Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Eevaa    15/09/2021    4 recensioni
«E sai cosa? Non vedo l'ora di visitare Roma, Venezia e Firenze» trillò lei, con aria sognante.
«Non eri già stata a Roma con la tua famiglia, da piccola?»
«La Roma Babbana» specificò Hermione, con una certa ovvietà. «Non hai idea della Comunità Magica del Vaticano. Affascinante, dai tempi degli antichi romani fino al romanticismo. Ma prima vorrei fare un salto a Recanati a visitare la casa di Leopardi. Tu lo sapevi che era un Magonò? Harry!?»
Ma Harry non la stava più ascoltando dallo sproloquio sul Vaticano, troppo distratto da una figura conosciuta a pochi metri di distanza.

• Quando Harry aveva ricevuto l'invito ufficiale al banchetto di inaugurazione del nuovo impianto collaborativo tra il ministero italiano e quello britannico, non ne era rimasto affatto stupito. Non avrebbe potuto affatto immaginare che, proprio lì, avrebbe assistito all'apparizione di un fantasma di una persona praticamente morta dodici anni prima. •
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Vari personaggi | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Agrifoglio e Biancospino - La Serie'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.



- AGRIFOGLIO e BIANCOSPINO -


Capitolo 3
La bacchetta di biancospino

 
 


«Davvero affascinante».
Harry strinse le labbra e mosse passi lenti sul terreno sconnesso delle catacombe. La loro visita guidata alla Necropoli Vaticana stava perdurando da oramai due ore e, in tutta onestà, non ne poteva più di sentir farneticare la guida magica che spiegava loro aneddoti segreti dei quali i Babbani non erano a conoscenza.
«Io inizio a trovare tutto parecchio ridondante» ammise Harry, sbuffando alla vista dell'ennesimo mausoleo diroccato uguale ai precedenti.
«Perché mai?» sussurrò Hermione, mentre la guida del tour privato continuava a raccontare dettagli a un altro gruppo di maghi in visita alla città.
«Oh, forse perché sono due ore che guardiamo solo tombe». Non che le tombe gli facessero impressione. Una volta un grande mago gli aveva insegnato a non aver paura dei morti, ma dei vivi. E di quelli che vivono senza amore.
«Harry, ma non annusi il profumo della cultura e dell'antichità qui sotto?!» borbottò interdetta Hermione.
«Io sento solo puzza di decomposizione» ridacchiò Harry, guadagnandosi una gomitata nelle costole. Sembrava fossero tornati ai tempi della scuola.

In realtà era stato tutto molto interessante all'inizio ma, dopo aver trascorso più di mezza giornata ad apprendere concetti e camminare, tutto ciò che avrebbe voluto assimilare sarebbe stato un aperitivo in Piazza di Spagna. Era in quei momenti che sentiva la mancanza di Ron.
Harry sbadigliò dentro il palmo della mano, ben attento a non farsi vedere da Hermione, poi la seguì fino all'arco di una nuova stanza che – ci avrebbe scommesso – sarebbe stata piena di tombe. Ma, prima ancora di potercisi addentrare, un forte rumore li colse alle spalle.
Un'esplosione, un gran polverone, incantesimi non conosciuti pronunciati sottovoce. Uno di questi gli sfiorò la spalla. Non fece in tempo a estrarre la bacchetta, un incantesimo lo fece sobbalzare in avanti contro il muro. Il rombo di un crollo.
Poi, d'improvviso, tutto si fece buio.


 


