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Autore: Corydona    06/09/2021    0 recensioni
Sequel di "Selenia - Trono rovesciato"
Le Ombre della Notte tengono Selenia sotto scacco. Uomini e donne scelti tra le corti di Selenia tramano di nascosto per sovvertire l'equilibrio che per secoli aveva resistito. Quell'equilibrio però si è incrinato con l'uccisione di Guglielmo Lotnevi. A cosa mirano le Ombre? Da chi sono comandate?
Nulla è come sembra, e presto anche coloro che credevano di avere la situazione in pugno dovranno fare i conti con la realtà.
Aggiornamenti ogni venerdì!
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Il marchese attraversò a passi cadenzati l'intreccio di corridoi luminosi del castello di Defi. Tastò una tasca del mantello pesante in cui si era avvolto e trasse un sospiro di sollievo nel sentire la vicinanza del décudo. Era stato dai Gredasu all'alba e Menta gli aveva fornito le istruzioni di Melissa.

Il vento che annunciava l'arrivo delle stagioni fredde si era insinuato in ogni angolo della reggia, e più di un servitore che correva indaffarato rabbrividì, come se la calura estiva avesse gettato nell'oblio il ricordo degli inverni.

Giunse a una sala secondaria, in cui gli era stato detto che Alcina lo attendeva. Bussò con educazione, e l'uscio si spalancò da solo.

La regina, avvolta da un abito di stoffa scura, guardava l'orizzonte cupo da una delle finestre che si affacciavano a sud. I capelli erano raccolti in una treccia gonfia sulla nuca e che le ricadeva sulla schiena, lasciata nuda dall'abito, ma coperta da un lungo scialle di lana. La donna soffriva di dolori fisici a ogni cambio di stagione e, proprio per quel motivo, doveva aver chiuso le finestre e ordinato che Giampiero la raggiungesse in un luogo appartato.

Solo in un secondo momento il marchese si accorse che sul tavolino di cristallo era poggiata una teiera di porcellana da cui usciva un refolo di fumo. Si domandò se Alcina avesse intenzione di avvelenarlo.

La donna si voltò e gli rivolse un sorriso. Gli occhi chiari guizzarono in quelli scuri di lui, che però le chiuse l'accesso alla sua mente. Forse non l'avrebbe ucciso, ma quell'incontro dall'aria informale non sarebbe stato semplice da affrontare.

Con un cenno della mano lo invitò a sedersi su uno dei divani ricoperti di velluto verde smeraldo e Giampiero eseguì all'istante muovendosi con sicurezza, mentre lei si avvicinava. Non appena la sovrana l'ebbe raggiunto, lui le vide gli occhi gonfi e la punta del naso arrossata di chi è infreddolito.

«Maestà, vi sentite bene?»

Alcina scosse il capo con un gesto impercettibile. «No, ma è per via della stagione. Ogni anno sembra sempre peggiore del precedente... Ma forse sto invecchiando.» Sorrise, come a smorzare una tensione di cui sapeva essere la causa. Versò il tè nelle tazze e gliene porse una. «Vedi, tutti gli avvenimenti delle ultime settimane mi hanno messa alla prova. L'uccisione di Guglielmo, la fuga di mia figlia, la guerra tra Dzsaco e Ruxuna che i nostri alleati hanno inaspettatamente vinto... E il non essere riuscita a fare molto per Luciana Lugupe, dopo tutto quello che ha dovuto passare a causa della sua lealtà verso di me, mi hanno debilitata.»

Giampiero trasse un profondo sospiro. «Luciana non vi ha chiesto aiuto. Forse era troppo orgogliosa per farlo, ma se ne avesse davvero avuto bisogno si sarebbe rivolta a voi.»

«Sì, orgoglio... Il difetto peggiore per un sovrano, eppure chi non ne ha nemmeno un po' non è in grado di governare» commentò la regina, prima di sorseggiare la bevanda calda il cui fumo danzava di fronte ai suoi occhi chiari. «Temo di aver commesso un terribile errore che l'ha allontanata da noi.»

«Da noi?» Le parole gli sfuggirono prima che Giampiero se ne rendesse conto. Si trattenne dal portarsi una mano al volto solo per non apparire debole agli occhi della Primavera, ma quella domanda era un'ammissione imperdonabile.

«Sì, da noi. Da me, dal Defi... da te, caro marchese.» La risposta di Alcina per lui fu un colpo più duro di una stoccata alle gambe in precario equilibrio. «So che non ti è indifferente, e l'esito dei Lupfo-Evoco non è stato favorevole né alle mie alleanze né alle tue vicende personali. Amelia sarà anche morta in quell'incendio, ma ha cercato in ogni modo di farmi terra bruciata intorno... Molto ironico, ma è una nuova realtà con cui dobbiamo entrambi fare i conti. Ho bisogno di te più che in passato.»

