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Autore: Little Firestar84    21/09/2021    8 recensioni
[AU]Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore da quando lei era uscita dalla Hall dell’albergo dove avrebbero dovuto unirsi in matrimonio. 402 giorni. 9650 ore. 579.000 minuti. Quasi trentacinque milioni di secondi.
A tutti diceva che avevano fatto bene a lasciarsi, ma in realtà dentro si sentiva cascare il mondo addosso. A volte, era come morire.

Amici, colleghi, amanti: Ryo e Kaori sono stati tante cose, dal giorno in cui si sono incontrati. Ma dopo una lunga lontananza ed essersi spezzati il cuore a vicenda, sapranno riscoprirsi e ritrovarsi?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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“Vedo che avete la compagnia, oggi! Cos’è, hanno deciso che hai bisogno della tata, Saeba? Ih, Ih, ih!” Mentre, seduti ad un tavolino del Cat’s Eye, Ryo e Hideyuki tentavano di fare colazione, Umibozu, il gestore del locale insieme all’eterna fidanzata Miki, se la rideva di gusto sotto ai baffi e dietro ai grossi occhiali da sole che servivano a celare una parziale cecità, causata da una ferita da arma da fuoco che l’ex poliziotto aveva ricevuto in servizio anni prima, dopo essere accorso sul luogo di una rapina ad un furgone portavalori – un’operazione a cui anche Ryo, allora giovane poliziotto, aveva partecipato. 

Ryo e “Umi” erano sempre stati legati da un curioso rapporto, erano “nemici-amici”, sembravano non tollerarsi, eppure erano uniti da un curioso senso di cameratismo, e a lungo Ryo si era chiesto se quella ferita, che aveva posto fine alla carriera del promettente poliziotto, fosse in parte colpa sua… se avesse agito più velocemente, fosse stato pronto, avesse sparato lui la prima raffica di proiettili? Umibozu però gli aveva detto più e più volte di smetterla di farsi problemi, che aveva lasciato un lavoro ma ne aveva trovato un altro (con tanto di fidanzata annessa) e che, comunque, lui sapeva compensare benissimo con tutti gli altri sensi quello che gli stava venendo a mancare.

Maki non rispose a quella che sapeva essere a tutti gli effetti una provocazione, si limitò a sorseggiare il suo caffè, mentre Ryo, che aveva messo così tanto zucchero che usciva dalla tazzina, lui che le cose dolci le detestava, grugniva risposte intellegibili facendo il muso, seccato da Umibozu che continuava a prenderlo per i fondelli e dall’uomo un po’ troppo felice che aveva davanti. 

Daiatsu Nogami. Alias il padre di Saeko e Reika. Alias il capo della polizia. In poche parole: il suo capo.

“…e allora ho pensato che fare un giro di pattuglia con due dei miei migliori agenti fosse importante, per far risalire la mia popolarità tra i ranghi e far capire che io sono uno di voi! Ah, ah, ah!” L’uomo stava letteralmente brillando di luce propria, e aveva uno sguardo compiaciuto, quasi avesse avuto un’idea brillante e meravigliosa. “Sapete, far capire che vogliamo tutti la stessa cosa, la giustizia, che alla fine siamo tutti un solo, unico dipartimento, nonostante ognuno di noi abbia la sua specializzazione! D’altronde, è così anche per voi, no? Saeba è l’esperto di omicidi, tu Makimura te ne intendi di criminalità organizzata, Reika si occupa prevalentemente di rapine e la piccola Makimura è un’esperta forense… tante specializzazioni, ma un solo corpo!”

Secondo Ryo, era una cazzata, tanto il suo discorso quanto l’idea di girare con loro per apparire più umano: nessuno sopportava il Capo Nogami, convinti che fosse stato messo lì perché era parecchio cretino e manipolabile. Inoltre, il filtro bocca-cervello dell’uomo funzionava ancora meno di quello di Ryo (che non era scemo, ma sincero) e lo sapevano tutti, ma proprio tutti, che Daiatsu, Ryo, non lo poteva vedere. 