Un forte dolore sul volto lo fece urlare, ma dalla sua bocca uscì un sibilo ovattato e polvere.
«Me sente? Signor Potter, me sente?»
In mezzo all'acuto ronzio nelle sue orecchie avvertì delle parole in inglese mal pronunciato. Provò ad aprire gli occhi, la luce era bianca e fastidiosa, le figure poco nitide - e non solo perché con tutta probabilità non aveva gli occhiali.
«Signor Potter?»
«Ngh» grugnì Harry, portandosi una mano sulla fronte. La testa gli pulsava e in bocca poteva percepire il sapore ferroso di sangue misto a polvere. Quantomeno il dolore sul volto era passato, probabilmente qualcuno gli aveva appena aggiustato il naso con un incantesimo.
Si ricordò in quel momento di cosa fosse accaduto e, dopo aver spalancato gli occhi, si tirò a sedere di scatto. Tra nuove vertigini mani gentili lo sostennero.
«Reparo» mormorò la voce, e le stesse mani gentili lo aiutarono a inforcare gli occhiali.
Ci impiegò qualche secondo per mettere meglio a fuoco e capire dove si trovasse.
Quel posto era pieno di Guaritori – vestiti in modo differente da quelli del San Mungo, con lunghi camici giallo girasole e cuffie dello stesso colore – tutti indaffarati a trattare pazienti impolverati almeno quanto lui.
«Se sente mellio, signor Potter?» domandò la Guaritrice che lo stava aiutando, una ragazza dai capelli rossi ricci e due occhi castano scuro.
Harry si guardò intorno nel panico alla ricerca di un volto noto che non trovò in mezzo alla folla di persone infortunate.
«Hermione! Dov'è Hermione?» domandò, tentando di alzarsi tra qualche tremore. Le mani della Guaritrice lo afferrarono nel tentativo di tenerlo fermo.
«Devo controllare testa, signor Potter!» lo ammonì, ma Harry si divincolò con il cuore a mille.
«Chissenefrega della mia testa! Dov'è Hermione? Hermione Granger, il Viceministro britannico!»
La Guaritrice in camicie giallo sospirò arrendevole, poi indicò una porta oltre la sala gremita di gente.
«Reparto Maternità per bambino, per de là» disse lei.

Harry sussultò, poi a fatica caracollò verso la porta indicata su per le scale. L'ospedale era grande, tutto sui colori del beige e del giallo, i cartelli delle indicazioni scritti solo in italiano. Harry corse per i corridoi alla ricerca del reparto indicato con scarso successo, con il dolore pulsante alla base del cranio e la voglia di vomitare,
Ma, quando finalmente trovò l'area dedicata, tirò un sospiro di sollievo nel vedere Hermione in una stanza illuminata dal tramonto, seduta su un letto pieno di cuscini e con una tazza fumante in mano.
«HARRY! Grazie a Merlino!» urlò, nel vederlo entrare di corsa. Quasi rovesciò la sua bevanda dall'agitazione nell'appoggiarla sul tavolo.
«Hermione!» soffiò lui, prendendole le mani. «Dimmi che stai bene!»
«Sto bene... sto bene...» farfugliò lei, tremante. Aveva un taglio vistoso ricoperto di dittamo sulla fronte, i capelli pieni di fuliggine e gli occhi rossi.
Un dubbio tremendo si instillò nella testa di Harry. «I-il bambino?»
Hermione sospirò. «Ora... sembra stare bene, ma devono tenermi in osservazione qualche giorno, per scongiurare un... un aborto» concluse, affranta.
Harry si passò una mano tra i capelli, agitato. Sapeva che Hermione si sarebbe sentita in colpa da lì all'eternità se fosse successo qualcosa al bambino. Lui e Ron gliel'avevano detto più volte che nelle sue condizioni avrebbe dovuto strapazzarsi il meno possibile in quei primi mesi. Ma chi avrebbe potuto prevedere un risvolto del genere? Certo, loro erano personaggi di spicco, ma i rischi di incappare in un attentato erano oramai nulli, a dodici anni dalla Guerra. Le prese di nuovo la mano e tentò di rassicurarla. Non c'era ragione di sentirsi in colpa.
«Non temere, andrà tutto bene. È un Granger-Weasley del resto!» sorrise per nascondere l'apprensione.
Hermione storse le labbra e alzò le spalle, non troppo rincuorata.
«Harry, tu hai saputo cosa diavolo è successo? Appena è calato il polverone gli Auror ci hanno Smaterializzati tutti qui, tu eri svenuto, non ci hanno detto nulla e sono spariti di nuovo».

Quella era senza dubbio una buona domanda. Non ricordava nulla, solo un forte boato e un'esplosione, polvere ovunque e grida. Senz'altro era stato un attentato. Ce n'erano stati alcuni dopo la Guerra: Harry, Ron e Hermione avevano vissuto sotto scorta per tre anni, ma piano piano i maghi oscuri e fanatici erano stati accerchiati e messi in prigione. Perché mai dopo dodici anni qualcuno avrebbe voluto attaccarli? Con che movente? L'accordo con il Ministero della Magia Italiano era stato raggiunto dopo molte trattative, ma si trattava di uno scambio internazionale pacifista. Forse a qualcuno non era piaciuto il fatto di condividere i segreti delle arti magiche italiane. Ma in quel caso, allora, il destinatario dell'attentato non avrebbe dovuto essere lui, bensì Shacklebolt o Hermione. E se fosse stato un attacco mirato proprio a lei?
Avrebbe dovuto scoprire di più.