«Sono qui per servirvi.» Era una frase di circostanza, quella che qualsiasi suddito avrebbe rivolto al proprio sovrano, ma la regina aveva toccato la giusta corda per smuovere l'insieme armonico dei suoi sentimenti. Se Luciana era stata abbandonata, la colpa era anche sua. Gli ambasciatori di ritorno dallo Dzsaco fornivano resoconti di quanto l'atmosfera nel suo regno fosse cupa, e di come la nuova sovrana soffrisse la presenza ingombrante della contessa Diomira Nori, l'unica parente ancora in vita.

«So che posso fare sempre affidamento su di te.» La donna gli sorrise affabile. «Vorrei che tu andassi da lei e le tendessi la mano del Defi. So che abbiamo commesso degli errori, e...» Si morse il labbro, la confessione le costava più di quanto prezioso avesse «E dovrai dirle che la prima a sbagliare sono stata io, e che sono stata imperdonabile.»

Giampiero si mosse per ribattere, ma fu anticipato da un servitore che bussò alla porta ed entrò senza attendere il permesso. «Perdonatemi, Maestà. È arrivata una lettera da Vittorio Estate, il re l'ha già letta, ha detto che avreste dovuto farlo subito anche voi ed è partito per il Pecama.»

L'uomo le porse il vassoio con la missiva aperta, che lei afferrò subito. Scorse le righe rapidamente sotto lo sguardo del marchese, senza mutare espressione del viso

«Il re ha preso la decisione giusta» sentenziò infine. «Puoi andare.»

Il servitore si inchinò e lasciò il salottino, richiudendosi l'uscio alle spalle.

«È accaduto qualcosa a Vittorio Estate?» Giampiero si fece coraggio osando più rispetto a quanto si sarebbe spinto solo alcune settimane prima. Tuttavia, percepiva che la situazione era cambiata, e che quello che non sarebbe stato possibile in passato lo era in quel momento.

La regina si concesse un sospiro meditabondo, e posò la missiva sul tavolino. «Flora è da lui, a Castelscoglio.»

«Mi sembra un'ottima notizia, perché vi turba?» Si morse la lingua, ma dentro di sé era convinto di doverle parlare in quel modo. Avrebbe approfittato della sua vulnerabilità per recuperare il prestigio che i Lupfo-Evoco gli avevano sottratto e le avrebbe dimostrato che in quell'occasione era stato sconfitto solo dalle arti magiche delle Autunno.

Lei non rispose, ma sollevò lo sguardo puntandolo nei suoi occhi. Giampiero le sorrideva, come se dovesse infonderle il coraggio per rivelargli i suoi dubbi, quando in realtà la sua espressione mirava a celare lo sforzo per impedirle di entrare nella sua testa. La magia della regina non sembrava affatto indebolita dalla debolezza fisica. Osservandola meglio in quello scontro silenzioso, il marchese credette che fosse proprio quell'oscuro potere a permetterle di non accasciarsi sul divano in modo poco elegante.

«Quando sarai nello Dzsaco, dovrai scoprire per me com'è andata la battaglia di Merolpe in cui hanno sopraffatto il Ruxuna.» La sovrana sospirò profondamente. «Non posso credere che un regno instabile come il loro abbia potuto sconfiggere una potenza militare quale è quella degli Autunno. Dev'esserci qualcosa sotto, anche se si trattasse di soldati a pagamento voglio saperlo. Ci riuscirai?»

«Maestà, ho fallito una volta, non accadrà di nuovo.» Giampiero chinò il capo, rispettoso. Si aspettava che lei gli indicasse subito di uscire dal salotto e mettersi in viaggio, perciò lo sorprese che Alcina versasse ancora del tè per entrambi.

«Confido che quando tornerai avrai delle informazioni dettagliate. Ho bisogno di te, perché i tempi bui che sembravano tanto lontani stanno arrivando. E la luce è lontana.»

«Non dubitate più di me?»

Alcina sollevò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. Tra le dita affusolate stringeva ancora una fumante tazza di porcellana. «No, non ne dubito più.»

Quindi in passato l'ha fatto.

Nessuno dei due aveva dimenticato quella breve visita all'antico casale abbandonato che la sovrana aveva offerto a Giampiero. La proposta del ritiro dalla vita di corte e quello scontro silenzioso che avevano combattuto con la mente e la magia, tra ciò che entrambi volevano conoscere e ciò che era da nascondere a ogni costo.

Se la regina aveva di nuovo deciso di riporre la sua fiducia nel marchese, lui sarebbe stato attento. Non poteva più permettersi altri errori, non se in ballo c'era il destino di Selenia. La nuova stima di Alcina l'avrebbe salvato dall'imbarazzo di quelle lunghe settimane trascorse noiosamente a Castelvetro. Ora poteva mettersi in viaggio e non solo recuperare il tempo che l'aveva visto lontano dalla consueta vita da diplomatico, ma anche avvicinarsi di nuovo a lei.

