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Autore: Aagainst    10/09/2021    2 recensioni
Dal sesto capitolo:
“I miei vecchi quaderni sono ancora riposti negli scaffali, come se il tempo non fosse mai passato. Ne prendo uno a caso e lo apro. Lo sfoglio, il cuore in gola. I testi di vecchie canzoni che nemmeno ricordavo di aver scritto mi travolgono, senza alcuna pietà. Ripenso a ciò che mi ha detto Bellamy qualche giorno fa. Ho perso la mia musica. Ho perso la mia casa. E, anche se mi sembrano così vicine, non sono mai state più lontane. “
Sono passati sei anni da quando Clarke ha lasciato Polis per inseguire il suo sogno e diventare cantante e quattro da quando ha tagliato definitivamente i rapporti con chiunque appartenesse al suo passato. Costretta dal suo manager a tornare a casa dopo l’ennesima bravata, ritroverà la sua vecchia vita ad attenderla, tra cui due occhi verdi carichi di domande.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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27.

 

And I'm sorry it took me so long to get to you
Now the sky's turning colors
But I know you're watching it too
(June Divided-If You Were Here)

 

 

 

“Allora Clarke, sei pronta? Tra poco tocca a te.” 

“Non si preoccupi signor Lightbourne, devo solo cantare, no?” rispondo. “Insomma, non è nulla che non abbia già fatto.”. Lightbourne mi squadra, confuso. Probabilmente mi vorrebbe un po’ più entusiasta, ma io proprio non ce la faccio. 

“Ascoltami, sei stata brava in questi mesi e il disco sta vendendo molto. Esibirti qui al Sanctum Fest sarà fondamentale per la tua carriera e per la mia casa discografica. Mi raccomando, sai cosa fare.”. Mi picchietta la spalla e se ne va, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo. Scuoto il capo. Questo camerino in cui mi trovo è così stretto. No, il problema non è il camerino. Mi siedo di fronte allo specchio. Osservo il mio riflesso. Sei felice Clarke? Cosa raccontano i tuoi occhi? Fisso le mie iridi azzurre. Sono spente, così vuote. Vorrei riuscire a piangere, ma non sono in grado di fare nemmeno quello. 

“Clarke, ehi. Tutto bene?” mi chiede Murphy. È in compagnia di Raven e non ho idea da quanto tempo sia qui. 

“Io… Sì, stavo finendo di prepararmi.” rispondo. Raven sospira e mi lancia un’occhiata severa, segno che ha capito che sto mentendo. Distolgo lo sguardo, nella speranza che mi lascino stare. 

“Vuoi rivedere la scaletta?” mi propone Murphy, ma faccio segno di no con la testa. La verità è che non ho proprio voglia di pensare a quello che canterò tra dieci minuti.

“Tranquillo, ho tutto sotto controllo.” rispondo, per poi sedermi di nuovo e finire di prepararmi. Voglio solo che mi lascino sola. Ne ho bisogno. 

“Allora io vado. Ci vediamo alla fine del concerto, in bocca al lupo.” 

“A dopo, Murphy.” lo saluto, senza nemmeno voltarmi. “Non dovresti andare con lui?” chiedo a Raven. Invece di seguirlo, è lì, appoggiata alla parete, che mi squadra con sguardo preoccupato.

“Rae, sto bene, devo solo finire di truccarmi.” insisto. Per tutta risposta, tira una manata al muro e avanza verso di me, con fare nervoso.

“Smettila, Clarke! Ti prego, piantala!” esordisce. Deglutisco, sorpresa da una simile reazione. 

“Rae…”

“No, basta cazzate. Sono stanca Clarke. Non ne posso più, non riesco a continuare così. Ti stai autodistruggendo e io non voglio essere complice di uno scempio simile.”. Scuoto il capo, incapace di replicare. “So che pensi di non meritare più nulla, ma non è così.”

