13.
Jordan Poitier bloccò la
Mercedes W205 presa
a noleggio a Denver dinanzi all’entrata
dell’albergo di proprietà della
famiglia Consworth, dove anni prima Emily aveva soggiornato per alcuni
mesi.
Dopo aver spento il motore, prese
un
gran respiro e, con un ultimo sforzo, l’uomo si decise a
scendere per poi poggiare
i mocassini scamosciati sull’asfalto nuovo del parcheggio.
Sollevatosi con lentezza
– il viaggio
intrapreso in fretta e furia lo aveva sfiancato – si
stiracchiò leggermente
prima di sistemarsi la camicia in cotone egiziano e i jeans scuri che
indossava.
Era insolito, per lui, indossare un
look così casual, ma gli era sembrato assurdo presentarsi a
Nederland con
doppiopetto griffato Armani e scarpe firmate Prada ai piedi.
Inoltre, il tempo dei doppiopetto e
delle cravatte di seta erano finiti, per lui.
Chiusa quindi la portiera
dell’auto con
una spinta leggera, afferrò il suo trolley sul sedile
posteriore dopodiché, con
calma, si avviò verso le porte a vetri
dell’entrata dell’albergo.
Fu lì, oltre quei vetri
trasparenti –
su cui era stato serigrafato il nome della famiglia proprietaria e il
logo
dell’hotel – che Jordan vide la figura della figlia.
Apparentemente, lo stava attendendo
assieme a Jamie, accanto al bancone dell’accettazione, in
compagnia di un altro
paio di giovani uomini che lui non conosceva.
Jordan fu tentato di restare in
contemplazione della figlia ancora per qualche minuto, ma gli
sembrò sciocco
starsene lì impalato di fronte al primo gradino della
veranda, al pari di una
statua di sale. Avrebbe dato l’impressione di essere
diventato, di colpo, uno
spaventapasseri molto costoso.
Avviandosi perciò verso
le porte, attese
che la fotocellula lo vedesse e, quando i vetri infrangibili si furono
ritirati, entrò con passo fintamente tranquillo quindi, con
un sorriso teso,
disse: “Buongiorno.”
“Papà”
mormorò Jamie, dando poi di
gomito alla sorella.
Emily sembrava essere raggelata, al
fianco del fratello. Immobile e con lo sguardo fisso sul volto
dell’uomo che,
per tanti anni, era stato un’incognita vivente, per lei,
sembrava indecisa sul
da farsi e, soprattutto, su cosa dire.
Pur sapendo quanti anni fossero
passati, dalla loro prima lite, trovò strano vederlo con i
capelli ingrigiti,
invece che con la sua consueta e folta chioma castana. Suo padre aveva
sessantatre
anni, perciò era normale che avesse i capelli di quel
colore, eppure lei
faticava a conciliare quell’uomo apparentemente normale con
colui che l’aveva
tanto delusa anni addietro.
E dire che lo aveva visto in
condizioni
ben peggiori, debilitato dall’infarto e smagrito in volto
dalla malattia.
Perché, quindi, ora era così sconvolta, di fronte
al suo arrivo?
Forse, proprio per questo.
Perché, per
la prima volta, suo padre era lì.
Nel
suo territorio.
Aveva sconfinato nella sua confort zone, e questo la rendeva
nervosa.
“Emily…
ciao” disse infine Jordan,
ritentando un approccio con la figlia.
Rabbrividendo leggermente, la
giovane
annullò frettolosamente la distanza che li divideva per un
rapido abbraccio
dopodiché, nello scostarsi, mormorò:
“Ciao, papà.”
Non disse altro, ma a lui
bastò.
Rivolgendosi poi all’uomo piacente dietro il bancone,
aggiunse: “Immagino di
aver parlato con lei, poche ore fa. Sono Jordan Poitier, molto
piacere.”
“Sì, signor
Poitier, ero io. Sono il
figlio del proprietario, Anthony Consworth” asserì
il giovane, allungando una
mano verso di lui. “Ho fatto preparare per lei la stanza con
il salottino. Ho
pensato che avesse bisogno di un posto dove lavorare, visto
che…”
Interrompendolo con un sorriso,
Jordan
disse per contro: “Oh, beh… per visionare le carte
di uno studio di avvocati mi
sarebbe bastato un divanetto, ma grazie davvero.”
I due figli lo fissarono basiti, a
quel
punto, del tutto spiazzati da quelle parole impreviste e Jamie,
strabuzzando
gli occhi, esalò: “Studio… di avvocati?
Cos’è successo, papà?”
“Semplice. Ho ritirato le
mie quote
dall’azienda di famiglia e ho venduto le azioni. Armand e il
nonno mi stanno
facendo diventare matto con gli incartamenti da firmare, visto che sono
un
socio fondatore, ma spero che finiscano alla svelta” si
limitò a dire l’uomo,
sorprendendoli ulteriormente.
“Che
cosa?!” gracchiò Jamie, mentre Emily si
portava le mani sulla bocca per
soffocare un singulto. “Ma che ti è venuto in
mente?!”
Guardando Emily con aria piena di
contrizione, disse con semplicità: “Ho fatto
quello che avrei dovuto fare più
di vent’anni fa. Prendere armi e bagagli e venire a
salvarti.”