«Partirò subito e non vi deluderò.»

Attese che Alcina gli indicasse la porta della sala, e solo quando lo fece si allontanò. A grandi passi raggiunse la propria camera, a uno dei piani superiori, avendo già delineato come agire una volta lasciata il castello di Defi. Sapeva che la regina non gli avrebbe mai permesso di agire indisturbato, non dopo avergli proposto di ritirarsi a vita privata; quindi si aspettava di essere seguito a vista da uno dei suoi soldati.

Forse da quello più fedele in assoluto.

Prese una sacca da viaggio e indossò un mantello pesante: mettersi in viaggio con quel clima uggioso non lo allettava, ma preferiva arrivare alla corte di Luciana il prima possibile. Rischiuse la porta della stanza, dopo essere stato ben attento a non lasciare nulla di compromettente. Il décudo era in una delle tasche e solo quello avrebbe potuto destare nella sovrana il vago sospetto che lui tramasse alle sue spalle. Scese rapidamente le scale senza incontrare, per sua fortuna, alcun cortigiano; non lo allettava l'idea di doversi confrontare con loro o di parlare delle ragioni per cui era in partenza. Ad ampie falcate giunse nell'armeria e ritirò il suo stiletto, che recava sull'elsa il fiore di magnolia simbolo di Alcina. Sorrise amaro quando il custode glielo rese: la regina non avrebbe mai più dubitato di lui, non dopo che le avrebbe consegnato delle risposte.

Giampiero non conosceva la verità sulla battaglia di Merolpe, ma allo stesso modo della sovrana Primavera supponeva che ci fosse qualcosa sotto. Tuttavia, prima di arrivare da lei aveva un'altra faccenda urgente da sbrigare che lo stava spingendo a inoltrarsi per le vie di Nilerusa, non nella direzione più veloce verso lo Dzsaco.

La capitale era avvolta dai colori cupi del cielo; le case basse, solitamente dai toni sfavillanti, erano ingrigite dalla prospettiva di un imminente temporale. Qualche bambino giocava a rincorrersi, sporcandosi con la terra resa fangosa dalla pioggia della notte, con le madri che li richiamavano per mettersi al riparo. Le strade erano sgombre, nemmeno le donne canute che di solito vi sostavano per ciarlare o ricamare si erano appostate fuori dalla porta. L'autunno era ormai alle porte, portando con sé l'umidità e il freddo che anticipava l'inverno.

Il marchese proseguiva senza seguire un itinerario chiaro ad occhi estranei: come previsto, Marco Pomi lo seguiva a debita distanza. Cercò di seminarlo camminando a passo rapido tra le vie strette di un quartiere a metà tra il centro e la periferia, dirigendosi prima verso nord, poi verso ovest e ritornando, seguendo il suo piano, verso est. Girò intorno ad alcune case basse e vide un'anziana che rientrava trasportando a fatica delle sacche di tela colme di frutta e verdura.

Le corse incontro e le rivolse un sorriso. «Posso aiutarla?»

«Voi siete un nobile, non posso chiedervelo.» La donna accennò con il mento alla spilla che chiudeva il mantello di Giampiero, quel fiore di magnolia che portavano i fedeli di Alcina tra l'aristocrazia.

«La vedo affaticata, per me non sarà un problema.» Non sapeva quanto tempo avrebbe impiegato Pomi per tornare sulle sue tracce e preferiva nascondersi per qualche minuto, oppure attraversare dei cortili interni che non si affacciavano sulle vie.

«Non ho modo di sdebitarmi.»

«Non sarà necessario.» Il marchese le prese di mano le sacche e la seguì all'interno di un'abitazione i cui colori esterni dovevano essere di un arancio splendente sotto i raggi del sole. Non era mai stato dentro case piccolo-borghesi, dunque non sapeva cosa aspettarsi una volta lì. La porta d'ingresso si affacciava su un ampio spazio, con un caminetto spento e una sedia a dondolo poco distante. Dei lavori a maglia erano lasciati in mostra su un tavolo da pranzo, mentre la donna riempiva una fruttiera in vetro con dei melograni appena acquistati, che si affiancavano a delle mele vermiglie con sfumature aranciate.

«Ne volete una?» propose la donna. «I miei nipoti ne vanno matti, soprattutto la più piccola...»

«Preferisco che le abbiano loro, non vi ho aiutato per avere qualcosa in cambio.» Giampiero scosse la testa. «Immagino che sia importante, sia per loro che per lei.»

«Siete il primo nobile di questo stampo.» L'anziana gli rivolse un ampio sorriso, avvicinandosi a lui. «Ma devo aiutarvi lo stesso.»

