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Autore: IwonLyme    19/09/2021    0 recensioni
Avel Domar ha un solo obiettivo: diventare una persona qualunque. Tuttavia, cresciuto dallo zio a seguito dell'abbandono della madre, si trova davanti una società intollerante e poco disposta a dimenticare le sue origini atipiche.
Munito di poche e collaudate regole, Avel cerca di superare l'ultimo anno di Liceo destreggiandosi tra le aspettative del suo insegnante che lo vorrebbe futuro membro del Cerchio. Gli resta, però, ancora un ostacolo e cioè l'Ultima Separazione, dove si viene esaminati per scoprire se si possegga o meno il Vuoto. Come potrebbe mai qualcuno senza origini come Avel avere quell'oscuro potere?
ULTAR - Il Cerchio è un racconto ambientato in una società fantastica dove le persone posseggono il potere di controllare il Vuoto della materia. La storia è narrata proprio da Avel Domar che si troverà ad affrontare tutte le difficoltà di un inaspettato neofito.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2 - Sete di Vuoto
 
Il giorno seguente andai a lezione portando con me i documenti che Boron aveva preparato per l’Ultima Separazione. Il responsabile incaricato di comporre i fascicoli per il Cerchio era proprio Guram Valio. Quella mattina avrei avuto lezione con lui alla prima ora, questo mi avrebbe dato l’occasione per consegnarli.
Altri ebbero la mia stessa idea, così, quando giunsi in classe, molti dei miei compagni si scambiavano tra loro i certificati commentando le Famigliarità reciproche. Sperando di fare il minor rumore possibile, mi sedetti al mio posto ansioso di vedere l’inizio della lezione.
– Ehi, Kemar, i tuoi genitori sono entrambi Estranei al Vuoto, vero? – Domandò Lacon Moral al mio sgradito compagno di passeggiate. – Che sfortuna, non hai speranze di passare la Separazione! – Lo canzonò.
– Sfortuna?! – Replicò Kemar ridendo a pieni polmoni. – Io sono un Marginato purosangue! Quale sfortuna! – Ribatté. Come ricordavo, a lui non importava nulla della Gente del Vuoto e, dunque, nulla del Cerchio.
– Anche mia madre è Estranea al Vuoto. – Si dispiacque Ferel Liuma, una ragazza con talento per la corsa e l’atletica. – Non ho alcuna speranza di superare il Test tanto quanto Kemar. – Non che questo fosse poco comune. La maggior parte dei Marginati che frequentava il Liceo Est era nella medesima situazione: con almeno un genitore Estraneo totalmente al Vuoto.
– Be’ almeno uno dei tuoi genitori ha una parvenza di Famigliarità. – Evidenziò Lacon esaminando il foglio di Ferel.
– Certo, ma cosa importa? Se un ramo della famiglia è Estraneo al Vuoto è impossibile sviluppare i poteri. – Ribatté Bilen Came, da sempre infelice di avere il padre Estraneo al Vuoto e la madre con una scarsa Famigliarità.
– Perfino con entrambi i genitori con una Famigliarità è difficile. – Notò stancamente Lida Nomale. Era abile a sintetizzare qualsiasi situazione se questo le risparmiava udire inutili conversazioni.
– Be’, ma almeno non è impossibile. – Intervenne Hud Calz colpito nel vivo.
– Certo, Hud, con una Famigliarità come la tua è facile dirlo! – Sospiro Lacon tornando seduto al suo posto.
Hud Calz non era estraneo alle Separazioni. Suo nonno faceva parte della Gente del Vuoto, aveva i poteri, ma, malgrado questo, il padre di Hud non li aveva ereditati. Suo padre era quello che Ultar chiamava un Sordo: qualcuno cresciuto come uno del Vuoto ma che non supera la Separazione. Anche la madre di Calz aveva una buona Famigliarità e, il combinarsi delle due, gli aveva dato accesso anche alla Prima e alla Seconda Separazione. Aveva già sostenuto due Test, uno a sei e uno a dodici anni, fallendo entrambi. Per Hud l’Ultima Separazione era l’occasione di riportare la sua famiglia all’interno della Gente del Vuoto.
Tra tutti era quello ad avere più possibilità di superare il Test ed insieme il più ansioso in merito.
Sospirai cercando di distrarmi da quella discussione. Ero piuttosto bravo in matematica e sapevo che essa non era dalla parte di nessuno all’interno del Liceo Est di Numalia.
Le Separazioni, svolte nelle scuole dei Marginati e della Gente del Vuoto egualmente, avevano lo scopo di stabilire chi fosse nato con il potere e chi no. Si tenevano tre Test, il primo intorno ai sei anni d’età, chiamato Prima Separazione, il secondo a dodici e il terzo a diciassette, prima del conseguimento del diploma. Solo uno di questi Test era obbligatorio per tutti i Marginati ed era quello tenuto a diciassette anni, chiamato Ultima Separazione. Nei precedenti, nel caso fossero stati forniti documenti atti a provare come non vi fosse Famigliarità alcuna con la Gente del Vuoto per almeno un genitore, si veniva sottratti dal Test.
Questa scelta aveva una motivazione matematica derivata dagli studi svolti in tutta Ultar sulla trasmissione del Vuoto. Era emerso, infatti, che il potere veniva passato a un erede nel caso entrambi i genitori lo possedessero, oppure entrambi avessero una stretta Famigliarità con la Gente del Vuoto. In questi casi i Test dovevano essere sostenuti fin da bambini ed il loro successo dipendeva da quanto stretta fosse la Famigliarità. Se due Marginati con alta Famigliarità finivano per dare alla luce un bambino con il Vuoto esso veniva chiamato Rientrato. Questo Hud Calz desiderava essere con tutto sé stesso.
Per quanto riguarda coloro totalmente Estranei al Vuoto, in cui nessun avo nelle ultime sette generazioni aveva il potere, le probabilità di sviluppare la dote diminuivano drasticamente. Solo una volta su diecimila il potere veniva trasmesso quando uno dei due genitori era totalmente Estraneo alla Gente del Vuoto. Praticamente impossibile quando entrambi i genitori non avessero alcuna Famigliarità. Se questo avveniva, inoltre, il Vuoto si manifestava molto spesso con debolezza ed in tarda età. Per questa ragione venivano chiesti documenti in merito e, provata l’Estraneità di un ramo della famiglia al Vuoto, il bambino veniva escluso fino ai diciassette anni da qualsiasi Test. Erano poche le Anomalie e Ultar non amava perdere tempo.
