguardo furbo a quello rassegnato di Remus. Lui scosse la testa e guardò per finta attraverso la macchina fotografica, perfettamente conscio della stupidità di quello che stavano facendo ma troppo divertito per fermare Sirius, quando dava spettacolo così. “Noi cosa siamo, signor Evans?”
“Maghi?” provò lui, incerto. Come se l’epicentro della sua incertezza non fosse stato proprio quello: che erano tutti maghi.
“E allora signor Evans, complimentoni! La risposta a è la risposta corretta e lei ha vinto il QUIZZONE! Avanti il prossimo.”
Sirius abbandonò il signor Evans lì dov’era e si diresse a passo spaventosamente deciso in direzione di Arthur e Molly Weasley.
“Mi ha preso in giro per tutto il tempo, eh?” domandò il signor Evans a Remus, prima che lui potesse raggiungere il suo ragazzo dai prossimi intervistati.
“Mi dispiace dirle di sì.”
Invece che offendersi, il signor Evans alzò gli occhi al cielo e sbuffò divertito dal naso. “Maghi,” commentò tra sé, dirigendosi verso il tavolo col vino rosé, “proprio stravaganti.”
Remus guardò Sirius e il signor Evans allontanarsi in due direzioni opposte, abbassò la macchina fotografica e, per un attimo soltanto, si chiese come fossero passati da una riunione tattica dell’Ordine a quella sottospecie di gag comica in meno di quarantott’ore, poi si decise a muoversi e lasciarsi la conversazione mistica tra Sirius e il padre di Lily alle spalle.
Lo raggiunse giusto in tempo per afferrargli il polso e impedirgli di sferrare il prossimo attacco molesto. “Abbiamo intervistato praticamente tutti. Da Emmeline Vance a Marlene, passando per la madre di James, Caradoc, Fabian e Gideon, metà Ordine e anche il cappello di Elphias Doge” sussurrò Remus, aprendo a ventaglio le foto che aveva scattato di ognuno a scopo dimostrativo. “Quanta fantasia hai?”
“John,” iniziò Sirius con un gesto plateale e platealmente stupido della mano, “sei stato a letto con me, conosci già la risposta a questa domanda.”
Poi Arthur Weasley cadde ostaggio del QUIZZONE.
“Per me è la c” rispose deciso dopo un po’. Continuava a ripetere a Sirius che non aveva tempo per queste chiacchiere, che voleva parlare un po’ con il signor Evans e fargli delle domande circa la pila e il suo sistema idraulico. “La c, sì. James e Lily si sono trasfigurati in botti di vino francese.”
Din din din!” gridò Sirius, alzando in alto un calice di vino. Remus non aveva capito quando fosse entrato in suo possesso. In quel momento, scattò una foto. “Felicitazioni, Arthur, è la risposta esatta. Hai vinto anche tu il QUIZZONE!” Mollò la sua spalla e tracannò il resto del bicchiere in un solo sorso, inclinandolo a un angolo che gli avrebbe fatto una doccia, se non avesse bevuto tanto in fretta. Poggiò il calice su un tavolo vicino e si puntò la bacchetta al collo, poi amplificò la voce: “Va bene. Ragazzi, è il momento della corsa coi sacchi!”
Solitamente, Remus avrebbe covato il desiderio di prendere Sirius da parte, metterlo seduto su una sedia e ordinargli di non muoversi di un millimetro, condendo il tutto con una minaccia stupida. Quel giorno, però, Remus sorrise e seguì a trasfigurare le federe dei cuscini delle sedie in sacchi, perché avevano bisogno di quel genere di leggerezza e perché Remus era innamorato al punto di sembrare patetico.
Proprio in quel momento, spuntò dal nulla una bambina che gli trotterellò tra i piedi, gridando qualcosa circa la fine dell’arcobaleno.
“Dora!” gridò un uomo biondo al suo seguito. Dava l’idea di un padre che dormiva troppo poco ma che amava alla follia il motivo delle sue occhiaie. “Scusami,” gli si rivolse poi, non del tutto dispiaciuto.
“Sei Ted Tonks, giusto?” gli domandò Remus. Lui annuì energicamente. “Ti spiace se faccio una proposta a tua figlia?”
Questa volta Ted Tonks annuì ancor più energicamente di quella precedente. Doveva essere una bambina parecchio impegnativa.
“Vuoi partecipare alla corsa coi sacchi?”
 
Quando James rientrò con Lily in ‘frammenti di mondo’, suo padre cadde con la faccia a terra.