«No... appena mi sono svegliato sono corso da te» asserì Harry, destandosi dai propri pensieri. «Adesso vado ad avvertire Ron e fargli creare una Passaporta Internazionale. Non appena sarà qui andrò a indagare su questo fatto».
Hermione lo guardò preoccupata.
«Harry... prima fatti curare da un Guaritore, non hai un bell'aspetto».
E in effetti non aveva tutti i torti, a giudicare da quel dolore alla base del cranio e le costanti vertigini. Prima di fare qualsiasi cosa, forse avrebbe dovuto passare dall'Accettazione. Ma, giusto per non far preoccupare ancor di più Hermione, le elargì un sorriso affabile.
«Lo prendo come un complimento, Viceministro».


 


Ci volle più di mezz'ora per farsi sistemare la testa – e ignorare le raccomandazioni di riposo assoluto per almeno un giorno –, un'altra ora per riuscire a portare le chiappe agitate di Ron in Italia con una Passaporta e ben mezz'ora per spiegare a lui l'accaduto e costringerlo a tornare di un colore decente prima di entrare in stanza di Hermione. Tutta quell'ansia e agitazione non le avrebbero fatto bene.
Dopo essersi assicurato che Ron rispettasse il suo nuovo decalogo per assistere una moglie incinta in ospedale, Harry si precipitò al piano inferiore, ove aveva scorto un gran fermento di Auror.
Tra tutto il vociare in lingua italiana, però, Harry non capì assolutamente niente di quello che stesse accadendo. Finalmente, dopo parecchi minuti di eterno vagare senza risultato, in fondo alla sala dell'Accettazione apparve come un miraggio il capo degli Auror Ambrosia Verbena. Era una donna giovane di media statura, dalla pelle nera e con dei cornrows lunghi e intrecciati fino a metà schiena. Indubbiamente bella, sebbene avesse l'aspetto di chi non sorridesse mai nemmeno con il solletico sotto i piedi.

«Auror Potter, che sollievo saperla in buone condizioni!» lo accolse lei, insieme alla sua scorta personale di altri cinque Auror. Le loro divise erano leggermente diverse da quelle tipiche britanniche, un poco più sfarzose, di un tessuto pregiato verde scuro.
«La ringrazio. Posso essere ragguagliato sulle notizie?»
Lei annuì sull'attenti.
«Il bilancio è di due persone in condizioni gravi ma fuori pericolo, tredici feriti lievi tra i quali lei e il Viceministro Granger. Nessun deceduto. Stiamo cercando di capire il movente dell'attentato, ma non è chiaro. Abbiamo già provveduto a sistemare e obliviare le Guardie Babbane» spiegò Verbena poi, estraendo un sacchetto di lino dalla giacca verde scuro, ci frugò dentro per estrarne un oggetto. «Gli Auror hanno appena finito di supervisionare il luogo dell'attentato. Poco lontano dall'uscita abbiamo trovato questa» spiegò, mostrando finalmente il contenuto del sacchetto.
Harry dovette lottare contro i suoi muscoli facciali per rimanere impassibile. Si avvicinò di più per controllare di aver visto bene. Nonostante il trauma cranico e la miopia sempre più galoppante, era certo di non aver preso alcun abbaglio: una bacchetta di biancospino.

«L'analisi veloce sugli ultimi incantesimi corrisponde alla magia oscura utilizzata per l'attentato e una Bombarda. Se tanto mi da tanto l'attentatore l'ha persa cercando di fuggire, questo significa che è uscito dalle catacombe a piedi senza Smaterializzarsi, ma ci vorranno alcune ore per accedere ai filmati delle telecamere di sicurezza Babbane per scoprire di più e avere un identikit verosimile» terminò di spiegare lei.
Harry chiese il tacito permesso di analizzare la bacchetta e, una volta presa tra le mani, non ebbe alcun dubbio: si trattava della bacchetta che Malfoy gli aveva dato due giorni prima per trasformare il fermacarte. Non la sua, ma quella simile. Dieci pollici, biancospino e crine di unicorno, venature nere sul manico e sul corpo, abbastanza flessibile.
Quella bacchetta due giorni prima si trovava tra le mani di Draco Malfoy. E poche ore prima era stata usata per fare un attentato. Il primo pensiero fu difficile da ingoiare, Harry si costrinse a procedere verso nuove ipotesi. Che qualcuno l'avesse comprata nelle ultime ore? Quali erano le probabilità?
Una cosa era certa: le indagini sarebbero dovute proseguire attraverso una sola pista.

