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Autore: NyxTNeko    12/09/2021    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 120 - La plebaglia deve essere mossa dal terrore -

5 ottobre (13 Vendemmiaio) 

La mezzanotte era scoccata e nel frattempo, Napoleone, che aspettava il ritorno di Murat per poter finalmente mettere all'opera il suo piano, decise di passare in rassegna le truppe che Barras gli aveva, generosamente, affidato; sia per rendersi conto delle condizioni in cui versavano e di come sarebbero state disposte, sia perché non era proprio il tipo di persona che riusciva a stare con le mani in mano, perdendo quel tempo che per lui era più prezioso dell'oro.

"Spero che quel Murat arrivi in tempo" si diceva mentre controllava di tanto in tanto l'orologio tascabile. Intanto la pioggia sembrava diminuire, come se non volesse ostacolarlo nel cannoneggiare la città. "Perché solo così posso impedire che qualcun altro di quei folli pensi nuovamente a ribellarsi al Governo, per quanto corrotto e deprecabile possa essere". Si accorse che Paul Barras era sparito dalla circolazione, ridacchiò divertito e disgustato al tempo stesso "Mica potevo aspettarmi un atto di coraggio da parte sua, patetico, come tutti i suoi colleghi politicanti".

Nonostante non provasse nessuna stima o fiducia nei confronti di Barras, sapeva che quell'uomo stava acquisendo grande potere, oltre che enorme influenza. Aveva l'incredibile capacità di riuscire a rimanere sempre a galla nella politica francese, senza subire alcun danno. Un uomo che poteva essergli più che utile per realizzare i propri scopi e giungere all'obiettivo che si era prefissato da anni: l'Italia! Per questo aveva accettato senza esitazioni di sedare la rivolta; anche perché non ne poteva lui stesso di quel clima di perenne tensione e di quella plebaglia che era capace soltanto di creare confusione e disordine.

- Chi diavolo sarebbe questo comandante che ci hanno mandato? - chiese uno dei soldati che era lì per abbattere la rivolta. Quella voce ridestò Napoleone, il quale rivolse l'attenzione verso di lui, senza però, avvicinarsi o dire una parola, voleva sapere la loro opinione.

- Qualcuno che il rispettabile cittadino Barras ha mandato per salvarsi la pelle come al suo solito - rispose sarcastico un ufficiale al suo fianco, di nome Thiébault, molto giovane, per nulla entusiasta della situazione drammatica in cui si trovava. Il comandante dell'Armata dell'Interno Barras li aveva lasciati in balia di loro stessi, dopo l'arresto di Menou. Erano pochi uomini con pochissime armi, se solo avessero avuto i cannoni...

D'un tratto scorse, avvolto nell'oscurità di quella notte piovosa e tetra, una figura estremamente smilza che stava passando in rassegna, a piedi, i soldati - L'attesa è finita, da questo momento sarò io ad assumere il comando dell'esercito Repubblicano, il cittadino Barras mi ha delegato e concesso assoluta libertà - sentì dire dall'uomo. Non c'era esitazione o paura nel suo tono di voce. Eppure bastò quella semplice frase per farli mettere in riga.

- Ah sarebbe quellò lì il nostro comandante? - si lamentò il collega vicino, notando il suo aspetto tutt'altro che marziale - Possiamo dirci sconfitti allora...

"Ma quello è!" Pensò l'ufficiale quando distinse il volto del loro comandante. Riconobbe immediatamente la sua uniforme logora ed in disordine, i capelli lunghi fino alle spalle e, soprattutto, quel viso statuario che lo aveva colpito fin dalla prima volta in cui l'aveva intravisto nel viale dei Feuillant. Gli era apparso come una vittima quel giorno; non immaginava che Barras avesse scelto proprio lui per questo incarico tanto importante, se gli aveva affidato il comando significava che l'aspetto trasandato celava la sua vera natura.

- Soldati! - gridò il giovane generale, che stava ritto davanti a loro - Dai vostri sussurri e bisbigli posso intuire le vostre perplessità e comprendere le vostre paure - prese a camminare in lungo, guardando fisso gli uomini che aveva davanti. Erano davvero pochissimi, poco più di 5000, ma sapeva come gli avrebbe sfruttarli al meglio. Gli aiutanti di campo e i generali sotto di lui, stavano alle sue spalle, ascoltando ciò che aveva intenzione di riferire a tutti quanti.