James aggrottò la fronte e, prima che potesse chiedere perché Fleamont stesse indossando un sacco con la stampa di uno stallone biondo sopra, il padre di Lily li raggiunse di corsa e disse: “Non ci avete portato neanche una mela candita?”
“Non ho capito.”
“Aspettate, che mela candita? Non eravate a fare surf con le Giunchiglie di Mare?” domandò Gideon che, al contrario del signor Evans, non stava scherzando.
“Le giunchiglie sono un fiore, Gideon” gli fece presente Lily.
“Ci sei quasi, ci sei quasi!” gridò Sirius da qualche parte sullo sfondo. Stava incitando Dorcas a muovere il suo sacco più in fretta. “OH, CAZZO ABBIAMO UN SORPASSO ALL’ULTIMO! Molly Weasley strappa il primo posto dalle mani di Dorcas Meadowes!” concluse, gli occhi ancora sulla gara mentre raggiungeva James e Lily alla porta sul retro.
“Ti lascio la situazione in mano per mezz’ora e questo è il risultato” commentò James quando lo ebbe a portata d’orecchio.
Sirius sembrò fraintendere il punto del discorso. “Mica male in così poco tempo, eh?”
“Dove sono Remus e Peter?” chiese Lily. La vera domanda era: dove sono le voci della ragione?
“Oh, si stanno preparando per la semifinale di corsa col sacco.”
“Ovviamente” ribatté James, trattenendo una risata. “Come hai convinto Remus?”
A quel punto Sirius si guardò intorno nella sala finché non adocchiò il tavolo a cui erano seduti a pranzo. “Lo vedi quello?” domandò, cercando di angolare il braccio affinché puntasse nella direzione corretta, agli occhi di James. “È vino rosé e fa miracoli.”
Lui rimase impassibile e Sirius poggiò solidale una mano sulla sua spalla.
“Non ti devi offendere, Jamie, non mi sarei mai potuto dimenticare di voi” disse, e poi fece spuntare dal nulla due sacchi coordinati, uno con un cervo dal naso rosso, uno con una cerva con le ciglia lunghe.
James guardò i sacchi e poi il suo amico, affondò con la faccia tra le mani e infine parlò, il suono attutito dall’ostacolo e da un sospiro: “Sirius, io ti amo, veramente. Ti amo.”
Ricevette in risposta una pacca tra le scapole e una risata fragorosa. “Lo so, lo so. Adesso andate.”
La corsa coi sacchi, però, non la vinse nessuno, perché Fabian si classificò primo con il suo sacco a motivi floreali, finché non scoprirono che l’aveva truccato con la magia.

***
 
Remus diede un’occhiata al piatto che teneva in mano, poi al tubo di scolo, poi di nuovo al piatto e infine incollò lo sguardo alla grondaia.
Sospirò.
Con la mano libera si arrampicò lungo il tubo, sfruttò la geometria bizzarra di ‘frammenti di mondo’ e si issò sul tetto tenendo in bilico il piatto. Depositò il bottino tra le tegole color ruggine e la grondaia e finalmente si sedette, puntando i piedi perché l’attrito gli impedisse di scivolare giù.
“Sì, ma che ha scritto?” stava chiedendo Lily, scuotendo Marlene per un braccio.
Sirius si voltò a guardarlo e gli diede il bentornato con un impercettibile cenno del capo e un invito a prendere un tiro. Remus afferrò lo spinello tra due dita e inspirò. Trattenne il fumo da qualche parte tra la bocca e la gola e lasciò scorrere lo sguardo sul cielo rosa e arancio della sera. Bruciava. Il tramonto come l’erba. Il cielo come la terra.
Mentre l’edizione matrimoniale di giochi senza frontiere si era tenuta nel negozio della signora Liddell, fuori era venuto a piovere. Nessun temporale aveva scosso cielo e terra, nessun fulmine aveva minacciato di fracassare la campana di vetro di incantesimi e speranze in cui si erano rintanati, ma una brezza leggera aveva portato gocce impalpabili d’acqua, sussurri oltre le finestre. La temperatura era scesa solo di qualche grado e il prato, più che fradicio, era spruzzato di un fresco più vicino a rugiada che pioggia. Il tramonto si era presentato vestito di colori caldi e nuvole lilla.
Seduti sul tetto, il mondo sembrava più aperto. Non era l’altezza a fare il trucco, ma il fatto che non ci fosse superficie più alta su cui arrampicarsi per chilometri. La canna fumaria del negozio si stagliava contro nuvole arricciate e aria più fredda, un’ombra che faceva da guardiano.