A quelle parole, Emily
lasciò crollare
le braccia lungo i fianchi, lo guardò con espressione
addolorata e, dopo alcuni
istanti di angoscioso silenzio, lo mandò al diavolo senza
pensarci su troppo. Senza
dire altro, quindi, si allontanò da tutti per fuggire fuori
dall’albergo.
Jordan non si stupì
affatto di quella
reazione ma, ben deciso a non lasciare che le cose andassero come negli
ultimi
vent’anni, guardò un ancora scioccato Jamie e
domandò: “Dove può essere
andata?”
Quasi all’unisono, i tre
giovani
dissero: “Al molo.”
All’uomo
sfuggì una risatina, di
fronte a una simile
sicurezza e, nel
lasciare il trolley al figlio, lo pregò di portarlo nella
sua stanza e di ritirare
per lui la chiave dopodiché, scusandosi coi presenti,
uscì e si diresse verso
il lago.
“Mi venisse un accidente
…” gracchiò a
quel punto Parker, ancora piuttosto confuso e frastornato da
ciò che era appena
successo.
Jamie si lasciò andare a
un’imprecazione
e, guardando Anthony, domandò ansioso: “Dici che
è il caso che io li
raggiunga?”
“Secondo me, Emy ti
lancerebbe nel
lago, se lo facessi” borbottò Anthony.
“Credo che sia il caso di lasciarli in
pace. Dopotutto, è un po’ che devono parlare,
no?”
“Beh, a quanto pare mio
padre è nella
fase ‘mollo tutto e faccio cose che
non
ho mai fatto prima’. Chi l’avrebbe detto
che si sarebbe lasciato alle
spalle l’azienda di famiglia?” gracchiò
Jamie, passandosi le mani tra i folti
capelli, ormai ridotti a un covone di fieno.
“Non ne sapevi proprio
niente?” domandò
Parker, a sua volta piuttosto perplesso.
“Assolutamente no. E
mamma non ci ha
accennato nulla” sbuffò il giovane, afferrando il
telefono per poi uscire
dall’albergo a grandi passi.
A quel punto, Parker
guardò Anthony e
chiosò: “I Poitier amano le uscite a effetto, a
quanto pare.”
Lui non poté che
assentire. Di certo,
di tutti i possibili scenari che si era prefigurato nella mente
riguardo al suo
primo incontro con il padre di Emily, questo li batteva tutti.
***
Come poteva pretendere
che lei accettasse quella decisione come se nulla fosse
mai accaduto? Come poteva anche solo
pensare che quel gesto impulsivo potesse cancellare
più di vent’anni di
scuse stentate e inutili?!
Seduta sul molo da cui partivano le
barche
a remi per le gite sul lago, Emily era avvolta dal dolce silenzio di
quei
luoghi tranquilli e gradevoli e, da almeno venti minuti, nessuno aveva
tentato
di avvicinarla per chiederle come stesse.
L’ultimo che aveva
tentato qualche
approccio, un giornalista di Boulder piuttosto intraprendente, era
stato scacciato
dal vecchio Joe Blaire - l’addetto all’imbarcadero
- che, con il suo solito
tono di voce burbero, lo aveva rispedito al mittente. Più
docile e con voce
calda e confortante, a lei aveva invece
raccomandato di godersi il molo, senza preoccuparsi di nulla.
E così era stato. Fino a
quel momento,
comunque.
I passi leggeri che stava
percependo
con udito e tatto – attraverso le assi vibranti del molo che
avvertiva sotto le
dita – non dovevano essere di un giornalista, ma certamente
neppure di Parker,
Jamie o Anthony.
Tutti loro si sarebbero annunciati
con
un ‘ehi, Emy… come
va?’, o qualcosa
di simile. Quel passo diffidente, quel silenzio colpevole, potevano
appartenere
a una persona sola.
Perciò, senza neanche
voltarsi,
mormorò: “Non mordo, sai?”
“Meglio non correre
rischi” chiosò il
padre, raggiungendola e sedendosi al suo fianco, lasciando quindi
pencolare le
gambe nel vuoto al pari della figlia.
Lo sciabordio leggero
dell’acqua
accarezzava i piedi del molo in legno, creando un effetto vellutato
tutt’attorno a loro e portando con sé il ricordo
lontano del mare. L’aria
frizzante dei duemila metri a cui si trovavano, però, poco
aveva a che fare con
le assolate spiagge di Los Angeles o Miami e Jordan, nel guardarsi
intorno,
mormorò: “E’ davvero un luogo
bellissimo. Offre molta pace e tranquillità.”
“Hai sentito il dottore,
prima di
venire?” domandò burbera Emily, lanciandogli
un’occhiata di straforo.
Lui sorrise appena, annuendo, ma
disse:
“Non era contentissimo, soprattutto perché sono
venuto direttamente qui senza
prima acclimatarmi a Denver, ma mi ha dato qualcosa da prendere per
ogni
eventualità.”
Ciò detto, si
picchiettò il petto con
una mano aperta, all’altezza del cuore, e sorrise.