– Cosa farai se passerai la Separazione, Hud? – Domandò Lacon Moral. – Andrai sicuramente all’Accademia di Numalia! Mi piacerebbe vedere com’è! Dicono sia la più grande di tutta Ultar.
– Mio nonno ha detto che sarà felice di farmi da Mentore. Vorrebbe io prendessi il suo posto. – Raccontò inorgoglito Calz.
– Che individia! Anche io vorrei mio nonno fosse un Tesserato. – Sospirò Bilen Came. Sorrisi amaramente per quella frase.
A Ultar si cresceva con il desiderio di diventare parte della Gente del Vuoto, per questo conoscere la propria famiglia era fondamentale. E per questo le mie origini erano così sfortunate. Tutto era costruito perché si aspirasse ad ottenere e tramandare il potere. A questo scopo vi erano innumerevoli agenzie che si occupavano di stilare precise percentuali per matrimoni combinati con l’unico scopo di aumentare la possibilità di generare un erede con il Vuoto, intrecciando le Famigliarità migliori. Questa mentalità era sostenuta dall’intero sistema di istruzione.
I bambini con genitori Gente del Vuoto avevano accesso a tutti e tre i Test e, solo se fallivano per la terza volta, a seguito del diploma, finivano a ricoprire ruoli nella società dei Marginati. Quei giovani erano i Sordi e, sebbene privi del Vuoto, la loro mente era plasmata come parte di quell’elite che si erano trovati ad abbandonare. Nell’animo erano Gente del Vuoto e spesso finivano per ricoprire ruoli nel Cerchio occupando i posti riservati ai Marginati. Con o senza potere, chi nasce sotto una buona stella finisce per cadere sempre in piedi, così andavano le cose.
Per ogni persona con il potere ve ne erano sette senza. Cinque persone su cento passavano il Test nel caso i genitori, entrambi Marginati, avessero però alta Famigliarità con il potere. Una persona su diecimila nel caso almeno uno dei due genitori non avesse alcuna Famigliarità, le Anomalie appunto. Dieci persone su cento venivano poste tra i Sordi nel caso un genitore fosse mancante del potere ma avesse alta Famigliarità. Due su mille nel caso entrambi i genitori fossero possessori del potere. Ci era stato spiegato tutto con un comodo schema il giorno dell’orientamento all’Ultima Separazione.

 
Tutto ciò rende chiaro come la trasmissione del Vuoto fosse difficoltosa. La società della Gente del Vuoto si indeboliva lentamente, ma, così come riuscì a rafforzarsi al principio, venivano attuate molte strategie per far sì che il potere fosse trasmesso alle generazioni future.
La tattica fondamentale era quella di consentire ai bambini nati da almeno un genitore appartenente alla Gente del Vuoto di essere istruito nelle scuole di quella parte del mondo. Questo inevitabilmente alzava la percentuale di Sordi, tuttavia i bambini, cresciuti in un contesto vicino alla Gente del Vuoto, come parte di quella società, debolmente la contrastavano. Anzi si impegnavano a sposare o avere figli con altri possessori del Vuoto o Sordi così da aumentare la possibilità il figlio rientrasse nella Gente del Vuoto. Ecco entrare in gioco nuovamente le agenzie.
Effettuare un matrimonio vantaggioso garantiva la conservazione della Famigliarità, primo bene in tutta Ultar. Tutti desideravano un figlio con il potere e si spendevano strenuamente per riuscire a generarlo, questo avrebbe elevato la famiglia di partenza, consentendole di beneficiare dei vantaggi della Gente del Vuoto. Avere un bambino era un evento controllato e rigidamente monitorato. Chi aveva il potere desiderava conservarlo e chi non lo possedeva bramava per raggiungerlo.
Qualcuno con nessuna Famigliarità era escluso da quell’ossessivo computo di sangue. Qualcuno ignaro delle proprie origini era inutile per il progredire della Società, un peso che Ultar si ritrovava a sopportare. Io ero nella peggiore situazione: metà della mia famiglia era Estranea al Vuoto, l’altra metà totalmente ignota.
– Ma Hud, cosa succede durante il Test? Dai raccontaci! – Pregò Lacon. – Non resisto altre due settimane. Io voglio sapere!
– Non mi è concesso dire cosa succeda. Vedrete il giorno della Separazione. – Sentenziò Calz.
– In realtà è perché non ci hai capito molto nemmeno tu se non parli. – Lo pungolò Kemar. – D’altronde, se così non fosse, avresti passato il Test a dodici anni, mi sbaglio?
– Taci Jeil! – Lo silenziò Calz. – Non parlare di cose che non ti riguardano. Sei solo un Marginato con nessuna possibilità di farcela.
– E tu sei un Marginato illuso di avere una possibilità. – Lo schernì Kemar. – Bisogna stare con i piedi per terra, Calz.
Sospirai chiedendomi quanto ancora ci avrebbe fatto aspettare Valio prima di venire a interrompere quell’intenso pigolare. Il mio disinteresse, però, saltò agli occhi di Bilen Came, seduto dietro di me. – Di certo qualcuno è molto rilassato in merito alla Separazione, vero, Domar? – Mi interpellò sollevandosi dalla sua sedia e venendo a strappare il foglio dal mio tavolo. – Compilato per metà, come al solito, no? – Ridacchiò. – Quelli del Cerchio resteranno senza parole! Chissà cosa penseranno quando vedranno il modulo! Scommetto che non vorranno nemmeno farti provare!
– Non che sia un grave errore, visto che per metà siamo sicuri tu non abbia a che spartire con la Gente del Vuoto. – Si inserì Calz con un mezzo sorriso. Non gli andava proprio a genio prendessi voti migliori dei suoi.
