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Autore: Severa Crouch    14/09/2021    1 recensioni
C’è un tempo per ogni cosa: per le lezioni di francese, per i balli di società, per gli amori clandestini, per la speranza di sentirsi vivi.
C’è un tempo per il dolore, per l’assenza, per la lontananza.
Poi, c’è un tempo per loro, per ritrovarsi, alla fine di tutto.
Nankurunaisa è un modo di dire giapponese che significa “le cose andranno da sé”.
[Alexandra Turner-OC/Rodolphus Lestrange]
Auguri a me, per i miei dieci anni su EFP
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo 1 – Lezioni di francese

 

 

  

Villa Black, Wiltshire, agosto 1977

 

 

«Longtemps, je me suis couché de bonne heure. Parfois, à peine…»

«Longtemps, je me suis couché, ascolta bene la pronuncia e non sbagliare le nasali. Riprova.»

«Longtemps, je me suis couché de bonne heure.»

«Come procedono le lezioni di francese di Alexandra?»

Alexandra solleva lo sguardo dalla pagina e lo sposta sulla figura di Walburga. È appena entrata in salotto per sovraintendere le lezioni di pianoforte di Regulus, lei è sempre gentile con lei. Una volta le ha persino confessato che avrebbe sempre desiderato una figlia per mostrare alle altre madri come si tira su una strega impeccabile, ma la sorte le ha dato Sirius, che qualche anno prima è anche fuggito di casa, e Regulus che è il suo migliore amico.

«Molto meglio. Proseguiremo domani,» conclude Druella alzandosi dal divano. Passa le mani sulla seta del suo abito e raddrizza gli anelli con cui carica le dita.

Regulus alza gli occhi dal pianoforte dove si sta esercitando, stona una nota e parte un colpo dalla bacchetta di Walburga. «Stai attento e non distrarti.»

«Chiedo agli elfi di servire il tè?» Druella sembra impaziente di fare qualcosa.

«Forse dovresti chiamare le tue figlie, cara.» La falsa cortesia con cui si parlano le due streghe solletica le fantasie di lei e Regulus fin da quando erano bambini. Hanno passato molti pomeriggi a immaginare i motivi per cui non andassero d’accordo, e loro ricostruzioni vanno da fidanzati rubati a draghi che devono aver incenerito tutte le loro bambole. Non hanno mai scoperto la verità, ma ad ogni scambio di battute acide, loro due si guardano e sentono di tornare bambini con le loro teorie. Regulus approfitta di una distrazione di Walburga, impegnata a controllare fuori dalla finestra la distanza inappropriata tra Narcissa e Lucius Malfoy. Non appena la madre esce a richiamare la nipote, Regulus si volta verso di lei e le sussurra la sua ultima teoria: «Teoria numero 287: Druella ha sempre ostentato il francese e mamma non lo sopporta.»

«In effetti non è un atteggiamento appropriato,» conviene Alexandra. Regulus le rifila un sorriso sarcastico: «Smettila di difendere sempre mia mamma!»

«Solo quando ha ragione!» Regulus, Sirius e suo fratello Robert l’hanno sempre presa in giro per questo suo attaccamento a Walburga e persino sua madre ne è gelosa, ma lei sostiene che siano tutte esagerazioni e che il suo affetto sia obiettivo.

«Sempre, Alex!» Regulus insiste nella sua tesi e, in tutta risposta, Alexandra scrolla le spalle e prende posto sulla poltrona, sistema le pieghe della gonna con la stessa attenzione di Druella e ribatte piccata: «In tal caso, è perché ha sempre ragione.»

«Chi ha sempre ragione?» la domanda di Walburga strappa loro un sorriso. Regulus sghignazza, divertito dall’idea di metterla in imbarazzo: «Alex dice che tu hai sempre ragione.»

«Ed è così. Dovresti ascoltarla!» Il volto di Walburga è indecifrabile, Alexandra non capisce se la strega sia effettivamente divertita da quella considerazione, o se le loro chiacchiere le siano del tutto indifferenti. Per Alexandra, però, è una vittoria; mostra una linguaccia a Regulus e prima che lui possa risponderle, Walburga la rimprovera perché non è un comportamento consono a una signorina.

Alle spalle della madre, Regulus le lancia occhiate di scherno e trattiene risatine come se le volesse domandare: “Adesso dimmi che non ho ragione”. Alexandra, però, è determinata a non dare alcuna soddisfazione al suo amico, piuttosto china il capo e annuisce: «Hai ragione, sono desolata.» L’espressione di Regulus, dietro Walburga, è scettica, ma incassa il colpo e Alexandra la prende come una vittoria definitiva.

Walburga sospira, la continua a scrutare con un sopracciglio alzato e le labbra strette. Alexandra è seduta composta sul divano e si sente piccola di fronte la strega e la sua impeccabile grazia nel portamento. «I ragazzi, gli uomini, cercheranno sempre di tirare fuori il tuo lato istintivo, ma una lady sa sempre dominarsi. Non dimenticarlo mai.»

C’è un sottotesto nelle parole di Walburga che Alexandra non ha mancato di notare. Non appena tornata da Hogwarts, sua madre le ha fatto un discorso sui ragazzi, i fidanzati degni, quelli da cui stare alla larga, e tutta una serie di dettagli medici e anatomici su come funzioni il concepimento che l’hanno confusa un po’. Le è perfettamente chiaro che alcuni ragazzi vogliono solo approfittarsi delle fanciulle ingenue: non si arrivava al quarto anno di Hogwarts senza aver visto almeno una compagna più grande scoppiare in lacrime con il cuore spezzato. Le sfugge perché sua madre e Walburga sentano il bisogno di rivolgerle così di frequente quel monito, come se ci fosse qualcosa che possa sfuggire al suo controllo. Forse il suo comportamento è ambiguo? Forse è stata inappropriata? Forse esistono pericoli che non vede?

Alexandra è perplessa, si limita a chinare il capo e tornare alle sue letture. Sa che se le ragioni per quell’agitazione fossero la preoccupazione per il buon nome di Regulus, potrebbero stare tranquille entrambe le streghe. Lei non ha nessuna voglia di violare le regole, sa che perdere Regulus sarebbe ben peggio che aver visto Sirius scomparire. Il solo pensiero la riempie d’angoscia e sa che non appartiene a loro la scelta di chi avrà il potere di renderli felici.

 

***

 

Godric’s Hollow, 15 novembre 1981

 

«Rod, muoviti o ti Crucio!»

Bellatrix urla come una matta, si agita in preda alla furia che domina ogni suo movimento da quando Lui è scomparso e le voci sulla sua morte hanno iniziato a diffondersi per tutto il mondo magico. Il Marchio Nero è ancora sul braccio e Rodolphus sa che lui non è morto, non del tutto, sente la forza della maledizione, è certo che quel segno debole sia tutto ciò a cui si appiglia la disperazione di sua moglie.

«Rabastan, Crouch, muovetevi anche voi! Dobbiamo trovarlo!»

«Sì, ma calmati, Bella!»

Rodolphus non può fare a meno di pensare che il giovane Crouch ha appena pronunciato la frase che non bisogna mai rivolgere a Bellatrix, quella in grado di trasformarla in una Banshee. Gli occhi le si allargano enormemente, così come le narici, pronte a inspirare più aria possibile nei polmoni per urlare: «Calmati, un cazzo, Crouch! Mi calmerò quando l’avrò trovato! Quando il sangue di quel cane di tuo padre scorrerà per le strade, o quando sarò morta, chiaro?»

Barty annuisce, terrorizzato, non è pronto ad affrontare la furia di Bellatrix. In quei momenti di smarrimento si rivela per il ragazzino che è. Impiega un po’ a riprendere coraggio e tornare a ridere come un matto. «Andiamolo a cercare e poi liberiamoci di mio padre.» Guarda Bellatrix con un misto di ammirazione e desiderio e nemmeno sa quanto dia fastidio a Rodolphus quella situazione, tutti quegli uomini in preda all’adrenalina che venerano Bellatrix e lei che si nutre di quell’ammirazione.

Rodolphus sospira e quasi si pente di essersi lasciato trascinare da Rabastan, attirato dal senso di colpa, dalla prospettiva di avere una ricompensa da parte dell’Oscuro Signore. Maledice quell’assurdo legame che ancora continua a sentire nei confronti di Bellatrix. Si odia quando cede in quel modo alle richieste di sua moglie. Odia persino il fatto che lei non abbia nemmeno bisogno di abbassarsi a chiedergli sostegno, che le basti mandare Rabastan da lui per ottenere un sì e una resa al suo volere, nonostante tutto. Pensa solo che domani ha l’appuntamento con Felix Rosier, che il divorzio può essere vicino e lasciare Bellatrix è l’unica prospettiva che ha per tornare a vivere e ricostruire la vita. Scuote la testa e scaccia i pensieri. Sono tempi in cui una distrazione può costare cara e lui si sente svuotato, come se la Causa gli abbia portato via tutto ed è per questo che ha nascosto un piccolo tesoretto con cui ricominciare una nuova vita.

A Diagon Alley c’è lei che lo attende e nemmeno sa delle sue intenzioni, non ha idea di quanto gli ultimi quattro anni gli abbiano dato l’amore che sua moglie gli ha negato in dieci anni e non sa che è giunto alla risoluzione che vuole una vita diversa, una vita con lei.

«Allora, dove abitano i Longbottom?» domanda desideroso di mettere fine a quelle stupide ricerche. Lord Voldemort è scomparso, è debole, si sarà rifugiato da qualche parte, altrimenti il Ministero della Magia avrebbe annunciato l’arresto.

«Ci cercavi, Lestrange?» Frank e Alice Longbottom compaiono davanti i loro occhi con le bacchette puntate e lo sguardo sorpreso dallo scoprire la presenza di Barty. È sempre divertente osservare i ministeriali quando scoprono un infiltrato al Ministero.

«Dov’è l’Oscuro Signore?» Bellatrix non è in grado di attendere, non segue il piano che avevano elaborato e nemmeno i fondamentali: dovevano Disarmarli e poi interrogarli sondandogli la mente. Rodolphus prova a usare la Legilimanzia, ma Frank e Alice reagiscono alle provocazioni di Bellatrix, partono gli incantesimi e durante un duello è complicato sondare la mente, manca tutto, dal contatto visivo alla concentrazione.

«Stai zitta, sporca traditrice! Crucio!» Rabastan colpisce Alice Longbottom, Barty scoppia a ridere e Disarma Frank. Entrambi urlano di dolore, i loro corpi cascano al suolo con un tonfo e iniziano a contorcersi in preda agli spasmi della maledizione. C’è determinazione nei loro sguardi, Rodolphus ha compreso che non cederanno, ma dissuadere Bellatrix che quella missione è un buco nell’acqua è fuori discussione.

«Dov’è l’Oscuro Signore?» Bellatrix è disperata, infierisce con i calci, minaccia di usare il suo pugnale mentre Rabastan e Barty continuano a usare la Cruciatus. Rodolphus chiude gli occhi per non assistere allo spettacolo di sua moglie che si dispera per il Signore Oscuro.

Bellatrix non gli ha mai rivolto un simile sguardo, nemmeno quando ha capito che lui aveva deciso di andare avanti, che aveva smesso di aspettare che lei ci ripensasse. Se l’Oscuro Signore fosse morto sul serio e lei fosse tornata da lui, però, cosa sarebbe stato dei progetti che iniziava a fare? Voleva ritornare sul serio nel matrimonio con Bellatrix? E se Bellatrix fosse tornata come era quando si erano conosciuti? Sarebbe crollato nuovamente e avrebbe spezzato il cuore a una strega che non lo meritava. Eppure, lei gli aveva sempre profetizzato che lui le avrebbe spezzato il cuore, più volte, e che lei non avrebbe avuto la forza per impedirglielo.

«Fermi tutti. Abbassate le bacchette. Siete in arresto!»

«Te lo sogni, Crouch!» Bellatrix scaglia maledizioni all’indirizzo degli Auror. Rodolphus si difende, ma la superiorità numerica degli Auror gioca contro di loro e quando scopre di non potersi Smaterializzare, Rodolphus comprende che è finita. Tutti i progetti sono finiti. I dubbi e gli interrogativi non hanno più senso. Non sarebbe tornato con Bellatrix né dalla sua amata, sarebbe marcito in una cella di Azkaban per il resto della sua vita.