Maki, invece, se ne stava zitto e buono per il quieto vivere: dopotutto, quello era il suo probabile futuro suocero, sempre che con la bella Saeko riuscisse finalmente ad intavolare il discorso matrimonio.  Dubitava però che un giro di pattuglia potesse aiutare il capo a fare bella figura, non dopo che si era lamentato in un bar, con quello che si era rivelato poi un reporter, dell’inettitudine dei suoi uomini e che, se fosse dipeso da lui, avrebbe fatto fare armi e bagagli a circa tre quarti del corpo di Polizia di Tokyo.

Un’auto della polizia passò. Poi fu la volta di un veicolo dei pompieri. Seguì un’ambulanza. Si fermarono dall’altra parte della strada, esattamente davanti al locale.

Il capo Nogami guardò fuori dalla vetrata, poi si voltò verso Ryo e Maki, seduti davanti a lui. Non disse nulla. Si limitò ad alzare un sopracciglio, certo che si capisse dove voleva andare a parare.

Ryo fissava il suo capo: non avrebbe ceduto, non per primo. Se il capo voleva qualcosa, avrebbe dovuto dirlo, chiederlo. 

“Beh?” L’uomo domandò, imperturbabile. “Che state aspettando?”

“Che ci chiamino.” Ryo rispose, secco, freddo, portandosi la tazzina alla bocca. Bevve un sorso, e fece una smorfia. Disgustoso. Non capiva come Kaori potesse amare il caffè così dolce. “Questa non è prettamente zona di nostra competenza. Un conto è inciampare in un caso, un altro è vedere una pattuglia ferma e andare a dirgli che gli freghiamo il caso dalle mani.”

Maki guardò Ryo di traverso: curioso però come, quando gli faceva comodo, l’amico facesse esattamente quello, se non di peggio. 

“Beh, io però non sono legato a simili formalismi!” Nogami sbuffò; si alzò in piedi, e si sistemò la giacca della divisa, stirando delle pieghe immaginarie. “E se permettete, io vado ad aiutare i miei agenti!”

Senza aggiungere altro, l’uomo lasciò il locale, marciando a passo militare, tronfio, il petto gonfio, mentre raggiungeva la scena del crimine; Maki emise un flebile respiro, che suonò come un singulto disperato, e si voltò verso il vecchio amico. “Ryo…”

“No.” Rispose secco l’altro, facendo segno a Umi di portargli un’altra tazzina- stavolta non ci avrebbe messo dentro nulla. E per pulirsi la bocca magari si sarebbe pure preso un bel bicchiere d’acqua. Meglio naturale o frizzante? Nel dubbio, avrebbe bevuto un sorso per tipo.

“Ryo, tu non conosci il padre di Saeko, non come lo conosco io…” Il fatto che Maki suonasse così disperato era normale - era melodrammatico per natura – ciò che tuttavia fece suonare un campanello di allarme nella testa di Ryo era  il fatto che il collega avesse definito il capo il padre di Saeko: sembrava che pure Makimura avesse dei dubbi sulle reali capacità dell’uomo più anziano. 

“Va bene, ho capito, che rompipalle che sei, però!” Sbuffando, Ryo si alzò, gettando una manciata di banconote sul tavolino, e raggiunsero nel garage del palazzo di fronte il loro capo, che dietro al nastro giallo della polizia stava dando delle pacche ad un poliziotto sulla quarantina, chino sul  cadavere di un maschio sui trentacinque - quarant’anni. 

“Signori, posso presentarvi l’ispettore Koichi?” Il capo Nogami eruppe in una fragorosa risata, dando pacche sulle spalle dell’uomo, che, Ryo ci avrebbe giurato, portava il parrucchino, nonostante non dovesse avere più di quarant’anni. “Ispettore, le presento i colleghi Makimura e Saeba della prima squadra omicidi!”

“Ottimo lavoro, signori, un grande tempismo!” Koichi si complimentò, sbattendo il pugno sul palmo destro. “Vi ho fatto chiamare cinque minuti fa e siete giù qui!”

