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Autore: Lady_Crow    22/09/2021    1 recensioni
Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Ma di cosa sono fatti i sogni? Cosa significa: “Vissero per sempre felici e contenti”?
 Isabeau e Navarre sono finalmente insieme, ma i loro guai non sono finiti. Marquet, il Capitano della Guardia al servizio del Vescovo, è ormai stato sconfitto; tuttavia, a Roma, suo fratello Leroy preme perché gli vengano assegnati degli uomini, in modo da poter riconquistare Aguillon e vendicarsi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Etienne Navarre, Imperius, Nuovo personaggio, Philippe Gaston
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era passata una settimana dal giorno in cui Isabeau e Navarre erano stati forzatamente portati in trionfo e avevano preso ad abitare in quella che era stata la residenza vescovile. Pur apprezzando di cuore l’entusiasmo e l’affetto del popolo di Aguillon, di certo accentuato dal fatto di essere appena stato liberato dal giogo di un sovrano autoritario e crudele, i due erano ancora assai frastornati, divisi fra l’incontenibile gioia di essersi ritrovati e di potersi finalmente vivere in una dimensione che non fosse solo quella onirica, e la necessità di costruire qualcosa che prendesse il posto di quanto avevano distrutto. Isabeau era particolarmente dubbiosa riguardo al fatto che fosse stata una buona idea accettare l’incarico piovuto dal cielo, ma provando a parlarne con Navarre si era sentita domandare se vedesse alternative a quel destino, ed era stata costretta ad ammettere di non vederne affatto.
Sospirò.
Accanto a lei, Etienne ancora dormiva; abbracciava il cuscino, forse sognando che fosse lei a stare fra le sue braccia, con le labbra appena increspate da un vago sorriso, nella beatitudine che si vede sul volto di un uomo solo dopo una notte d’amore.
Si portò una mano davanti alla bocca e premette le dita sulle labbra cercando di non ridere a quel pensiero. Respirò a fondo, e quando fu certa di riuscire a trattenersi e di non finire per svegliare il capitano, si rilassò. La mano della dama, dalla bocca, si spostò ai capelli; corti, cortissimi, specialmente per una donna del suo rango.
“Isabeu… I tuoi capelli!”: questa era stata la prima cosa dettale da Navarre appena qualche giorno prima, quando finalmente, dopo quasi due anni, avevano avuto nuovamente modo di guardarsi negli occhi per più di un istante. L’aveva detto con infinito amore, ma poteva ben comprendere che fosse rimasto sconvolto: lui la ricordava con sul capo una lunga chioma, che arrivava ben oltre la cintola; in pubblico era solita mostrarsi alle cerimonie con complesse e magnifiche acconciature, mentre una più semplice ma efficace treccia ondeggiava nel vento, dietro di lei, come un vessillo, durante le lunghe cavalcate che segnavano le battute di caccia. Solo dopo la fuga da Aguillon Etienne l’aveva vista con i capelli sciolti; era successo la prima notte in cui avevano giaciuto insieme. I due, fino a quel momento, avevano atteso di essere uniti in matrimonio, ma dopo due settimane con gli uomini del Vescovo alle calcagna, durante cui per ben tre volte erano stati sul punto di essere catturati, la paura di morire prima di essersi amati era divenuta troppo forte. In seguito, dopo la maledizione, l’unico rimpianto di Isabeau fu quello di aver atteso tanto; ma come avrebbero potuto sapere che, pur rimanendo insieme e in vita, il Vescovo avrebbe trovato un modo sovrannaturale e tanto oscuro di separarli?
Dopo la maledizione, una notte, correndo mentre cercava di afferrare una lepre, la treccia era rimasta impigliata in un ramo, facendole un gran male, ma soprattutto facendole perdere la cena. Era stato allora che, col la daga che portava sempre con sé, l’aveva tagliata.
“Perché no?” aveva pensato “In fondo probabilmente gli occhi dell’unico uomo per cui m’interessi risultar bella non si poseranno mai più su di me”.
L’aveva poi seppellita ai piedi di un albero, e con quel gesto aveva, se non lasciato ogni speranza, perlomeno pienamente abbracciato la paura di non rivedere mai più il proprio amato in forma umana.