Davanti il Wizengamot, Rodolphus assiste alla disfatta di Bartemius Crouch con un sorriso amaro, l’ultima vendetta prima della caduta. Chiude gli occhi mentre ascolta la condanna degli ultimi quattro Mangiamorte fedeli.

Fin da quando aveva ricevuto il Marchio Nero Rodolphus aveva messo in conto di poter finire ad Azkaban, che ciò avvenisse nel momento in cui la sua vita era sul punto di cambiare in meglio, non lo aveva mai messo in conto. Il suo sguardo era assente, si sforzava di non guardare Bellatrix che insieme all’Oscuro Signore gli avevano rovinato la vita per la seconda volta.

 

***

 

Villa Black, Wiltshire, agosto 1977

 

«Depuis que je t’ai vue, ébloui par l'éclair, mon œil s'est voilé d'un mirage; Je regarde sans voir, ou je ne vois dans l'air flotter qu’une forme, ta douce image;»

«Henri-Frédérik Amiel. Un poeta mediocre, sentimentale, di quelli che piacciono a mia suocera.»

La voce di Rodolphus Lestrange la sorprende, la distrae dalle sue esercitazioni con il libro di poesie che le ha dato Druella. A quanto pare, è troppo presto per Proust, un autore troppo complesso per lei che si perde con quei periodi lunghi, smette di seguire la punteggiatura, si lascia disorientare dagli incisi e finisce per smarrirsi tra le pagine del libro e perdere la comprensione del testo. Deve imparare a parlare in francese, non solo a pronunciarne correttamente le parole. Druella sostiene che la poesia sia più semplice, almeno per imparare la musicalità della lingua continuando a comprendere il senso delle parole.

«Devo solo leggere qualcosa per esercitare la pronuncia,» risponde mentre prova a immaginare la pronuncia della prossima strofa. Rodolphus, però, le fa perdere il filo nuovamente: «Dov’è il tuo fidanzato?»

Alexandra alza gli occhi dal libro di poesie e domanda sorpresa: «Quale fidanzato?» Chi mai può pensare che lei abbia un fidanzato? Rodolphus però le sorride sicuro di sé, come se stesse dicendo una verità assoluta: «Regulus, mi pare ovvio. Sembrate me e Bellatrix da piccoli.»

Il paragone la fa sorridere e spera di non arrossire. Essere paragonata a Bellatrix e Rodolphus è un gran complimento: loro sono una coppia bellissima e perfetta, il matrimonio Purosangue che Walburga porta come esempio a Regulus. Così, scuote la testa e spiega: «Non siamo fidanzati. Credo che Walburga approfitterà della stagione estiva per trovare una fidanzata che sia all’altezza di Regulus.»

«Tu non sei alla sua altezza?» La domanda di Rodolphus è un misto di sorpresa e provocazione. Da un lato, sembra sinceramente sorpreso da quella scoperta, come se non avesse mai considerato l’ipotesi che lei non fosse la fidanzata o la promessa di Regulus. Dall’altro è divertito dall’idea di averla messa in imbarazzo. Alexandra sospira e pensa che quella domanda l’hanno posta più volte in Serpeverde, soprattutto durante l’ultimo anno e ogni volta le fa male pensare che anche se sono cresciuti insieme e i loro genitori sono grandi amici, le è stato subito fatto presente che Regulus è un Black e lei è solo una Turner e che possono continuare ad essere amici e niente di più. Ogni volta quella domanda le fa male e non perché Regulus è il termine di paragone su cui misura l’universo maschile e gli vuole un bene che non sa definire o quantificare, che se potesse lo sposerebbe perché sa che con lui starebbe bene e lui non le spezzerebbe mai il cuore. Non è questo il motivo, quella domanda sottintende un giudizio di valore, il suo non essere abbastanza, che lei può essere educata da Walburga Black in persona e conformarsi ai suoi giudizi e standard e, al tempo stesso, continuare a non essere adeguata perché è solo una Turner.

Non vuole che Rodolphus legga tutto ciò nei suoi occhi, così li riporta sulle pagine della poesia e cerca di scacciare il dolore pensando che ci sarà qualcuno nel mondo che la considererà degna e meritevole di essere amata.

«Continua a leggere le strofe, su,» la invita Rodolphus prendendo posto in quella sala lettura. Forse vuole solo rimediare alla gaffe che si è accorto di fare e la tratta con la condiscendenza che si ha verso i bambini che hanno il broncio. Alexandra obbedisce e continua: «Le jour, tout éveillé, je songe; et, dans la nuit, comme un feu follet qui se lève, cette image, la tienne, apparaît, et me suit au plus profond de mon âme et de mon rêve.»

«Fai attenzione alle differenze delle e di éveillé, con l’accento acuto, lève, con l’accento grave, e rêve, con l’accento circonflesso. Riesci a sentire le differenze di pronuncia?»

Alexandra annuisce, interessata al modo in cui Rodolphus pronuncia le e. È come se il suo timbro di voce, più basso, mettesse a fuoco meglio le differenze, rispetto alla voce squillante di Druella. Con la coda dell’occhio lo vede alzarsi dalla poltrona e avvicinarsi a lei, le sfila il libro di mano e le mostra la pagina. Rodolphus inizia a leggere la stessa poesia, le chiede di ripetere dopo di lui. Ascoltarlo parlare nella sua lingua madre le toglie il fiato. Da bambina credeva che fosse la personificazione del principe delle favole e adesso che è seduto accanto a lei e le sta dando delle lezioni di francese con quella voce profonda e la pronuncia dai suoni morbidi, sente che le manca il respiro.

«Hai sentito la differenza?»

Rodolphus la sorprende mentre si era persa a fantasticare, Alexandra sbatte gli occhi incerta, non ha la più pallida idea di cosa stesse parlando. Lui, però, sembra divertito dall’averla colta impreparata. «Mi riferivo alle pause della punteggiatura,» riassume pazientemente, «cette image, la tienne, apparaît, et me suit au plus profond de mon âme et de mon rêve. Senti?»

Alexandra annuisce e lo stomaco si stringe leggermente quando la mano di Rodolphus sfiora la sua nel restituirle il libro. Rodolphus le sorride e Alexandra spera di non arrossire del tutto, sente le guance in fiamme, la gola secca e qualcosa che non è in grado di descrivere e che sta avvenendo dentro di lei.

L’apertura della porta e l’ingresso di Druella interrompe l’atmosfera. Lady Black sembra sorpresa di trovarli insieme, la sua voce risulta persino piccata quando esclama: «Hai trovato un altro insegnante!»

Alexandra trattiene una risatina, spiega che Rodolphus è stato così gentile da illustrarle le pause della punteggiatura e le differenze di pronuncia tra le e. Poi, del tutto inaspettatamente, Rodolphus la invita a leggere la poesia e mostrare a Druella i suoi progressi. Le prende una mano e la invita ad alzarsi, perché l’aria fluisce meglio se si legge ad alta voce in piedi, le regola la postura come il maestro di musica è solito fare con le spalle di Regulus e infine le fa cenno di leggere. Quel contatto imprevisto con Rodolphus la scombussola, non è abituata a quel modo disinvolto con cui lui le parla, la invita ad alzarsi, le sistema la postura come se fosse una bambola. Sei una bambina, cosa credi? Le suggerisce una voce dentro di sé a cui non può che dare ragione.

Così, sospira, fa un respiro profondo per scacciare ogni traccia di turbamento e legge la poesia ricordando il suono meraviglioso della voce di Rodolphus. Quando solleva lo sguardo dal libro vede Druella annuire soddisfatta e Rodolphus sorriderle in un modo in grado di far fare le capriole al suo stomaco.

Quella notte Alexandra la trascorse a maledirsi nel suo letto perché era proprio da stupide prendersi una cotta per un mago così grande. La sua mente fu troppo veloce a ricordarle che aveva quattordici, era una studentessa di Hogwarts che doveva iniziare il quarto anno ed era opportuno che si togliesse dalla testa simili fantasticherie.

 

***

Azkaban, 1982

 

Su quello scoglio dimenticato in mezzo al mar del Nord, l’umidità penetra fin dentro le ossa. Fuori dalla prigione dei maghi, il vento spira incessantemente e alimenta le onde che si scontrano contro le pareti, come vi sia una maledizione che impedisca a quelle pietre di asciugarsi. All’interno di quelle mura umide e impregnate di salsedine, le urla dei prigionieri, ciascuno alle prese con i propri demoni, riempiono l’aria e si mescolano alle risate di Bellatrix, segno evidente della follia della donna.

Rodolphus chiude gli occhi, stringe i pugni sulle ginocchia e si lascia andare a un pianto silenzioso. Sua moglie non solo è sopravvissuta allo scontro con gli Auror, ma è impazzita dopo pochi mesi di prigione, rendendo ancora più pesante quel vincolo matrimoniale.

Cosa se ne sarebbe fatto di una moglie pazza?

«L’Oscuro Signore tornerà a prenderci, mi libererà e mi ricompenserà per la mia fedeltà!» continua a urlare tra le risate di scherno delle guardie di Azkaban. Le urla di Bellatrix sono diventate ancora più forti, più stridule, come se volesse disperatamente tornare indietro nel tempo e recuperare il figlio che non è riuscita a dare all’Oscuro Signore. Lo ha perso a seguito dello scontro con gli Auror, quando sono giunti ad Azkaban indeboliti e i Dissennatori hanno fatto il resto su quella vita fragile. Bellatrix non accetta che è finita, che hanno perso e che lui non tornerà, che è troppo debole per portare avanti una guerra del genere e, in ogni caso, non ha le forze e gli uomini per andare a salvarli.

Fuori dalla cella Bellatrix urla e invoca il suo Signore, mentre Rodolphus piange perché gli è toccato in sorte una moglie pazza.

Non sarebbe mai diventato padre.

È un pensiero che lo tormentata. Ha fallito come capostipite dei Lestrange. Il ramo inglese della famiglia sarebbe morto con lui e Rabastan in quello scoglio umido e dimenticato.

Un Dissennatore passa accanto la sua cella sentendo il pianto e l’effetto di quella creatura amplifica ancora di più il dolore e la disperazione. La mente di Rodolphus si riempie dei ricordi dei peggiori momenti della sua vita. Sono le urla delle vittime che ha ucciso in missione che tornano a tormentarlo, sono i gemiti di Bellatrix con l’Oscuro Signore che provengono dalla loro camera da letto a oltraggiarlo. Sono anche le risatine sarcastiche di quello stronzo di Antonin Dolohov, le gomitate che Rookwood e Yaxley si davano quando entrava insieme a Bellatrix, le cui scollature diventavano sempre più profonde man mano che diventava intima del loro Padrone.

La sua vita era una trappola infernale. Afferra con forza una ciocca di capelli quando la mente gli ricorda che ha rovinato l’esistenza di una fanciulla. La immagina apprendere dai giornali che quel «Torno presto» che le ha detto mentre Rabastan lo aspettava in strada sarebbe rimasto una promessa non mantenuta.  Qualche capello si strappa e il dolore fisico non riesce a riequilibrare quello causato dal saperla andare avanti con la propria vita, sposare un mago in grado di amarla come merita, in grado di mostrarla ai ricevimenti e offrirle una relazione con tutti i crismi. Qualcuno che sia all’altezza di lei, ed è curioso che questo pensiero sia stato l’inizio e la fine della loro relazione clandestina.

Le hai rubato la gioventù.

È il pensiero che torna più frequentemente, il senso di colpa più grande, quello che non può giustificare dietro discorsi politici, la guerra, il dominio dei Purosangue, il dovere di un soldato e altri motivi che danno un senso alla morte che ha seminato. Lei è stato qualcosa di non previsto, ma decisamente voluto, perché non appena ha colto la possibilità di averla, non ha esitato un attimo, contro ogni buon senso e regola civile.

Si è nutrito della gioventù e dei sogni di quella ragazza, le ha rubato tutte le prime volte per poi spezzarle il cuore e costringerla a dimenticarlo.

Forse avrebbe dovuto Obliviarla mentre la salutava sulla soglia del suo piccolo appartamento a Diagon Alley.

Così, oltre alla gioventù le avresti rubato anche i ricordi, complimenti, Rodolphus, sei proprio senza cuore.