Nogami fissò Ryo con una sinistra luce nello sguardo: desiderava far sapere al giovane che aveva avuto ragione lui, e che Saeba era un cretino. 

Ryo si limitò ad alzare gli occhi al cielo e grattarsi la testa. “Allora, Koichi, cosa abbiamo?”

“Thomas Satoro, di origini giapponesi ma residente in Brasile. Gli hanno sparato circa tre quarti d’ora fa, un solo colpo alla nuca, grosso calibro, distanza ravvicinata. Addosso aveva ancora i documenti, al polso il Rolex, non sembrano mancare documenti, denaro o carte di credito. Viveva nel palazzo, e quella laggiù,” Koichi annunciò, fiero, “è la sua auto. La chiave era accanto al corpo. Escluderei la rapina, preferendo un angolo più prettamente personale, anche data la vicinanza dell’assassino alla vittima. Abbiamo due testimoni, uno ha visto una ragazza sui vent’anni, capelli neri, alle spalle, lisci, in uniforme scolastica correre verso l’uscita di sicurezza, un altro ha visto una BMW nera rallentare e  gettare qualcosa in un cespuglio lungo la strada. Agenti in divisa hanno recuperato quella che sembra essere l’arma del delitto.”

Ryo sbuffò. “Beh, noi allora esattamente cosa cavolo ci siamo venuti  a fare qui? Koichi mi sembra più che capace di cavarsela da solo!” 

“Oh, ma io non sono in servizio, o fatto il turno di notte… in realtà stavo tornando a casa quando ho sentito le sirene e ho pensato di fermarmi, tutto qui!” Lui disse, scrollando con falsa noncuranza le spalle, con un sorriso che sembrava non a trentadue, ma a sessantaquattro denti. “Volete che passi io in centrale a lasciare le prove? Bossoli, il portafogli, la pistola…”

“Vedi, Saeba?” Nogami sbottò, con le lacrime agli occhi dalla commozione  mentre dava una pacca sulla spalla a Koichi e gli metteva tra le braccia tutte le prove del caso; gli si era quasi stravaccato addosso, nemmeno fossero stati vecchi compari di bevute o di goliardate. “Questo è il tipo di poliziotto che voglio! Dovreste essere come lui!”

Koichi diede, in modo impacciato, la mano al superiore, poi, gettate le prove sul sedile passeggero della vecchia utilitaria, di forse oltre vent’anni prima, incamminò il motore, che partì non con un ruggito ma con un sibilo, quasi fosse pronto a morire e abbandonare il suo proprietario da un momento all’altro. 

Quello, è un vero agente! Dovete fare come lui, hai capito, Saeba? Prendere esempio!” Nogami continuò, mettendo ulteriormente il dito nella piaga. Mani ai fianchi in una posa da presunto super-eroe, guardava il veicolo allontanarsi con malcelato orgoglio. “Tutti voi dovreste essere un po’ come l’ispettore Zenigata Koichi!”

“Co… cosa?” Maki balbettò, mentre Ryo scoppiò a ridere. 

“Voi due imbecilli! Si può sapere cosa diavolo avete tanto da ridere? E Makimura, cosa stai lì impalato con la bocca aperta!?!” Sbottò, sputacchiando, a due millimetri dal naso di Ryo. 

“Capo, la prego, mi dica che quel tizio le ha fatto vedere il tesserino…” Maki lo supplicò, mani giunte in preghiera ed una goccia di sudore che gli calava dalla tempia destra.

“No, ma… perché?”

“Beh, perché, capo,” Ryo scoppiò a ridere. “L’ispettore Koichi Zenigata è il co-protagonista del manga di Lupin Terzo!”

“Ma… ma…. Ma lui sapeva cose…” Nogami iniziò a balbettare. “E ha citato un mio discorso… e… deve essere una coincidenza, per forza!” 