«Sono certo che questa bacchetta provenga dal Fabbricante di Ponte Vecchio. Forse lui saprà dirci a chi appartiene» disse Harry, le parole gli uscirono più gracchiate del previsto a causa di quel nodo alla gola che avrebbe faticato a districare.
Verbena sollevò le sopracciglia in ammirazione. Non tutti riuscivano a comprendere la provenienza delle bacchette a prima vista, servivano persone esperte per le analisi approfondite. Ma lui quella bacchetta l'aveva tenuta tra le mani due giorni prima, era certo di non sbagliarsi.
«Auror Potter, se le sue condizioni di salute lo permettono, sarebbe così gentile da aiutarci con le indagini?» domandò quindi Verbena, pragmatica.
Non era affatto una questione di gentilezza: Harry sarebbe stato disposto a fare fuoco e fiamme per scoprire cosa diamine fosse successo. Era appena stato vittima di un attentato compiuto con una bacchetta dalle origini compromettenti che aveva prodotto Malfoy. Lui doveva scoprire cosa fosse accaduto, senza se e senza ma. Poco importava se fosse in vacanza, poco importava se non fosse nel suo settore di indagine, poco importava se fosse vestito in borghese e impolverato da testa a piedi. Doveva parlare con Malfoy, e doveva farlo subito.
«Certamente. Partiamo anche adesso» azzardò quindi Harry.
Verbena annuì sull'attenti, richiamando poi all'ordine gli altri cinque Auror della squadra attorno a sé.
«Bene» rispose e, secca, impugnò la sua bacchetta per appellare una divisa pulita della taglia di Harry. Se non altro non sarebbe stato in borghese. «Si va a Firenze».


 


Il sole stava tramontando su Ponte Vecchio. L'atmosfera magica e il colore croccante della luce però non gli alleviarono la sensazione di peso sul petto.
Quando suonarono il campanello del negozio, scoprirono che fosse il giorno di chiusura. Dovettero salire gli scalini sul retro e cercarlo direttamente in casa sua – e così Harry scoprì anche dove risiedeva Malfoy.
Quando egli aprì il portoncino blu sul balcone che dava sull'Arno, Harry riuscì anche a intravedere l'interno. Sembrava un posto piccolo ma curato, un appartamentino diroccato appena sopra il negozio. Davvero un Malfoy – abituato alle sontuosità di una tenuta aristocratica del Wiltshire – era riuscito ad adattarsi a un luogo così semplice?
«Ma guarda un po', Potter... alla fine la scorta l'hai portata davvero!» fu la prima cosa che Draco ebbe da dire quando si ritrovò i sette Auror affacciati alla porta di casa. Nonostante la sfacciataggine, il suo volto tradì un'espressione di sorpresa.
«Buonasera, signor Malfoy».
«Buonasera, Auror Verbena» rispose, affabile. «Ho saputo proprio ora l'accaduto dalle notizie in radio. Proprio vero che dove c'è Potter iniziano i guai» continuò, poi puntò gli occhi su Harry e il suo tono divenne immediatamente più pungente «O sei tu che vai a cercarli?»
Harry ignorò l'aspettata provocazione e decise immediatamente di passare alle cose pratiche. Estrasse il sacchetto di lino dal completo e ne svelò il contenuto.
«Malfoy, ci serve sapere a chi è stata venduta questa bacchetta».
Il volto di Draco perse immediatamente l'aria pungente, quella sorpresa e persino quella affabile. E, se possibile, divenne ancor più pallido di quanto non fosse.
«Cos... quella... quella bacchetta non è stata venduta» soffiò, in evidente stato di confusione. Con gesti frenetici afferrò le chiavi del negozio da un gancio oltre la porta e, sorpassando i sette Auror, scese in fretta e furia gli scalini esterni che conducevano al negozio.