Mi importava così poco di tutta quella faccenda che non avevo nemmeno voglia di mettermi a discutere. – Non mi preoccupa quello che accadrà. – Dissi alzandomi ed allungando una mano verso Bilen. – Restituiscimi il modulo, per favore.
– Ci tieni così tanto a questo fogliettino, Domar? – Domandò Came. – Al posto tuo mi vergognerei perfino a presentarlo. Che tua madre non valeva granché è cosa risaputa, ma perfino tuo padre non dev’essere tanto meglio se non si preoccupa di come sparge il proprio …
– Came, se tuo padre non è come desideri non sei autorizzato a insultare gli altri. – Lo ammonì Kemar alzandosi minacciosamente dalla sedia.
– Ecco che Jeil si mette a fare il paladino! – Ridacchiò Hud Calz.
La porta della classe si spalancò decretando la fine di tutta quella pantomima. – Buongiorno, ragazzi, sedetevi ai vostri posti. – Impose Valio.
Bilen Came mi rivolse un sorrisetto. Mi restituì il modulo e, con le labbra sudate, sibilò: – Mio padre non sarà il massimo, ma almeno ne ho uno. È già qualcosa, no, orfanello?
Tirai il foglio e tornai a sedermi. Era fastidioso sopportare il loro cattivo umore. Avevo già intuito come l’Ultima Separazione sarebbe stata una seccante faccenda, ma non credevo avrebbe cominciato a darmi fastidio così presto.
– Vedo che molti di voi hanno portato i moduli per il fascicolo. – Disse il professore. – Metteteli sul banco, passerò a ritirarli. – Bilen sghignazzò alle mie spalle. – Cosa c’è di divertente, Came? – Lo interrogò Valio, aveva l’udito fine.
– Professore, non credo sia giusto raccogliere i moduli se sono incompleti, giusto? – Replicò.
– Avete ancora del tempo per completarli, la scadenza è alla fine di questa settimana. – Rispose il docente.
– Ehi, Domar, hai ancora un po’ di tempo, non sei felice? – Sibilò Bilen allungandosi verso di me.
– Came, si rimetta seduto sulla sua sedia. – Tuonò Valio dalla cattedra. Quando si infuriava i suoi baffetti bianchi fremevano e si imperlavano di sudore. – La situazione di Domar è nota alla scuola ed al dirigente. Inoltre credo che il suo atteggiamento sia enormemente infantile. Piuttosto prenda esempio da lui. – Strinsi le dita: mi stava scavando una fossa in cui non volevo entrare.
– Professore sono convinto Bilen lo dicesse per lei. – Si inserì Hud Calz. – Aveva paura il Cerchio la tacciasse di sciatteria vedendo il foglio incompleto di Domar. Dopotutto è lei che deve comporre i fascicoli.
– Riguardo a questo sarà spiegato tutto perfettamente ai Numerati del Cerchio e al Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. – Rassicurò Valio, raramente tagliava i nomi altisonanti. – In ogni caso, Domar, scriva nella parte del padre, vicino a dove andrebbe inserito il nome, la parola “ignoto” così che non si faccia confusione.
Aprii lo zaino, estrassi i libri di storia e una penna. Così come mi era stato imposto appuntai il modulo compilato da Boron. Intanto Valio aveva cominciato a girare tra i banchi. Quando giunse al mio prese il foglio e mi rivolse un tirato sorriso. – Bene, Domar, per quanto riguarda l’altro modulo? – Chiese accennando un occhiolino.
Non avrei sopportato la nostra conversazione privata diventasse pubblica. Non volevo attirarmi più fastidi di quanti già non ne avessi. – Mi dispiace, professore, non ho ancora finito di compilarlo. – Risposi piano nella speranza nessuno sentisse di quel documento mancante.
– Oh, certo, certo. Fa’ con calma. – Replicò il professore. – Portalo nel mio ufficio quanto prima, però. Il Test si sta avvicinando.
– Certamente professore. – Senza aggiungere altro si allontanò dal mio banco. Sarebbe stata una sofferenza andare a scuola. Desideravo l’Ultima Separazione passasse in fretta.
La mia mancata Famigliarità con il Vuoto da parte del lato noto della mia famiglia mi aveva consentito di evitare venissi posto davanti al Cerchio prima dei miei diciassette anni, sebbene mio padre risultasse ignoto. Avevo scarsamente compreso come funzionassero le Separazioni dato che le due precedenti si erano tenute solo per pochi dei miei compagni di classe. Tutti noi, però, avremmo dovuto prestarci all’Ultima Separazione e l’esito avrebbe definitivamente determinato il destino degli ultimi e delle più improbabili Anomalie.
Quel pensiero occupava debolmente le mie giornate, ma i preparativi, così come il continuo discuterne tra i miei coetanei, avrebbero piano piano smosso il mio interesse. Non era certo la prima volta entrassi in contatto con i Numerati del Cerchio, ma prima di allora nessuno aveva mai notato Avel Domar. Sarebbe stato diverso. Avrebbero avuto un fascicolo e quello sarebbe finito nelle mani di importanti Ufficiali. Non volevo guai e dovevo prepararmi a sopportare qualsiasi indelicata osservazione. Parlavamo di Gente del Vuoto, per loro la mia esistenza doveva essere tanto gradita da non sortire il minimo rispetto.
 
Il trillo del campanello mi distolse dai fornelli. Stavo preparando il pranzo. Boron non si sentiva molto bene. Aveva preso uno strappo alla schiena sollevando alcuni scatoloni, così avevo dovuto prendere in mano le preparazioni in cucina mentre lui si era sistemato sul divano. Sonnecchiava in attesa fosse pronto.
Andai ad aprire la porta incuriosito dallo scoprire chi fosse. Spesso, quando il negozio era chiuso, il postino faceva il giro e consegnava la posta direttamente alla porta dell’appartamento, ma non era necessario suonare visto che avevamo un foro per le lettere nella porta. Mentre ragionavo su questo trovai Kemar sistemato davanti all’uscio di casa mia. Mi sorrise porgendomi un sacchetto che teneva in mano. – Buongiorno, Avel. Questo lo manda mia madre. – Spiegò allungando la busta.