“Grande! Adesso non potremo usare nessuna delle prove raccolte perché la catena di custodia è stata compromessa! Gli avvocati difensori ci vanno a nozze con queste cose!” Ryo sospirò, mani nelle tasche dei jeans neri, certo che quell’uomo fosse nel miglior caso un mitomane, nel peggiore un criminale.  “Questa volta Saeko mi fa la pelle. Dirà che non sono stato attento al suo paparino… eh, fortunato tu Maki che sai esattamente come placare le ire della nostra bella…”

“NO! Le mie figlie non devono saperlo! Nessuno deve sapere, ne andrebbe della mia credibilità, diventerei lo zimbello dell’intero corpo di Polizia di Tokyo, che dico, diventerei lo zimbello dell’intero Giappone!” Nogami urlò, afferrando Ryo per il colletto della giacca. “Risolveremo questo caso da soli! Zenigata ha parlato di un testimone che vive nel palazzo… dobbiamo trovarlo!”

“Se esiste davvero!” Hide borbottò, per nulla sollevato. “Quell’uomo è, nel migliore dei casi, un mitomane… come possiamo essere certi che non abbia mentito su tutto e che magari non è proprio lui l’assassino?”

Lo sgangherato trio passò ore a suonare ad ogni singolo citofono nella speranza di tirare fuori un ragno da quel buco, con Ryo seccato, Hideyuki rassegnato ed il capo Nogami che se e stava dietro di loro imbarazzato, piccolo come un bimbetto, tirando su con il naso. Nessuno sembrava sapere nulla, e pensavano di essere arrivati alla frutta e che quel “Zenigata” si fosse inventato tutto quando, invece, una donna rotondetta, dai capelli ricci di un rosso tendente al fucsia, il viso ricoperto di lentiggini, disse che sì, era lei la testimone, e che comunque, aveva già detto tutto all’altro poliziotto…quindi perché ripetersi?

“Anche se… c’è una cosa che non sono certa di avergli detto…” ammise a malincuore; fissava Ryo con i suoi occhioni, mangiandoselo con lo sguardo da panterona, e sbatteva le ciglia palesemente finte. “Vedete, io AMO i gialli, ed ero andata alla premiazione di un importante concorso tempo fa, e la ragazza che ho visto sono certa che fosse la vincitrice!”

“Chi era? Chi? Parli!” Nogami la incitò, afferrandola per la scollatura dell’abito leopardato. 

“Yuka Kitano, il giovane talento della narrativa!”

L’uomo lasciò andare la donna, e si lasciò cadere mollamente a terra, con aria disfattista e rattristata- quasi delusa. Aveva preso a singhiozzare, e a ripetere quel nome, Yuka, ancora, e ancora, e ancora. 

“Ci pensi bene!” L’uomo sibilò tra una lacrima e l’altra. “Lo ha detto a quel tipo che era la Kitano che ha visto?”

La donna sbatté gli occhioni da cerbiatta, e guardandolo in volto se ne uscì con… “Io…non lo so proprio!” Il tutto accompagnato da una risata sciocca ed infantile, di quelle tipiche di certe donne che assomigliavano più a bambole gonfiabili che ad essere umani.

“E adesso cosa gli prende?” Ryo si domandò ad alta voce, guardando Nogami che aveva una crisi isterica. Certo, avere a che fare con dei VIP era sempre una scocciatura, ma trovava che l’uomo stesse avendo una reazione esagerata.  Fu allora che Hideyuki lo avvicinò, dandogli una gomitata nel fianco per attirare la sua attenzione, e parlargli con quel tono cospiratorio tipico di chi teneva segreti. 

“Gli prende che quello è solo un nome d’arte... prova ad indovinare come fa di cognome il genio della letteratura gialla contemporanea?”

 

“Allora, tesoro, in che guaio ti sei cacciata questa volta?” A casa sua, il capo Nogami stava davanti a sua figlia, Yuka Nogami, alias Yuka Kitano, seduta, ancora con l’uniforme della sua scuola, sul divano, con il capo chino. 

Ryo però non si lasciò intenerire, e nemmeno suo padre, sembrava: quella ragazzina aveva lo stesso sguardo di Saeko, il che significava che era una bugiarda nata con tendenze alla manipolazione. Lui stesso era stato troppe volte vittima di occhi identici a quelli per cascarci con tutte le scarpe dentro un’altra volta, poco importava che adesso fosse un altro membro della famiglia a fare la femme fatale bisognosa di aiuto.