Rodolphus è stanco, si rannicchia per terra, in posizione fetale, e si lascia andare a un pianto interrotto solo da qualche singhiozzo. Fuori dalla sua cella, le risate di Bellatrix continuano a mescolarsi al suono delle onde.

 

***

Villa Black, Wiltshire, agosto 1977

 

Le lezioni di francese stavano dando i loro frutti. Alexandra ha preso l’abitudine di passeggiare in giardino con la raccolta di poesie che le aveva prestato Druella e leggere ad alta voce, è in piedi, con la postura dritta e cerca di ricordare i consigli di Druella e Rodolphus.

Ogni tanto, Regulus le fa compagnia, molto più spesso, Rodolphus è l’ascoltatore paziente della sua pronuncia zoppicante, l’unico che la corregga. Un paio di giorni ci ha provato anche Rabastan, il fratello di Rodolphus, e persino Evan Rosier, un nipote di Druella, incuriositi dalla pazienza con cui Rodolphus le sta accanto. Loro, però, si sono annoiati dopo poco tempo e Alexandra li ha sentiti dire a gran voce che le attenzioni di Rodolphus sono il segno che lui voglia un figlio. Hanno iniziato a prendere in giro Bellatrix che ha finito per perdere la pazienza e Alexandra li ha persino visti nascondersi da lei che minacciava di affatturarli.

Così, nel corso di quell’estate, Alexandra e Rodolphus si trovavano in giardino dopo pranzo: lei continuava a leggere i suoi versi e Rodolphus la ascoltava. Erano i pomeriggi estivi in cui la luce si tingeva di toni caldi e sembrava coprire con un velo dorato il mondo circostante.

Persino quel pomeriggio, Rodolphus è seduto sulla poltrona da giardino, le spalle abbandonate contro lo schienale, la testa all’indietro e gli occhi chiusi. Ascolta la sua lettura e le labbra non riescono a impedirsi di correggerle la pronuncia ogni volta che sbagliava un accento, o una nasale, o la lettura di quei mucchi di vocali che la confondono al punto che li legge sempre nel modo sbagliato. Le acca, poi, sono un vero e proprio mistero, per non parlare delle consonanti finali, spesso mute, ma che parlano se vengono accostate a una e, anch’essa muta, e come una lettera muta possa diventare parlante una volta accostata a un’altra muta è un mistero che Alexandra non riesce a cogliere del tutto. La pratica, però, le sta rendendo quel meccanismo automatico. Cerca quindi di seguire il consiglio di Rodolphus e di fare come nel valzer, quando a un certo punto non pensi più ai passi e ti concentri solo sulla musica.

Rodolphus, però, è un cavaliere in grado di distrarti dalla musica e scorgerlo abbandonato in quel modo, con la testa all’indietro, un sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi, fa accelerare il battito del cuore di Alexandra e lo stomaco si stringe in un modo che non sarebbe stato per nulla appropriato.

Quell’immagine, poi, ha iniziato a perseguitarla persino nei sogni. Cerca di tenere a bada i suoi istinti, di dominarsi, come dice Walburga. Ricorda a sé stessa che, probabilmente, sotto le palpebre chiuse lui sta pensando a Bellatrix e che lei è solo una ragazzina, vista alla stregua di una figlioletta o di una nipote. Solletica l’istinto paterno, anche se suo padre non è mai stato così attento e paziente con lei e nemmeno le rivolge quegli sguardi complici che la confondono.

Rodolphus apre un occhio e la sorprende domandandole: «Hai finito il libro?» Ancora una volta l’ha sorpresa a fissarlo incantata. Alexandra scuote la testa mentre le guance si colorano di rosso per l’imbarazzo. La sola via d’uscita è riprendere a leggere, ma la voce le esce un po’ tremante. Rodolphus se ne accorge, si alza dalla poltrona e la raggiunge sul divano di vimini dove è seduta. Alexandra vuole sprofondare aspettandosi un rimprovero, si dice che è una ragazzina patetica.

«Lo sai che non è vero che ti vedo come una figlia, vero?»

Il cuore di Alexandra accelera il battito. «Allora perché perdi tutto questo tempo dietro la mia pronuncia francese?»

«È dall’inizio dell’estate che sento la tua voce pronunciare versi in francese. Ho passato giorni a domandarmi a chi appartenesse quella voce che riempiva l’aria di versi d’amore. Ascoltarli mentre ti osservo leggere è decisamente meglio. Sono sicuro che a Hogwarts sarai piena di spasimanti.»

Alexandra sorride imbarazzata. Non riesce a immaginare i suoi compagni di Hogwarts andarle dietro. Forse Barty, il suo compagno di studi, ma è così ossessionato dall’Oscuro Signore che non considera altro. Si stringe nelle spalle incerta, non vuole nemmeno sembrare patetica o disperata e cerca di fare la misteriosa limitandosi a dire: «Se ci vedremo a Natale, saprò dirtelo.»

 

***

Azkaban, 1982

 

È passato quasi un anno da quando lo hanno rinchiuso ad Azkaban. Barty è morto e il suo corpo gettato nelle fosse comuni. Bellatrix ha smesso di ridere per un po’, ma poi la sua follia ha ricominciato a manifestarsi e Rodolphus è tornato a non sopportarla più.

Persino Rabastan mostra segni di cedimento, si dispera per la morte del cugino Evan, per la donna che aveva lasciato senza poterla salutare e per la vita che non avrebbe vissuto. È tormentato dal suo stesso senso di colpa, dall’idea che il ramo dei Lestrange sia morto con loro ad Azkaban.

Le notti ad Azkaban sono ancora più dolorose del giorno. I prigionieri crollano esausti sui giacigli che odorano di sudore e sporcizia, la mente è ancora più esposta all’influsso dei Dissennatori. I sogni tormentano i prigionieri con i ricordi, quelli belli, che alimentano le speranze e i rimpianti, in modo che la mattina seguente, la delusione costituisca nuova linfa per i loro carcerieri.

Nella notte appena trascorsa, Rodolphus ha sognato il suo primo bacio con Alexandra.

Non sogna mai i ricordi e, dopo un anno di prigionia, non è più in grado di sapere se quel primo bacio sia andato realmente in quel modo o se sia solo il frutto di una sua fantasia. Ricorda che era sul finire dell’estate, che i pomeriggi trascorsi ad ascoltarla leggere versi di poesie d’amore avevano finito per solleticare il suo lato sentimentale. Sarebbe stato impossibile non accorgersi della cotta che lei si era presa.

Rodolphus non avrebbe dovuto assecondare l’infatuazione di quella ragazza, lui era l’adulto della situazione, lei era solo una ragazzina che presto avrebbe iniziato il quarto anno, era a metà tra una bambina e una giovane donna. Il mondo iniziava ad accorgersi di lei, persino Regulus ogni tanto allungava le mani e lei lo rimetteva a posto in un modo scherzoso che dimostrava la loro innata confidenza. Se Regulus si lasciava andare a qualche commento quando lui era presente, lei sminuiva e arrossiva lanciando occhiate nervose nella sua direzione. Rodolphus aveva notato anche quello e non poteva che sentirsi lusingato da quelle attenzioni e, al tempo stesso, si era scoperto infastidito da quelle che Regulus e i suoi amici rivolgevano a lei.

In quei giorni, Alexandra aveva iniziato a stare vicino a Walburga, aveva compreso le parole della donna sul bisogno di contenersi, iniziava a cogliere il senso dei moniti che le rivolgevano costantemente. La perdita dell’innocenza era affascinante da osservare, ancora più bello era sapere di essere l’unico a sfiorarla quando si incontravano per i corridoi, mentre le correggeva la dizione o si sedeva accanto a lei per leggere dallo stesso libro. A dispetto di tutto, nessuno aveva mai pensato che le lezioni di francese fossero inappropriate. Rodolphus nemmeno aveva smentito le voci sul suo istinto paterno. Si era persino illuso che grazie a quello stratagemma Bellatrix avrebbe cambiato idea sulla maternità.

L’ultima sera, prima che lei tornasse a casa, si erano salutati al termine dell’ultima lezione. Lei lo aveva ringraziato con i modi cortesi che le erano stati insegnati e lo sguardo smarrito per quella separazione. Rodolphus aveva stretto una mano tra le sue e l’aveva portata alle labbra, le aveva detto che a Natale avrebbe ascoltato volentieri i suoi progressi. Era tutta l’estate che si dominava, ma di fronte il sorriso di lei alla prospettiva di rivedersi, Rodolphus aveva abbandonato ogni proposito di autocontrollo e aveva portato le mani intorno al viso di lei e si era chinato a baciarla cogliendola di sorpresa. Persino a Hogwarts non era mai stato bravo a dominarsi e resistere al fascino delle fanciulle. Questa sua incapacità gli aveva sempre procurato molti guai, ma altrettanti piaceri.

Ricordava la pelle morbida delle mani, il suo sorriso, lui che si era sentito di nuovo adolescente. In quel momento, il pensiero dell’età di Alexandra era scomparso, così come quello del suo matrimonio con Bellatrix.

Se avesse chiuso gli occhi, persino dopo un anno ad Azkaban, Rodolphus avrebbe potuto sentire nuovamente il modo impacciato e sorpreso con cui Alexandra aveva risposto al suo bacio. Il pensiero che le avesse rubato il primo bacio agitò i sensi di colpa, si mescolò a una certa autosoddisfazione per la conquista che aveva appena fatto.

 

***

Grimmauld Place, Natale 1977

 

Alexandra non è in grado di descrivere con quanta ansia ed emozione abbia atteso l’arrivo del Natale. Più volte a Hogwarts si è imposta di dimenticare Rodolphus e il bacio che si sono scambiati l’ultima sera in cui ha soggiornato a Villa Black, ma come potrebbe rinunciare al ricordo del suo primo e unico bacio?

Da quel momento, i suoi compagni di scuola, persino i più grandi, hanno perso immediatamente ogni fascino se paragonati a lui, ai suoi sguardi e alla sicurezza che emana. Alexandra li trova impacciati negli approcci, nervosi, e completamente confusi. Persino quelli del settimo anno, ufficialmente fidanzanti e prossimi alle nozze non hanno i modi garbati di Rodolphus. Alexandra ha provato a studiarli in sala comune o per i corridoi di Hogwarts, ha cercato invano un modo o una persona che le facesse dimenticare Rodolphus perché si rende conto che la sua non è una relazione e non deve avere alcuna aspettativa che, molto probabilmente, lui si è preso gioco di una ragazzina ingenua e lei c’è cascata.

Si è buttata a capofitto nello studio per cercare di rimuovere il pensiero di lui e i mesi hanno finito per volare sotto il carico di compiti e lezioni che totalizzano la vita degli studenti di Hogwarts. Così, finisce per ritrovarsi sull’Espresso di Hogwarts, circondata dalle chiacchiere delle sue compagne di dormitorio sulla festa di Yule dai Black. È l’evento mondano per eccellenza della società Purosangue inglese e sono settimane che non fanno altro che parlare degli abiti che avrebbero indossato e dei Purosangue con cui avrebbero voluto ballare.

«Tu con chi speri di ballare, Alex?» le domanda Elizabeth Nott con un sorriso che tradisce tutta la sua curiosità.

Alexandra sente un nodo in gola. A differenza delle sue compagne di Casa, nessuno l’ha invitata o le ha proposto di danzare insieme. Non appartiene alle Sacre Ventotto, è solo una Turner e nessuno spreca l’occasione del ballo di Yule con una Turner, così balbetta, scaccia la voce che dentro di sé le sussurra che c’è una persona con cui spera di ballare, ma che quella speranza appartiene al mondo delle fantasie irrealizzabili, così cerca di sfoderare la sua ironia e domanda fingendosi perplessa: «Con mio fratello?»

Elizabeth ride, la voce squillante di lei riempie lo scompartimento ed è seguita dai risolini delle altre. Alexandra si lascia trattare da ingenua, mentre il cuore dentro di sé si stringe e lo stomaco si contorce per l’umiliazione. Le ragazze delle Sacre Ventotto sono quelle che hanno la speranza di essere corteggiate, lei può sperare sul buon cuore degli amici o sull’imprevista comparsa del figlio di qualche ministeriale annoiato e spaesato quanto lei.