Remus si strinse nella giacca del suo completo e non gli dispiacque constatare che faceva un po’ troppo freddo per il suo abbigliamento. Non era gelo che gli mordeva le ossa e gli faceva desiderare un camino e un té caldo, più una brezza che gli ricordava che era lì e che sentiva freddo abbastanza perché le tegole del tetto gli fossero ruvide sotto i polpastrelli. Prese un altro tiro mentre già si allungava verso James per passargli la canna.
“Ha scritto che trovare un modo per mandare la lettera era stato difficile, ma che erano settimane che non pensava ad altro. Ha detto che vorrebbe vedermi, prendere una Burrobirra, aggiornarci sulla nostra vita dopo la scuola.”
Lily sorrise. Remus non era attratto da Lily, ma la guardò scostare una ciocca di capelli dietro un orecchio e pensò che fosse una visione quasi intima a cui assistere. Indossava una specie di sottoveste con le spalline che lo portò a chiedersi se non avesse proprio freddo, lei. Non sembrò curarsene quando disse: “Dovresti dirgli di sì. Dopotutto, se stiamo imparando qualcosa è che non sappiamo quanto tempo abbiamo in questa vita, ma di certo non abbastanza per avere rimpianti.”
Marlene sorrise debolmente, la luce giocò a rincorrere l’ombra sul suo viso e la rese più reale, tridimensionale. Remus non era attratto da Marlene, ma pensò che fosse davvero una bella ragazza. Aveva quel genere di viso che ti faceva venire voglia di farla sorridere per scoprire se aveva le fossette. Sembrava che chiedesse la tua simpatia e che al contempo ti mostrassi degno di meritare la sua. Aveva qualcosa di selvaggio, in quell’aria di attenta trasandatezza, e sembrava sempre malinconica quando era in silenzio. Più volte Remus le aveva chiesto se stesse bene e lei si era voltata a guardarlo confusa e gli aveva domandato cosa volesse dire. Remus non aveva mai capito se fosse brava a liquidare la tristezza che non riusciva a nascondere, se fosse semplicemente vittima del suo sguardo languido o se saltasse dall’una all’altra possibilità senza segni distintivi.
“Fa’ in modo che la morte ti trovi viva” sentenziò Remus, lo sguardo già lontano dagli occhi di Marlene e incollato a un cielo che danzava tra giorno e notte.
Passò un secondo di silenzio in cui le parole di Remus parvero le più profonde mai pronunciate sulla faccia del pianeta Terra e i suoi compagni del sistema solare, poi Peter iniziò a ridere per primo e gli altri lo seguirono.
Il fatto era questo: Remus aveva preso due tiri adesso e dieci prima che scendesse a rifornire il tetto di cibo, il che spiegava anche il motivo di un rifornimento così urgente. La festa era finita da un po’, gli ospiti erano tornati a casa e ‘frammenti di mondo’ ora ospitava solo un frammento degli invitati: loro. James li aveva portati sul tetto, Peter aveva creduto che non li avrebbe retti, Marlene aveva tirato fuori due spinelli, Lily si era emozionata come un bambino davanti ai regali di Natale, Sirius gli aveva detto di non contare i tiri e Remus li aveva contati.
Erano dodici come gli apostoli, come tre per quattro, come il magnesio, come il Sagittario, come i numeri dell’orologio, come il soldato, come gli dei dell’Olimpo.
Poi Sirius gli spiaccicò in faccia parte della glassa della torta che aveva portato su. Remus, impassibile, pulì con un dito quella a cui non arrivava con la lingua e lo leccò. Si dimenticò di ricordarsi che era un gesto interpretabile come sessuale.
“Però non ha tutti i torti” stava dicendo James a Marlene, la luce arancione filtrava tra i suoi capelli scarmigliati e gli conferiva un’aria quasi eterea. Remus non era attratto da James, ma pensò che fosse un grande con tutte quelle contraddizioni, seduto sul tetto con un vestito elegante e una canna tra le mani, un anello nuziale al dito e i capelli un casino. Gli fece pensare a una cosa simile alla spensieratezza e pensò anche che non si fidava delle sue gambe per raggiungerlo dall’altra parte del tetto, ma se James si fosse alzato e lo avesse abbracciato, Remus per una volta non l’avrebbe mandato via come un insetto noioso. “Dovresti dargli una possibilità.”