“Ecco…” la ragazzina ciondolò i piedi giù dal divano, sembrando, improvvisamente, molto più piccola dei suoi anni (qualunque essi fossero, e a Ryo questo particolare non interessava minimamente). “Sto avendo, come dire, il blocco dello scrittore, e allora, ehm… ho chiesto ad una mia amica di… di entrare nel computer di Saeko.”

“Ancora non capisco cosa centri tua sorella con questo caso,” il padre la avvertì, freddo e fiero, impassibile quasi quasi, nonostante la presenza di una vena sulla tempia che sbatteva, minacciando di scoppiare da un momento all’altro. 

“Beh…” La ragazzina sbatté i suoi occhioni, stupita. “Saeko ha un file alto come una casa su Satoro. Non te lo ha detto quando le hai parlato del caso?”

Hideyuki guardò Ryo, alzando un sopracciglio. Ryo guardò la ragazzina sbattendo le palpebre. Il capo Nogami guardò altrove, facendo finta di nulla, mentre iniziava a sudare e pure parecchio. 

“Eh. Certo, certo, certo che lo sapevo, eh, eh, eh..” accennò mentre si allentava il colletto inamidato della camicia bianca. “Ma, ma voleva sapere tutta la storia da te. Per, per metterti alla prova.”

Yuka inclinò il capo sulla spalla, guardando suo padre come se avesse due teste; gli altri due uomini lo guardavano come se fosse un cretino totale- il che, forse, era vero, dopotutto.  La ragazzina sospirò, e prese a parlare, fissando il padre, leggermente seccata: quell’uomo era il suo eroe, lui e le sue sorelle erano il suo esempio, ma a volte sapevano davvero come frustrarla. 

“Allora, avevo un po’ di blocco dello scrittore, e dato che ho già speso in tasse scolastiche l’acconto del prossimo libro, il mio editore mi ha fatto una testa così che entro un mese vuole qualcosa, e allora ho chiesto ad Ai di hackerare il computer di Saeko alla ricerca di qualcosa di interessante, e mi sono ritrovata tra le mani questo caso di traffico di armi…”

“E hai pensato bene di investigare per i cavoli tuoi per avere di nuovo l’ispirazione?” Ryo le domandò, severo e arcigno come solo lui sapeva essere con certi ragazzini, ma a vedere l’aria colpevole dell’adolescente, il suo cuore perse un battito, e fissò la giovane Nogami intontito: non vide lei, ma un’adolescente, un’altra ragazzina della sua stessa età… tanti anni prima. 

“Allora ragazzina, si può sapere cosa cavolo vuoi da me? Mi segui da due giorni!” Ryo sbuffò mentre le offriva una cioccolata calda al bancone di un bar; guardandosi intorno, alzò un sopracciglio in segno di apprezzamento ad una stangona mozzafiato, che però, vedendolo in compagnia di una liceale, si voltò indispettita dall’altra parte, e Ryo sospirò. “Mi stai rovinando la piazza, sai?”

“Volevo solo sapere che tipo di persona è il partner di mio fratello, tutto qui.” Gli rispose, con il broncio, leggermente indispettita. Sebbene giovane- piccola, agli occhi di molti- Kaori si occupava di tutto in casa, era un’adulta al pari del fratello. “Da quando siete compagini passa con te anche tutto il suo tempo libero…”

“Ah ma allora dovevi dirmelo che eri gelosa!” Le rispose, sornione, con un sorriso che gli illuminò gli occhi, mentre le stropicciava i cortissimi capelli rossi. “Guarda che non ti devi preoccupare, perché è impossibile portare il tuo fratellino sulla cattiva strada… ma sai com’è, si è deciso che vuole farmi diventare una persona onesta a tutti i costi!” 

