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Autore: maddidp    05/09/2021    0 recensioni
Aurora, 22 anni.
Arriva per lei il momento di scoprirsi e capirsi veramente.
Durante il suo percorso capirà che mettersi al primo posto non è un errore, che dal passato ci si può sempre rialzare e che le sue debolezze sono il suo punto di forza.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ stato papà a volermi accompagnare dalla psicologa.
«Ti aspetto qua.» mi dice prima di chiudere lo sportello della macchina. La seduta è durata un’ora. Sessanta minuti per parlare delle tre cose che più segnano la mia vita: i miei genitori, il mio ex fidanzato ed il mio disturbo alimentare.
Lei, Carola, è una giovane – credo abbia meno di cinquant’anni, ha un bel sorriso e sembra molto attenta ai dettagli.
Mi ha fatto presentare e mi ha chiesto cosa al momento mi fa più soffrire. Rispondere ‘me stessa’ sarebbe stata la più facile ma anche quella più scontata; così ho optato per ‘le mie paranoie’. Quelle sì che mi hanno rovinato.
 
Il mio cervello è sempre stato più veloce, corre molto più in fretta del resto del mio corpo. E’ sempre stato così.
Le paranoie le ho sempre avute su tutto: e se non fossi all’altezza di una certa situazione? E se non fossi bella abbastanza? E se non fossi magra abbastanza? E se non dovessi piacergli?
E potrei andare avanti per ore.
Mi sono sempre messa in discussione, ho sempre visto il meglio negli altri ed il peggio in me; anche quando si stava in gruppo e qualcuno faceva un commento cattivo, io cercavo sempre di trovarne uno positivo. Sempre. Ma nei miei confronti raramente trovavo qualcosa di positivo, facevo davvero un gran fatica.
Immaginavo non sarebbe stato facile andare dalla psicologa, conoscermi meglio, approfondire questo malessere che porto dentro da mesi e che sopprimo.
Quando entro in macchina papà decide di chiedermi com’è andata senza entrare nel dettaglio, preferisce che queste cose rimangano tra me e la psicologa.
Appena torno a casa vado in camera, mi spoglio e rimango in intimo davanti allo specchio ed inizio ad analizzarmi: le cosce che si toccano, le braccia grosse, la faccia pienotta, la pancetta, le spalle larghe.
La mia ossessione sul peso mi porta a pesarmi anche oggi.
Quarantanove chili.
Ne ho presi due dall’ultimo controllo e non capisco come sia possibile, ho tolto anche alcune cose dalla mia ‘dieta’.
Inizio a piangere cercando di fare il meno rumore possibile anche se la casa è vuota. Odio sentirmi o vedermi piangere, è qualcosa che non ho mai sopportato.
Una delle sensazioni più brutte e provate è quella di non sentirsi bene nel proprio corpo, non riconoscersi nell’immagine riflessa nello specchio o schifarsi nelle foto.
Ogni tanto ho delle ricadute, ogni tanto mi spengo, mi metto da parte e rimango in silenzio.
Mi rivesto e mi siedo su una sedia in balcone per respirare un po’ d’aria.
Espira, respira.
Così per qualche minuto fino al suono del campanello.
E’ Filippo.
Quando me lo ritrovo davanti alla porta mi abbraccia senza dire nulla e poi ci accomodiamo sul divano, uno al lato opposto dell’altro.
«Lo so perché sei qui.»
Alza le spalle. «Non ti costringo mica a parlarne.»
Rimaniamo in silenzio per un po’.
«Ieri ho visto Francesco con la nuova ragazza, mi ha chiesto di te.»
«Cosa?»
«Come stavi, come andava l’università, se ti vedevi con qualcuno.»
«Com’è la nuova ragazza?»
Mentre lui parlava la mia testa già la immaginava: più bella di me, più magra di me, più alta, più simpatica, più divertente. Tutto più di me.
Parlare di Francesco mi agita ancora e non nego che una parte di me sente la sua mancanza.
Nessuno sa perché ci siamo lasciati, nessuno sa la verità, solo noi due. Ricordo quel giorno come fosse ieri, era il 27 aprile.
Ci siamo incontrati davanti uno stabilimento e ci siamo seduti sulla sabbia.
Stavamo bene insieme, anzi benissimo ma entrambi sapevamo che tra di noi c’erano troppe crepe. Io mangiavo sempre di meno ed avevo perso la voglia di uscire, di farmi vedere; lui, al contrario, ha rispettato questi miei desideri allontanandosi sempre di più fino a sembrare due estranei.
Ricordo le lacrime, i fazzoletti buttati in tutti i cestini di casa, le giornate chiusa in camera con le tapparelle abbassate.
Una settimana infernale.
Da quel giorno non l’ho più rivisto se non dalle storie di alcuni amici in comune.
Filippo mi fa segno con la mano. «Oh, ma mi stai ascoltando?»
«Sì.» rispondo convinta.
«Con Giada come va?»
«Bene, normale anche se non la vedo da un po’, ha sempre da fare. Chissà cosa poi, non lo so.»
Continuiamo a parlare del più e del meno fino a ora di cena quando lui decide di andare via e tornano i miei insieme con la cena d’asporto.
 