L’infarto che aveva avuto un
paio di anni prima li aveva messi tutti in allarme ma, per fortuna,
tutto si
era risolto per il meglio. Le direttive di medico e moglie,
però, si erano
fatte più stringenti, per lui, e quel viaggio aveva messo a
dura prova i nervi
di entrambi i suoi aguzzini.
La giovane si limitò ad
assentire e,
poggiando i gomiti sulle cosce, mormorò: “La cosa
della ditta… potevi anche non
farla, sai? Non è un rapimento a scopo estorsivo, e io non
c’entro nulla.”
“Non importa. Era giusto
così” replicò
lui, osservando il lago che, come uno specchio, rifrangeva le alte
vette che
circondavano l’abitato montano.
Non faceva specie che la figlia
avesse
scelto proprio quel luogo, per nascondersi e vivere serenamente. Ogni
angolo di
quel paradiso in terra era in grado di ritemprare spirito e corpo,
cancellando
con il semplice suono del vento le angustie della vita e il riverbero
di
fastidiosi ricordi.
“Giusto, cosa?”
sbottò a quel punto Emy,
volgendosi feroce verso il padre per poi aggredirlo verbalmente.
“Pensi davvero
che adesso, dopo questo tuo gesto generoso, io ti salti al collo
urlando ‘oh, grazie, papino, ti
voglio bene!’. Pensi
davvero che finirà così?!”
Essendosi aspettato un suo scoppio
d’ira, Jordan non vi fece caso e, nel tornare a osservare la
distesa placida
del lago, le alte vette imbiancate delle Montagne Rocciose e gli scuri
boschi
che circondavano la cittadina, asserì: “Ero stanco
di mentire. Solo questo.”
Quella frase lasciò del
tutto
sconcertata Emily che, sbattendo le palpebre, mormorò:
“In che senso, scusa?”
“Se sei disposta ad
ascoltare la verità
nuda e cruda, te la dirò.”
Rammentando il monito di Max di
ascoltare senza pregiudizi, Emily borbottò un assenso e
Jordan, sospirando nel
prepararsi a quell’ennesima prova, disse: “Successe
tutto quando giunse la
prima richiesta di riscatto.”
Emily assentì cauta e
l’uomo,
passandosi una mano sul volto, tornò a quel giorno, a quel maledetto giorno di più di
vent’anni prima.
***
Luglio
1993 – New York
Aprendo la busta con mani tremanti,
Jordan
lasciò ricadere il foglio scritto a macchina sulla
scrivania, corredato da un
ricciolo di biondi capelli e da una delle spille tanto amate da Emily.
Quella
di Barbie.
Scrutando quindi ombroso suo
fratello Armand
e la sua gemella Bérénice, gracchiò:
“Chiedono cinquanta milioni. Entro due
giorni.”
“Impossibile, e tu lo
sai” scosse il
capo Armand, accavallando le gambe e tamburellando le dita sui
braccioli della
poltrona su cui era assiso. “Dovremo trovare un altro modo
per riportare a casa
la piccolina.”
“Armand ha ragione.
Cinquanta milioni
di dollari prelevati dall’azienda ci farebbero andare sul
lastrico” rincarò la
dose Bérénice, passeggiando nervosamente dinanzi
all’alta finestra che dava
direttamente sulla Fifth Avenue.
L’afa di quei giorni era
percepibile
sulla pelle, pur se quegli uffici potevano contare su un impianto di
condizionamento d’eccezione. Nessuno di loro,
però, sembrava rendersi conto
dell’umidore delle loro fronti, così come del
morboso profumo di pachouli dello
studio dove si trovavano.
Il nervosismo crescente tra di loro
era
l’unico profumo maleodorante e stantio che i tre fratelli
erano in grado di
percepire, un aroma marcescente nato dalla netta contrapposizione tra
di loro,
e per motivi assai divergenti quanto inconciliabili.
“Si sta parlando di mia
figlia! MIA
FIGLIA! Non di un affare tra aziende!” ringhiò per
contro Jordan, sbattendo una
mano sulla scrivania che aveva dinanzi a lui.
Lo studio, per quanto ampio,
arredato
con classe e illuminato da luci calde e piacevoli, gli parve una
prigione, in
quel momento. Una prigione in cui i fratelli e i genitori lo stavano
rinchiudendo sempre più, giorno dopo giorno, in modo tale
che non potesse più
muovere un solo muscolo per accorrere in aiuto della figlia.
Era stato un trauma tornare dal vernissage e scoprire, nel cortile di
casa, i corpi senza vita di Pollux e Castor. I due rottweiler che aveva
acquistato sei anni addietro, ancora cuccioli, giacevano
l’uno accanto all’altro,
all’apparenza addormentati, le teste vicine e le lingue
ciondoloni.
Non gli ci era voluto molto per
capire
che qualcosa non andava; i due cani erano soliti salutarlo sempre, al
suo
ritorno, ma quella sera non si erano mossi, all’arrivo
dell’auto.
Tenendo lontana Margareth
perché non
affrontasse ciò che ormai riteneva inevitabile, si era
avvicinato perciò ai due
animali e, nel vedere la bava alle loro bocche, aveva presagito il
peggio.