Facendole l’occhiolino, Ryo piantò la cannuccia nella tazza della ragazzina, e prese a succhiare rumorosamente il nettare ormai tiepido, sorridendole in un modo che non poté fare a meno che farla arrossire…

Riportato al presente, Ryo abbassò gli occhi e si sentì avvampare, mentre le farfalle gli sbattevano le ali, pazze, sconvolte, nel petto, come ogni volta che pensava alla sua rocambolesca storia d’amore con Kaori.

Gli mancava. Era lì, a due passi da lui tutto il giorno, ma gli mancava da morire, e non passava istante che non si pentisse di averle detto che aveva ragione, nel lasciarlo. Si voltò verso il vecchio amico, pronto ad aprirgli il cuore ed ammettere le sue colpe, chiedergli come fare per recuperare il suo sodalizio con la di lui sorella, quando un rumore li destò dal loro stupore generale: qualcuno stava bussando alla porta.

“E adesso chi diavolo è a quest’ora?” Nogami senior sbottò, marciando verso la porta sbattendo i piedi a terra in una perfetta imitazione di Godzilla che sarebbe potuta essere degna di un Oscar. “Beh allora?”

Aprì la porta, e fece un passo indietro mentre guardava l’uomo davanti a sé, vestito di un vecchio spolverino beige che aveva visto decisamente giorni migliori, il pugno ancora alzato nell’atto di bussare. 

Zenigata: o meglio, l’uomo che si faceva passare per lui nel migliore dei casi, che si credeva l’immaginifico poliziotto nel peggiore.

Dopo un attimo di suspense, in cui nessuno di loro sembrava intenzionato a fare nulla, Ryo scattò, nell’esatto istante in cui “Zenigata” tentava la fuga, e lo placcò a terra, bloccandolo con la sua non indifferente mole, sibilando che era in arresto. 

Non aveva la benché minima intenzione di passare per scemo, o peggio, cretino o incapace, a causa del padre di Saeko. 

“Lasciatemi andare! Sono un collega!” L’uomo prese a strepitare; sotto a Ryo, si muoveva, si dimenava, cercava di assestare pugni, calci, colpi di qualsiasi tipo, ma nulla: l’altro era più forte, più deciso…. Aveva sempre e comunque la meglio.  Alla fine, stremato, dopo una lotta impari che parve durare ore, si arrese, accasciandosi sul pavimento, singhiozzando, piagnucolando come un bimbetto dell’asilo che la madre aveva appena mollato davanti alla porta.. “Perché non volete che vi aiuti a risolvere il caso? Perché?”

Ryo e Hideyuki si scambiarono un’occhiata a metà tra l’incredulo ed il seccato: chiunque fosse quello “Zenigata” credeva davvero di essere un poliziotto, o almeno così sembrava!

Ryo ed il capo si scambiarono un’occhiata, mentre Yuka li guardava con gli occhi brillanti, felice come una pasqua, eccitata all’idea di avere davanti un vero caso su cui indagare, materiale reale per poter sbloccare la sua crisi creativa e creare l’ennesimo capolavoro che le sarebbe valso l’ennesimo premio ed altra fama… e avrebbe potuto osservare dei veri poliziotti, non solo sentire suo padre che si vantava come un pomposo pavone!

“Lei ha visto tutto! Sa chi è stato!!!” L’uomo prese a gracchiare, nonostante la sua voce si facesse sempre più flebile, a causa forse anche del corpo di Ryo su di lui.

Tre paia di occhi si voltarono verso la ragazzina, che, all’improvviso, impallidì, facendosi sempre più piccola. 

“Yuka…” il padre la intimò. “Hai visto gli scagnozzi di questo tipo farlo fuori?” Le sibilò, avvicinandosi minaccioso verso di lei; mai come in quel momento la giovane aveva sentito, avvertito la figura del padre incombere su di lei: lo aveva sempre visto come un bambinone egocentrico, tutto casa e lavoro, un po’ scemotto… e francamente, era sempre stata convinta che, in casa, quelle col cervello fossero solo lei e Saeko!