“Bertram Aubrey è un tipo a posto” si intromise Peter. Remus non era attratto da Peter e non lo fu neanche quando si girò a guardarlo esprimere la sua opinione sulla vita sentimentale di Marlene, però era un bravo ragazzo. Aveva quel modo impacciato di essere discreto che risultava tutt’altro che sobrio. Remus l’aveva visto alzare angoli di un tappeto che ospitava più di quattro angoli e buttarci sotto tante delusioni. Sospettava che il segreto stesse nell’idea che fossero stupide. Credeva che Peter non se ne andasse in giro a dire: ‘mi piaceva Marlene, ma mi sentivo un perdente e mi paragonavo a Sirius’ perché era certo che avrebbero riso di lui o che l’avrebbero preso per scemo. Remus pensò che gli dovesse un po’ di comprensione, che se Peter non se la sentiva di parlare di certe questioni era colpa loro, che Sirius e James facevano un sacco di casino e il fatto che Peter non facesse altrettanto non doveva farlo sentire meno grato nei suoi confronti. Forse Remus se la prese un po’ con se stesso.
“Rispondi alla sua lettera” disse James allora, scivolò col gomito via dal suo ginocchio e lasciò penzolare la gamba oltre il tetto. Da quella angolazione sembrò galleggiare nei rami del bosco lì vicino. “Vedetevi in un posto sicuro.”
“Tipo quale?” ribatté Marlene. Era una domanda stupida, constatò Remus mentalmente, conoscevano tantissimi posti sicuri. Marlene voleva solo una scusa per rendersi la vita difficile, cercava un modo per rendere quell’incontro un ‘non c’è niente che me lo impedisca’ piuttosto che un ‘farò di tutto perché accada’.
“La Testa di Porco?” Sirius fornì come opzione, il tono interrogativo lasciava intendere che aveva visto attraverso l’atteggiamento difficile di Marlene proprio come Remus.
Lei annuì, poco convinta.
“Se vuoi ci mascheriamo e ci appostiamo tutti nei tavoli vicini” continuò lui. Marlene rise, ma il fatto che le battute virassero su una proposta del genere svelava la triste realtà del loro tempo.
“Sarebbe esilarante” commentò Lily, mentre Marlene scuoteva la testa.
A Sirius tornò la canna, la inclinò in direzione di Remus come a offrirla prima che ne usufruisse. Lui scosse la testa e sbadigliò. Senza pensarci troppo, si sdraiò sul tetto, piegò una gamba perché l’inclinazione delle tegole non gli desse l’illusione continua di star scivolando via come un pesce appena catturato, poi appoggiò la testa nel grembo di Sirius e, nel momento in cui lui distrattamente gli infilò una mano tra i capelli, Remus chiuse gli occhi.
Quando inspirò, pensò di essere sulla costa del Lago Nero. Sentì le tortore che volavano da un angolo a un altro della Foresta Proibita, le voci deboli intrappolate nelle mura del castello di Hogwarts, il fumo del camino della capanna di Hagrid, l’odore di adrenalina del campo di quidditch, lo scricchiolio fievole delle assi di legno della Stamberga Strillante, il gorgogliare di Burrobirra dei Tre Manici di Scopa.
“Scommetto che se mi butto da qua sopra riesco a volare” disse James, a metà di una conversazione che Remus non stava ascoltando. Gli credette, però, era possibile.
Lily scoppiò a ridere. “Scommetto che sei fatto.”
“Io ho fiducia in te, Jamie” disse Sirius.
“Grazie, sapevo di aver fatto la scelta giusta a sposare te.”
Sirius scoppiò a ridere così forte che Remus aprì gli occhi e lo guardò dal basso. Sembrava che non potesse invecchiare. Remus provò a immaginarlo con venti, trent’anni in più. Provò a mettergli attorno una casa vissuta, una tazza di tè con metà dei suoi anni, una pila di libri accumulati che non aveva letto, una pila di vinili accumulati che aveva sentito ognuno tante volte quanti erano i giorni che aveva vissuto. Riusciva a vedere tutti questi dettagli, ma non riusciva a metterci in mezzo una versione di Sirius che avesse più di vent’anni.
Seguì la linea storta che gli portava un angolo della bocca più in alto dell’altro. Avrebbe voluto alzare una mano e sollevargli l’angolo pigro con un dito, chiedergli se veramente non se ne accorgesse. Lo osservò scuotere il capo appena all’indietro per liberarsi di un ciuffo di capelli negli occhi. Avrebbe voluto sollevare un braccio e dargli una mano. L’assottigliarsi dei filtri di Remus e il conflitto tra le cose che avrebbe voluto fare, lo portarono ad alzare davvero una mano, ma a limitarsi a pizzicargli una guancia tra due nocche.