– Tua madre? – Domandai. Tutte le volte che avevo avuto occasione di incontrare sua madre, lei non aveva mai ricambiato il mio saluto. Sebbene la famiglia di Kemar fosse Marginata da generazioni e generazioni, per loro la mia situazione era forse ancora più atipica e odiosa. Il loro stesso figlio, però, non prestava ascolto alle raccomandazioni. Non erano stati sufficienti i rimproveri di quando, bambini, lo sconsigliavano dal darmi confidenze. Molti genitori avevano impedito ai figli di giocare con me e questo non aveva che facilitato la mia solitudine. Non era semplice farmi amici e rinunciai senza fatica a quel proposito.
– Ogni tanto si ricorda di avere un cuore. – Replicò Kemar. – Mi ha detto: “Se devi proprio andare porta questo. Che non si dica non siamo gente per bene!”.
– Ringraziala da parte mia, ma … perché sei qui? – Domandai prendendo il pacchetto.
– Be’ … volevo chiederti una mano con gli esercizi della Nader. Li stavo guardando questa mattina e mi sono accorto di non capirci assolutamente nulla. – Non era la prima volta che succedeva, ma non si era mai spinto fino a casa mia per ricevere una mano in analisi.
– D’accordo. – Concessi. – Vado a prendere il quaderno, li ho finiti ieri sera. – Mi spostai verso il tavolo lasciandogli lo spazio per entrare. Kemar non aveva talento per la matematica, era sempre stato così fin dalle elementari. Stentava comprendere l’origine stessa dei numeri e perché fosse necessario il loro impiego. Mi aveva sempre fatto sorridere il suo modo canzonato di riparare a questa mancanza.
– Buongiorno, signor Domar. – Salutò Kemar non appena notò mio zio seduto sul divano.
Boron si sollevò e guardò l’inatteso ospite dentro casa. – Avel! Dovevi dirmelo che avevi invitato Kemar per pranzo. – Mi rimproverò alzandosi a fatica dai cuscini.
– Veramente … – Cercai di spiegare, ma Kemar mi interruppe.
– Signor Domar si è fatto male?
– Oh, nessun signore, Kemar. Ti conosco da quando eri alto sì e no un metro. Chiamami pure Boron senza problemi. – Replicò. – Mi sono fatto male alla schiena purtroppo. L’età comincia a farsi sentire. Dovrai accontentarti della cucina di Avel.
– Non ci sono molte cose in cui Avel sia scarso. Sono sicuro sia piuttosto bravo anche a cucinare. – Rassicurò il mio compagno di classe. – Mia madre vi ha mandato una torta.
– Vorrà dire che ci rifaremo con quella. – Scherzò ancora lo zio. Kemar ridacchiò. Aveva veramente intenzione di restare per pranzo?
– Kemar, non eri venuto per i compiti della Nader? – Chiesi cercando di sondare le sue intenzioni non appena mio zio tornò a rilassarsi sul divano.
– Avremo il tempo di vederli dopo pranzo. – Si avvicinò ai fornelli. – Cosa hai fatto di buono? Posso dare una mano? – Si propose.
– È quasi tutto pronto, ma fai pure. Non mi sognerei mai di ostacolare un professionista. – Concessi.
Un professionista! – Rise delle proprie capacità. – Mio padre è piuttosto critico a riguardo.
– In questo sono piuttosto sicuro te la caverai meglio di me fino ad ora.
Mi domandai, mentre sistemavamo le pietanze sul tavolo da pranzo, cosa pensasse Kemar del semplice appartamento mio e di zio Boron. Aveva un piccolo ingresso rispetto a quello della sua casa, chiuso da una porta rossa. Questo dava su un’unica stanza dove trovava posto la cucina, di un azzurro slavato, sbeccata negli angoli e con elettrodomestici più vecchi dei suoi inquilini. Sulla sinistra un tavolo coperto da una tovaglia arancione la divideva dal divano sulla destra. Non erano comodi i cuscini, posso assicurarlo, ma grumosi, invecchiati negli anni.
Sulla parete opposta all’ingresso, circa alla sua metà, vi era una porta verso le due camere e il bagno. Era un’abitazione modesta, sicuramente il mio compagno era abituato a ben altri agi e ben altri spazi, ma confortevole. Non mi era mai mancato nulla tra quelle pareti. Avevo l’intimità di una stanza tutta mia, la tranquillità di una casa abitata da poche persone, tutta la pace e solitudine un adolescente potesse desiderare. Zio Boron non era di molte parole e questo suo carattere aveva sicuramente diversi vantaggi.
Quando decretammo fosse tutto pronto, Boron si alzò a fatica dal divano e si sistemò al proprio posto. Finse diffidenza rispetto alle mie doti culinarie, ma poi mangiò tutto senza lamentarsi. Capitava spesso cucinassi per entrambi e, sebbene si lamentasse spesso del probabile fatale esito, una volta assaggiato il cibo finiva sempre per mangiarsi tutto il contenuto del piatto.
– Non male, ma penso che la mano di Kemar sia più presente di quanto immagini. Hai un po’ barato, eh, Avel! – Concluse Boron pulendosi la bocca con un tovagliolo di carta. – Sai, sono curioso. Tu cosa farai, dopo il diploma, Kemar? – Domandò Boron mentre prendeva un coltello per tagliare la torta del ristorante dei Jeil.
– Lavorerò al ristorante dai miei. – Rispose distrattamente il mio coetaneo.
– Dunque non è così strano per un ragazzo decidere di lavorare dopo il diploma. – Dove desiderava arrivare mio zio? Non era tipo da intavolare una lunga conversazione.
– Credo proprio di no. Molti nella nostra classe hanno scelto di seguire le attività di famiglia. – Replicò Kemar. Questo è quello che ci si aspetterebbe da una piccola cittadina.
– Allora dico bene! L’altro giorno un certo professor Valio mi ha chiamato perché convincessi Avel ad iscriversi alle selezioni del Cerchio. Come se lavorare fosse un’onta! Che assurdità! Anche al Cerchio finirebbe per ricoprire un impiego! – Commentò. – Gli insegnanti al giorno d’oggi stentano a farsi gli affari loro. – Non volevo tirasse fuori quella conversazione. Per me era chiusa e non avevo interesse a sentire l’opinione di nessuno in merito.