“Ehm, veramente, è stata una donna a farlo fuori…” la ragazza dovette ammettere. “Una donna che… che lui ha chiamato Ciccina…”

 

“Ryo… cosa avete combinato tu e Hide con il capo tutto il giorno? Non siete mai stati in ufficio!” Kaori gli domandò, dondolandosi sui talloni mentre teneva le mani sulla scrivania. Lui alzò lo sguardo dai fogli che stava compilando, e gli occhi, allontanatosi un attimo da Zenigata, che stava complottando con il padre delle Nogami,  gli brillarono per un attimo. 

Era ancora lei, la ragazzina di cui si era assurdamente infatuato tanti anni prima, a cui aveva rubato la cioccolata calda, con cui, nonostante gli anni di differenza, si era trovato a fare il galletto. La sua Sugar. Sì, al dito aveva l’anello di fidanzamento di un altro, ma… ma non significava nulla, no? I fidanzamenti venivano rotti in continuazione, non erano certo promesse di amore eterno, lo sapeva bene, lui! 

“Hide fa così tanto il misterioso… avanti, c’è sotto qualcosa?” Gli domandò, con voce peperina, sorridendogli leggermente, e mettendo allo stesso tempo il broncio, proprio come quando era una ragazzina e si erano incontrati per la prima volta.

Con circospezione, Ryo si guardò intorno; solo Reika li stava guardando male, ma quello era normale, lei voleva sempre Ryo tutto per sé, dopotutto. Si alzò, ed afferrò la compagna per la vita, guidandola nell’ascensore. Le avrebbe detto cosa stava accadendo, sarebbe stato onesto e avrebbero condiviso un segreto: c’era modo migliore di creare intimità tra un uomo e una donna? Ne dubitava… “Andiamo al bar a mangiare qualcosa, ti spiegherò tutto lì!”

Ryo prese la sua amata Mini dal parcheggio del palazzo, e Kaori salì al suo fianco, senza nemmeno bisogno che lui glielo chiedesse, come fosse stata la cosa più naturale del mondo, automatico, quasi come respirare. Viaggiarono nella notte di Shinjuku che li cullava in un silenzio confortevole, che sembrava avvolgerli in una bolla di pace e tranquillità, estraniandoli dal resto del mondo. Ryo volgeva ogni tanto lo sguardo su Kaori, che, con un leggero sorriso, poggiava la fronte sul finestrino, le luci dei neon del quartiere che si riflettevano nei suoi occhi. 

Ryo strinse con forza il volante, con tale energia che le nocche si imbiancarono, e fece schioccare i denti. Quella era la casa di Kaori, il luogo dove lei era nata, cresciuta… che lei amava. Come poteva pensare di andarsene per seguire quello spocchioso bell’imbusto?

“Ryo?” gli domandò, incerta, avvertendo l’improvviso cambiamento all’interno del veicolo, l’incantesimo che si era spezzato. Il poliziotto parcheggiò, scuotendo leggermente il capo, come a farle credere che tutto stesse andando per il meglio, che non ci fosse problema alcuno, e con le mani in tasca del giubbotto di tela azzurra si incamminò verso il locale dei loro amici.  Una volta entrato, non ebbe alcun dubbio su dove andare: il loro tavolo, quello un po’ isolato dove erano stati soliti sedersi e scambiarsi baci furtivi, tenersi per mano mentre si guardavano come due ragazzini alla prima cotta. 

“Prendi sempre il solito, Kaori?  Quell’obbrobrio che chiami tramezzino con petto di tacchino arrosto, salsa allo yogurt e lattuga scondita?”

La donna si infuriò, però non poté esimersi dall’arrossire: Ryo la conosceva davvero bene, e sebbene fosse passato parecchio dall’ultima volta che avevano mangiato al bar insieme, si ricordava ancora cosa fosse solita prendere. E come una volta la prendeva in giro: aveva iniziato a prendere quello che lui aveva chiamato Obbrobrio perché lui aveva fatto battute sul suo peso e sulla sua voracità, e alla fine non aveva mai smesso di usare quel club sandwich così particolare come spuntino o talvolta cena. 

“Beh, allora si può sapere cosa è successo? Non me lo vuoi proprio dire?” lo supplicò, mettendogli il muso- e a quello, Ryo non aveva mai saputo resistere. 