Senza perdere altro tempo, era
accorso
alla porta per scollegare l’allarme, solo per scoprire che
era già stato disattivato.
Da chi, lui non ne aveva avuto
alcuna
idea, ma le ipotesi nel suo carnet lo avevano raggelato per alcuni
istanti
terribili.
Assieme alla moglie, sempre
più scosso
da dubbi e timori, era quindi corso in casa per scoprire cosa fosse
successo.
La vista di Sandra, la bambinaia
dei
figli, stesa a terra in una pozza di sangue, aveva fatto temere il
peggio a
entrambi ma, quando Jordan l’aveva sfiorata per auscultarne
il battito, aveva
tirato un sospiro di sollievo nello scoprire che era ancora viva.
Ferita in modo grave –
come avevano
appurato in seguito – ma viva.
Le urla di Margareth, avviatasi
verso
la stanza di Emily mentre Jordan si occupava di Sandra, avevano
però fatto
sprofondare l’uomo nell’abisso nero della
disperazione. Non era servito molto
per capire che qualcosa di terribile era accaduto, e che tutti loro ne
avrebbero
sofferto le terribili conseguenze.
“Sia come sia, o attingi
al tuo fondo
personale, oppure scordati di avere quei soldi
dall’azienda” sottolineò
imperturbabile Armand, strappandolo ai suoi ricordi.
“Sai benissimo che non
dispongo di
quella cifra” precisò per contro Jordan, tornando
al presente. “La maggior
parte dei miei soldi li ho investiti qui!”
“Allora, dovremo trovare
un altro
sistema” borbottò fiacco il fratello, levandosi in
piedi per poi afferrarlo
alle spalle e aggiungere: “Non credere che non tenga a Emily.
Ma distruggere
l’eredità di famiglia non ha senso.”
“E’ per questo
che mamma e papà non
hanno detto nulla?” ribatté Jordan, caustico.
“Li hai convinti che il bene
della ditta sia superiore alla salvezza di mia figlia? Sei stato tu,
Armand, a
convincerli?!”
“Pensi davvero che ti
permetterebbero
di affossare tutto? Neanche Emily lo vorrebbe”
chiosò Bérénice, sfidandolo con
lo sguardo.
“Emily ha solo otto anni!
Cosa vuoi che
le importi della ditta, o di cosa facciamo qua dentro?! Lei
starà soltanto
pensando che non è a casa, e che nessuno è
là a salvarla!” esplose il fratello
minore, fissandola pieno di livore.
“Allora, forse, avresti
dovuto rendere
più sicura la tua villa! Cosa c’entra la ditta,
con le tue negligenze di
padrone di casa?!” gli risputò addosso
Bérénice, ormai livida in viso.
“Avresti
dovuto vagliare meglio le credenziali della ditta che ti
montò i sensori di
sorveglianza!”
“Parliamone anche con
François. E’
giusto che ne sia al corrente anche lui. Poi lo diremo a mamma e
papà, e solo
allora decideremo sul da farsi” dichiarò rabbioso
Jordan, ignorando volutamente
l’umor nero della sorella.
Sembrava spiritata, e non aveva
onestamente voglia di starla a sentire, o di tentare di calmarla. Aveva
davvero
altro per la testa.
“Lo dici soltanto
perché sai che
François darà ragione a te. Adora la piccola
Emily, perciò sai già che farà di
tutto per portarla a casa, ivi compreso mandare tutto
all’aria” lo sbeffeggiò
Bérénice,
irriverente.
Fuori di sé dalla
rabbia, Jordan non
poté più trattenersi dal risponderle a tono e si
rivoltò contro la sorella
maggiore, ringhiandole contro: “Se a te non interessa nulla
di mia figlia, non
vuol dire che gli altri la pensino come te! Ma che diavolo hai, al
posto del
cuore?!”
“Una testa che pensa e
che sa fare due
più due, ecco cosa!” gli urlò contro
lei, mentre Armand cercava di trattenere
entrambi dal venire alle mani.
“Se avessero preso
Philippe, parleresti
ancora così?” le rinfacciò allora
Jordan, allontanandosi dalla scrivania per
poi avviarsi verso la porta, al fine di cercare il loro fratello
minore,
François.
Armand cercò invano di
richiamarlo, ma
fu Bérénice ad attirare l’attenzione di
Jordan e a bloccarne l’uscita dallo
studio.
“Non ti
permetterò di rovinare tutto!” gli
gridò contro la donna, facendo scattare il cane della sua
piccola pistola
Beretta Tomcat.
Dopo averla estratta dalla
borsetta,
approfittando della disattenzione dei due fratelli,
Bérénice la puntò contro un
incredulo Jordan, dopodiché sorrise minacciosa e
lanciò un’occhiata gelida ad
Armand perché non si muovesse.
“Che hai intenzione di
fare, Berry?”
mormorò ansioso quest’ultimo, fissando la gemella
con somma preoccupazione.
“I soldi non usciranno da
qui. Servono a me”
sibilò a quel punto Bérénice,
la mano tremante e la piccola pistola nichelata che dondolava
pericolosamente
tra le sue dita.