“Invece lo è, Rae. E, anche se non lo fosse, non saprei proprio come poter rimediare a tutti gli errori che ho commesso.”. Raven infila le mani in tasca e ne estrae un mazzo di chiavi e un disco. Le appoggia sul mobiletto di fronte allo specchio e ritorna a guardarmi, seria. 

“Che cosa significa?” domando, confusa. Mi rigiro il disco fra le mani, chiedendomi di cosa si tratta. Dopo svariati secondi, lo riconosco. Sobbalzo, sorpresa. Pensavo di averlo gettato via.

“Ma questo è…”

“Il tuo EP, esatto. L’ho recuperato dal cestino non appena ho visto che l’avevi buttato.”. Ormai non riesco più a trattenere le lacrime, è inutile. “Sai, c’è più verità in quel disco che in tutti i tuoi ultimi lavori. So che Murphy mi licenzierà per questo, ma voglio che tu ritorni ad essere te stessa, Clarke. Te lo meriti.”

“Rae…”

“No, va tutto bene. Ho posteggiato accanto alla limousine, nel parcheggio riservato. Ho già fatto il pieno, ma credo che dovrai comunque fermarti prima o poi, per cui ecco dei soldi per…”

“Rae, io non posso. Devo salire su quel palco fra poco e…” provo a protestare, ma lei non mi fa proseguire oltre.

“Clarke, ma mi ascolti quando parlo? L’unica cosa che devi fare è provare a ritrovare te stessa. Tu meriti di essere felice, nient’altro.”

“Ma sarai licenziata!” ribatto. La vedo inarcare le sopracciglia, decisamente spazientita. La verità è che sono terrorizzata. So di cosa ho bisogno, ma ho paura di scoprire di non meritarlo. 

“Clarke, vali più del mio lavoro. Ne troverò un altro.”. La stringo in un abbraccio e mi ritrovo a piangere sulla sua spalla.

“Ti voglio bene.” sussurro.

“Anche io, Griffin.” risponde lei. “E ora vai, prima che Lightbourne ti venga a prendere.”. Mi cambio, togliendo quei ridicoli costumi di scena che mi hanno costretta ad indossare in favore di una maglietta, un paio di jeans e una felpa di un non meglio specificato gruppo musicale. Afferro le chiavi ed esco in corridoio, attenta a non farmi vedere da qualche membro dello staff. Sento le urla e gli applausi dei fan che invocano il mio nome a gran voce. Mi dispiace deluderli, ma so anche che non posso continuare così. Non è giusto. Per la prima volta da anni sto scappando sì, ma per non scappare mai più. Ed è così liberatorio.

 

________________

 

Sono in viaggio da ormai diverse ore. Intorno a me, il paesaggio è completamente cambiato. Sto risalendo la costa e sono ormai arrivata a Monterey. Decido di fermarmi ad osservare il panorama notturno. L’oceano. Penso che non esista nulla di più immenso, magnifico e terribile al tempo stesso. I flutti si infrangono sugli scogli, mentre l’acqua scura diventa un tutt’uno con il cielo. Sorrido, mentre ripenso a una delle tante estati passate assieme a Lexa. Avremmo avuto dodici o tredici anni e mio padre aveva insistito per portarci a mare proprio qui a Monterey, con un camper. In fin dei conti, oltre a me e Lexa c’erano anche Anya e Jasper. Era notte fonda e avevamo bucato. Diluviava e tra fulmini e tuoni io ero terrorizzata. Fu allora che Lexa mi prese per mano e mi obbligò a guardare fuori. Non avevo mai visto uno spettacolo simile. Non credo che esistano parole in grado di descrivere la maestosità dell’oceano in tempesta. So solo che mentre mi perdevo tra quelle enormi onde che, illuminate dai fulmini, cercavano di inseguire il rombo dei tuoni, provai una sensazione di pienezza senza precedenti. Solo ora riesco a capire. Io sono come quelle onde. Sono un oceano in tempesta, destinato ad inseguire il rombo dei tuoni, inquieta. Eppure, mentre ero lì, mano nella mano di Lexa, ero riuscita a sperimentare qualche istante di pace. Vorrei solo poterla provare di nuovo. È tutto quello che chiedo. Sospiro. Oggi il cielo è limpido e la luna splende alta fra le stelle. Non ci sono tuoni, né fulmini e le onde non sono così alte. Chiudo per qualche istante gli occhi. Un leggero venticello mi accarezza il viso, con dolcezza. Assaporo questi ultimi istanti e decido poi di risalire in macchina, per proseguire il viaggio. Mi spettano ancora una quindicina di ore di viaggio, traffico permettendo. Accendo il motore e riparto. Do un ultimo saluto all’oceano, conscia che tra poco proseguirò il viaggio nell’entroterra del Paese. Rivedrò le montagne. Rivedrò Lexa. E, forse, ritroverò la pace. 