Come ogni mattina, dopo essermi allenata ed aver fatto colazione, esco per fare una passeggiata lungo mare. Non c’è cosa più bella di questa.
L’odore del mare, il suono delle onde, i cani al guinzaglio che incontro lungo il marciapiede mi fanno stare bene, mi ricordano che devo essere grata indipendentemente dai miei problemi.
Alcuni momenti mi focalizzo talmente tanto su ciò che mi manca, che fatico nel vedere tutto ciò che di bello ho intorno. Questo mi ha portato a meditare, a non andare a letto senza aver scritto sul mio quaderno le tre cose di cui sono stata grata.
Mi piace prendere del tempo per me, che sia per allenarmi, per meditare o passeggiare. Basta mettere due cuffie alle orecchie, chiudere gli occhi e respirare.
Così la giornata o un momento difficile prendono una piega diversa.
Cerco sempre di cercare il bello, la positività in qualsiasi cosa e si vive meglio, me ne sono accorta.
Questi momenti sono i miei preferiti, soprattutto perché sto bene da sola, riesco a non vergognarmi dei miei pensieri.
Ho in mente il consiglio di Carola, la mia psicologa, che mi ha dato al termine della prima seduta: non preoccuparti del domani, di quello che succederà tra cinque minuti, goditi adesso, il momento e trova il bello dovunque.
Ogni tanto il mio pensiero va a Francesco, insomma non pensavo a lui fino a ieri, quando Filippo me ne ha parlato. A casa ho ancora un cassetto dove ci sono tutti i regali, maglie che mi ha prestato – o meglio, che ho preso e l’ho chiuso a chiave. Mai più riaperto da quel giorno.
Ricordo quando veniva a prendermi a casa, quando mi dava i baci sulla fronte, quando mi complimentava in condizioni oscene e come mi guardava. Queste sono le cose che mi mancano di più ma forse è giusto che le cose siano andate così, forse era destino che le nostre strade si dividessero. Ammetto però che una parte di me ancora ci spera, forse sono stupida o forse sogno troppo.E’ stato papà a volermi accompagnare dalla psicologa.
«Ti aspetto qua.» mi dice prima di chiudere lo sportello della macchina.                          La seduta è durata un’ora. Sessanta minuti per parlare delle tre cose che più segnano la mia vita: i miei genitori, il mio ex fidanzato ed il mio disturbo alimentare.
Lei, Carola, è una giovane – credo abbia meno di cinquant’anni, ha un bel sorriso e sembra molto attenta ai dettagli.
Mi ha fatto presentare e mi ha chiesto cosa al momento mi fa più soffrire. Rispondere ‘me stessa’ sarebbe stata la più facile ma anche quella più scontata; così ho optato per ‘le mie paranoie’. Quelle sì che mi hanno rovinato.
 