Da come parlava, sembrava dimostrare grande sicurezza di sé "Anche se non lo sopporto" rifletté Carteaux che lo ascoltava a testa bassa "E vorrei sottostare a chiunque, tranne che a lui, sono convinto che ha già in mente cosa fare, come successe a Tolone" sospirò profondamente "Non potrei mai dimenticare la sua insistenza ed anche l'arroganza con cui esponeva i suoi strampalati ed assurdi piani, che, però, si sono rivelati perfetti e lo hanno portato alla promozione" dovette ammettere, solo in cuor suo però, che Barras ci aveva visto giusto con lui, per questo compito.

- Non appena arriveranno i cannoni, li posizioneremo in zone strategiche, che bloccheranno l'accesso alle Tuileries per impedire ai rivoltosi di attaccare direttamente la Convenzione - spiegava Napoleone, che nel frattempo contava a vista d'occhio gli uomini ed indovinava, in base alle uniformi, le loro specializzazioni a livello militare. Doveva far collaborare tutti, dal fante al cavaliere, all'artigliere; dal soldato semplice agli ufficiali, lui compreso. Voleva replicare lo schema che aveva messo in atto a Tolone, adattandolo, però, alla diversa situazione. "Ho l'intera Parigi a disposizione, non certo una piccola zona che era anche fortificata".

Nel frattempo, il Capitano e comandante di squadrone del XII reggimento dei cacciatori a cavallo, Joachim Murat, si era messo in marcia, alla testa dei suoi uomini per eseguire gli ordini di quel piccolo ed interessante generale. Era rimasto piacevolmente sorpreso nell'incrociare un individuo che, finalmente, avesse a cuore la Rivoluzione e soprattutto fosse determinato nell'annientare, in modo efficace, quelle presenze sgradite e pericolose per l'incolumità del paese.

Era stupito del fatto che quell'uomo gli avesse dato, come ordine in caso di ostilità, di sciabolare chiunque lo potesse ostacolare pur di avere quei cannoni; raramente gli era accaduto di ricevere un ordine tanto determinato. "Quel tipo comincia a piacermi, credo che potrebbe nascere una grande intesa tra noi due" diede un colpo di sperone al suo cavallo nero come la pece e aumentò il trotto.

L'accampamento dei Sablons si trovava appena fuori Parigi, non dovevano perdere tempo, ogni istante perso poteva essere guadagnato dai loro nemici, anche perché il suo squadrone era composto da soli trecento uomini "In nessun modo quei maledetti si impossesseranno dei 40 cannoni! A costo di trucidarli tutti quanti! Dovranno passare sul mio cadavere!" Non vedeva l'ora di mettere in pratica le sue abilità e i suoi studi "Padre, vi farò ricredere sulla mia decisione di aver voluto imbracciare le armi, anziché dover indossare l'abito talare".

Era nato il 25 marzo del 1767, nella piccola città di Labastide-Fortunière, da un ricco locandiere, Pierre Murat Jordy. Suo padre, fervente cattolico, che era anche un guardiano cattolico romano, avrebbe tanto desiderato che l'ultimogenito Joachim inseguisse la carriera ecclesiastica. Non voleva, infatti, che ereditasse il suo mestiere, dopo gli studi al collegio reale di St-Michel a Cahors. Qui studiò fino ai diciotto anni, dopodiché i genitori, senza ascoltare il parere del ragazzo, lo mandarono a Tolosa, nel seminario dei lazzaristi.

Ma fin da bambino, l'aitante giovane aveva mostrato propensione per le armi, il divertimento e le donne, per cui, nonostante la promessa fatta di volersi impegnare negli studi sacri, nel seminario si distinse principalmente per la propensione al gioco, contraendo debiti, le avventure galanti e le letture profane. Molte persone che aveva conosciuto in quegli anni gli avevano fatto notare come il suo fisico, alto, imponente e prestante, dalle spalle larghe, e l'aspetto affascinante, fosse più adatto per la vita militare.

Tale pensiero si era insinuato quasi ossessivamente, nella sua testa, al pari di un tarlo che rosicchia il legno. Anche perché l'uniforme era da sempre il suo sogno nascosto, quasi proibito, seppur a volte lo avesse riferito alla sua famiglia, qualche anno prima - E perché dovresti scegliere un tipo di vita pericoloso e poco gratificante? - gli aveva riferito quasi adirato - Inoltre non avresti possibilità di diventare ufficiale o quelle diavolerie lì, sei solo il figlio di un locandiere, mica di uno di quegli aristocratici che si vantano delle proprie ascendenze - aveva insistito l'uomo per smorzare il suo entusiasmo.

- Ma io mi accontenterei anche di rimanere un semplice soldato, padre - Joachim non era riuscito a trattenersi, tenere a freno quel carattere focoso, poco adattato alla contemplazione e alla preghiera - Purché possa sentirmi me stesso, svegliarmi la mattino con il desiderio di battermi per ciò in cui credo veramente!