Lo seguirono senza fiatare fin dentro l'archivio, osservando i suoi movimenti scattanti, quasi compulsivi. Lo guardarono mettere a soqquadro gli scaffali in lungo e in largo farneticando imprecazioni non consone al linguaggio aristocratico.
«Non ho mai venduto quella bacchetta. Dovrebbe essere qui... ma...» borbottò, ancora fin troppo pallido.
«Qualcuno gliel'ha rubata, signor Malfoy?» intervenne Verbena, con voce calma.
«Improbabile, ma... a questo punto, possibile» soffiò Draco, controllando la serratura del negozio della porta principale e quella sul retro. Nessuna sembrava essere stata aperta, sulle finestre c'era un sottile strato di polvere, un paio di ragnatele e una falena incastrata in una di esse. Nessun segno di essere state scassinate.
«Da quanto pensa che la bacchetta manchi all'archivio?» domandò di nuovo Verbena, mentre gli altri Auror si apprestavano a controllare il perimetro dell'edificio.
«A dire il vero... sono certo che fino all'altro ieri quella bacchetta era qui» rispose sinceramente, poi gli occhi di Draco scattarono su Harry, interrogativi. «Non so come sia finita altrove, sono certo di averla rimessa a posto due giorni fa! Dove l'avete trovata?»
Sembrava profondamente confuso e, se era vero che Malfoy negli ultimi due loro incontri fosse stato parecchio indecifrabile, in quel momento gli studi psicologici di Harry lo portavano a pensare che non stesse fingendo o esasperando una reazione.

«Signor Malfoy, è vero che lei e il signor Potter non siete in buoni rapporti?» domandò però Verbena.
Harry spalancò gli occhi e volse il suo sguardo alla collega, interdetto. E, ovviamente, Malfoy diede voce ai suoi taciti pensieri.
«E questo cosa diavolo c'entra?» sibilò.
Per l'appunto. Perché diavolo Verbena stava ponendo una domanda simile? Stava... stava davvero sospettando che fosse stato Malfoy a compiere l'attentato? Stava procedendo ad un accusa velata senza alcuna prova?
Certo, Harry non poteva affatto nascondere che il primo pensiero vedendo quella bacchetta fosse ricaduto proprio lì, ma... che motivo poteva avere avuto Draco per compiere un attentato nei suoi riguardi o nei riguardi di Hermione? Non aveva alcun senso. Per cosa? Per la loro rivalità scolastica? Sarebbe stato da pazzi da legare. E Malfoy non era un folle. Non era un folle?
«Risponda alla domanda, per favore» lo spronò Verbena, ma Draco parve indignarsi oltre ogni limite.
«Questa è un'informazione privata! Non risponderò a questa domanda!» trasalì, e il suo volto appuntito passò dal pallore lunare a un rosso furibondo.
«Allora devo chiederle di seguirci al Dipartimento Auror, signor Malfoy».

Il respiro di Harry si mozzò all'istante. Era andato lì per indagare, non per portare una persona in un interrogatorio senza alcun mandato. Ma come diavolo funzionavano quelle procedure, in Italia?!
«Mi state accusando di aver attentato alla vita di Potter?» soffiò Draco, incredulo, passandosi una mano tra i capelli che, innaturalmente, rimasero lo stesso in ordine. «Potter, mi stai accusando di volerti uccidere?!» si rivolse poi direttamente a lui, nel panico.
Harry aprì la bocca per negare, ma Verbena lo anticipò.
«Non stiamo accusando di niente. Dobbiamo interrogarla in privata sede per avere qualche informazione utile al caso» spiegò, ma Malfoy sembrò andare completamente nel panico quando due Auror lo affiancarono.
«Potter! Potter, fa' qualcosa!» gridò, adirato.
«Signor Malfoy, ci segua» gli intimò uno degli Auror, cercando di invitarlo a uscire dal negozio senza l'utilizzo della forza.
«Potter!» il suo tono non era più adirato, divenne quasi supplichevole. A Harry vennero i brividi a fior di pelle. Non gli sembrava affatto una persona colpevole, quanto più spaventato a morte di essere portato via così, senza un mandato, con una velata accusa di tentato omicidio.
E come biasimarlo!