Sirius abbassò lo sguardo su di lui e l’innocenza nel suo sorriso si trasformò in una promessa di guai.
Remus era attratto da Sirius, ma a volte credeva che si sarebbe fatto ammazzare e aveva paura di svegliarsi una mattina e dover convivere con quel vuoto. Ci pensava spesso, aveva dei momenti in cui lo guardava e aveva l’impressione di star prestando i suoi occhi alla versione di sé che nel futuro avrebbe consumato quel ricordo. Non era solo il risultato del pensiero della guerra sempre nel retro della sua testa, era anche la vertiginosa sensazione che stare con Sirius significasse vivere intensamente il presente. Il presente durava meno d’un istante, mentre il passato e il futuro si allungavano in direzioni opposte e solide. Remus a volte doveva scendere da quel precipizio, guardarlo da fuori: dal passato o dal futuro. E, visto fuori dal suo tempo, Sirius era più fuggevole e quindi più attraente, una visione privata fatta per chi non sbatteva le palpebre.
“Lo facciamo adesso?”
Ah, e comunque Remus, oltre che filosofo di paese, era anche fatto in quel momento, quindi c’era una parte del suo cervello che non stava pensando al presente, al futuro, ai precipizi metafisici, no. Stava pensando che se lo voleva scopare.
Quindi gli sorrise come un idiota e annuì, perché la domanda era interessante.
Sirius annuì a sua volta e spostò il peso su un lato del bacino, il che fece muovere anche la testa di Remus. Affondò una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e ne tirò fuori un bottone rosso, di quelli che si vedevano nei film e che il cattivo non arrivava mai a premere.
“No, aspetta, non ho capito” intercettò Remus, che, davvero, aveva fatto cose strane per Sirius – tranne il sesso acrobatico, perché qualunque cosa che avesse ‘acrobatico’ nel titolo non faceva per Remus – ma il bottone rosso proprio non gli dava alcuna idea.
“I fuochi” sussurrò Sirius e Remus si ricordò che erano su un tetto e che non erano soli.
“Ah.”
Sirius capì la natura dell’equivoco, ovviamente. Un po’ perché più il tempo passava, meno Remus aveva bisogno di parlare. Un po’ perché Sirius era uno stronzo e rendeva le sue frasi ambigue quel tanto che bastava per mettere tutti in dubbio e uscirne comunque innocente. Sorrise, a Remus venne di nuovo quell’urgenza di alzargli l’angolo lento della bocca.
Poi il cielo scoppiò e per poco i ragazzi non sfondarono il tetto dallo spavento.
Remus ascoltò James scoppiare a ridere e proclamare che lasciare che Sirius gestisse i fuochi d’artificio era stata l’idea migliore del mondo. Sirius, rapidissimo, ribatté facendogli presente che lo diceva ora che era contento del risultato e si ritenne offeso per la scarsissima fiducia che avevano riposto in lui. Remus ascoltò questi scambi ma non li vide, perché, steso sul tetto, non riusciva a staccare gli occhi dal cielo e dai colori infuocati che si mischiavano a quelli ormai pastello degli ultimi aliti di tramonto.
Sembrava la fine del mondo.
Presto sarebbe sceso il buio e ciò che i fuochi d’artificio non illuminavano sarebbe esploso nei colori freddi ed effimeri degli incantesimi più letali. Il mondo andava a fuoco, prima solo sulla terra, ora anche in cielo.
Lacrime gialle si lanciarono verso l’alto e piovvero in picchiata dopo aver raggiunto il loro punto più alto.
“Sai, dovresti accettare il complimento e stare zitto” disse James, una risata incastrata nella gola.
“Sai,” ripeté Sirius, in una caricatura della sua voce. Remus lo sentì molto più vicino, la conversazione sembrava avvenire una parte dentro una parte fuori dall’acqua, “dovresti sapere che non ho problemi ad accettare i complimenti. Il tuo era un insulto, Ramoso. Adesso ringraziami per aver ricreato il primo bacio tra te e Evans e…”
Remus, fatto, sfatto e confuso, sentì comunque il bisogno di correggerlo, ma non ne ebbe modo, perché 
qualcuno lo anticipò e tutti si schierarono con James.
“È Potter” lo corresse Lily e Remus non aveva bisogno della sobrietà né di uno sguardo per sapere che James aveva l’orgoglio stampato in faccia.