 

________________

 

L’alba. Da quanto tempo non mi fermavo ad ammirare l’alba. Il sole fa capolino dalle montagne e illumina la strada e i boschi che la circondano. Ho fatto una breve sosta nel parcheggio di un distributore, tanto per riprendere le forze. Ho cercato di dormire per un paio d’ore, abbastanza inutilmente. Esco dall’auto e respiro a pieni polmoni. Sono quasi all’altezza del parco nazionale di Yosemite e la tentazione di visitarlo è alquanto forte. Avevo sei anni l’ultima volta che sono venuta qui. Idea di mia madre, voleva festeggiare il compleanno di Jasper in modo diverso. Ricordo le cascate e l’Half Dome spiccare sulle nostre teste. Nemmeno a Polis ho mai visto nulla del genere.

“Ehi, signorina.”. Mi volto. Un uomo sui settant’anni mi fissa, con aria curiosa.

“Salve.” lo saluto, cercando di capire le sue intenzioni. Lui si avvicina a me e mi tende la mano.

“Mi chiamo Carl Powell e sono il proprietario del distributore. Ho visto che ha dormito nel parcheggio, le va di venire dentro e fare colazione? Ho preparato il caffè.”. Mi mordo il labbro, indecisa se accettare o meno la sua proposta. Alla fine cedo e lo seguo all’interno. Mi fa accomodare e mi allunga una tazza di caffè e una ciambella. 

“Io non so se posso…”

“Oh, andiamo, è al cioccolato. Chi è che non può mangiare una ciambella al cioccolato?” insiste. Sorrido nervosa e mi arrendo. Devo ammetterlo, è deliziosa.

“Dunque, che cosa la porta da queste parti, signorina…”

“Griffin. Clarke Griffin.” rispondo. Non mi importa se mi riconosce, non ho più voglia di nascondermi. Tuttavia, quando capisco che non associa il mio nome a un volto noto, tiro un sospiro di sollievo.

“Beh, dicevo, cosa la porta da queste parti? Turismo?”

“No, anche se mi piacerebbe. Sono in viaggio, devo raggiungere la regione di Arkadia. Vengo da Los Angeles, ma ho fatto tappa a Monterey.” spiego. L’uomo mi lancia un’occhiata confusa e come dargli torto. Passando per la costa ho allungato notevolmente il percorso. Eppure, ne avevo bisogno. Dovevo rivedere l’oceano. Ho passato gli ultimi anni della mia vita cercando di dimenticare chi sono, ma ora voglio cambiare rotta. Voglio ricordare tutto, i miei errori, i miei momenti felici, le mie fatiche e i miei successi. È l’unico modo per sfuggire al nulla che sta pervadendo la mia vita.

“Nomade?” mi chiede. Sorrido divertita e faccio cenno di no con il capo.

“Sto tornando a casa. Sono originaria di Polis.” rispondo. Powell annuisce e mi versa dell’altro caffè. 

“Ricordo Polis, ci sono stato una volta molto tempo fa. Bel posto.” 

“Già.” confermo. “Peccato che io l’abbia scoperto troppo tardi.” asserisco. 

“Non e mai troppo tardi. Sembra una frase fatta, ma non è così.”. Scuoto il capo.