“Abbassa
quell’arma, Berry… non ce n’è
davvero bisogno” la incitò a sua volta Jordan,
avanzando lentamente verso di
lei, le mani levate come a voler chetare un animale in preda al panico.
“Resta fermo!”
urlò ancora Bérénice,
gli occhi ricolmi di lacrime e lo sguardo perso nel vuoto.
“Tu pensi tanto alla
tua Emy, ma non hai mai fatto una sola domanda su di
me! Su tua sorella!”
Jordan, a quel punto,
guardò turbato Armand
in cerca di spiegazioni, ma lui scosse il capo ugualmente confuso, non
comprendendo a sua volta le parole della gemella.
“E’
più di un mese che continuate a
scervellarvi su dove possa essere quella bambina, su che fine abbia
fatto, ma nessuno si è
domandato come mai io sia
mancata così spesso dall’ufficio, in queste ultime
settimane!” sbraitò la donna
con tono invasato, agitando nervosamente la pistola. “A
nessuno interessa
saperlo!”
“Berry, se non ci dici
nulla, come
possiamo capire?” mormorò a quel punto Armand,
levando a sua volta le mani,
avanzando un paio di passi verso di lei.
“Dovevate capirlo! Tu, che sei il
mio gemello, non ti sei accorto di nulla! NULLA!” gli
sputò contro Bérénice,
tergendosi nervosamente le lacrime prima di puntarsi sotto il mento la
piccola
pistola. “Beh, così non riuscirai a far uscire un
solo dollaro dall’azienda.
Poco ma sicuro.”
Ciò detto, chiuse gli
occhi e, prima
che Armand o Jordan potessero fermarla dai suoi intenti,
Bérénice tirò il
grilletto e sparò.
Il colpo le trapassò il
cervello,
uccidendola sul colpo e, mentre i due fratelli la raggiungevano
sconvolti, il
corpo inerme della donna crollò a terra, inzuppando il
prezioso tappeto
Aubusson del suo sangue scarlatto.
“Ma che
diavolo…” ansimò sgomento Jordan,
fissando senza capire ciò che rimaneva del volto della
sorella e il sangue
scarlatto che stava macchiando i fili perfetti e colorati del tappeto.
Gli occhi immoti di Berry fissavano
vacui il soffitto, mentre la macchia di sangue andava allargandosi come
un lago
sversatosi da una diga non più pronta a contenerlo.
Terrorizzato, Armand si
inginocchiò
accanto alla gemella, sfiorò la sua gola nel vano tentativo
di auscultarne il
battito cardiaco e, atono, chiosò: “Beh, se volevi
i soldi, lei ha scelto il
modo più terribile per bloccarti. Prima che la polizia e il
giudice ci ridiano
la possibilità di muovere anche un solo dollaro, passeranno mesi.”
Jordan si passò una mano
sul viso,
chiaramente sconvolto dall’atto insensato della sorella,
così come dalle parole
gelide e senza pietà del fratello. Chi in un modo, chi
nell’altro, lo avevano
definitivamente chiuso dentro a una prigione non dissimile da quella in
cui,
sicuramente, si trovava la figlia.
Ora, non avrebbe davvero
più potuto
raggiungerla.
Già sul punto di
chiamare la polizia, Jordan
si volse verso la porta quando udì bussare con violenza e
Armand,
risollevandosi stancamente, mormorò: “Tu chiama i
poliziotti. Io sento chi è.”
Jordan assentì vacuo e,
mentre Armand
apriva la porta per avvisare la segretaria dell’avvenuta
disgrazia e della
necessità di non far passare nessuno, il fratello
chiamò il nove-uno-uno per
dichiarare il decesso di Bérénice.
***
Nederland
– presente
“… alla fine,
la polizia non poté che
constatare l’evidenza dei fatti.
Bérénice si era suicidata dinanzi a noi, senza
alcun coinvolgimento da parte nostra. L’autopsia ci permise
di scoprire il
perché delle frasi deliranti di nostra sorella; un tumore al
quarto stadio al
pancreas. Berry non voleva che io prelevassi i soldi perché,
da quel poco che
scoprimmo in seguito, aveva già firmato degli assegni con
cifre enormi per
farsi operare in Brasile, scoprendo però troppo tardi che il
suo tumore era
inoperabile. I strozzini la stavano braccando, perciò era
terrorizzata che,
prima o poi, sarebbero arrivati a lei per riavere i soldi che
spettavano loro.”
“Dio santo”
gracchiò Emily, coprendosi
la bocca per lo sgomento.
“Mantenemmo il tutto nel
più stretto
riserbo per non fomentare ulteriormente la stampa, che stava
già tartassandoci
con il tuo rapimento così, sul suicidio di tua zia si lesse
ben poco, sui
giornali, soltanto un trafiletto a fondo pagina e
nient’altro” mormorò stanco Jordan,
il viso reclinato verso il basso.