– Concordo, Valio sa essere estremamente invadente. Però, signor Domar, Avel potrebbe davvero riuscire ad entrare nel Cerchio. Sarebbe una bella cosa, non crede? – Replicò Kemar per nulla intimidito dall’esprimere la propria visione in merito a qualsiasi fatto. Non aveva peli sulla lingua e parlava schiettamente. Un’altra dote che ammiravo di lui.
– Ma Avel non ha scelto il Cerchio. – Ribatté Boron con fermezza.
– Questo è vero. – Concesse.
– Non bisogna scegliere qualcosa solo perché se ne hanno le capacità. Bisogna decidere per sé stessi ciò che ci rende realizzati. Così non fosse, la Società sarebbe piena di persone frustrate che compiono un lavoro solo per i vantaggi che ne ricevono. – Sentenziò mio zio infilandosi un cucchiaio di torta in bocca come chiusa.
– E, Avel, credi che andare a lavorare senza proseguire gli studi ti farà sentire realizzato? – Chiese Kemar sollevando gli occhi proprio su di me.
Mi punse nel vivo con quel suo sguardo diretto. Ero più ritroso di lui ad esprimere apertamente i miei pensieri. In realtà non credevo di essere in grado di rispondere a qualsiasi domanda senza il giusto tempo per soppesare le conseguenze delle mie parole. Avevo imparato che, nel mio caso, qualsiasi frase sarebbe stata vista nel peggior modo possibile.
Proprio mentre riflettevo mi accorsi di aver pensato spesso a cosa mi avrebbe fatto diventare una ‘persona comune’ e mai a cosa mi avrebbe ‘fatto sentire realizzato’. In quell’istante notai come le due cose non coincidessero affatto, ma, anzi, fossero divise da uno scomodo abisso. – Non credo che il Cerchio possa fare per me. In tutta onestà penso sia troppo ambizioso e non voglio competere per ottenere un poco di tranquillità. – Spiegai evitando una risposta diretta.
– Ben detto, ragazzo mio. – Si congratulò mio zio. – Ciò che importa è una vita pacifica, senza sconvolgimenti: la felicità di un uomo semplice.
Decisi di interrompere lì la discussione dato che proseguirla avrebbe solo gettato ancora più confusione nella mia testa. – Kemar, mi avevi chiesto gli esercizi della Nader, giusto? Se vuoi te li mostro. – Tagliai alzandomi dalla sedia.
– Grazie. – Rispose Kemar. Lasciammo il vittorioso Boron alla torta e oltrepassammo la porta fino a trovarci nella mia stanza.
Era una piccola camera, piuttosto modesta: la tenevo ordinata, con il letto sistemato e i libri ben riposti. Possedevo una scrivania senza cassetti illuminata da una luce da tavolo. Come al solito era coperta di penne, libri e quaderni di scuola. Quello era l’unico luogo dove mi permettevo di avere qualcosa fuori posto.
Non c’erano molti altri arredi, non possedevo alcun passatempo se non lo studio o aiutare mio zio con il negozio. Praticavo sport solo a scuola e non avevo alcuna propensione per la musica o qualsiasi altra arte. Era piuttosto spoglia e lo notai proprio quando dovetti mostrarla a Kemar.
– Ecco il quaderno. – Indicai sollevando alcuni fogli rilegati da una copertina arancione. – Quale parte non avevi capito?
Kemar prese in mano il quaderno. Vi gettò una debole occhiata in cerca degli esercizi che non riusciva a fare. Poi, però, i suoi pensieri furono distratti e volle parlare ancora. – La pensi davvero come tuo zio? Credi che non valga la pena di faticare se è possibile accontentarsi di un posto tranquillo? È quella la felicità che cerchi? – Chiese sollevando gli occhi dalle equazioni. Non so dire perché volle entrare in quel difficile terreno.
– Non la penso esattamente come lui. – Risposi più velocemente di tutte le altre volte. – Quella che lui ha definito essere “la felicità di un uomo semplice” è qualcosa che mi è sempre stato precluso. Non desidero essere un escluso per tutta la vita. Se io riuscissi ad ottenere quel tipo di vita pacifica, non sarebbe un grande guadagno rispetto ad ora?
– La tua mancanza di ambizione mi ha sempre colpito. Pur avendo le capacità ti sei sempre allontanato da qualsiasi occasione di emergere. Non hai considerazione di te e questo ti spinge a porre i tuoi obiettivi così in basso. Tuttavia non posso che comprendere quello che dici. – Suonava come un rimprovero, ma allo stesso tempo anche un incoraggiamento.
– Se fossi stato una persona diversa non avresti sopportato molte delle cattiverie che ti sono state rivolte. La tua mancanza di amor proprio, però, un po’ mi preoccupa. Temo tu possa limitarti e non hai alcuna ragione per farlo. Non lo meriti. – Mi sorrise per alleggerire le sue parole. – Forse, però, ha ragione Boron. Solo perché si può fare qualcosa non vuol dire che si debba farla per forza. L’abilità di accontentarsi salverebbe più di un uomo dalla propria ambizione.
Sorrisi anche io davanti a quelle parole. – Mi basterebbe, sai, vivere in una casa come molte altre, con un lavoro semplice ed un ruolo che possa permettermi di essere parte della massa. – Dissi sollevando i miei occhi in quelli scuri di Kemar. – Sarebbe sufficiente e trovo che, nella mia situazione, sia un desiderio piuttosto ambizioso. Forse molto più che entrare a far parte del Cerchio.
Kemar non ebbe di che rispondere a quella mia ultima affermazione, credo fosse la prima volta che realizzò veramente quanto mi fossi sempre sentito distante da tutti loro, dalle loro vite pacifiche. Conoscendolo si sentì anche un poco colpevole, ma non aveva colpa. Ero io a non avergli mai permesso di avvicinarsi, lui ci aveva sempre instancabilmente provato. Non si ricavavano vantaggi dall’essere miei amici e non gliel’avrei permesso.
Non lo lasciai a disagio troppo a lungo. – Cosa non hai capito degli esercizi della Nader? – Domandai nuovamente cambiando discorso.