- L'unica cosa in cui devi credere è Dio! - aveva sbottato il padre - Perciò farai quello che ti ordinerò, che ti piaccia o meno! Pensi che per me sia facile dovermi impuntare così? Io sto spedendo fior di quattrini per la tua istruzione ed educazione

- Pensate sempre al guadagno e ai soldi, padre, non avete mai voluto sentire l'opinione mia e dei miei fratelli! - si era alzato in piedi e lo guardava con aria sprezzante e sdegnosa, dall'alto verso il basso - Ovviamente mia madre non poteva andare contro il vostro volere! Ma io sono stanco di dovermi impegnare in materie per il quale non trovo interesse!

- Come osi parlare così a tuo padre - gli aveva tirato uno schiaffo sulla guancia - A disprezzare ciò che faccio per te! Sei solo un ingrato! Tu andrai al seminario e non si discute!

Quella conversazione gli tornò in mente e decise di voler abbandonare quella vita, non aveva buona fama in quel seminario, al contrario, i religiosi che gestivano la struttura cominciavano a perdere la pazienza e le speranze con lui. Aveva resistito anche troppo in quel posto, cercando di non deludere suo padre, un anno e mezzo erano più che sufficienti, doveva scappare da lì. Aveva sentito che in quei giorni sarebbe passato un reggimento di cavalleria. Comprese che doveva cogliere l'occasione al volo, perché non sapeva se quei militari sarebbero tornati di nuovo a Tolosa. La vista di quelle uniformi colorate, le mostrine lucenti e le medaglie scintillanti lo ridestò dal torpore della rassegnazione.

Non perse tempo e scappò dal seminario, per arruolarsi come volontario nella cavalleria, aveva il carattere e il fisico adatto per diventare un eccellente militare a cavallo. Finalmente aveva cominciato a vivere per davvero, si era impegnato con tutto se stesso, dimostrando istintività, ambizione e un coraggio quasi folle. Fece sapere al padre della sua decisione e di volersi prendere le responsabilità e le conseguenze di tale scelta. In poco tempo era riuscito a salire di grado, specialmente quando era scoppiata la rivoluzione francese, con il quale anche uno come lui poteva ambire alle cariche più elevate, fermandosi al grado di tenente. Aveva abbracciato gli ideali rivoluzionari con convinzione.

Ciò lo aveva portato ad un atto di insubordinazione e venne radiato dall'esercito. Il padre non volle accoglierlo in casa, per cui aveva dovuto accettare il ruolo di garzone in una drogheria in un paese vicino. Tuttavia non si arrese all'idea di darla vinta alla sua famiglia, che lo considerava un fallito, e riprovò di nuovo ad arruolarsi, dovendo però ricominciare daccapo. Ma un filogiacobino del suo calibro non si sentiva a suo agio in un ambiente filomonarchico come la guardia costituzionale. Si dimise dopo un mese e denunciò un ufficiale antirivoluzionario che lo fece ritornare al suo vecchio reggimento.

A quel punto la sua ambizione poté essere saziata e in pochi anni arrivò al grado di generale di brigata e aiutante del suo comandante. A causa del suo cognome, che era identico a quello di un aristocratico, pur avendo ribadito, orgoglioso, la sua origine umile, dovette firmarsi spesso con il cognome di Marat. La caduta di Robespierre lo portò alla disgrazia e fu messo in carcere. Affrontò la reclusione con il suo solito ardore, fino a quando venne scarcerato e reintegrato per interesse della Convenzione con il grado di capitano. Prima di ottobre si era distinto nella capitale, conquistando la fiducia e l'interesse di Barras. 

- Non rallentate il passo - tuonò ai suoi sottoposti e compagni - Il nuovo comandante si è fidato di noi e non possiamo deluderlo! Dobbiamo essere degni della sua fiducia incondizionata!

- Sì - risposero quelli combattivi ed entusiasti, aumentando il passo. Il rumore pesante degli zoccoli risuonava potente, sembrava quasi che la terra stesse tremando sotto di loro. Dovettero spesso usare le armi per liberare la strada. Raggiunsero il campo dei Sablons qualche ora dopo e videro che anche i realisti avevano avuto la stessa idea del comandante.

Murat si fidò del suo istinto, che gli suggeriva di schierare immediatamente i cavalli in formazione e di ordinare la carica. "Se li faccio schierare e muovere immediatamente, con un attacco a sorpresa, anche se superiori numericamente, quei bastardi non riuscirebbero a contrattaccare" ragionò il capitano - Soldati in posizione! - immediatamente si schierarono come aveva sempre fatto durante le esercitazioni, con Murat in testa - Carica! - un'onda di uomini e cavalli si lanciò similmente ad un fiume in piena. Erano le tre del mattino.