Con uno sguardo duro Harry si sostituì all'Auror per accompagnarlo lui stesso fuori.
«Dovrai solo rispondere a delle domande e poi portai tornare a casa» sussurrò. «Vieni. Non opporre resistenza e non peggiorare le cose. Fa' come ti dico» gli intimò.
Malfoy lo guardò esterrefatto, poi strinse i denti e arricciò il volto come per trattenere qualche atroce bestemmia. Deglutì e, con uno sguardo d'odio, lo seguì fuori dalla porta senza bisogno di forzare.
Il tramonto dorato su Ponte Vecchio non servì per alleviare l'angoscia di Harry, né il vociare fuori dalle bancarelle, né il tiepido vento d'estate.


 


In base a ciò che aveva appreso in quei due giorni di tour guidato, la leggenda narrava che Romolo e Remo fossero due fratelli gemelli. Romolo, il gemello Babbano, era stato fondatore e primo Re di Roma, mentre Remo era un Mago e aveva gettato le basi della società Magica e si era rifugiato in essa senza dare più sue notizie. Nelle scritture Babbane, però, era riportato che Romolo avesse ucciso Remo, mentre in realtà era stato Remo stesso ad allontanarsi. Una storia affascinante, come l'aveva definita Hermione.
Affascinante esattamente come il Ministero della Magia italiano, situato nelle sotterranee accessibili dai Fori Imperiali. Era un grande anfiteatro simile a Colosseo in superficie, ma sotto terra. Classica architettura romanica, che richiamava storia e antico splendore. Al centro dell'anfiteatro una statua rappresentante Remo stesso, intento nella fondazione dei primi sacri incantesimi. Si accedeva alle aree del Ministero tramite degli archi simili a varchi a specchio. Il Dipartimento Auror italiano si trovava all'ultimo piano inferiore, all'arco LXXXVII.

Proprio lì Harry aveva dovuto aspettare ben due ore e mezza, fuori da un ufficio murato con rappresentazioni di guerra sui capitelli delle colonne. Dopo la lunga attesa l'Auror Ambrosia Verbena era uscita dal muro con un grande nulla di fatto stampato direttamente in faccia.
Non che Malfoy non fosse stato collaborativo, ma Verbena non aveva comunque cavato fuori un ragno dal buco con così poche prove.
E, proprio per quel motivo, Harry si era domandato perché diamine l'avessero portato lì dentro e perché diavolo non lo stessero rilasciando. Ma, a quanto pareva, Verbena nutriva dei sospetti su di lui, Malfoy non aveva un alibi consistente per provare la sua estraneità ai fatti e quindi aveva scelto di trattenerlo fino alla visione dei filmati di sicurezza Babbani.
Non esattamente il modus operandi che avrebbero utilizzato in Inghilterra, ma quella non era casa sua e non avrebbe potuto questionare i metodi di quel Dipartimento Auror.
Harry, però, aveva insistito per poter parlare con Malfoy prima di lasciare l'edificio per la notte.
E, inutile dirlo, la conversazione si rivelò spiacevole esattamente come il previsto.



Lo trovò seduto a un tavolo rotondo di travertino bianco, con le mani incrociate e l'aspetto stanco e sconvolto. La camicia color menta sbottonata fino a sotto al collo, la manica destra arrotolata fino al gomito, quella sinistra ben allacciata al polso. I capelli, però, godevano sempre di quell'ordine innaturale. Quando Harry gli si si sedette davanti con un sospiro affranto, Malfoy lo fronteggiò con occhi taglienti.
«Potter, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo? Perché diamine mi hanno fatto tutte queste domande su di te?!»
«Credo sia la prassi».
«Bella prassi del cazzo».
Harry dovette trattenere un sorriso a quella risposta acida. Un po' perché Malfoy sapeva passare dal linguaggio aulico al dialetto portuale in meno di due secondi, un po' perché anch'egli pensava lo stesso. Non comprendeva la prassi di quel Dipartimento, ma di sicuro avevano le loro ragioni.
Malfoy aveva pur sempre giocato un ruolo particolare nella Guerra, e il suo nome era famoso per essere macchiato dei crimini di suo padre. In Italia sicuramente la cosa era meno sentita a livello popolare, ma al Dipartimento Auror non sfuggivano quei dettagli. Probabilmente Verbena e il suo team avevano scrutato bene la sua fedina penale prima di prendere quella decisione.
Non che avessero tutti i torti nemmeno loro, in effetti. E Harry, ovviamente e come al solito, si trovava in mezzo alle palle di una situazione delicata. Era proprio vero che c'era sempre lui dove iniziavano i guai.