Avevo riflettuto nei giorni trascorsi dal mio colloquio con Valio su quale fosse la giusta risposta alle sue aspettative, alle parole di Kemar e non ero riuscito a desiderare di far parte del Cerchio. Ero arrivato velocemente alla conclusione fosse una strada troppo complicata per ottenere ciò che volevo. Vi sarebbero state vie più agevoli in cui avrei potuto farmi valere senza dovermi battere contro i pregiudizi e le prevenute opinioni. O, più realisticamente, avrei dovuto battermi con minore intensità.
Da Marginato senza genitori entrare a far parte di quella gigantesca organizzazione mi avrebbe certo fatto risplendere. Sarei diventato l’orgoglio di Valio, lo sfortunato che ce l’aveva fatta, il giovane che, con le sue sole forze, aveva ottenuto la rivalsa da un destino infausto. Tuttavia non volevo diventare quell’uomo. Non volevo essere colui che, malgrado tutto, ci era riuscito. Non volevo essere l’eccezione per il resto della vita.
Desideravo un luogo tranquillo: la felicità dell’uomo comune. Perché ottenendola forse sarei diventato uno di loro, un’esistenza semplice sul bordo del mondo.

Due settimane sembrano un lungo periodo, ma scorrono più in fretta di quello che si creda. Così avvenne anche nel Liceo Est di Numalia.
L’Ultima Separazione si avvicinava pericolosamente e gli studenti dell’ultimo anno erano di giorno in giorno più impazienti. Avevano iniziato a circolare sempre più informazioni, voci di corridoio che gli studenti si scambiavano. Credevo molte fossero totalmente false, ma l’avrei scoperto solo il giorno del Test.
Così come succedeva ogni anno, vennero sospese le lezioni per i tre interi giorni necessari alla preparazione e all’attuazione dell’Ultima Separazione. Il giorno prima del Test gli studenti dell’ultimo anno si trovavano tutti a scuola per allestire le sale che gli esponenti del Cerchio avrebbero occupato e usato per lo svolgimento dell’esame il giorno successivo. Il terzo giorno serviva, infine, per ripulirle e consentire il riprendersi delle lezioni regolari.
Il coordinatore di un’altra classe, insieme alla Nader, si era occupato di assegnare ad ogni studente il proprio compito. Il preside del Liceo, così come i professori, reputavano di estrema importanza il Cerchio trovasse la scuola in perfetto ordine e, oltre alle aule che sarebbero state direttamente impiegate per il Test, fu deciso di far ripulire e sistemare l’intera struttura. C’era chi era stato posto in giardino, chi nell’ingresso, chi nel vialetto. Si riordinava e sistemava l’intero stabile dedicandosi al completo riallestimento di alcune aule.
Per l’Ultima Separazione dovevano essere predisposte cinque classi, una per ogni corso. Oltre a queste, un’ulteriore aula sarebbe servita per lo svolgimento del Test vero e proprio. Lì si sarebbero recati gli studenti uno alla volta. Dalle voci emergeva che la Separazione durava solo pochi istanti e, la maggior parte delle volte, non succedeva granché.
– Che sofferenza. – Protestò Kemar sistemando un gruppo di sedie intorno ad una serie di tavoli posti a ferro di cavallo. Al mio gruppo era stato assegnato il compito di sistemare un’aula piuttosto grande che quelli del Cerchio avrebbero usato per raccogliersi prima di iniziare i Test.
– Sempre meglio che fare lezione con Valio. – Lo confortai.
– Trovo tutta questa faccenda totalmente inutile e sopravvalutata. Qui in periferia ci sono pochissime persone con una Famigliarità decente con il Vuoto, quelli del Cerchio vengono qui inutilmente tutti gli anni. – Si lamentò Kemar. Avrebbe preferito stare in vacanza con gli alunni più giovani piuttosto che pulire per i Numerati. – So che non ci sono più Marginati purosangue come me, ma fanno tutta questa confusione, spendono immense quantità di denaro per trovare, se va bene, uno o due Rientrati con un piccolo spruzzo di potere.
– Questo è assolutamente vero, Jeil. – Intervenne acidamente Hud Calz, assegnato al nostro stesso compito. – Non ci sono Marginati più Marginati di te. Servi solo come manodopera.
– Lo ritengo un complimento, Calz. – Rimbeccò Kemar senza lasciarsi sminuire. – Piuttosto tu, ti sei fatto tutti i Test fino ad ora millantando chissà quale Famigliarità … Credi di riuscire a passare questa volta? – Lo pungolo nuovamente.
– Basta, lasciamo stare queste discussioni. – Intervenni. Non volevo il loro lavoro si prolungasse a causa di sterili battibecchi e i due erano famosi per le infinite discussioni.
Hud Calz venerava la Gente del Vuoto e per lui la Separazione, il Cerchio … tutto era questione di vita o di morte. Chiunque la pensasse diversamente da lui era uno stupido. Chiunque osasse sentirsi migliore di lui senza potersi vantare almeno della medesima Famigliarità lo aveva sempre indispettito enormemente.
– Pensala come vuoi, Jeil, ma mio nonno fa parte del Vuoto, invece i tuoi sono ristoratori. – Replicò con il suo solito tono di superiorità. – Non ha senso discutere con gente del vostro livello. Un cuoco e un mezzo figlio di nessuno. – Rincarò senza lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione.
– Ti brucia solo perché Avel ha voti migliori dei tuoi. – Replicò Lida Nomale, una ragazza dai ricci capelli scuri con grossi occhiali poggiati sul naso, anche lei assegnata all’aula con i banchi a ferro di cavallo. – Vediamo di piantarla con queste chiacchiere e diamoci dentro. Prima finiamo prima andremo a casa.
– Sono totalmente d’accordo. – Sottoscrissi lasciandomi scorrere i commenti acidi di Hud Calz. Avevo frequentato insieme a lui tutte le scuole, così come con Kemar. Ero abituato alla sua lingua tagliente ed al suo irritato senso di inferiorità.
La porta dell’aula si aprì improvvisamente. – Avel Domar. – Chiamò il professor Valio ed aveva il tono di una persona seccata. – Seguimi, per favore. – Impose tornando subito fuori dalla porta.