La sera della festa, Alexandra si ritrova con l’umore sotto i piedi. Davanti lo specchio si osserva con aria critica, si sente qualcosa di pasticciato e informe: non ha il decolté generoso di Elizabeth, il sorriso non è sensuale come quello di Allison Parkinson, sa che le sue amiche avrebbero incantato metà sala insieme a Eloise Rosier e Margareth McNair e lei sarebbe rimasta insieme ai bambini per un altro anno.

È così spaventata dal pensiero che quella sera possa essere il pretesto per cui la prenderanno in giro in Serpeverde, che darebbe qualsiasi cosa pur di non mettere piede fuori dalla sua stanza e per un attimo pensa di fingersi malata, ma in casa di due Guaritori sa che si tratta di una strategia fallimentare.

Quando sua madre entra in camera per controllare a che punto è, la trova in lacrime ai piedi del letto e sospira nel vederla in quel modo. Non le dice nulla, si limita a farle bere un Filtro Calmante e spedirla a farsi una doccia e prepararsi. Urla che non vuole arrivare in ritardo all’evento sociale della stagione natalizia. Darlene Rowle ha compreso tutto del suo stato d’animo, ma sperare in una parola di incoraggiamento è chiedere troppo.

«Ci sono anche molti ministeriali con i loro figli, dirigenti della Gringott e consiglieri del Wizengamot. Non devi pensare solo alle Sacre Ventotto, ci sono un sacco di bravi ragazzi che sognano di conoscere una ragazza graziosa e impeccabile come te,» le dice a mo’ di consolazione e Alexandra sa che è il massimo dello sforzo che può attendersi da sua madre. Davanti lo specchio si sforza di sorridere e cerca di concentrarsi su qualcosa di bello: pensa alla sensazione che proverà quando sfiorerà la porcellana fine del servizio di piatti che Walburga sfoggerà, all’argento finemente lucidato dagli Elfi e i cristalli impeccabilmente brillanti. Qualsiasi altro pensiero rischierebbe di gettarla nuovamente nello sconforto.

Trova che sia rilassante pensare alla tavola, dove gli oggetti rispondono al tuo volere e ci sono delle regole precise che possono essere seguite senza che nessuno abbia a dire nulla. Organizzare una tavola è un modo molto rilassante di soddisfare le aspettative. Essere educata, sorridere, chiacchierare con garbo sono abitudini che le sono familiari, al contrario della seduzione che è un mondo per lei misterioso.

Trascorre una parte della festa alternandosi tra Robert e Regulus, i suoi punti di riferimento, ma quando loro trovano della compagnia femminile in grado di alleviare la loro festa, lei raggiunge sua madre e Walburga. Le sue amiche sono tutte impegnate a fare gli occhi dolci a una serie di ragazzi, alcuni già diplomati e lei, semplicemente, si annoia. Spera che i pettegolezzi la distraggano a sufficienza da quell’ambiente in cui fatica a riconoscersi. Lo scorso anno si sentiva a casa, elogiata per i suoi modi impeccabili, mentre quest’anno tutti sono distratti da altro.

Persino Darlene, che fino all’anno precedente non la perdeva d’occhio e lei e Regulus dovevano nascondersi per giocare, sembra seccata dall’averla intorno, le si rivolge annoiata: «Su, vai a conoscere qualcuno, come speri di trovarti un corteggiatore se stai sempre attaccata alla mia gonna?»

Quella domanda la spiazza, non è pronta a gestire qualcosa del genere, nessuno le ha detto che avrebbe dovuto cercare lei un corteggiatore, nessuno le ha mai insegnato a fare qualcosa del genere. Ha sempre dato per scontato che qualcuno si sarebbe presentato e l’avrebbe invitata a ballare o si sarebbe fermato a chiacchierare con lei, proprio come accade nei romanzi. Cos’è quel cambio di programma? Cosa deve fare? Come si trova un corteggiatore?

Decide di ritirarsi, che lei non è in grado di cercarsi un corteggiatore, che forse deve studiare come si fa. Fugge da quel salone, cammina per i corridoi e dalle stanze sente risate, chiacchiere e discussioni, segno che ciascuno al mondo sa quale sia il suo posto, eccetto lei. Le manca l’aria e arriva boccheggiando verso la porta finestra che dà nel giardino sul retro dove incontra Rodolphus. Riconosce immediatamente la sua sagoma di spalle, sembra intento ad osservare un cespuglio coperto di neve. Alexandra cerca di non far rumore, indecisa se rimanere o fuggire anche da quel posto, ma prima che possa scegliere, lui si volta verso di lei. Rimangono a guardarsi in silenzio per un istante che sembra lunghissimo. Non si aspettava di rivederlo, non sa cosa stia accadendo dentro di lei mentre lui la osserva con i suoi occhi scuri e l’aria composta e tranquilla. Le sorride complice: «Mi sto nascondendo da Malfoy, qual è la tua scusa?»

Il cuore le batte forte e le sembra di aver dimenticato come si parli. Rodolphus continua a sorriderle in quel modo che compariva anche nei suoi sogni a Hogwarts. «Avevo bisogno di una boccata d’aria,» si giustifica, come una bambina colta in flagrante.

«Alex…» Rodolphus parla sottovoce con il suo leggero accento francese e il modo in cui pronuncia il suo nome le fa sentire un Tranello del Diavolo al posto dell’intestino. «Quello che è accaduto questa estate…» Parla piano, sicuramente è pentito, non ci sono altre ragioni per riaprire l’argomento.

Alexandra lo anticipa. Non vuole sentire delle scuse, non vuole sentire niente, perché è già difficile essere rifiutata o ignorata dai suoi coetanei, senza che un uomo meraviglioso come lui le ricordi che lei non è abbastanza.

«È sbagliato, lo so,» la voce le si spegne in gola, «sono troppo piccola, eccetera.»

«Volevo solo dirti che non l’ho dimenticato e sì, sei piccola, potrei finire nei guai se qualcuno lo venisse a sapere.»

Alexandra annuisce mentre si torturava le mani. Le sta dicendo addio? «Non ti farò finire nei guai, è stato troppo bello per raccontarlo a qualcuno,» promette e sente di poter sottoscrivere anche un Voto Infrangibile. Nessuno saprà mai del suo primo bacio.

Il loro respiro si condensa nell’aria in piccole nuvole di vapore, intorno a loro c’è il silenzio di quando il cielo è carico di neve. Dietro di loro, tra le mura di Grimmauld Place, gli invitati festeggiano.

Si sono avvicinati l’uno all’altra, con piccoli passi che lasciano impronte sulla neve fresca del giardino. Rodolphus le prende le mani e se le porta alle labbra: «Sono i tuoi anni più belli, come posso rovinarteli?»

«Migliorali, se puoi,» sussurra con un’audacia che nemmeno sapeva di avere. Forse è la disperazione che parla per lei, che in quel momento non sa più come respirare, parlare o pensare. Agisce sulla base di percorsi automatici senza sapere cosa potrebbe accadere, è pura improvvisazione, e la cosa la terrorizza.

Rodolphus sospira, come se quello che lei aveva appena detto non meritasse nemmeno una risposta, le domanda: «Vuoi leggermi qualcosa? Walburga dovrebbe avere dei libri che le ha regalato Druella, questa festa è fin troppo noiosa.»

Non sa perché annuisce. Forse lo intuisce dal respiro che le manca e da quello stato di fibrillazione che la fa sentire viva e all’erta. Cammina dritta per i corridoi, domina l’istinto di avvicinarsi troppo a lui e sfiorarlo, lo segue fin dentro la sala di lettura di Walburga e solo dopo aver bloccato la porta e silenziato la stanza si lasciano andare a un abbraccio.

Rodolphus non l’ha dimenticata e quando si china a baciarla nuovamente, Alexandra comprende che non vuole nemmeno lasciarla. La studia indeciso, sicuramente divertito dalla sua incertezza sul prendere sul serio un libro in francese e dover leggere.

«Siamo a Yule,» le dice, «è un’occasione speciale, forse dovrei darti una lezione speciale…» Alexandra lo guarda rapita, curiosa, piena di aspettative.

«Conosci il bacio alla francese?»

 

 ***

Azkaban, 1983

 

Rodolphus segna un’altra tacca sul muro della prigione.

È l’anniversario del loro arresto, due anni ad Azkaban. Barty è morto l’anno scorso, Bellatrix è impazzita dopo qualche mese e Rabastan passa il tempo a singhiozzare e urlare.

Rodolphus è stanco.

Due anni sono un’eternità quando l’unica compagnia è il peggio che la tua mente riesce a proporti incessantemente. Le guardie li svegliano di proposito e Rodolphus ha persino provato a rinunciare al sonno in modo da rimanere incosciente, stanco, e incapace di pensare. Aveva creduto di trovare un equilibro rifugiandosi nella stanchezza, ma si è sbagliato, perché in quel posto, più la mente si indebolisce, più i Dissennatori hanno accesso a pensieri e ricordi, sono in grado di manipolarli e tormentare i prigionieri in modi che sorprendenti.

Adesso vuole solo dormire, possibilmente per sempre, rifugiarsi nel mondo dei sogni e tirare il fiato dai tormenti che la sua mente continua a proporgli.

Dopo due giorni, trascorsi senza chiudere occhio, Rodolphus giace sul tavolaccio che dovrebbe fungere da letto, ha lo sguardo fisso tra le fughe delle pietre del soffitto e il rumore del mare nelle orecchie. «Sembra quasi un valzer,» mormora, le labbra si incurvano in un sorriso stanco mentre ricorda i balli nell’appartamento di Alexandra sulle note di canzoni francesi.

Un Dissennatore scende a nutrirsi della briciola di gioia che per un misero istante è riuscito a provare e la sua anima torna a stritolarsi nel dolore. Si dice che in quel momento, Alexandra dovrebbe essere sul punto di sposarsi.

A vent’anni sei un fiore troppo invitante per non essere colto. I genitori devono averla sistemata con qualche giovane rampollo, il figlio di qualche Guaritore loro collega, o di un dirigente del Ministero della Magia. Forse un funzionario della Gringott.

La immagina intenta a scegliere l’abito da sposa con lo sguardo attento e le richieste esigenti, a discuterne con le sue amiche, a lasciarsi stringere da un altro, più degno di quanto non lo sia mai stato lui. Uno che scherzando le chiede dove si fosse nascosta per tutti quegli anni, che se l’avesse notata a Hogwarts, l’avrebbe corteggiata fin da subito.

Chissà se Alexandra pensa a lui, quando le chiedono perché nessuno l’ha notata a Hogwarts, come sia possibile che nessuno le abbia mai chiesto di uscire a Hogsmeade. Rodolphus la immagina sorridere malinconica e stringersi nelle spalle con quell’espressione che gli ha sempre fatto venire voglia di abbracciarla e riempirla di baci fino a vederla nuovamente sorridere.

Spera che sia felice, si dispera al pensiero che possa aver dimenticato tutto quello che c’è stato tra loro, che la sua vita si sia orientata sui binari ordinari e prevedibili di un matrimonio rispettabile e un affetto mite. Non un amore, quello no, perché dopo quanto è accaduto tra loro, dopo il modo in cui hanno sovvertito tutte le regole non può credere che lei possa provare lo stesso per un altro, non vuole crederlo.

Alexandra è sua, è sempre stata sua. Un altro potrà avere il suo stato civile, il suo corpo, ma il cuore no, non lo darà mai a un altro. Non con quell’intensità struggente con cui si è donata a lui. I dubbi iniziano ad assalirlo: potrebbe essere dimenticato anche da lei dopo Bellatrix? È così marginale, dimenticabile come compagno?

È incapace di amare?

 

***

 

Villa Black, Wiltshire, luglio 1978

 

Tornare a casa di Druella ha acquistato un altro significato. Quell’anno il Wiltshire intero parla soltanto del matrimonio di Narcissa Black e Lucius Malfoy. I Turner sono stati invitati e Alexandra, per la prima volta in vita sua, compare tra le damigelle che accompagnano la sposa. Per l’occasione, indosserà una lunga veste di seta verde, morbida e quasi impalpabile, piena di trasparenze che la rende simile a una ninfa dei boschi. Narcissa, invece, sarà chiara come la luna nella sua veste argentea. I colori di Serpeverde domineranno gli arredi, le decorazioni, la natura intera.