Intanto il generale Buonaparte, che controllava febbrilmente l'orologio, era stato informato da Barras, che lo aveva raggiunto velocemente, per riferirgli che alle sei i realisti avrebbero cominciato a radunarsi, si era messo all'opera per rassicurare i soldati e risolvere i problemi che li affliggevano e che potevano essere risolti in quel momento. L'energia, la velocità e la chiarezza con cui si occupava di qualsiasi aspetto dell'esercito, persino il più insignificante, aveva stupito chiunque. A molti sembrava addirittura che avesse il dono dell'obiquità, tanto era rapido nel pensare e nell'agire. Quei cinquemila uomini si sentirono rassicurati e sicuramente provarono meno ansia rispetto a qualche ora prima e poterono riposare un po' più sereni, mentre attendevano l'artiglieria.

- Rue Saint-Honoré, vicino Place Vendôme,  rue Dauphine, rue Saint-Nicaise, Palais Royal, sui ponti della Senna - spiegò puntigliosamente la tattica Napoleone, puntando il dito sui luoghi indicati da scritte e segni, alzò il volto e guardo intensamente Dupont, Loison, Carteaux, Brune e i suoi aiutanti di campo, che lo ascoltavano - Tutte le vie principali che conducono alle Tuileries verranno interrotte con i cannoni che piazzeremo e con i quali spareremo ad altezza 0, adoperando la mitraglia se necessario, fino a quando quei realisti non si arrenderanno

- La mitraglia? - chiese Dupont un po' spaventato - Ma non basterebbero le semplici palle di piombo per farli desistere?

- Cittadino, io sono un uomo che va sempre fino in fondo nelle cose che fa - rispose freddamente il corso, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo - Ho giurato a Barras che non mi sarei fermato di fronte a nulla e così farò! Farsi venire degli scrupoli o tentare di mostrarsi concilianti con la plebaglia adesso è da idioti, oltre che inutile

Intimoriti e sconvolti da tanta motivazione, determinazione, nessuno osò contestarlo, anche perché effettivamente era troppo tardi per poter ripensare ad una strategia diversa da quella elaborata da quel generale tanto giovane e delicato quanto spietato e cinico, così simile al dio greco della morte, Thanatos. A nessuno prima di allora era mai passato per la mente di utilizzare la mitraglia, ossia centinaia di palle da moschetto, chiuse in una scatola metallica in grado di squarciarsi non appena lascia la bocca del cannone, sui civili, in quanto era una tecnica davvero letale e che veniva usata solo in casi e condizioni eccezionali.

"Non ho alcuna intenzione di passare per coglione" disse tra sé, ricordando quanto fosse stato terribile assistere alla debolezza di re Luigi XVI anni prima. Si era sentito disgustato dal suo sciocco pietismo. Junot e Muiron si guardarono, ricordando ancora il discorso che aveva fatto qualche mese prima riguardo la Vandea, aveva rifiutato quell'incarico perché avrebbe dovuto uccidere dei francesi. Probabilmente, rifletterono quasi all'unisono, per il loro comandante c'era una differenza abissale tra i soldati e la semplice plebe, nonostante anche questi fossero francesi.

Alle sei del mattino, quando l'alba stava per sorgere sulla città, il sole che si faceva strada tra le spesse e scure nubi che aleggiavano, un rumore di cavalli in corsa si udì, Napoleone scattò in piedi ed afferrò il cannocchiale, sulle sue labbra si formò un sorrisetto compiaciuto: Murat era arrivato appena in tempo con i cannoni. Poteva agire, il momento era giunto.

Corse verso il suo destriero e ci salì sopra, preso da un'euforia che dovette soffocare, mettendo in mostra solo ciò che avrebbe voluto far notare: il sangue freddo - Soldati ed ufficiali, ora che i cannoni sono arrivati, assieme alla cavalleria, ci disporremo per la città come vi ho riferito! Fanteria in colonna, artiglieria dietro i cannoni! - poi si mise alla testa di uno dei reggimenti che aveva scelto per dirigersi verso la chiesa di Saint Roche, che si trovava in fondo a rue Saint-Honoré. Aveva mandato le riserve a protezione della Convenzione e la cavalleria a Place de la Concorde.