Le raccontò cosa era successo, del capo e del suo discorso, che entrambi ritennero idiota, del comportamento screanzato che aveva tenuto, di come era stato ingannato da Zenigata… e della scoperta del loro testimone, che era la figlia stessa del capo, novellista che Kaori conosceva ed apprezzava, fino alla risoluzione del mistero: come nella più banale partita di Cluedo, la colpevole era la sua donna, che insospettita dai movimenti furtivi del suo amante aveva creduto di essere sul punto di essere rimpiazzata da un modello più recente – mentre invece Satoro commerciava in armi modificate e prive di matricola. Avevano anche scoperto chi fosse Zenigata: il suo vero nome era Toshio Kawai,  era un ex guardia di sicurezza che aveva tentato per ben tre volte di entrare in polizia, superando sempre le prove con il massimo rendimento, per essere poi accompagnato alla porta non appena venivano a galla  quelle sue peculiari nevrosi.

“Certo che però solo voi potevate mettervi in una situazione del genere!” lei scherzò, pulendosi la bocca dalle briciole del delicato pane bianco. Ryo scoppiò a ridere, in modo sguaiato, ma sincero, la stessa risata che aveva spesso fatto quando erano insieme, una coppia, e scherzavano e giocavano- mentre si gettava in bocca  una manciata di patatine fritte. 

La donna sospirò: certe cose non sarebbero cambiate mai, anche le più semplici, come il fatto che il suo ex sembrava bruciare calorie semplicemente respirando. Ryo sembrò avvertire il suo sguardo su di lei, e i loro occhi si incontrarono ai due lati opposti del tavolo; l’uomo mosse le dita, tentato di sfiorare la mano di quella che era stata la sua donna, ma quando vide la luce dei neon far risplendere il diamante che Kaori portava al dito si fermò, riflettendo su come agire. 

Fare o non fare… non c’è provare!  Si disse, e mentre rifletteva, lei avvertì quello sguardo, e forse… forse anche i suoi pensieri, i desideri di Ryo, perché nonostante tutto, lei era sempre stata quella che lo conosceva meglio, che lo capiva come nessun altro, e che sembrava leggerli nella mente. 

All’esterno, una campana batté la mezzanotte, i rintocchi che risuonavano forti, decisi, implacabili, segnando il loro destino.

“Io…devo andare adesso!” La donna si alzò in tutta fretta, e afferrando la borsetta si chinò un attimo su di lui; diede un veloce bacio sulla guancia a Ryo, che come fosse stato bruciato sfiorò quel pezzo di pelle, quasi potesse avvertire ancora la pacifica presenza di Kaori, il corpo di lei premuto, anche se solo per una frazione di secondo, contro il suo. 

Alla fine, non aveva provato, e non aveva fatto. E lei se n’era scappata ai cento all'ora dal locale. 

Alzò la mano per richiamare l’attenzione di Umibozu, desideroso di buttare giù un bicchiere del suo drink preferito, un liquore bello forte, mentre dentro di sé sorrideva soddisfatto, e sentiva il suo cuore battere, ed il suo animo si permetteva di sognare, ancora, di nuovo. 

Kaori non era così imperturbabile come voleva fargli credere; nonostante lo avesse lasciato, nonostante dicesse che erano solo amici, nonostante stesse organizzando il suo matrimonio, c’era ancora un barlume di speranza per Ryo. 

Non lo aveva dimenticato. Non ancora. 

Per terra, qualcosa prese a luccicare, e l’uomo si chinò per raccoglierlo: era un orecchino, ed era, se non si ingannava, lo stesso che aveva indossato Kaori quel giorno. Mettendoselo in tasca, l’uomo sorrise: la sua Cenerentola non seminava scarpe, ma orecchini. 

La gente riempiva le strade di Shinjuku, ma mai come allora Ryo si sentì a casa, in pace, come forse non si era sentito da molti mesi a quella parte, ed il tutto perché stava germogliando nel suo cuore il seme della speranza.

 
   
 
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