Navarre sospirò e si voltò un poco, nel sonno. Lei fu tentata di carezzargli una guancia, ma si trattenne. Era felice anche così, potendo guardare i riflessi che la poca luce, filtrando dalle finestre, traeva dai suoi capelli biondissimi, e Dio sapeva quanto il suo amato avesse bisogno di riposo.
Per i primi due giorni dopo la morte del Vescovo nessuno aveva osato disturbarli, ma subito dopo erano stati inondati dalle questioni portate davanti a loro da postulanti e consiglieri. Loro erano stati quelli ad essere feriti nella maniera più spettacolare, ma egli aveva fatto del male a molti, e molte questioni amministrative che stoltamente aveva creduto di poter risolvere spaventando il popolo, si erano in realtà ingigantite, e adesso richiedevano soluzioni immediate, e giuste. Per giunta Navarre non poteva esimersi dall’arduo compito di cercare di capire se davvero potesse fidarsi degli uomini della guardia, e questo – la donna ne era certa – lo stancava più di tutto, perché di certo gl’intrighi, la diplomazia e lo spionaggio non erano il suo forte.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, e non era di certo solo per la gradevolezza dei suoi tratti; la dama si sentiva colma di gratitudine e di ammirazione nei suoi confronti all’idea di quanta forza d’animo e quanto coraggio avesse dimostrato, in quegli ultimi due anni e prima di allora; nel petto di Navarre batteva il cuore di un eroe, puro e temerario come – al di fuori di lui – ne aveva incontrati solo nelle ballate.
Doveva alzarsi, altrimenti non sarebbe riuscita a resistere alla tentazione di sfiorarlo, e l’avrebbe svegliato. Lentamente – e con tutta l’agilità acquisita in paritcolar modo durante gli anni passati come fuggiasca, in cui un movimento troppo brusco poteva significare rimanere a digiuno, o peggio, venire catturata – scese dal letto e si diresse verso la porta. Uscì socchiudendola, ma non prima di essersi concessa un altro sguardo a Navarre.
Il lungo corridoio che portava alla camera da letto veniva debolmente illuminato dalla luce che entrava attraverso alcune feritoie; nel complesso, la loro nuova dimora, nonostante lo splendore e il lusso, risultava piuttosto buia all’interno, persino di giorno. Forse la dama non vi avrebbe fatto caso in precedenza, ma dopo aver vissuto prevalentemente all’aperto per tanto tempo, trovava l’atmosfera soffocante, e di certo sapere chi avesse abitato quel luogo per tanti anni non risultava d’aiuto. Proprio per questo motivo non avevano passato una sola notte in quella che era stata la stanza da letto del vescovo, ma avevano deciso di prendere possesso della più bella fra le camere riservate agli ospiti. La posizione meno centrale si sarebbe fra l’altro rivelata utile qualora il palazzo fosse mai stato attaccato.
Rabbrividì.
Non aveva ancora avuto modo di vedere per intero quella che adesso era la sua dimora, e che se Dio lo voleva lo sarebbe stata ancora per molto tempo. In parte era stata rapita dalla gioia di poter trascorrere tempo con Navarre, in parte era stata presa dai suoi nuovi obblighi come sovrana di Aguillon, ma d’altro canto, se ne rendeva conto, la soggezione aveva giocato un ruolo importante. In un angolo della mente quasi temeva di veder ricomparire il Vescovo; ancora vedeva vivida nella memoria l’immagine dei fiotti di sangue che gli sgorgavano dalla bocca mentre moriva, invocando il suo nome. Si strinse la lunga veste intorno, quasi come a volersi abbracciare per darsi conforto. La paura e faceva sembrare il corridoio molto più lungo di quanto in realtà non fosse, se ne rendeva conto.
Per questo decise di andare a vedere la stanza da letto del Vescovo; voleva guardare il luogo che più di tutti, negli anni trascorsi in fuga, aveva temuto; giacché più della morte aveva temuto di essere catturata, portata ad Aguillon, e presa da lui con la forza.