“Nel mio caso, non saprei. Ho fatto troppi errori, signor Powell. Sto cercando di rimediare, ma non credo di poterci riuscire.” ribatto.

“Beh, è per questo che è in viaggio, no? Per scoprirlo.”. Inarco le sopracciglia, conta alla sprovvista. “Sa, non sono di queste parti. Vengo dal Kansas. Quando avevo più o meno la sua età, litigai pesantemente con mio fratello. Scappai via e finii qui, nello Yosemite. Non ho mai avuto il coraggio di tornare indietro e dirgli che mi dispiaceva. La ammiro, signorina Griffin.”. Resto in silenzio, incapace di replicare. Controllo l’ora. Devo decisamente ripartire.

“È tempo che io vada.” annuncio. “La ringrazio per la colazione e… Beh, e il resto.” 

“Si figuri.” risponde l’uomo. “Chiunque sia, la persona da cui sta andando è fortunata.”. Sobbalzo.

“Scusi? Io non…”

“I suoi occhi non mentono. Torni da lei, signorina Griffin. Torni dalla persona che ama.”. Prendo un respiro profondo, cercando di trattenere le lacrime. 

“Non è troppo tardi nemmeno per lei, signor Powell. Lo tenga a mente.” gli dico, per poi correre all’auto. Salgo in macchina e accendo il motore. Il cielo è azzurrissimo, non c’è nemmeno una nuvola. Decido di accendere lo stereo ed ascoltare il mio EP. Inserisco il disco e faccio partire la prima traccia. La mia cover di Fast Car di Tracy Chapman mi investe, mozzandomi il respiro. 

 

You got a fast car
Is it fast enough so we can fly away?
We gotta make a decision
Leave tonight or live and die this way


E io la mia decisione l’ho presa.

 

________________

 

Sono in macchina da quasi cinque ore. È quasi mezzogiorno e decido di fermarmi alla prima area di sosta che trovo e pranzare. Ho superato di poco Reno e finalmente sono arrivata in Nevada, lasciandomi la California alle spalle. Manca ancora tantissimo a Polis e io comincio ad essere molto stanca. Continuo a guidare per una mezz’ora buona, fino a quando non trovo finalmente un’area di servizio. Mi copro con occhiali da sole, un cappellino e il cappuccio della felpa ed esco dall’auto. Compro un panino e dell’acqua e mi siedo sul marciapiede davanti al negozio. Per quanto non sia buona come quella di montagna, cerco di respirare un po’ d’aria, ne ho abbastanza di stare seduta in macchina. Accendo il telefono, giusto per poter scrivere a Raven che sto bene. Avrò un centinaio di chiamate perse e messaggi da parte di Lightbourne e Murphy. Decido di ignorarli e finisco di mangiare. Dopo essere andata in bagno, riparto. Proseguo più o meno senza soste fino a Twin Falls, in Idaho. Mancano sei ore a Helena ed altre due e mezza per Polis. Mi piacerebbe continuare, ma scelgo di fermarmi e trovare un albergo per la notte. Sono ormai praticamente le otto e sto morendo di fame. Alla fine trovo una vecchia pensione e decido di prendere una camera lì. Ceno per strada con un hot dog e faccio un giro per la città. Twin Falls è famosa per le Shoshone Falls, un complesso di cascate davvero incredibile. Persa fra i miei pensieri, continuo a camminare. Mi fermo ad osservare un ragazzo che suona lungo la strada. È davvero bravo. Getto un po’ di soldi nella custodia della chitarra e gli sorrido. Deve riconoscermi, perché sobbalza. 

“Ma tu sei…”

“Ti prego, fai piano.” mi appresto a fermarlo. Lui annuisce e si guarda intorno. Non c’è praticamente nessuno nei paraggi, così cominciamo a chiacchierare. Mi chiede se possiamo scattarci una fotografia e io accetto di buon grado. 

“I miei amici non ci crederanno mai.” asserisce. “Mi chiamo Ilian Forest. È un onore conoscerti.” si presenta.