Il giorno prima del matrimonio, al termine delle prove, Rodolphus le si avvicina mentre è intenta ad osservare Narcissa e le sue amiche, le confessa divertito: «Ho un debole per le damigelle.»

Basta uno sguardo perché lei lo segua in casa, in quella che è diventata la loro sala lettura. È felice di rivederlo e sufficientemente sicura che tutti siano presi da altro per accorgersi della loro assenza. Sono stati mesi di attesa struggente, durante i quali è stata sopraffatta dal languore e dalla malinconia, al punto che Regulus le ha più volte detto che ha proprio bisogno di un fidanzato. Il ricordo dei baci di Rodolphus, le loro bocche che si cercano continuamente, il modo in cui la stringe a sé tenendola seduta sulle ginocchia, la fa tremare di impazienza e sospirare ogni volta che vede una coppietta per i corridoi di Hogwarts intenta a pomiciare.

«Quanti anni hai adesso?»

«Quindici.» Le dita di Rodolphus stringono la presa delle sue. «Caspita…»

Si sono spinti troppo oltre, lei non vuole tornare indietro, nemmeno se le dicessero che Bellatrix la torturerà se dovesse scoprirli. Preferito la morte all’assenza di Rodolphus. La voce esce incerta mentre confessa: «Io ci ho provato a trovare un ragazzo della mia età che mi piacesse, come dici tu, ma non voglio uno che non mi piace solo perché ha la mia età.»

«Ti rendi conto che io sono sposato? È un anno che è iniziata questa… cosa… tra noi, ed è bella, ma io non posso essere il tuo fidanzato e non voglio spezzarti il cuore o illuderti.»

«Lo so,» ammette sottovoce, questa volta è lei a stringere le dita di Rodolphus, «Eloise è felice perché sta per diventare la fidanzata di Regulus, ma non sa che Regulus è innamorato di Barty e se Regulus può amare Barty in segreto e Bellatrix può fare quello che vuole, perché noi no? Perché devo essere la sola a rispettare queste stupide regole?»

È confusa e stanca di rispettare regole che il resto del mondo ignora, affonda il viso nel petto di Rodolphus e si lascia stringere e baciare.

È come se il tempo si fosse saldato all’ultimo bacio che si erano scambiati. Alexandra allunga le braccia intorno al corpo di Rodolphus, lascia che lui la prenda in braccio, la stringa a sé e torni ad accarezzarla.

Le braccia scoperte di Alexandra sfiorano quelle di Rodolphus, rabbrividisce e ha la sensazione che i vestiti siano improvvisamente di troppo. Non ha mai riflettuto su quanto sia di intralcio né ha mai desiderato togliersi un vestito, soprattutto in presenza di un’altra persona, ma quando la mano di Rodolphus si infila sotto la gonna della sua veste, la seta diventa simile al piombo e la veste leggera e impalpabile non la fa respirare.

Rodolphus si ferma, forse per l’ennesimo scrupolo di coscienza, la sua mano indietreggia fino all’altezza del ginocchio. «Lo voglio, Rod, non fermarti,» lo supplica guidandogli la mano in una carezza lungo la gamba.

«Sei sicura?» La osservava incredulo, combattuto tra ciò che vuole e ciò che non dovrebbe fare ed è difficile trovare le parole giuste per rassicurarlo, per dimostrargli quanto sia forte il desiderio che nutre per lui e che è cresciuto nell’ultimo anno.

«Nessuno sarà mai tanto attento quanto te.»

Non c’è bisogno di dire altro, abbandonano ogni remora, zittiscono tutti gli scrupoli morali, perché possono anche essere nati in tempi sbagliati, ma il loro incontro è stato perfetto e non c’è niente di più giusto dello stare sul tappeto di Druella, con i cuscini sotto la testa, e Rodolphus sopra e dentro di lei che non distoglie lo sguardo da lei.

«Sei bellissima,» continua a sussurrarle nell’orecchio e il cuore sembra allargarsi e lo stomaco riempirsi di farfalle agitate mentre il corpo le restituisce sensazioni sconosciute che fatica a decifrare. È come iniziare a vedere il mondo con occhi nuovi ed è felice che Rodolphus sia la sua guida.

 

 

Azkaban, 1984

 

Ci sono giorni in cui Rodolphus nemmeno si alza dal suo giaciglio, rimane immobile a fissare le fughe di pietra della sua cella. Sono i giorni in cui la speranza si affievolisce e la fedeltà vacilla, il timore di essere abbandonato su quello scoglio dimenticato fa capolino nella sua mente.

È difficile rimanere fedeli a un giuramento quando il tuo Signore sembra sul punto di morire, e forse è già morto e quel residuo che permane nel Marchio Nero è solo il lascito della forza della sua magia. Sono i giorni in cui deve ricorrere a tutte le sue risorse interne per confermare le scelte fatte e non lasciarsi prendere dalla disperazione.

Seguire l’Oscuro Signore non è stato un giuramento a una persona mortale, ma la scelta di un cammino, lo sposalizio di un’idea che ha plasmato la sua vita e lo ha reso il guerriero che è diventato. Ogni vita soppressa, ogni sofferenza causata va letta nella difesa della magia, la protezione dei Purosangue.

Potrà morire il seme dei Lestrange, ma le loro idee continueranno a germogliare nelle giovani menti. Se chiude gli occhi riesce a rievocare i momenti alla Testa di Porco in cui giovani maghi e streghe si lasciano andare a commenti, politicamente scorretti e irriverenti, su quanto sta facendo il Ministero, sull’indebolimento del sangue e il rischio di scomparsa della magia.

Rodolphus sospira, la fedeltà è sempre stata legata alla libertà dell’agire, è un giuramento che si rinnova di giorno in giorno, attraverso le parole e i gesti.

È infedeltà il permanere del matrimonio con Bellatrix mentre ogni gesto e parola della strega manifestano fedeltà assoluta a un altro uomo. È fedeltà il silenzio di Rodolphus al suo Signore, il capo chinato con cui gli ha offerto tutto, anche sua moglie. Rodolphus può rimanere fedele all’Oscuro Signore e infedele a Bellatrix o, forse, la fedeltà reciproca del loro matrimonio si fonda su un legame indissolubile che però li rende liberi di fare ciò che vogliono senza il timore delle aspettative sociali.

Offrire una parvenza di stabilità a una strega instabile per tenere fede a un contratto di affari: dove sta la fedeltà nel suo matrimonio? Nel giuramento fatto a Cygnus Black con la firma del contratto matrimoniale? La stabilità del rapporto, gli occhi chiusi sugli inadempimenti delle parti e il venir meno ai reciprochi obblighi è un’esecuzione secondo buona fede? Se ben prima del matrimonio Bellatrix ha messo in chiaro le cose, lui ha accettato anche le condizioni non formalizzate nell’accordo?

È fedeltà a un’istituzione, quella matrimoniale, o a Bellatrix, a cui ha promesso, in un pomeriggio piovoso, mentre fuori dalla guferia il cielo sembrava voler precipitare, che non l’avrebbe mai resa schiava, che il matrimonio l’avrebbe liberata e che la loro era un’alleanza politico e militare. Può pretendere un figlio da un alleato dopo che lui stesso ha proposto i termini di quell’accordo?

Perso tra i ragionamenti della sua mente, Rodolphus giunge alla conclusione che l’unica persona fedele nel suo matrimonio è proprio Bellatrix. Non lui che ha violato i patti in più modi, che sente la fedeltà al loro Padrone vacillare e indebolirsi sotto il peso della condizione carceraria, che ha considerato come un oltraggio i tradimenti, le voci, gli ammiccamenti e il legame, sempre più intenso, di Bellatrix con il loro maestro. È stato infedele anche nei confronti di Cygnus e Druella, ha sedotto e traviato una giovane ospite del loro maniero e le ha sconvolto la vita.

È stato infedele anche nei confronti di Alexandra, poi. Ha continuato a cercare Bellatrix, ossessionato dal suo ruolo di capofamiglia, da quello che gli altri vogliono, si è vergognato del legame con quella ragazza, ha cercato di ricondurlo a un gioco perverso, una distrazione dalla noia e non ha tenuto fede nemmeno al patto con sé stesso, si è lasciato coinvolgere sentimentalmente.

O forse, si è sempre preso in giro, infedele persino a sé stesso, perché è da quando aveva sentito i primi versi d’amore in francese che la sua anima ha scelto.

Tra le mura di Azkaban, Rodolphus non sa più cosa sia la fedeltà, a quale dei molteplici e contraddittori patti che aveva stipulato debba tener fede. Importa, poi?

 

 ***

Villa Black, 25 agosto, 1978

 

È come un velo che scivola dagli occhi.

Il mondo ha assunto altri colori, più vividi, intensi e ha imparato a riconoscere la malizia. La decifra nelle battute degli uomini, in alcune risatine nervose delle donne, nelle fughe di Regulus e nel portamento di Bellatrix.

Il mondo intero sembra impegnato a flirtare, commentare, parlare incessantemente di ciò che sembra assolutamente sconveniente. Forse è il fascino del proibito ad accendere la fantasia e stimolare le conversazioni, non lo ha ancora compreso, ma sa di dover continuare a fingere di vivere come se quel velo lo avesse ancora davanti gli occhi. Si concentra sulle lezioni di Walburga, chiede a Regulus di insegnarle qualche accordo al pianoforte, gioca a Scacchi Magici e si applica in francese.

Gli sforzi che compie giornalmente diventano più complessi quando Rodolphus si trova a soggiornare a Villa Black. Bellatrix sembra non tollerare molto la madre, ma ogni tanto in quell’estate, hanno trascorso delle giornate in quella casa.

In quelle occasioni, Rodolphus le sfiora le spalle nude quando la trovava seduta da sola e impegnata a leggere. Si scambiano un sorriso e poi si nascondono da qualche parte: il bosco che circonda la tenuta, la sala di lettura, una delle loro camere da letto, gli stanzini degli elfi domestici.

Ha imparato a fare l’amore nelle più disparate posizioni e ha scoperto quanto intenso possa essere il piacere al punto che le basta veder comparire la sagoma di Rodolphus per iniziare a sentire una piacevole agitazione dentro di sé. Ha scoperto quanto sia complesso da gestire il desiderio e imparato a comprendere Bellatrix.

Rodolphus ha sovvertito tutte le priorità del suo mondo, trovarsi sopra di lui, sotto di lui, in braccio a lui con la schiena graffiata da una parete, e persino dentro il laghetto in cui da bambina faceva il bagno con Regulus, è diventato un bisogno fondamentale come respirare. Il suo corpo patisce l’assenza e si sente completa solo quando sono insieme. Basta poco, come quando l’attira in una stanza e infila le mani sotto la gonna e l’accarezza tra le gambe e poi la lascia eccitata, sussurrandole perfidamente che se fa la brava e si comporta da lady impeccabile, poi, lui le darà il resto. Alla fine dell’estate Walburga si è persino complimentata per i suoi progressi in materia di etichetta e sua madre, nelle rare visite tra i turni del San Mungo, non ha avuto nulla da ridire.

«Domani torno a casa,» gli annuncia sul finire di agosto, senza nascondere un filo di tristezza. «Non sai quanto mi pesi tornare a scuola.» Ha la testa appoggiata sulla spalla di lui che le accarezza la schiena nuda. Si sono rinchiusi nella camera da letto di Rodolphus, approfittando del riposino pomeridiano delle signore e del fatto che dopo un’estate in cui ha tenuto un comportamento esemplare, nessuno bada più tanto a lei.

Rodolphus si solleva dal letto e le rivolge un’occhiata maliziosa.

«Ho un regalo per te,» le dice, «così potrai pensarmi quando sarai a Hogwarts e… in un certo senso sarà un modo nuovo di stare insieme.» Alexandra siede sul letto sorpresa, il lenzuolo le copre il corpo nudo mentre attende di scoprire quel regalo inaspettato. Il solo pensiero che Rodolphus abbia comprato qualcosa per lei le riempie il cuore di gioia.

È una scatolina di lacca rossa chiusa da una serratura dorata. «Rosso e oro?» domanda perplessa.

«Ti posso assicurare che non ha nulla a che vedere con Grifondoro.» Lo sguardo malizioso di Rodolphus aumenta la sua curiosità. Agita la bacchetta per aprire la serratura e le sue sopracciglia scattano in alto nel vedere uno specchietto e un rossetto.