– Certo. – Mormorai poggiando la pila di sedie che avevo in mano. Avevo una offuscata idea di quello che desiderava.
– Ossessionato il vecchietto. – Cantilenò Kemar prima che mi allontanassi.
Nei giorni trascorsi Valio aveva continuato a domandare del modulo di orientamento tutte le volte ne avesse avuto la più blanda occasione. Avevo tergiversato, ma ormai non potevo più addossare scuse. Le sue pretese stavano diventando fastidiose, ma le avrei sopportate in silenzio. Mi sarei forzato di dipingermi un bel sorriso. Però ero agitato, quella era la prima volta che dovevo volontariamente scontentare un mio insegnante.
Mi abbassai le maniche della camicia della divisa, sollevate perché non fossero d’intralcio. Uscii dall’aula con l’animo in opposizione e trovai Guram Valio ad attendermi subito fuori dalla porta. – Eccomi, professore, di cosa ha bisogno? – Domandai con tono tranquillo. Avrei preferito quelle chiacchiere si svolgessero più privatamente.
– Hai mancato di consegnarmi il modulo di orientamento compilato. Il Test è domani, è necessario tu mi consegni la domanda per passarla agli esponenti del Cerchio. Il Sovrintendente dell’Accademia è un Numerato importante, potrebbe mettere una buona parola sentendomi parlar bene di te. Sarebbe una buona occasione, considerati i fastidiosi svantaggi a tuo carico. – Mi istruì preciso il docente sistemandosi con un dito i baffetti. I folti baffi di Valio fremevano e sudavano sintomo di tutta la rabbia covata.
– Professore, mi ha detto di consegnare il modulo qualora avessi cambiato idea. Credevo non fosse necessario consegnarlo nuovamente se fossi rimasto della medesima opinione. – Risposi.
Restò interdetto. I suoi piccoli occhi scuri si spalancarono e i suoi baffetti vibrarono incolleriti. – Non è cambiata?! – Ripeté sillabando. Era sicuro di aver mal compreso. – Cosa intendi, Domar?
– Professore, sono lusingato e la ringrazio molto per il suo interessamento, ma non sono interessato a diventare parte del Cerchio. Ho deciso lavorerò insieme a mio zio e, nel caso, troverò un impiego più vicino ai miei desideri. – Spiegai pacatamente.
Il professore fu ancora più sconcertato. Si trattenne dall’imprecare, ma le sue male parole non pronunciate finirono per arrossargli le orecchie. Sbuffò e si agitò sul proprio posto. – Questo è davvero terribile, Domar! – Prese a predicare ad alta voce. – Sprecare così un buon talento come il tuo … Sai, ragazzo, quando, malgrado tutto, ci viene fatto un dono, è da sciocchi non curarsene! Sebbene tua madre fosse una donna sconsiderata, sei cresciuto grazie al buon cuore di tuo zio e hai ottenuto ottimi risultati scolastici. Sminuire questo eccezionale evento mi fa riconsiderare il tuo giudizio. – Si calmò un poco cercando di riprendere fiato dopo tutte quelle parole pronunciate in fila. – Posso sapere cosa ti spinge ad essere così reticente? – Mi interrogò.
Si stava certo rivelando per l’omino che era. A Guram Valio interessava fare un atto di bene, raccomandare caritatevolmente lo sfortunato, ma dotato, alunno del Liceo Est. Voleva prendere le mie parti, malgrado tutto. Ma io non ero un “eccezionale evento” e non sopportavo di dovere qualcosa a qualcuno che mi valutava per il sangue nelle mie vene.
– Non desidero sottopormi ad ulteriori esami, professore. Preferisco una vita tranquilla ad una agiata, spero possa comprendere. – Replicai conservando tutta la pazienza che avevo coltivato negli anni.
– Lo dico anche per questo. Restare nella Periferia Est di Numalia non ti laverà mai dall’onta dei tuoi genitori. Sarai sempre il ragazzo senza famiglia. Nel Cerchio ripareresti alla tua bizzarra nascita e saresti utile per la Società. È dovere di ogni abitante di Ultar rendersi produttivo. – Ribatté Guram Valio parlando con più crudeltà di quella che un adulto dovrebbe usare con un ragazzo.
– Non ho ciò che serve per il Cerchio, professore. Mi dispiace. – Ripetei nella speranza finisse la sua insistenza.
Valio grugnì con sdegno. Si sistemò gli occhiali che cerchiavano i suoi infuriati occhietti. – Spero questi sciocchi motivi ti preservino dai rimpianti. Torna immediatamente a lavoro adesso. – Ordinò indicando la porta dell’aula.
– Grazie, professore. – Mi voltai mentre lui imboccava il corridoio a passo di marcia. Davvero una spiacevole conversazione. Rientrai nella classe, sperando vivamente che la questione fosse conclusa. Con ogni probabilità Valio aveva finito di impicciarsi delle mie decisioni.
Chiusi alle mie spalle la porta. Ero pronto a tornare a lavoro, ma mi trovai davanti gli occhi di Hud Calz, Lida Nomale e Kemar Jeil. Avevano sentito ogni parola e nei loro sguardi avvertivo il disagio che quelle avevano creato.
– Valio ti ha proposto di iscriverti alle selezioni per i posti dei Marginati nel Cerchio? Di raccomandarti per una delle trenta borse di studio? – Domandò Lida dando voce anche al quesito sulla bocca di Hud.
Ecco. Avrei proprio preferito la questione restasse privata. – Sì, me l’ha proposto. – Risposi accorgendomi fosse impossibile negare l’evidenza.
– E hai rifiutato?! – Domandò sconcertato Hud Calz.
– Ho rifiutato. – Confermai. La riprova li rese ancora più attoniti. Nessuno dei miei compagni avrebbe rifiutato al mio posto. Che un professore chiedesse ad uno studente di compilare la domanda era una cosa mai sentita.
– Tu … Tu sei pazzo! – Proseguì sconcertato Hud. – Ci sono trenta borse di studio riservate ai Marginati. Trenta! Che un professore ti raccomandi è ovvio tu abbia le possibilità di farcela! Anzi … tutti sappiamo tu potresti riuscirci! È folle non tentare!