“Io credevo
che… che zia
Bérénice…”
“…si fosse
tolta la vita perché
soffriva di depressione? E’ quello che dicemmo alla stampa,
per chiudere la
cosa una volta per tutte. La polizia, dal canto suo, aveva interesse a
mantenere la faccenda segreta per poter indagare sulle cliniche
illegali che si
occupavano di queste operazioni miracolose,
perciò non fece che confermare la nostra versione. I soldi
per il tuo riscatto,
come ben sai, vennero chiesti in tre diverse occasioni, con cifre
sempre
maggiori. Quando ancora i fondi erano bloccati, tentai comunque di
riunire il board per chiedere ai
soci di votare in
merito, così da essere già pronti una volta che
ci avessero permesso di
utilizzare il denaro della banca.”
“Così non
avvenne, però” chiosò atona
Emily.
Jordan scosse il capo, ammettendo:
“Il board votò
contro, con l’eccezione di me
e François. Semplicemente, tu valevi meno della
ditta.”
Emily annuì debolmente,
mormorando
sconvolta: “Quindi, zio Armand e i
nonni…”
“Già. Ti sei
mai chiesta perché, con
quel ramo della famiglia, abbiamo sempre avuto ben pochi
rapporti?” le domandò
lui, ammiccando tristemente.
“E tu sei rimasto tutti
questi anni
per…” tentennò Emily, tornando
finalmente a guardarlo in viso.
“…
perché, visto che ti avevano
barattato per mantenere in vita la ditta, tu e tuo fratello avreste
dovuto
goderne il più possibile. Ho cercato di portarla
più in alto che ho potuto,
così che poteste avere le spalle coperte contro qualsiasi
evenienza e, ora che
siete entrambi al sicuro da qualsiasi problema finanziario, me ne sono
sganciato” le spiegò lui, facendo spallucce.
“Sei rimasto con persone
che detestavi…
per noi?” domandò ancora Emily, faticando a
comprendere come il padre potesse
esservi riuscito.
“Non c’ero
quando avrei dovuto, e lo
rimpiangerò finché avrò vita. Ho
potuto fare solo questo, per te e Jamie.”
Emily rimase a lungo in silenzio,
le
gambe ciondoloni e le mani poggiate sulle ginocchia. Gli occhi puntati
sull’acqua ammiravano distratti il riflesso del sole sulle
onde leggere, mentre
il sospiro del vento le accarezzava la nuca, come il tocco leggero di
un
amante.
Il caos del processo aveva fatto
passare in secondo piano l’indagine per suicidio che aveva
coinvolto la sua
famiglia e lei, chiaramente provata, non vi aveva fatto caso
più di quel tanto.
Aveva saputo da sua madre della
morte
della zia ma, non avendo mai avuto un rapporto molto profondo con lei,
né con
suo cugino Philippe, non ne aveva sofferto più di quel
tanto. Si era spiaciuta
per il cugino, ma la cosa era morta lì.
In quel periodo, i suoi sentimenti
nei
confronti del mondo non erano stati molto compassionevoli. Si era
sentita poco
amata da chi avrebbe dovuto proteggerla, perciò non si era
sentita propensa a
dispensare amore a propria volta.
“Perché lo
fece, secondo te?” domandò
alla fine Emily.
“Per il vecchio adagio,
credo. Se non posso averlo io, non lo avrai
neppure
tu. Era disperata, e i creditori le stavano addosso per avere
i soldi che
aveva promesso e che non aveva saldato interamente” le
spiegò Jordan. “Da quel
che ci disse il medico legale, non sarebbe sopravvissuta più
di qualche mese, e
l’operazione per cui aveva speso così tanto, non
sarebbe servita a salvarla.”
“Bianco e nero”
mormorò Emily,
sorridendo tristemente nello scuotere il capo.
“Come?”
esalò sorpreso il padre.
“Max mi disse di parlare
con te, di
ascoltarti senza vedere per forza tutto bianco o nero. Che il mondo era
fatto
di mille sfumature e che io avrei dovuto vedere e accettare ogni tipo
di colore
e, solo alla fine, usarli per decidere se perdonarti o meno”
gli spiegò lei,
facendo spallucce.
“Devo molto a
quell’uomo. Più di quanto
possa dire a parole” sorrise appena Jordan e, per la prima
volta da oltre
vent’anni, Emily rispose al suo sorriso.
“Per un po’, ho
desiderato che lui
fosse mio padre” ammise senza remore Emily, ben decisa a
essere onesta con il
padre. Non voleva essere da meno.
“L’ho
immaginato, e la cosa mi ha fatto
stare male. Ma preferivo che tu avessi almeno una figura maschile di
riferimento, piuttosto che nessuna. Se non potevo essere io, Max
sarebbe stato
perfetto. Lo stimo molto” asserì lui,
arrischiandosi a darle una pacca sulla
mano.
Lei la accettò, e
domandò: “Vi siete
tenuti in contatto? In questi anni, intendo.”
“Certo. Fu lui a
cercarmi, più che
altro per rassicurarmi sul fatto che tu stessi bene” ammise
l’uomo. “Sono
andato anche un paio di volte al ranch di sua figlia, giusto per vedere
come se
la passasse.”
Emily rise sommessamente, celiando:
“Tipico! Max non si smentisce mai.”
“Mamma non era
d’accordo sul fatto che
io continuassi a lavorare in ditta, ci tengo a sottolinearlo. Voleva
che me ne
andassi subito, ma io preferii proseguire e darvi ciò che
serviva per vivere al
meglio delle vostre possibilità.”