“Il piacere è tutto mio. Sei davvero bravo.”

“È l’ultima sera che passo qui. Domani parto per Los Angeles, mi hanno offerto un contratto.”. Annuisco, felice per lui. Mi ricorda me qualche anno fa. Nutrivo così tante aspettative nei confronti di Hollywood. Beh, direi che non è andata esattamente come speravo.

“Qualche consiglio? Insomma, come si diventa come te?”. Sospiro.

“Meglio non diventarlo, credimi.” rispondo. “Non dimenticare mai da dove vieni e chi sei. E non usare la musica come via di fuga, non porta a nulla di buono. Piuttosto, fa che sia ciò che ti tiene in vita.”. gli dico. Lui mi guarda stranito e un po’ confuso, ma non replica.

“Spero di ascoltare presto un tuo album.” mi congedo, per poi avviarmi alla pensione, in perfetto silenzio. Alzo lo sguardo al cielo. C’è una stellata magnifica. E, di colpo, ogni angoscia svanisce.

 

________________

 

Ho il cuore in gola. Mai avrei pensato di tornare qui, dove tutto è iniziato. Polis, casa mia. Cos’è casa? Non ho una vera risposta. Credo sia il luogo dove possiamo essere noi stessi, senza filtri, senza bugie. Prendo un respiro profondo ed esco dalla macchina. Mi tremano le mani, ma devo farlo. Non venivo a trovare mio padre da più di sei anni, da quando sono partita per Hollywood. 

“Ciao papà.” mormoro, senza riuscire però ad aggiungere altro. Scoppio a piangere, senza più alcun freno.

“Ti voglio bene.” riesco finalmente a dire, mentre mi asciugo le lacrime. “Sono tornata e questa volta per restare. Mi dispiace di essere scappata. In fin dei conti, è da tutta la vita che non faccio altro che fuggire. Sono scappata da te, dai miei sentimenti, dai miei amici, dalla verità, da tutto. Sai, sono così stanca, papà. Vorrei solo poter tornare indietro e rifare tutto da capo, ma so che non è possibile. Ora non mi resta altro che provare a rimediare a tutti gli errori fatti. Voglio essere sincera, per una volta. Soprattutto con lei, perché è quello che merita.”. Mi sento svuotata e le lacrime hanno ricominciato a bagnarmi le guance, ma non me ne curo. “Tornerò a trovarti, te lo prometto. A presto.”. Bacio il palmo della mia mano e accarezzo la lapide, per poi ritornare in macchina. Apro lo sportello e faccio per salire in auto, quando qualcuno mi chiama. Quella voce. Il cuore mi martella nel petto, senza sosta. Mi volto, lentamente.

“Clarke, che diamine ci fai qui?”. Due occhi verdi mi scrutano, sorpresi e così tristi al tempo stesso. Il mio cuore perde un battito. Lascio che mi guardi, come solo lei sa fare. Lascio che le sue iridi mi penetrino, che mi attraversino l’anima. È tutto ciò di cui ho bisogno in questo momento. Sospiro. Non posso più tirarmi indietro, non a questo punto. Non avrebbe senso.

“Ciao Lexa, come stai?”.








Angolo dell'autrice

E come promesso, ho aggiornato.
Questo è il primo capitolo che mi è venuto in mente, quello che ha generato questa storia, nonché il mio preferito. Credo profondamente che contenga il senso di questa storia e vi consiglio di ascoltare la canzone che ho scelto perché oltre a essere molto bella, è quella che ascoltavo quando ho ideato il capitolo. 
Dunque, finalmente Clarke ha deciso per sé e ha deciso di tornare a casa e non solo fisicamente. In questo suo ultimo viaggio ripercorre alcune tappe fondamentali della sua vita, realizzando quanto Lexa (e non solo) sia stata ed è ancora fondamentale e di quanto il suo amore per lei esista da sempre. 
Spero fortemente che vi piaccia, lasciatemi il vostro parere se vi va.
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia, a martedì!
   
 
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