Tra tutti credevo lui sarebbe stato il primo a rimettermi al mio posto qualora avessi compilato la domanda per il Cerchio o ne avessi avuto anche la più pallida intenzione. Uno come me che osava pensare di entrare nell’elite di Ultar? Inaccettabile, no? – Non sei stato tu poco fa a chiamarmi … “mezzo figlio di nessuno”? Ed ora credi potrei fare parte del Cerchio? – Lo rimbeccai infilando un paio di sedie sotto un tavolo deciso a tornare a lavoro e chiudere quella faccenda.
– Ma … ma tu … – Balbettò con tono pentito. – Tu ce la faresti sicuramente. Sei il migliore dell’ultimo anno … lo sanno tutti!
Le mie mani si fermarono dopo aver udito quelle parole. Era sicuramente difficile per Hud ammettere quei pensieri. Esprimere stima verso il suo indegno rivale doveva davvero essere insostenibile per il suo orgoglio, eppure lo stava facendo. Mi stava incoraggiando a compiere qualcosa di ardito e fuori dalla portata di qualcuno con le mie origini. Questo poté sconvolgermi più del sostegno di Kemar.
Colto da quegli inaspettati eventi, sospirai e mi sedetti su una sedia. – Non posso tentare. – Dichiarai. – Le mie origini … Credi che di questo al Cerchio non importerà? Non voglio infilino le loro mani nel mio passato … non desidero sapere cosa ci sia. Preferisco di gran lunga ignorarlo. Quel poco che so mi basta.
Kemar si avvicinò e mi pose una mano sulla spalla. – Calz è solo dispiaciuto tu abbia deciso in questo modo. Non prendere le sue parole troppo a cuore. La scelta che hai fatto … troverai sicuramente il modo di farla funzionare.
– Proprio perché sei senza origini avresti dovuto tentare! – Si oppose Hud senza riuscire ad arrendersi. – Entrare nel Cerchio … Azzittiresti tutte le cattiverie dette su di te. Possibile tu non abbia un minimo di orgoglio! Qualsiasi cosa ti venga detta non ribatti mai! Mi dà ai nervi la tua indifferenza! Se Valio avesse detto a me quelle parole … – Sospirò furioso. – Sei il migliore studente del Lieco, questo malgrado le tue origini. – Lanciò la scopa che teneva in mano a terra. – Mi fai arrabbiare! Al tuo posto avrei firmato la domanda in triplice copia, inculo gli idioti! Ad avere il tuo cervello! Sei uno stupido a gettare tutto via per la paura!
Mi alzai dalla sedia mentre quelle parole mi colpivano meno di quello che avrebbero dovuto. Troppo era stato detto sul mio conto perché quei pensieri, forse sinceri, potessero smuovermi. Ero bloccato nel ruolo che loro avevano preteso da me e che io, per quieto vivere, mi ero imposto di ricoprire. – Mi dispiace, Calz, di averti deluso. A quanto pare sono più codardo di quello che credevi. – Lo azzittii senza perdere la calma.
Hud restò ancora più colpito da quella risposta, come se nulla di ciò che avesse da dire mi sarebbe mai importato. – Al diamine! – Imprecò sentendo tutta la sua impotenza crollargli addosso. Uscì dall’aula sbattendo incollerito la porta. Tutta quella rabbia la reputavo esagerata e perfino fuori luogo, ma la situazione di Calz, ora lo comprendo, doveva essere tesa. Quello a cui lui aspirava … non avrebbe mai compreso se ne fosse in grado o meno, era qualcosa che hai oppure no. Non sopportava veder sprecata l’opportunità che lui si trovava ad invidiare e ad inseguire.
Lida Nomale raccolse la scopa e l’appoggiò ad una parete. – Forse i modi di Hud non sono totalmente giusti, Avel, ma le sue intenzioni ogni tanto sono buone. – Disse. – Perfino io stento a credere tu voglia restare in questa periferia. Andare lontano potrebbe rivelarsi un modo per dimenticare. Chissà che tu non scopra che l’esterno sia molto più vario e complicato di quello che credi. Tu non puoi certo essere l’unica persona atipica al mondo, ti pare? – Suggerì. Altre persone come me? Perché avrei dovuto cercarle? Avrebbero riempito i vuoti? Mi avrebbero reso ‘normale’?
– Voglio ancora tornare a casa presto, quindi proseguiamo. – Sospirò Lida.
– Certo, andiamo avanti. – Concesse Kemar turbato dalla discussione.
Tornammo a lavoro silenziosi, ognuno partecipe dei propri pensieri. Era strana quell’atmosfera. Kemar aveva visto più a fondo di me? Era questo che intendeva dicendo che non avrei deluso solo Valio? Chi si aspettava qualcosa di brillante da Avel Domar? Perché?
Non riuscii a raccapezzarmi tra quelle domande. Pensai, per la prima volta, di aver trascurato qualcosa. Forse avevo frainteso. Forse avevo sbagliato. Era un pensiero stranamente confortante, come se d’un tratto fosse legittimo anche per me immaginare qualcosa di diverso, lontano dal ruolo in cui mia madre mi aveva gettato.
Non trascorse molto tempo che anche Hud Calz rientrò nell’aula. Riafferrò la sua scopa e si mise a spazzare un angolo cercando di nascondersi dalla nostra vista, soprattutto dalla mia. Aveva gli occhi arrossati e le labbra strette per lo sforzo di trattenere le proprie emozioni.
Non era difficile comprendere avesse pianto e le sue lacrime di rabbia erano scese per il destino che Avel Domar aveva scelto. Per la prima volta doveva essersi sentito colpevole. Forse aveva rinnegato una ad una le proprie crudeli parole tanto da rimpiangere qualsiasi cosa fosse successa tra noi prima di quel momento. Forse mi aveva visto per la prima volta simile a lui, con un cuore, delle paure e delle opportunità.


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Grazie per aver letto anche questo nuovo capitolo. Spero ti sia piaciuto e che tu voglia continuare a seguire questa storia. L'Ultima Separazione è ormai arrivata!
Iwon Lyme
   
 
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