Il mio cervello è sempre stato più veloce, corre molto più in fretta del resto del mio corpo. E’ sempre stato così.
Le paranoie le ho sempre avute su tutto: e se non fossi all’altezza di una certa situazione? E se non fossi bella abbastanza? E se non fossi magra abbastanza? E se non dovessi piacergli?
E potrei andare avanti per ore.
Mi sono sempre messa in discussione, ho sempre visto il meglio negli altri ed il peggio in me; anche quando si stava in gruppo e qualcuno faceva un commento cattivo, io cercavo sempre di trovarne uno positivo. Sempre. Ma nei miei confronti raramente trovavo qualcosa di positivo, facevo davvero un gran fatica.
Immaginavo non sarebbe stato facile andare dalla psicologa, conoscermi meglio, approfondire questo malessere che porto dentro da mesi e che sopprimo.
Quando entro in macchina papà decide di chiedermi com’è andata senza entrare nel dettaglio, preferisce che queste cose rimangano tra me e la psicologa.
Appena torno a casa vado in camera, mi spoglio e rimango in intimo davanti allo specchio ed inizio ad analizzarmi: le cosce che si toccano, le braccia grosse, la faccia pienotta, la pancetta, le spalle larghe.
La mia ossessione sul peso mi porta a pesarmi anche oggi.
Quarantanove chili.
Ne ho presi due dall’ultimo controllo e non capisco come sia possibile, ho tolto anche alcune cose dalla mia ‘dieta’.
Inizio a piangere cercando di fare il meno rumore possibile anche se la casa è vuota. Odio sentirmi o vedermi piangere, è qualcosa che non ho mai sopportato.
Una delle sensazioni più brutte e provate è quella di non sentirsi bene nel proprio corpo, non riconoscersi nell’immagine riflessa nello specchio o schifarsi nelle foto.
Ogni tanto ho delle ricadute, ogni tanto mi spengo, mi metto da parte e rimango in silenzio.
Mi rivesto e mi siedo su una sedia in balcone per respirare un po’ d’aria.
Espira, respira.
Così per qualche minuto fino al suono del campanello.
E’ Filippo.
Quando me lo ritrovo davanti alla porta mi abbraccia senza dire nulla e poi ci accomodiamo sul divano, uno al lato opposto dell’altro.
«Lo so perché sei qui.»
Alza le spalle. «Non ti costringo mica a parlarne.»
Rimaniamo in silenzio per un po’.
«Ieri ho visto Francesco con la nuova ragazza, mi ha chiesto di te.»
«Cosa?»
«Come stavi, come andava l’università, se ti vedevi con qualcuno.»
«Com’è la nuova ragazza?»
Mentre lui parlava la mia testa già la immaginava: più bella di me, più magra di me, più alta, più simpatica, più divertente. Tutto più di me.
Parlare di Francesco mi agita ancora e non nego che una parte di me sente la sua mancanza.
Nessuno sa perché ci siamo lasciati, nessuno sa la verità, solo noi due. Ricordo quel giorno come fosse ieri, era il 27 aprile.
Ci siamo incontrati davanti uno stabilimento e ci siamo seduti sulla sabbia.
Stavamo bene insieme, anzi benissimo ma entrambi sapevamo che tra di noi c’erano troppe crepe. Io mangiavo sempre di meno ed avevo perso la voglia di uscire, di farmi vedere; lui, al contrario, ha rispettato questi miei desideri allontanandosi sempre di più fino a sembrare due estranei.
Ricordo le lacrime, i fazzoletti buttati in tutti i cestini di casa, le giornate chiusa in camera con le tapparelle abbassate.
Una settimana infernale.
Da quel giorno non l’ho più rivisto se non dalle storie di alcuni amici in comune.
Filippo mi fa segno con la mano. «Oh, ma mi stai ascoltando?»
«Sì.» rispondo convinta.
«Con Giada come va?»
«Bene, normale anche se non la vedo da un po’, ha sempre da fare. Chissà cosa poi, non lo so.»
Continuiamo a parlare del più e del meno fino a ora di cena quando lui decide di andare via e tornano i miei insieme con la cena d’asporto.
 
Come ogni mattina, dopo essermi allenata ed aver fatto colazione, esco per fare una passeggiata lungo mare. Non c’è cosa più bella di questa.
L’odore del mare, il suono delle onde, i cani al guinzaglio che incontro lungo il marciapiede mi fanno stare bene, mi ricordano che devo essere grata indipendentemente dai miei problemi.
Alcuni momenti mi focalizzo talmente tanto su ciò che mi manca, che fatico nel vedere tutto ciò che di bello ho intorno. Questo mi ha portato a meditare, a non andare a letto senza aver scritto sul mio quaderno le tre cose di cui sono stata grata.
Mi piace prendere del tempo per me, che sia per allenarmi, per meditare o passeggiare. Basta mettere due cuffie alle orecchie, chiudere gli occhi e respirare.
Così la giornata o un momento difficile prendono una piega diversa.
Cerco sempre di cercare il bello, la positività in qualsiasi cosa e si vive meglio, me ne sono accorta.
Questi momenti sono i miei preferiti, soprattutto perché sto bene da sola, riesco a non vergognarmi dei miei pensieri.
Ho in mente il consiglio di Carola, la mia psicologa, che mi ha dato al termine della prima seduta: non preoccuparti del domani, di quello che succederà tra cinque minuti, goditi adesso, il momento e trova il bello dovunque.
Ogni tanto il mio pensiero va a Francesco, insomma non pensavo a lui fino a ieri, quando Filippo me ne ha parlato. A casa ho ancora un cassetto dove ci sono tutti i regali, maglie che mi ha prestato – o meglio, che ho preso e l’ho chiuso a chiave. Mai più riaperto da quel giorno.
Ricordo quando veniva a prendermi a casa, quando mi dava i baci sulla fronte, quando mi complimentava in condizioni oscene e come mi guardava. Queste sono le cose che mi mancano di più ma forse è giusto che le cose siano andate così, forse era destino che le nostre strade si dividessero. Ammetto però che una parte di me ancora ci spera, forse sono stupida o forse sogno troppo.
   
 
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