Il marchese esitò. Finse di riflettere, cercando di comprendere se potesse fidarsi o meno. L'istinto, o la magia, gli suggerì di farlo: scorse in lei qualcosa di familiare, come se l'avesse già conosciuta in un tempo passato. Avrebbe potuto essergli utile.

«Mi sono perso, sto cercando la casa degli Ulsi.» Intrecciò le dita con un gesto nervoso, notando solo allora dei tappeti a ricoprire il pavimento scuro. Ne indicò uno e aggiunse: «Penso che li conosca, li vendono nel loro negozio».

«Ma certo che li conosco! Quello lì è un regalo di mio genero!» Gli occhi chiari della borghese guizzarono nei suoi. «Ma non pensavo che i nobili comprassero i tappeti direttamente dalle botteghe!»

Giampiero scosse la testa, tuttavia sentendosi più leggero: se aveva capito bene, davanti a sé c'era la nonna materna di Franco. «Vorrei parlare con uno dei suoi nipoti, il più grande... Si tratta di una questione urgente. E segreta, devo chiedervi di non farne parola con nessuno.»

«Non vi preoccupate, abitano qui vicino, il mio cortile sul retro coincide con il loro!» Senza dargli la possibilità di ribattere, lo lasciò solo, uscendo da una porta che affacciava su un piccolo giardino ben curato. Era molto diverso dal campo coltivato di Elide: non c'era traccia di coltivazioni, né di terra battuta, ma della ghiaia riempiva alcuni sentierini sinuosi attorno a scuri cespugli. Forse nei giorni più caldi dell'anno fiorivano emanando profumi dolci e delicati. A un albero era appesa un'amaca, su cui si dondolava un ragazzo immerso in una lettura e fu proprio a lui che la donna si avvicinò con passo arzillo.

Giampiero si avvicinò all'uscio per origliare. Si era fidato di lei, ma voleva avere la certezza di essere in buone mani. Nascondendosi alla vista, anche a lui era impossibile scorgere le due figure; tuttavia poté udire le loro parole con chiarezza.

«Filippo!»

«Oh, nonna!» Il suo tono sorpreso era quello di chi era stato colto con la testa tra le nuvole, e al nobile sfuggì un sorriso.

«Di' un po', tuo fratello?»

«A casa, sta studiando per... Boh, non so nemmeno che roba sia.»

«Non lo disturbo, vero?»

«Ma non disturbi mai!»

Udì il suono di qualche passo e la donna tornò nel campo visivo del marchese, che la spiò bussare a una porta e attendere che qualcuno aprisse. Quando accadde, Franco scambiò alcune parole con l'anziana prima di seguirla a ritroso.

Pochi istanti più tardi i due giovani si ritrovarono l'uno di fronte all'altro.

Il borghese puntò subito lo sguardo sulla spilla e impallidì. «Nonna, non potresti lasciarci da soli?»

«Ma certo, caro. Controllo che tuo fratello non stia ancora bighellonando nel cortile... Spreca troppo tempo con quei romanzi d'avventura.» Fece un cenno con il capo al nobile in segno di saluto.

Franco era rimasto immobile per tutto quel breve lasso di tempo, cercando invano di nascondere il nervosismo. «Siete qui per arrestarmi?» chiese, pacato.

«Assolutamente no, potete fidarvi di me.»

«Perché dovrei?»

«Perché io sono Giampiero Tirfusama.»

A sentire quel nome, Franco si rilassò, e gli indicò di prendere posto attorno al tavolo. «So chi siete, Bianca De Ghiacci ha parlato di voi a Chiara Delle Foglie.»

Il marchese annuì, sedendosi. Aveva suggerito lui a Bianca di informare la nuova alleate delle persone di cui poteva fidarsi ciecamente: uno dei nomi in cima alla lista era di certo il suo.

«Avete davvero aiutato Flora a fuggire dal Defi?»

«Non proprio: la sorte è stata dalla nostra parte, perché l'incontro con chi davvero l'ha aiutata è stato fortuito. Ma saprai che insieme a lei c'è il vostro comune amico.»

«Claudio... non posso credere che sia partito all'avventura. Ma voi non siete qui per parlarmi dei miei amici, giusto?»

Giampiero scosse la testa, composto, mentre Franco intrecciò le dita e iniziò a far ruotare i pollici in un gesto che tradiva ancora la tensione non del tutto smorzata.

«No, è molto più importante.»

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*Angolino autrice*
Ricordate che nel Trono c'era un capitolo con un titolo simile a questo? In quell'occasione si trattava di Luciana che giungeva presso Alcina, invece ora si tratta di Giampiero!

Che dite, ce la farà il nostro marchese a portare a termine il suo compito?

   
 
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