«Dobbiamo aspettare i filmati delle telecamere di sicurezza per scoprire di più. Se tutto va bene ti lasceremo andare in ventiquattro ore» rispose, piatto. E per “se tutto va bene” s'intendeva scoprire chi fosse il pazzo assassino che aveva attentato alla vita sua o di Hermione o di chissà chi altro là sotto.
«E dovrei farmi altre ventiquattrore così?!» esplose Draco, furibondo. «A subire domande su di te, sulla scuola, sul mio passato e cose che...» il suo tono si affievolì e abbassò lo sguardo, poi si aggrappò con la mano al polso sinistro. «Cose che avrei voluto ben dimenticare...»

Harry deglutì, ma un sasso gigantesco gli si era incastrato in gola. Tutti avrebbero voluto dimenticare la Guerra, ma era certo che Draco fosse uno di quelli che più di tutti si vergognava della parte che aveva avuto in essa. Non era stato completamente un cattivo, non era stato completamente un buono. Aveva preso decisioni sbagliate, aveva subito influenze sbagliate e si era trovato tra le braccia di Voldemort, nella sua presa stretta e asfissiante.
Harry aveva provato parecchia pena per lui, non poteva negarlo. Era convinto che se gli fosse stata data una possibilità molto prima, sarebbe andata diversamente. Anche Silente aveva pensato lo stesso.
E invece dopo dodici anni le sue scelte sbagliate pesavano ancora sulle sue spalle, e si ritrovava in fermo preventivo per un crimine che probabilmente non aveva commesso. Harry poteva solo immaginare la sua frustrazione e la sua rabbia.
«Malfoy» sussurrò, quasi in una rassicurazione mal riuscita.
«'Fanculo» sibilò però lui, prendendosi il volto tra le mani. «Lasciami solo».
Harry rispettò il suo desiderio. Non ci sarebbe stato niente che potesse dirgli per rassicurarlo.


 


La notte insonne non fu d'aiuto per rimettere in ordine le idee. Da un lato c'erano Verbena e il suo team con delle buone ragioni, dall'altro c'era Malfoy senza un alibi e una sua bacchetta utilizzata per compiere magia oscura e lasciata in giro. E, con il passare delle ore, Harry si era più volte ritrovato sul pendolo che oscillava tra il dar ragione agli Auror italiani oppure credere all'innocenza dell'indagato numero uno.
Se non altro però, a diciotto ore dall'incidente, le condizioni di Hermione sembravano essere stabili e il bambino in perfetta salute, tanto che lei e Ron avevano iniziato una lunga protesta quando Harry aveva tentato di tener loro nascoste le indagini. Ma, come ai bei tempi andati scolastici, gli era risultato poi impossibile mantenere segreti a quei due.
Si era ritrovato a pranzare con panini alla mortadella nella camera dell'ospedale e raccontare ai suoi amici tutti i suoi dubbi esistenziali su quel caso senza capo né coda. E, naturalmente, il comizio era giunto più veloce di un Ippogrifo imbizzarrito.


Harry, seduto su una sedia accanto alla finestra, ascoltò e osservò il dibattito come se fosse una partita di tennis da tavolo, in silenzio. Per mezz'ora.
«... è pur sempre Malfoy! Da una canaglia del genere ci si può aspettare di tutto» ribadì Ron, ancora con la bocca piena e sputacchiando i pistacchi di mortadella sul letto di Hermione.
«Ma è assurdo! Perché mai Malfoy dovrebbe aver provato a ucciderlo? Io continuo a ritenere più probabile che sia stato un mago oscuro che non era d'accordo con gli accordi internazionali» controbatté Hermione, dopo aver mormorato un incantesimo pulente sulle lenzuola.
Ron divenne improvvisamente pallido. «Non dire così, amore. Non ci posso pensare a questa cosa che qualcuno abbia provato a ucciderti!»
«Beh, Ron, è un rischio che rientra nel mio ruolo» puntualizzò Hermione. La Guerra aveva lasciato a tutti loro questo strano concetto di precarietà della vita.
«Beh, amore, preferisco pensare che Malfoy voglia uccidere Harry. Senza offesa, Harry».
Harry fece spallucce. «Sempre lieto, amico».