“Mamma pensava che
avresti sofferto”
ipotizzò Emily, vedendolo annuire. “Forse,
l’infarto ti è venuto per questo.”
“E’ possibile.
Ma ho cercato di sopportare
tutto, per voi. Semplicemente, adesso mi troverò un hobby e
farò il pensionato”
chiosò lui, scrollando le spalle.
Emily, però, rise di
quell’ipotesi e
asserì: “Non potresti fare il pensionato neppure
volendo. Non sei capace di
rimanere fermo.”
“Chi ha detto che
sarò un pensionato
statico?” replicò lui prima di sorriderle e
domandare: “Posso abbracciarti?”
Emily annuì e
l’uomo, con delicatezza,
strinse le sue braccia attorno alla figlia, mormorando contro i suoi
capelli:
“Mi sei mancata così tanto!”
La giovane si limitò a
rimanere
poggiata contro il suo torace, riappropriandosi dei profumi, del
calore, della
sensazione di avere suo padre vicino.
Era difficile accettare che un
membro
della sua famiglia avesse privilegiato il proprio tornaconto personale
a
discapito della sua vita, ma ora vedeva anche i grigi, oltre al bianco
e al
nero.
Non sapeva se si sarebbe comportata
come la zia, di fronte a una simile Spada di Damocle, o se avrebbe
dimostrato
maggiore discernimento. Quel che importava, al momento, era sapere che
suo
padre aveva tentato l’impossibile, per riaverla indietro, e
che il suo amore
era sempre stato genuino, non frutto della contrizione.
“Papà…”
mormorò alla fine Emily,
stringendo a sua volta le braccia attorno all’uomo.
“Dimmi, cara.”
“Vorrei presentarti il
mio ragazzo, e
un mio amico. Posso?”
Jordan rise, assentì e
le domandò: “Chi
dei due era l’uno e l’altro,
all’albergo?”
Emily rise a sua volta, e gli
chiese:
“Perché sei sicuro che fossero proprio
loro?”
“Erano entrambi
protettivi. Mi ha fatto
piacere vedere quanto sembrassi al sicuro, in loro compagnia”
le spiegò lui,
scostandosi per carezzarle il viso.
Lei gli sorrise appena, e disse.
“Mi
fanno stare bene, sì.”
“Allora,
conoscerò volentieri entrambi”
la rassicurò lui, alzandosi dal molo grazie
all’aiuto di Emily. “Dio! Qui
l’aria è davvero rarefatta! Si fatica a fare
tutto!”
Emily assentì con un
risolino e,
indicando la tasca dei pantaloni dove il padre teneva le pillole, disse
perentoria: “Prendi qualcosa, prima di farti venire un altro
infarto. Se ti succedesse
qualcosa adesso, sarebbe davvero
una
presa in giro.”
“Oh, credimi. Non ti
libererai di me
così facilmente” la rassicurò lui.
Emy allora lo prese sottobraccio e,
convinta, disse: “Lo spero proprio. Anche se adesso ho capito
cosa è successo,
ci sono un sacco di cose di cui dobbiamo parlare io e te, e non voglio
che mi
freghi proprio ora. Naturalmente, chiederò anche allo zio
François, giusto come
controprova, ma sono propensa a crederti già
così.”
“Non dubitavo che lo
avresti chiamato”
le sorrise lui, annuendo con vigore. “Sai
dov’è, ora?”
“In Nepal, se non erro, e
ho un paio di
numeri con cui tentare un approccio” gli sorrise lei,
allontanandosi lentamente
dal molo al fianco di suo padre.
Jordan non poté che
sorridere, di
fronte alla sua espressione interrogativa e felice al tempo stesso.
Avrebbe
fatto anche un patto con il Diavolo, se fosse stato necessario, ma
sarebbe
rimasto al suo fianco.
Sapeva bene che non tutto era
superato,
che la fiducia sarebbe tornata col tempo e che avrebbe dovuto lavorare
molto,
su questo. Ma Emy l’aveva ascoltato, aveva accettato le sue
parole ed era
pronta a riprendere da dove si erano separati.
Era un buon punto da cui recuperare.
***
Accoccolata sul letto a gambe
conserte,
un cuscino su cui poggiare i gomiti e il telefono nella mano destra,
Emily
sorrise quando udì il suono dolce e profondo della voce di
zio François.
Era riuscita a trovarlo solo al
quarto
tentativo quando, un suo collaboratore zelante, aveva risposto per lui
al
cellulare ed era corso in giro per Namche Bazar per cercarlo.
Cinquantottenne impegnato da almeno
vent’anni nel volontariato – e ora Emily ne
comprendeva meglio i motivi –
François si era trasferito in India pochi anni dopo il suo
ritorno e, da quel
momento, si era occupato di progetti filantropici legati
all’UNHCR prima e, in
seguito, a Emergency e Medici senza Frontiere.
Ben di rado su suolo americano,
François era però riuscito a tenersi sempre in
contatto con gli amati nipoti e,
anche per questo, Emily aveva finito con lo sviluppare un rapporto
molto
profondo con il solitario zio.