Nel mentre l'attesa si faceva sempre più pressante, Napoleone mandava continuamente messaggi a tutti i suoi sottoposti nelle quali ordinava di raggiungere velocemente le loro postazioni, elencando nei minimi dettagli come avrebbero dovuto sistemare i cannoni e gli uomini che dovevano azionarli, una volta stabilitisi. Parigi non aveva segreti per lui, conosceva ogni angolo, quel tempo in cui era stato all'agenzia topografica gli aveva permesso di studiare in maniera ancora più profonda la capitale. Allo stesso modo si curava del suo piccolo reggimento, incurante della gente curiosa che si stava affacciando o sbirciava per guardare.

Ma al palazzo delle Tuileries non tutti riuscivano a stare tranquilli, alcuni dei realisti più burrascosi e altri sicuri di vincere, supportati da Danican, il quale sperava di insinuare il dubbio e i dissidi tra i deputati, in modo da rallentare le azioni militari e guadagnare tempo e uomini, avevano già mandato delle condizioni alla Convenzione: ritirare le truppe e disarmare i terroristi. Persero ore intere a discutere se accettarle o meno, alcuni stavano già parlando di conciliazione, mediazione, citando l'esempio di Menou, ma Barras, sostenuto da altri colleghi, tra i quali Chenier, affermarono senza termini - Non vi sono trattazioni per la Convenzione Nazionale, non vi è che la vittoria o la morte

Poco dopo le quattro del pomeriggio uno sparo riecheggiò e interruppe immediatamente tutte le discussioni all'interno del palazzo. I deputati avevano preso la decisione di continuare per quella direzione, ormai non si poteva tornare indietro, o la vittoria o la morte, come avevano ribadito. Barras, pur fidandosi delle abilità di Buonaparte, si era messo a pregare tutte le divinità che gli passavano per la mente, sperando del miracolo.

- Non perdete la calma - gridò il generale nel momento in cui si accorse dell'agitazione che si era diffusa fra i suoi non appena avevano udito alcuni spari provenienti dalle file monarchiche che si erano riversate, per gran parte, proprio in rue Dauphine - Iniziate a preparare i cannoni e non appena ve lo ordinerò sparerete le palle di piombo - sguainò la spada e stava allerta. Il cuore batteva forte, eppure era pervaso da una strana calma, come se sapesse già che la vittoria era sua - Ora! Fuoco! - nella confusione alcuni ribelli cercarono di raggiungere i ponti sulla Senna, ma Buonaparte non glielo permise, perché aveva piazzato i cannoni ovunque e riservò loro la mitraglia; alcuni fuggirono, abbandonando le armi.

L'assalto durò per due ore intere, senza sosta, ma se nelle altre sezioni, già ridotte di numero, gran parte dei realisti si era già arresa, a rue Saint-Honoré, coloro che non erano scappati o morti sotto l'incessante pioggia di mitraglia, che aveva tinto di rosso le scale della Chiesa, continuavano a resistere, mettendosi a sparare anche dai tetti e dalle barricate innalzate con i cadaveri. Cercavano di recuperare, di ricomporre le righe.

Ma non avevano fatto i conti con un individuo ancora più caparbio di loro e che non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe ottenuto la loro resa. Coperto di piovere, imbrattato del sangue del suo cavallo stramazzato al suolo, Napoleone si sgolava nell'impartire ordini e nel combattere in prima persona sia dietro che davanti i cannoni, con un impeto fuori dal comune. I soldati obbedivano, contagiati dalla sua forza d'animo. "Questo Buonaparte è davvero incredibile" aveva esclamato in cuor suo Thiébault "Mai visto tanto vigore, tanta energia in un uomo sottile come lui, sono convinto che il suo nome diventerà famoso in tutta la Francia".

Napoleone aveva fatto avvicinare i cannoni a pochi metri da loro, prendendoli in trappola, infatti aveva fatto in modo che tutte le forze si concentrassero lì, proprio a tale scopo. I ribelli, vedendo il numero dei colleghi scemare, con il morale a terra e terrorizzati, non ebbero altra scelta che arrendersi. Compresero che quell'uomo era disposto a tutto pur di ottenere la vittoria.

I realisti avevano perso quasi trecento uomini, mentre Napoleone meno di metà dozzina, una cifra irrisoria. Nonostante il risultato strepitoso, il generale non aveva intenzione di godersi le ipocrite gentilezze dei membri del Governo, non appena aveva raggiunto le Tuileries - Non è il momento di festeggiare, Barras, ora devo occuparmi dei feriti, più di altri meritano le mie congratulazioni, per il loro coraggio indomito e la loro forza di volontà - e li piantò in asso, raggiungendo di corsa i suoi, tra lo stupore dei deputati. D'altronde non aveva esitato un secondo nel lanciare continue raffiche di mitraglia sui monarchici.










 

 

   
 
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