Era dalla tenera età di un anno che era abituato al fatto che qualcuno volesse ucciderlo. L'ultima persona che ci aveva provato era stata Ginny, quattro anni prima, durante il loro ultimo litigio. Si era sentita in colpa per almeno un mese, poveretta: la magia involontaria aveva fatto in modo che non gli scaraventasse addosso solo i piatti, ma addirittura l'intera credenza. Una giornata che si era conclusa con un bel viaggio al San Mungo e una richiesta di divorzio. Però si erano lasciati bene.

«In effetti però è strano forte. Cosa diavolo gliene verrebbe a Malfoy di assassinarti ora? Non ha senso» continuò Ron, perplesso.
Harry aprì le braccia. «Certo che non ha senso!»
«C'è qualcosa che non ci hai detto, Harry? Qualcosa di strano che Malfoy ti ha detto a Bellagio, quella sera?» domandò Hermione, sospettosa.
«No!» sputò Harry. «Abbiamo parlato solo di lavoro, null'altro».
Non era una bugia. Solo una piccola omissione del fatto che si fossero visti anche a Firenze, pochi giorni dopo. Aveva omesso ai suoi amici tutto il loro discorso sulle bacchette, l'affinità e tutte quelle cose. Quella era una questione solo tra lui e Malfoy.
Lo era davvero? E se avesse tentato di ucciderlo perché Malfoy era un pazzo fuori testa ossessionato con tutta quella storia?

«Sono dieci anni che faccio questo lavoro, Potter. E ancora non sono riuscito a scoprire un perché diverso da ciò che senz'altro è impossibile».

Harry strinse le labbra e ignorò il nuovo dibattito che verteva sugli stessi cardini. Si perse con la mente al loro incontro e con gli occhi su una piastrella graffiata di quel pavimento anni settanta.
Ripensò al loro incontro, ai gesti ossessivo-compulsivi di Malfoy. Agli scatti di rabbia, alla sua non accettazione che qualcosa potesse non avere senso. Al fatto che avesse basato tutta la sua carriera semplicemente per scoprire perché ci fosse affinità sulle loro bacchette. E se fosse stato davvero ossessionato da lui? Se tutta quella ossessione per l'anima gemella l'avesse fatto uscire di senno?
Malfoy era l'unico indagato.

Si era rifiutato di credere che potesse aver compiuto un gesto del genere, si era rifiutato di vedere tutti gli indizi fino a quel momento. Categoricamente.
Qualcosa nelle viscere gli suggeriva che non fosse possibile; una sensazione, un presentimento che gli diceva che Malfoy fosse innocente. Perché Draco era diverso da suo padre, perché Draco gli aveva salvato la vita durante la Guerra, perché Draco non era una cattiva persona.
Tuttavia stava ragionando come Harry Potter e non come il capo degli Auror. Si stava fidando troppo del proprio istinto e poco dei fatti reali e oggettivi.


E, proprio per quel motivo, quando i filmati delle telecamere di sicurezza giunsero tra le mani degli Auror in tarda serata, per Harry fu come una doccia gelida.
Non si sarebbe mai, mai aspettato di vedere capelli biondo argentati sotto un cappuccio, un naso appuntito, un uomo di alta statura che puntava la bacchetta di biancospino proprio contro di lui.



 
 
Continua...

Riferimenti:
-Lo so che in Italia si è innocenti fino a prova contraria, ma le leggi del Mondo Magico sono sempre un po' diverse, no?
-Mi sembra di ricordare che alcuni Auror possano analizzare gli ultimi incantesimi compiuti da una bacchetta. Ricordo male io? Beh, nel caso, questa me la sono inventata per comodità.

ANGOLO AUTRICE:
Buongiorno gente magica!
Vi avevo promesso mistero e azione, mistero e azione sono finalmente giunti. Perché è proprio vero che dove c'è Potter iniziano i guai, non c'è che dire. Non fa in tempo ad arrivare in un nuovo paese che qualcuno tenta di fargli lo scalpo. Perché oramai è chiaro dai filmati che l'attentatore abbia puntato proprio a lui. 
Chi avrà attentato alla vita di Harry? Sarà proprio Malfoy? Dalle telecamere di sicurezza sembra proprio di sì. Voi che dite? 
Qualcuno ha notato nello scorso capitolo che Draco era mooolto più pazzo del solito, ossessionato. E se fosse proprio l'ossessione il movente?
Ditemi le vostre teorie che mi diverto un casino :D
A mercoledì prossimo! Un abbraccio,
Eevaa



 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Eevaa