«Vuoi che mi trucchi?» la sua perplessità aumenta.

Rodolphus ridacchia e scuote la testa, allunga la mano e prende quello che sembra un comune rossetto, apre l’astuccio. «Questo non è un rossetto, è un giocattolo erotico.»

«Cosa?» È divertita e curiosa di sapere come funzioni.

«Sono cose che esistono da sempre,» le spiega paziente. «Quando avrai voglia di stare con me, potrai infilarti a letto, dietro le tende del baldacchino aprirai l’astuccio e infilerai questa punta dentro di te.»

«Oh,» esclama sorpresa.

Rodolphus scoppia a ridere, le strappa un bacio. «Non rido di te, adoro la tua ingenuità, mi fa impazzire!» Alexandra si lascia baciare e, prima di prendere completamente il controllo, sotto l’entusiasmo di Rodolphus, si allontana dalle sue braccia e solleva un sopracciglio: «E dopo cosa succede?»

«Puoi usarlo per darti piacere da sola, oppure puoi aprire lo specchietto e farmi sapere che vuoi compagnia.»

«Non ci si può materializzare dentro Hogwarts!»

«No, ma io posso controllare il tuo rossetto con la magia. Sarà come stare insieme. È uno specchio gemello appositamente creato per le signore. Nessuna compagna di dormitorio si insospettirà, ma ricorda di silenziare le tende.»

«Come faremo a sapere quando possiamo?»

«Io lo saprò, non preoccuparti. Puoi usarlo ogni volta che ne hai voglia.»

«Anche tutte le sere?»

«Oh Salazar, Alex, io mi iscrivo di nuovo a Hogwarts, faccio persino domanda di insegnamento se vuoi usarlo tutte le sere!» Scoppiano a ridere entrambi, Rodolphus le dà un colpetto sul naso e le disse: «Promettimi che studierai e ti impegnerai. Non voglio distrarti.»

Alexandra annuisce, porta la mano destra sul cuore, il lenzuolo cade lasciandola nuda, e alza solennemente la sinistra esclamando: «Giuro solennemente che il mio andamento sarà impeccabile.» Sospira scuotendo la testa al pensiero di ciò che l’attende: «I professori ci riempiranno di compiti con la scusa dei G.U.F.O.»

 

 ***

Azkaban, 1985

 

Azkaban è assenza.

Sono quattro gli anni trascorsi tra quelle mura e Rodolphus sente mancare l’aria. Si sveglia tossendo e annaspa alla ricerca di ossigeno come se qualcuno gli tappasse la bocca con un cuscino o lo trascinasse sott’acqua. Forse sono i ricordi delle notti con Bellatrix, quando litigavano e lei lo minacciava di sopprimerlo nel sogno. Non l’ha mai dato a vedere, ma Rodolphus ha smesso di dormire serenamente da quando si è sposato.

Forse sono i ricordi dei giochi da bambini con Rabastan, quando suo fratello gli infilava la testa sott’acqua e contava fino a quanto riusciva a rimanere senz’aria. Sono ricordi, sensazioni che riaffiorano da qualche punto remoto della mente, in modo imprevisto, e gli tolgono l’aria.

È stato male nelle ultime due notti e un Guaritore è giunto dall’infermeria per dargli una pozione che lo aiutasse a riprendere a respirare. La prigione è così, ti spoglia, ti distrugge e lentamente di te resta solo l’assenza.

La libertà la si perde prima ancora di entrare in prigione, quando si viene immobilizzati dagli Auror e privati di bacchetta. Rodolphus osserva la sua mano destra e sente l’assenza di un pezzo di legno in grado di canalizzare il suo potere. È doloroso in un modo che fa male vedersi strappare via la magia. La crudeltà di quel gesto rinnova giorno dopo giorno il suo giuramento alimentando la rabbia nei confronti di un Ministero ipocrita.

«Vogliono costringerci a vivere come i Babbani,» avrebbe detto se non fosse stato sufficientemente lucido da capire che i Babbani erano in ogni caso più liberi di lui. Rodolphus era abituato ad alimentare la sua magia e l’assenza della bacchetta si fa sentire anche a distanza di anni. I primi tempi, in preda alla nostalgia, ha persino provato a impugnare il cucchiaio di legno che accompagna la zuppa che gli servono, ma è inutile, l’ebano della sua bacchetta, attentamente lucidata e il nucleo di corda di cuore di drago non possono essere paragonati ad un cucchiaio di legno della prigione.

Avverte l’assenza nel vuoto che si è creato intorno a lui, assenza di voci, di contatto fisico, chiuso nella cella da giorni, assenza di orientamento su quello scoglio sperduto tra le Ebridi esterne, dove l’influsso delle Arti Oscure è forte e i Dissennatori vivono a lungo nutrendosi della gioia dei detenuti.

Azkaban è assenza di gioia, è giornate di pensieri tristi, di sconforto e rassegnazione che si insinua nella mente e poi nell’anima e suggerisce maliziosa che non c’è nulla da fare, che tutto è perduto e che una vita così non è degna di essere vissuta. La tentazione di cedere a quella voce, chiudere gli occhi per sempre su una vita che, fino a quattro anni prima, poteva anche dire di essersi goduto, è forte e ci sono notti che invidia Evan per essere riuscito a cadere senza farsi sbattere in questo posto dimenticato.

È la fede di Bellatrix che lo tiene in vita, il desiderio, forse la curiosità di sapere se alla fine lui verrà a salvare la sua principessa e libererà tutti loro, o se invece li lascerà marcire perché dopo tutto era umano, troppo umano e ci sono cose che nemmeno l’Oscuro Signore può compiere.

Azkaban è l’assenza di Alexandra è il vuoto che sentiva quando lei partiva per Hogwarts e lui nemmeno poteva salutarla al binario 9 e ¾, è l’assenza di corrispondenza, parzialmente attutita dall’uso di uno specchio gemello, quello che gli hanno portato via, insieme alla bacchetta, quando lo hanno arrestato.

Rodolphus inizia a sentire l’assenza della sua identità: di mago, di Mangiamorte, di marito, di amante. Gli manca l’aria perché stava scomparendo, evaporando come le goccioline d’acqua salmastra che riempiono l’aria. Un giorno di lui non sarebbe rimasto nulla e nemmeno una lettera sarebbe giunta ad Alexandra.

Chissà se l’assenza l’avverte anche chi rimane fuori Azkaban, chi si vede strappato un affetto, e quella persona, da un giorno all’altro, scompare dalla propria esistenza. Vittime collaterali delle azioni commesse da chi finisce ad Azkaban, gli suggeriscono i Dissennatori.

 

 

 ***

Grimmauld Place, Yule 1978

 

«Avanti, dimmelo, chi è?» Regulus la guarda con le braccia conserte e l’espressione seria, l’ha bloccata sul treno, in uno scompartimento vuoto che ha silenziato opportunamente. Alexandra solleva lo sguardo dalla sua rivista di Divinazione e ripete: «Chi?» cerca di scherzarci su e distrarre Regulus, «Eloise? È la tua fidanzata, dovresti saperlo, no?»

«Tu sei cambiata. Hai fatto sesso, con chi?»

«Con nessuno, viviamo praticamente insieme. Te ne saresti accorto in caso contrario.» Solleticare l’ego di Regulus, forse, può aiutarla a fargli abbassare la guardia. Non vuole tornare a Londra con un Regulus sospettoso che avrebbe finito per controllarla. Del resto, l’unico posto in cui può incontrare Rodolphus è proprio Grimmauld Place. Non può sprecare le vacanze per colpa di quel ficcanaso di Regulus.

«Alex, non mentirmi, sono il tuo migliore amico e ti conosco da quando sei nata.»

Alexandra tira fuori l’espressione colpevole e sospira alzando una mano. «Scusa, Reg, non voglio mentirti, ma insomma è abbastanza umiliante sapere che nessuno è interessato a me, vedermi fare il terzo grado perché ho ceduto ai miei impulsi e ho iniziato a conoscere il mio corpo mi sembra francamente eccessivo. Non c’è nessuno, è una relazione tra me e me.»

Le labbra di Regulus si incurvano in un sorriso, uno di quelli ammiccanti, un po’ malizioso. «E, dimmi, ti piace?»

«Direi di sì, se ti sono sembrata così felice da farti pensare che abbia qualcuno.»

«Quindi non c’è nessuno?»

«Nessuno.»

«Se dovesse esserci, me lo diresti?»

«Vorrei tanto potertelo dire,» l’ambiguità di quella frase è un capolavoro di diplomazia. Alexandra non vuole mentire a Regulus, non vuole promettergli qualcosa che non potrebbe mantenere. Non può dirgli di Rodolphus, scoppierebbe il finimondo e non vuole nemmeno coinvolgere Regulus nel mantenimento di un segreto così grosso.

Si sente in colpa, ma ci sono cose che non possono dirsi e, del resto, nemmeno lui le dice tutto. Torna a leggere la sua rivista considerando l’argomento chiuso e osserva Regulus scivolare su un posto e sbloccare la porta. Presto vengono raggiunti da altri compagni di Serpeverde e la conversazione scivola sui programmi per le vacanze natalizie.

Il giorno di Yule, Alexandra è emozionata all’idea di rivedere Rodolphus. Cura il suo aspetto con attenzione, vuole essere bella per lui e solo quel pensiero, immaginare il sorriso di Rodolphus quando si sarebbero trovati da soli, è in grado di scombussolarle lo stomaco.

«Come sei bella!» esclama suo papà non appena la vede, persino Robert e la mamma annuiscono. «Vedrai che questo è l’anno giusto,» le dice la mamma, mentre il papà aggiunge, con un tono che tradisce una punta di gelosia, che non c’è nessuna fretta e che ogni cosa andrà al suo posto al momento giusto. Quello che suo papà non sa, però, è che Alexandra si sente perfettamente al suo posto tra le braccia di Rodolphus.

Così, saluta cordialmente i Black, conversa con Walburga aggiornandola sull’andamento scolastico, sorride alle battute di Orion e saluta gli altri ospiti che conosce. Ci sono molti compagni di Serpeverde, tra cui la sua amica Elizabeth e attende di veder comparire Rodolphus da un momento all’altro.

«Turner, sei cresciuta, sei diventata carina!» La voce di Desmond Avery attira la sua attenzione. Elizabeth solleva le sopracciglia perplessa e scruta Avery scettica: «Dov’è Margareth?» gli domanda accennando alla sua fidanzata. Desmond si lascia andare a una risata divertita: «In Scozia, con la famiglia, oggi sono libero e posso concedermi a qualche fanciulla desiderosa di conoscere l’amore. Allora, Turner cosa ne pensi?»

Alexandra si scambia uno sguardo con Elizabeth ed entrambe scoppiano a ridere.

«Non c’è niente da ridere, Turner, sono serio.»

«No, grazie per il pensiero, ma no,» risponde come se le stesse offrendo del tè.

«Mi risulta che tu non sia fidanzata.»

«Ma tu sì e non sono interessata a far compagnia a qualcuno già impegnato.»

«Ma lei non c’è, potresti fare esperienza, no? Dimmi, Turner, sei vergine, no?» Desmond le blocca ogni via di fuga. È in un angolo, contro una parete del soggiorno mentre intorno a lei, i presenti chiacchierano tra loro. Elizabeth è atterrita. Alexandra è imbarazzata per quel comportamento insolente e oltraggioso, decisamente inappropriato.

«Non sono argomenti appropriati, Avery,» dice cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lei e Desmond. Dove diavolo è finito Regulus? E quel ficcanaso di Robert?

«Tuo fratello e Black sono impegnati,» le sussurra come se avesse letto nella sua mente. «Guarda,» le dice sollevandosi la manica sinistra: il Marchio Nero, lo stesso che compariva sul braccio di Rodolphus, era su quello di Avery.

«Dovrei esserne impressionata?» domanda scettica. Non vuole dimostrarsi spaventata, anche se quella situazione la sta mettendo a disagio e vuole allontanarsi da quel viscido di Avery, così lo spinge via e cerca di allontanarsi, ma Avery le afferra i polsi e blocca ogni tentativo di fuga, costringendola con la schiena contro la parete.

«Lasciami, Avery!» protesta.

«Solo se vieni a divertirti con me,» insiste quel verme.