Svoltò a sinistra, poi a destra. Adesso l’ambiente era più luminoso, tuttavia era piuttosto sorpresa dal fatto di non aver ancora incontrato nessuno. Pensò fra sé e sé che però tutto sommato fosse ben comprensibile che i servi di “Sua Grazia” si fossero abituati a cercare di risultare invisibili, onde evitare di attirare le sue attenzioni e le sue ire, come lei del resto, che ancora istintivamente manteneva il passo silenzioso, come se costantemente temesse di essere scoperta.
Le porte delle camere da letto (fino a quel momento ne aveva contate quindici) erano aperte, probabilmente per lasciare che arieggiassero; tutte aperte tranne una. Non avrebbe saputo dire se fosse questo, o piuttosto il brivido freddo come la morte che le attraversò la schiena, a darle idea che proprio quella fosse stata la camera del suo acerrimo nemico.
Respirò a fondo, abbassò la maniglia e spinse la porta quasi con aria di sfida. Si coprì il volto con una mano: il tanfo di chiuso era intollerabile. Come aveva immaginato, nessuno aveva più messo piede lì dentro da una settimana, e non stentava ad immaginare che gl’incubi avessero divorato le ultime notti di vita dell’uomo di chiesa che si era dimostrato tanto poco santo, portandolo a bagnare le lenzuola di sudore; e il sudore dato dalla paura è sempre ben più acre di quello dato dalla comune fatica. Forse una parte di lui sapeva, o forse aveva la coscienza troppo sporca. Il letto era completamente disfatto; era facile immaginare che vi si fosse girato e rigirato, senza pace.
Se solo fosse stato capace di lasciarli andare…
Ma non lo era stato, e adesso lei e Navarre possedevano tutto ciò che era stato suo oltre, naturalmente, a quella felicità data dall’amore che lui aveva temuto e detestato più di ogni altra cosa.
Qualcosa attirò la sua attenzione: la parete a cui era poggiato l’enorme letto a baldacchino. Uno dei mattoni sembrava avere un contorno più scuro di tutti quelli che gli stavano intorno.
Lei inclinò leggermente la testa di lato e strinse appena gli occhi notando il dettaglio. La paura era scomparsa, sostituita dalla curiosità. Attraversò la stanza senza lasciare che i suoi timori tornassero a galla; si avvicinò alla parete e premette il mattone che, come aveva immaginato, scattò indietro e poi nuovamente in avanti. Sotto i piedi nudi avvertì la vibrazione data da un qualche sistema d’ingranaggi sotto il pavimento, e alla sua destra, sotto il suo sguardo incredulo, parte del pavimento si spostò, rivelando una scala. Qualche istante dopo, ai due lati di essa, si accesero fiammate che la illuminarono fino al sotterraneo a cui portava. Sul volto d’Isabeu era visibile il perfetto stupore, sia per la scoperta che per l’ingegnoso meccanismo.
Per un attimo si domandò se potesse essere una trappola, ma poi si disse che tutto sommato, in quella parte della casa, una cosa del genere fosse ben poco probabile. Con grande cautela scese i gradini uno dopo l’altro, fin quando i suoi piedi, inaspettatamente, si poggiarono su del terreno, vagamente umido. Qui il puzzo che aveva avvertito all’ingresso della camera da letto era ben più forte; era stata troppo ottimista a pensare che potesse essere l’odore della paura del vescovo.
La luce proveniente dal piano superiore, ma soprattutto dalle fiamme che costeggiavano la scalinata, erano sufficienti a rivelare la verità.
Catene pendevano dal soffitto, e nei loro pressi giacevano ferri che immaginava fossero stati usati come strumenti di tortura. Ancora: ossa e resti umani in decomposizione. Un ratto che se ne stava nutrendo squittì spaventato e corse a nascondersi.
Isabeau chiuse gli occhi stringendoli più forte che poté; fu scossa da un tremito di rabbia. Rabbia per quel che immaginava fosse accaduto lì sotto, e rabbia all’idea di quanti s’inginocchiavano al Vescovo, ma avrebbero voluto vedere Navarre morto, soprattutto incrociandolo nella sua forma notturna; eppure anche come lupo lui non avrebbe mai commesso simili orrori.
Riaprì gli occhi, asciugando frettolosamente le lacrime che le colavano lungo le guance, e altrettanto frettolosamente risalì la scalinata: sarebbe andata a chiedere ai monaci di dare degna sepoltura ai resti delle vittime del Vescovo.

   
 
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