“Oh, non dovevi dirlo, Lily” ribatté Sirius, “lo sai che da oggi in poi ti chiamerò sempre…”
Le ultime parole di Sirius vennero soffocate da uno scoppio nel cielo. Peter li aveva avvertiti sul fatto che gli ultimi sarebbero stati un po’ più violenti.
“Stavo dicendo che da oggi in poi…”
Nelle uniche volte in cui aveva preso parte alla conversazione, Remus aveva dispensato perle di saggezza e frainteso allusioni sessuali, quindi ovviamente era arrivato il momento di una bella saggezza sessuale. “Stai parlando troppo, davvero, mi stai facendo venire mal di testa” si lasciò scappare, biascicando. Afferrò Sirius per la camicia, lo spinse verso il basso e lo baciò. Onestamente fu uno schifo: avevano mangiato torta insieme ad antipastini al prosciutto, l’erba seccava la bocca che era uno splendore e Remus si rese conto di avere una tegola che premeva per prendere il posto della sua colonna vertebrale.
Però.
I fuochi d’artificio gli scoppiavano nelle orecchie e i loro amici esultavano come se il mondo avesse avuto una data di scadenza.
E ce l’aveva.
Sembrava la fine del mondo perché era la fine del mondo e Remus pensò, ammazzatemi adesso.
Un colpo di pistola, al centro del petto. Un fuoco d’artificio che non si estingueva prima di raggiungere terra ma lo trafiggeva come una lancia illuminata, da parte a parte, con la punta che prometteva di aprirlo in due. Il tetto che si sfondava veramente e un pezzo di antiquariato russo che lo impalava tra le scapole. Avrebbe baciato anche il sangue di Sirius per dimostrargli che non era nero.
Ammazzatemi adesso, avrebbe urlato, ma che non sia un incantesimo.
Qualunque cosa, pur di non dover guardare gli altri morire.
Giuro che se sono l’ultimo… e il pensiero si interruppe perché Remus non lo sapeva. Non sapeva cosa avrebbe fatto se fosse rimasto solo di nuovo, se fossero scomparsi tutti da quel tetto, se fossero scesi uno per volta 
 scusate, faccio rifornimento di torta e torno su  mentre aveva ancora le loro risate e la loro voglia di mangiare il mondo nelle orecchie e negli occhi.
Invece di piangere, pregare il dio dei dodici tiri affinché non gli togliesse l’unica cosa buona per cui avesse mai lottato, mentre baciava Sirius con la guerra sotto quel tetto e il fuoco sopra, Remus scoppiò a ridere sulle sue labbra.
Allentò la presa sulla camicia di Sirius e lo lasciò tornare dritto dopo aver deposto un bacio asciutto sulla sua guancia.
“Fottuta puttana,” mormorò, lasciando ricadere il braccio sugli occhi.
Aveva sempre avuto un piede in due scarpe, ma aveva imparato a camminarci e se non poteva camminare poteva chiudere gli occhi, strizzarli e alzare un dito per prenotare la parola. Il mondo sarebbe finito girando, spazzandoli tutti via, e la sua testa l’aveva già capito, ma Remus aveva un’ultima cosa da dire, a questo mondo, chiedendo in prestito una replica a tutti quelli che dovevano sempre avere l’ultima parola.
“Qui nessuno muore.”








 
E l d i N o t e: Wewe bellezze mediterraneeeeh… Scusate, non so perché l'ho detto.
Oggi è primo settembre, ma non un primo settembre qualunque, ah-ha. Oggi è il primo settembre, cinquant’anni dopo il primo giorno dei malandrini! YUPPIE-YE. Credete che mi sia impegnata a postare oggi? Si vede che non avete capito proprio niente, il caso è dalla nostra parte!
Quindi detta la prima idiozia, passiamo al momento spirituale-affettivo. La storia delle interviste agli invitati del matrimonio e la corsa coi sacchi sono, per la prima volta, ispirati a fatti veri, una specie di saluto a quattro amici che sono esistiti davvero e che avevano le chiavi della scuola e se ne andavano in giro a combinare danni.
Detto ciò io ho finito gente, scusate per l’attesa e scusate pure se questo capitolo è un altro po’ più lungo della somma degli altri, credetemi ho anche tagliato tanto. Grazie per aver atteso e per aver letto nonostante tutto.
Ci vediamo presto con l’ultimo capitolo e, una settimana dopo, l’epilogo! Grazie ancora per essere stati qui <3
Adieu,
 
El.

 
   
 
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