«Lasciami!» ripete. Persino Elizabeth interviene, posa una mano sulla spalla di Avery: «Lasciala, Desmond, non fare lo sciocco!»

Avery, però, sembra perdere la pazienza per quel rifiuto che non aveva preso in considerazione, si voltò infastidito verso Lizzie e la minacciò: «Fatti gli affari tuoi, Nott!»

«Adesso basta, lasciami, Avery! Abbiamo capito, sei un Mangiamorte cattivo, siamo impressionate! Lasciami e comportati da gentleman.»

«Io non sono un gentleman, sono un soldato e quando voglio una cosa, me la prendo,» le disse avvicinandosi al suo viso. Alexandra tremò, nessuno sembrava prestare attenzione a quanto accadeva, Mulciber, Travers, chiacchieravano con Malfoy e Rosier nascondendoli.

«Lasciala, Avery.» Il tono di voce di Rodolphus era profondamente diverso da quello che era abituata a sentire durante le loro chiacchierate, anche l’espressione sul suo viso non l’aveva mai scorta, era terribilmente serio e minaccioso. Alexandra avrebbe avuto paura al posto di Avery.

«Non ti immischiare, Lestrange,» continuò Avery, «io e la Turner vogliamo solo divertirci.»

«Lasciami, mi fai male!» se non avesse avuto i polsi bloccati, Alexandra avrebbe messo mano alla bacchetta e dato una bella lezione a quel farabutto. Si sentiva impotente con le braccia immobilizzate.

Rodolphus, però, non sembrava intenzionato a lasciar perdere. «Hai sentito la ragazza, Avery? Lasciala andare, non rendere più imbarazzante il due di picche che ti ha rifilato.»

«Non sono affari tuoi, fa la preziosa, ma presto mi supplicherà per averne un po’.» Quel sorriso viscido diede la nausea ad Alexandra, rivolse una supplica muta a Rodolphus, ma lui nemmeno la guardò, sembrava impegnato a controllarsi. Sospirò e scosse la testa con l’espressione di chi non può fare a meno di seguire il proprio impulso, Desmond si era nuovamente voltato verso di lei e le rivolgeva un sorriso lascivo mentre i pollici le accarezzavano i polsi suscitandole solo ribrezzo.

«L’hai voluto tu,» sospirò Rodolphus prima di afferrare Avery per una spalla e ruotarlo fino a farlo finire con le spalle al muro e la bacchetta puntata al collo. La sorpresa e la velocità del gesto fu tale che Desmond istintivamente la liberò e Alexandra si allontanò rapidamente.

«Tuo padre è un gentiluomo, non ti ha insegnato le buone maniere?» domandò Rodolphus, «queste cose risparmiatele per la feccia babbana che frequenti, lascia stare le signorine per bene.»

Alexandra si rifugiò tra le braccia di Elizabeth, il suo sguardo incrociò quello di Regulus per un solo istante in cui lo vide dire sottovoce: «È lui.» Non ebbe il coraggio di affrontare quel discorso, si limitò ad abbassare lo sguardo e raggiungere i suoi genitori.

 

 ***

Azkaban, 1986

 

Decostruzione.

L’ingresso ad Azkaban aveva significato l’inizio un progressivo processo di smantellamento dell’identità. Lentamente, giorno dopo giorno, la prigione lo stava spogliando di ogni certezza che si era stratificata nella sua mente. Aveva trascorso cinque anni tra quelle mura e non ricordava più come fosse essere un uomo libero.

Qual era la sua identità? Chi era Rodolphus Lestrange?

Era cresciuto tra etichette e definizioni: primogenito, Serpeverde, Prefetto, dongiovanni, Mangiamorte, fidanzato, marito, cornuto, amante, imputato, condannato, detenuto. Il passare del tempo aveva mostrato a Rodolphus che quelle definizioni non erano altro che descrizioni sintetiche di circostanze in cui si era trovato ma che non lo definivano, non completamente.

Sentimentale.

Era una definizione che aveva formulato Bellatrix. Sciocco e sentimentale, per l’esattezza, così aveva detto quando si era ingenuamente convinto che tra loro potesse nascere qualcosa che andasse oltre un po’ di affetto, stima reciproca e un’alleanza militare.

Melodrammatico.

Rabastan lo apostrofava in quel modo quando Rodolphus rimarcava i limiti e gli errori del fratello, le delusioni per le aspettative maturate nei confronti di Bellatrix, la sofferenza patita nel vedersi superare da una strega, lui che credeva di essere un mago destinato alla grandezza. Il dolore per non essere mai diventato padre. Melodrammatico, gli rispondeva sempre Rabastan, che ora singhiozzava per il tempo non trascorso a godersi la vita.

Fedele.

Solo l’Oscuro Signore aveva potuto appellarlo in quel modo. Aveva dato tutto alla Causa, compresa la moglie e il futuro della sua famiglia. Era venuto meno ai doveri nei confronti dei Lestrange in cambio di una ricompensa al di là di ogni immaginazione che, tra le barre di Azkaban, stentava a intuire. Forse erano le ricchezze incamerate alla Gringott, i possedimenti strappati ai Babbani, gli investimenti che Felix Rosier faceva fruttare, ma a cosa serviva il denaro quando Rodolphus marciva in una cella ammuffita? Era questa la fede? Il credere – come faceva Bellatrix – che lui sarebbe tornato a salvarli a dispetto degli anni trascorsi invano e di un Marchio Nero che non dava segno?

E poi c’era Alexandra che non l’aveva mai definito perché non ne aveva avuto il tempo o il coraggio o l’occasione. Persino i ricordi di lei si stavano decostruendo, sottoposti allo stesso processo di scomparsa degli strati in cui era sedimentata la sua esperienza e la memoria di lei. Ne ricordava la schiena liscia e la pelle morbida. Era difficile pensare a lei, persino il ricordo della sua schiena gli faceva male, i baci che posava sulla sua spalla e quelli che le strappava. Alcune notti, il rumore del mare gli ricordava l’agitarsi delle lenzuola mescolato al suono della risacca nell’unica fuga d’amore che si erano concessi. L’Oscuro Signore aveva avuto il buongusto di scomparire proprio non appena lei aveva finito Hogwarts. Ricordava ancora lo sguardo di Felix Rosier, il suo difensore, quando lo stavano portando ad Azkaban e gli aveva detto: «Credevo che ci saremmo rivisti in ben altre circostanze.»

 

***

 

Hogsmeade, marzo 1979

 

Alexandra corre avvolta nella sua mantella di lana scura con una sciarpa di cachemire verde. Il fine settimana a Hogsmeade non è fatto per l’uniforme scolastica e quella gita, poi, è particolarmente importante.

Il cuore batte d’impazienza mentre sale sulla carrozza. Regulus non le rivolge la parola da Natale e non ha compreso se lui si senta tradito o se semplicemente ha altro a cui pensare. In quel momento, però, c’è Rodolphus che le riempie il cuore e che l’attende in una stanza noleggiata da Madama Rosmerta.

Bisogna essere cauti per non farsi vedere dai soliti impiccioni e Alexandra attende che il pub sia affollato prima di prendere le scale e finire al piano di sopra. La stanza 103 si presenta con una porta color ciliegio e il numero inciso su una mattonella di ceramica decorata con fiori dal sapore kitsch. Non è lì in vacanza, si ripete, la mano trema leggermente mentre le dita si serrano sulla maniglia e scatta in avanti.

La prima cosa che vede – e subito il respiro si sospende – sono gli occhi neri di Rodolphus, poi, il sorriso che si allarga sul suo viso. Il cuore le batte forte – Salazar, quanto le è mancato! – corre da lui, getta le braccia intorno alla vita di lui e lo stringe in un abbraccio che sa di nostalgia. Basta un incantesimo non verbale per bloccare la porta e un altro per silenziare la stanza, «Così nessuno ci potrà spiare,» le sussurra Rodolphus.

Si solleva sulle punte per arrivare alle sue labbra e sentire di nuovo i baci di lui sulla sua pelle. Il suo corpo le dice che non sono abbastanza vicini, che c’è ancora troppa distanza, una piccola intercapedine d’aria tra l’inizio dei suoi seni e il petto di lui, ci sono i vestiti, pesanti, inutili, intollerabili, che sembrano ricordare la terribile distanza che li ha separati fino a quel momento costringendoli a notti malinconiche davanti una coppia di specchi gemelli e giochi erotici che non sono mai la stessa cosa.

Le dita di Rodolphus stringono la presa intorno alla sua vita, annullano lo spazio, salgono a reclamare il contatto con la pelle e le sfilano gli strati di abiti, uno dopo l’altro. La mantella è la prima a cadere, seguita dal cardigan di lana, la veste da strega, poi la sottoveste e quindi la lingerie. Trovarsi nudi, finire sul letto è un bisogno impellente dopo mesi di separazione e un incontro che è stato guastato dall’oltraggio di Avery. In quei momenti non ci sono parole, c’è solo la nostalgia che è troppa e il bisogno di unirsi che sa di urgenza. Le loro bocche sono troppo impegnate a riverire il corpo dell’altro a lasciare segni che non sono parole per potersi perdere in chiacchiere che vadano oltre la manifestazione impellente del desiderio. «Sei bellissima,» sussurra Rodolphus prima di entrare dentro di lei. Alexandra trema e si morde le labbra, ricaccia indietro le parole che vorrebbe dire e che teme le possano scappare. È innamorata, lo ha chiarissimo da mesi, forse dalla prima volta in cui le loro mani si sono sfiorate su una pagina di poesia, ma non può, non vuole dirlo. Ha paura di essere lasciata se Rodolphus dovesse scoprire quanto lei si è innamorata di lui, allora minimizza, scherza, gioca, finge che sia solo questione di attrazione, un passatempo per stare bene insieme, il bisogno di un’iniziazione sessuale.

Più passa il tempo, però, meno reggono quelle scuse. Rodolphus affonda dentro di lei, la cerca con i suoi occhi scuri, lascia segni sul suo corpo con la barba che la fanno tremare. Rodolphus la chiama per nome mentre raggiunge l’orgasmo, a volte si lascia andare solo ai complimenti durante i preliminari e il suo nome alla fine. Non parla molto e questo rende ogni parola preziosa perché Alexandra ha compreso che se Rodolphus parla, non lo fa mai per caso, e allora anche lei ha iniziato a tacere, a riflettere sulle parole, a controllarle, imbrigliarle e tenerle dentro di lei, anche se scoppiano come bolle di sapone e finiscono per renderla troppo emotiva.

Scoppia a piangere dopo aver raggiunto l’orgasmo, mentre è tra le braccia di Rodolphus e lui le accarezza la schiena e lei pensa solo che vorrebbe passare tutta la vita in quel modo. Quel pensiero la distrugge di fronte la consapevolezza che è una pura utopia. Rodolphus la osserva preoccupato, sembra non comprendere le ragioni di quel pianto e nemmeno Alexandra le comprende fino in fondo, sa solo che sta rovinando tutto, un’altra volta, a causa della sua emotività. Allora finisce per chiedere scusa, continuamente, confondendo ancora di più Rodolphus.

«È colpa mia, vero?» le domanda preoccupato. Alexandra scuote la testa e aspira dal naso. «No, tu sei perfetto.»

«È successo qualcosa, allora? Qualcuno ti ha dato noia?» le domanda preoccupato. L’esperienza con Avery deve aver scosso anche lui. «Devo andare lì e dire di lasciar stare la mia ragazza?» I sorrisi si fermano di fronte quell’espressione. Il cuore di Alexandra accelera il battito e domanda cauta: «La tua ragazza?»

Rodolphus alza gli occhi verso il soffitto e scuote leggermente la testa in un cenno incerto: «Non nel senso più tradizionale del termine, ma sì, sei la mia ragazza, Alex.» La osserva un po’ scettico e domanda lasciando trapelare un po’ di insicurezza: «Non avrai mica qualcun altro?»

Si deve mordere il labbro per non confessargli che no, non c’è nessuno perché lo ama in un modo in cui non credeva possibile amare, che le riempie il corpo e la mente e rende la sua anima leggera. Si limita a scuotere la testa con la paura di sembrare un’ingenua o una che si sta accontentando di un sogno, ma Rodolphus sembra sollevato dal sapere di essere l’unico e non chiede oltre.

Torna a Hogwarts scossa da quell’incontro. È felice e vuole piangere allo stesso tempo perché se una parte di lei è al settimo cielo perché lui la vuole tutta per sé, la definisce la sua ragazza, beh, c’è un’altra parte che è fin troppo consapevole che la cosa non è reciproca, che lui non sarà mai il suo ragazzo e accanto a lei ci sarà sempre uno spazio lasciato vuoto perché lui lo occupi quando può.

Non sa se è la vita che vuole, sa solo che Rodolphus è una droga di cui non può fare a meno.

 

***

 

Azkaban 1987

 

Gli anni scorrono inesorabilmente lenti quando sei rinchiuso in una cella senza la prospettiva di uscire. Rodolphus si domanda se sia così la vita dopo la morte, se questa sia vita o un purgatorio per espiare i peccati commessi in vita.

Se chiude gli occhi si augura che la morte sia il nulla eterno e più volte in quegli anni è stato portato a pensare che forse sarebbe meglio superare il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti senza guardarsi più indietro.

Ciò che lo tiene incollato alla vita, al di là dell’istinto di sopravvivenza, è la curiosità di sapere come andrà a finire. Forse marcirà sul serio ad Azkaban e quella vita sarà solo tempo consumato inutilmente, sofferenze accumulate che si sono stratificate fino a cancellargli la memoria di ciò che era fuori.

Fino a cancellare il ricordo dell’esistenza di un fuori. Arriverà un giorno, si dice Rodolphus, in cui il tempo trascorso ad Azkaban supererà quello trascorso fuori. Fa un patto con sé stesso e si promette che quello sarà il giorno in cui la farà finita. La mente corre rapida a far di conto: è entrato a trentun anni, ne ha trascorsi sei tra quelle mura, ha ben venticinque anni di sofferenza davanti.

Un conato di vomito gli parte dal suo interno, si china, rimette, trema quando i Dissennatori passano dalla sua cella. Barcolla mentre cerca di tornare al suo giaciglio per rannicchiarsi. Venticinque anni è più di quattro volte il tempo che ha trascorso finora. È convinto che finirà per trasformarsi in un Dissennatore che nessuno ha mai visto come sono nate le guardie di Azkaban, cosa generi quelle creature e persino lui che era un Mago Oscuro non se l’è mai chiesto. Forse sono i prigionieri che finiscono per assimilare così a fondo la prigione, per stratificare quel sistema di dolore e angoscia anno dopo anno nella loro coscienza fino a farla diventare la loro identità e allora, in quel momento, nasce un Dissennatore.

L’anima muore e il corpo vive e ha costantemente bisogno di anime per nutrirsi, di gioia, di speranze perché Azkaban gli ha strappato tutto ed è rimasto solo il vuoto e il bisogno disperato di riempirlo.

Sospira e nemmeno ricorda più cosa significhi essere pieno. Lui che era abituato ad abbondare con il vino e i formaggi francesi. Darebbe qualsiasi cosa per un pezzo di roquefort come si deve, si accontenterebbe del camembert e persino del brie pur di sentire di nuovo lo stomaco pieno. Il ricordo del cibo genera un piacere che attira i Dissennatori e l’appetito è la prima cosa che perdi tra quelle pareti.

Tutti gli appetiti scompaiono ad Azkaban ed è un po’ come morire per chi amava soddisfarli e considerava la sua vita sufficientemente piena. Solo il suo matrimonio era vuoto.

 

 ***

Grimmauld Place, giugno 1979

 

Lo sguardo di Regulus è assente in quei giorni, Alexandra prova più volte a riallacciare il loro rapporto, a cercare un contatto. Lo ha studiato tra le pareti della sala comune, ha notato come si sia incupito man mano che la primavera lasciava il posto all’estate, quasi che l’inverno l’avesse assorbito lui per intero.

«Parlami, Reg.»

«Vorrei tanto potertelo dire.» Si guardano a lungo, in silenzio, perché in quelle parole Regulus le confessa che sì, ha capito tutto perfettamente della sua situazione e che lui è in una situazione altrettanto delicata e non può condividere il peso di quel segreto con lei. Non sono mai servite troppe spiegazioni tra loro che sono cresciuti imparando a leggere silenzi e decifrare frasi apparentemente frivole. Alexandra annuisce, intorno a loro c’è l’arazzo dei Black, la bruciatura di Sirius sulla tappezzeria è il punto che stava fissando Regulus quando lei è entrata.

«Sono anni che mi chiedo come sia baciarti,» le confessa, Alexandra si domanda se voglia spostare la conversazione su un altro piano per confonderla, ma c’è un fondo di tristezza nel grigio dei suoi occhi che le ricorda i tempi in cui Orion annunciava che sarebbero finiti in punizione, come se qualcosa di inevitabile stesse per cambiare tutto. Regulus ha il suo stesso sguardo quando immagina cosa accadrebbe se si sapesse di lei e Rodolphus. Così, Alexandra non ci pensa due volte, si solleva sulle punte dei piedi, appoggia le mani ai fianchi di Regulus e posa le labbra su quelle del suo amico. In un primo istante lui ne è sorpreso, ma le labbra rispondono al suo bacio, lo assaporano, si muovono lentamente, indugiano sul labbro inferiore mentre le braccia di lui le circondano le spalle e la sorreggono. Si china verso di lei quando perde lo slancio e i piedi tornano per terra. Alla fine del bacio si sorridono.

«Adesso lo sai,» risponde Alexandra con un sorriso. Regulus sospira: «Qui si vede proprio la differenza, è riuscito a vedere quello che noi ragazzini non vedevamo.»

«Lo dice sempre anche lui.»

La conversazione viene bruscamente interrotta da Walburga che li sorprende a parlare davanti l’arazzo e inscena un interrogatorio sul perché siano in quella stanza e perché proprio davanti la bruciatura di Sirius. Alexandra non lo sa, finge di non essersi accorta di dove si è fermata e che stavano semplicemente chiacchierando, Regulus l’asseconda ma lo sguardo torna a incupirsi e poco dopo si congeda da entrambe.

Sono i giorni dei preparativi in vista del trasloco estivo nella casa di Druella e Cygnus. Walburga chiede l’aiuto di Alexandra per organizzare il guardaroba e la coinvolge con il suo lungo elenco di cose da fare. «Ti sarà utile quando dovrai assicurarti di chiudere casa. Almeno non andrai alla cieca. Tua madre preferirebbe morire piuttosto che separarsi da Diagon Alley.»

«O dal San Mungo,» aggiunge Alexandra. Ridacchiano entrambe e la complicità che c’è tra lei e Walburga è preziosa e non vorrebbe mai rovinarla.

Poco prima dell’ora di cena i suoi genitori e Robert la raggiungono dopo il turno al San Mungo e Walburga insiste per averli ospiti. È di Regulus che non si hanno notizie da quando si sono salutati nella stanza dell’arazzo. Lo cercano per tutta casa ed è quando Orion ordina a Kreacher di materializzarsi immediatamente che apprendono la verità. Gli occhi grigi di Regulus, la sua tristezza, il non parlare e quel senso di ineluttabilità erano segnali che non aveva saputo decifrare. La testa gira, come se il mondo la stesse risucchiando in un baratro oscuro e l’ultimo ricordo che ha prima del buio sono le labbra di Regulus.

Il giorno del funerale è sorretta da Robert, si aggrappa al braccio del fratello e lo implora di non lasciarla, altrimenti rischia di sprofondare di nuovo. Da lontano scorge Rodolphus porgere le condoglianze a Walburga e Orion e il suo sguardo si riempie di dolore quando i loro occhi si incontrano e lui non può in nessun modo confortarla. Devono attendere alcuni giorni, il tempo che sua madre le dica di reagire e la spinga a cercare un po’ di distrazione tra le vie di Diagon Alley. È una strategia messa a fuoco durante le notti, tra lacrime di dolore e di nostalgia, in cui Alexandra sente il bisogno impellente di trovare conforto nell’abbraccio di Rodolphus e lui sente il peso della distanza.

Il giorno dell’appuntamento, in uno dei vicoli che uniscono Diagon Alley a Notturn Alley, trova Rodolphus ad attenderla con aria preoccupata. «Quanto tempo abbiamo?» le domanda impaziente.

Alexandra gli mostra la Giratempo che il professor Lumacorno ha dimenticato di riprendere in custodia – abbassano sempre le difese quando sei una studentessa modello – e risponde: «Ho dato tre giri.»

«Allora è meglio andare via di qua,» le dice Rodolphus offrendole il braccio. La campagna intorno a loro è diversa da quella del Wiltshire, l’aria è più fresca e l’erica intorno a loro urla brughiera. «È un vecchio cottage di famiglia in cui mio padre portava me e Rabastan quando dovevamo esercitarci su incantesimi che la mamma non avrebbe approvato,» le spiega. «Non ci disturberà nessuno.»

Alexandra pensa che è così lontana da tutto che potrebbe fare la stessa fine di Regulus. Potrebbe morire in quell’istante e nessuno saprebbe cosa le è accaduto, il peso di quel segreto sembra mostrarsi per la prima volta in tutte le sue concrete implicazioni. Le braccia di Rodolphus, però, sono un porto sicuro e lei sa che non le accadrà nulla di male. Si lascia andare a un pianto liberatorio, si fa accarezzare e persino lui le dice che non sa nulla, che Bellatrix è sconvolta e che nemmeno l’Oscuro Signore sa in quali circostanze sia morto Regulus.

«Quando ti ho vista al funerale, avrei voluto stringerti. Alex, non sai quanto mi pesi questa situazione. Io non credevo che sarebbe durata tanto a lungo.»

«Non c’è alternativa, almeno per il momento. Il prossimo anno diventerò maggiorenne e finita Hogwarts sarò ancora più libera.»

«Se non arriva un fidanzato.»

«Non ci sarà nessun fidanzato. Sono la tua ragazza, dopo tutto.»

Rodolphus la stringe ancora più forte: «Alex, tu non meriti questo, meriti un compagno che ti stia vicino nel lutto.» Alexandra sente un singhiozzo che le sfugge e domanda con la voce rotta dal pianto: «A cosa mi serve se non sei tu?»

 

 

 

 

 

 

 


Note:

 

Questa storia è stata ispirata da due contest. La struttura della storia deriva dal contest di Futeki “Prompt stilistici e figure retoriche” e quando Futeki ha pubblicato l’elenco dei pacchetti con i prompt, sono stata attratta da questo:

4. La storia deve svolgersi su due piani temporali diversi (uno precedente all’altro) che a un certo punto si incontrano: la linea temporale “precedente” deve necessariamente raggiungere l’altra, concludendosi nel momento in cui arriva a narrare l’inizio della linea temporale “successiva”. Quest’ultima può interrompersi nello stesso momento, o procedere brevemente dopo il ricongiungimento. Attenzione a non rendere una delle due linee temporali subordinata rispetto all’altra: il rischio è quello di scrivere di una linea narrativa principale e di una secondaria basata su flashback o flashforward, mentre l’obiettivo del prompt è quello di definire due linee narrative in tempi diversi che siano assolutamente bilanciate. (Molti esempi di questa tipologia di narrazione sono dati da serie tv come “Le regole del delitto perfetto” o “The Wilds”.)

 

Buona parte della storia, soprattutto il primo capitolo è stato ispirato dal pacchetto che avevo scelto:

9. La storia deve contenere una o più parole, espressioni o frasi in lingua straniera. L’utilizzo della lingua straniera deve essere motivato da una necessità (parole o espressioni intraducibili senza perderne il significato, personaggio di origini straniere, ecc.) e tale inserimento deve essere rilevante per la storia (perché riguarda un tema portante, perché caratterizza un personaggio definendone una peculiarità, o altro).

 

La trama della storia in generale, invece, è stata ispirata dal contest “A ogni libro una storia” di BellaBlack dove mi era uscito il pacchetto con l’age-gap!

In entrambi i casi, i giudici non accettavano storie con OC, così ho dovuto presentare altre due storie. Tuttavia, ho approfittato del mio decennale su EFP per regalarmi questa storia che è stata sfidante per la struttura e lo stile narrativo. Non uso mai i piani temporali alterati e tantomeno la narrazione al presente, ma ho voluto sperimentare. Se siete arrivati fin qui, e volete darmi un feedback vi leggo volentieri.

Un abbraccio,

Sev

   
 
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