Quando, perciò,
udì la sua voce, ne fu
felice e, subito, gli chiese: “Ehi, ciao! Come procede,
lì, zio Fran?”
“Tesoro mio, ciao! Qui va
tutto
benissimo e, se il tempo rimarrà stabile, contiamo di
terminare la scuola
distrutta dal terremoto di aprile entro i tempi prestabiliti”
le spiegò lui,
ragguagliandola sulla situazione del Paese, flagellato da uno dei
più
catastrofici terremoti degli ultimi decenni.
Emily lo ascoltò
assorta, rilassandosi
progressivamente e lasciandosi andare lungo un fianco, distesa sul suo
enorme
letto mentre Cleopatra la osservava pacifica dalla sua cuccia-cuscino.
A racconto ultimato,
François mormorò: “Ora
mi vuoi dire come mai mi hai cercato adesso,
visto che ci siamo sentiti solo due giorni fa?”
“Non posso farlo solo per
il piacere di
ascoltarti?” ironizzò lei, pur sapendo quanto
fosse percettivo lo zio. Era
difficile fargliela sotto il naso.
“Problemi con
papà?”
Non che fosse una
novità. Il novanta percento
delle volte che la sentiva in periodi non consoni, lui sapeva che era
successo
qualcosa tra lei e Jordan.
Sospirando, quindi, Emy disse:
“Papà mi
ha raccontato di zia Berry. Di cosa è successo davvero. Per questo te ne
andasti?”
Il silenzio con cui le rispose fu
emblematico. Un cartellone stradale non avrebbe potuto essere
più chiaro.
“Quindi, il fattaccio
è saltato
finalmente fuori” sospirò l’uomo, con
tono sollevato pur se stanco.
“Mi ha detto che la zia
lo fece per
bloccare i soldi della ditta. Non potendo usarli per se stessa, non
voleva che
papà li usasse per me” aggiunse Emily.
“Fu per questo,
sì. Ma, in ogni caso, né
lei né Jo avrebbero potuto usare quei soldi, visto che mio
padre li aveva già
vincolati a loro insaputa” sospirò
François, sorprendendola ulteriormente. “Tuo
padre non lo sa, ma io lo scoprii perché ascoltai una
discussione tra Armand e
tuo nonno. Armand tentò di far svincolare il cinquanta
percento della somma
richiesta, così da far vedere la nostra buona
volontà e attirare in trappola i
rapitori, ma il nonno gli replicò che, anche volendo, non si
sarebbe potuto
fare perché, d’imperio, aveva firmato un documento
che blindava i fondi
societari per cinque anni.”
“E… e poteva
farlo?” esalò Emily,
sgomenta.
“Una vecchia postilla
nell’Atto
Statutario prevedeva che il Presidente potesse vincolare un certo
quantitativo
di somme a protezione del capitale, e senza passare dal Consiglio
d’Amministrazione.
Il giorno seguente la scoperta del tuo rapimento, vincolò
quei soldi.”
Emily non seppe che dire e, nello
stringersi al petto il cuscino, pensò a suo padre. Era quasi
certa che lui non
ne fosse al corrente, altrimenti non avrebbe mai potuto lavorare ancora
a
fianco dei genitori per tutto quel tempo.
“Perché non
glielo dicesti mai?”
“Mi disse della sua
intenzione di
spremere l’azienda come un limone, al solo fine di darvi un
futuro il più
prospero e sicuro possibile, così rinunciai. Se glielo
avessi detto, avrebbe
preso la mia stessa decisione di andarsene, e sarebbe stato
più difficile, per
lui, darvi il futuro prospero che sognava per voi” ammise
François. “Io ero
solo, all’epoca, e non mi importava di spostarmi da un posto
all’altro del
mondo, ma lui…”
“Ripartire da zero, e con
nemici come i
Poitier a metterti i bastoni tra le ruote, sarebbe stato
impossibile” ammise
Emily, ora ben conscia di come funzionassero certe cose.
“Esatto”
assentì François, torvo.
“Sopportò
la loro freddezza per voi, ripagandovi un po’ alla volta
quello che, a suo
tempo, non era riuscito a darvi a causa dei suoi famigliari.”
“Perché parli
al plurale? Jamie non fu
rapito” sottolineò Emily.
“Jamie soffrì
moltissimo, a causa della
tua sparizione e, pur se cercò di mascherare il suo dolore
una volta che tu
tornasti, noi sapevamo. Pur se
aveva
solo sei anni, ci impose di non dirti mai fino a che punto fosse
crollato, fino
a che punto si fosse disperato per te, e noi accettammo di mantenere il
segreto
per lui.”
La dolcezza e lo strazio nella sua
voce
fecero incrinare quella di Emy, quando mormorò:
“Quello sciocco! Avrebbe potuto
parlarmene!”
“Penso che il solo fatto
che tu ci sia,
gli basti. Non oso immaginare cosa avrebbe potuto succedere, se tu non
fossi
tornata” sospirò François, tremando al
solo pensiero.
Neppure lei preferì
soffermarsi su
simili pensieri e, nel rialzarsi a sedere sul letto, disse:
“Grazie per avermi
detto tutto, zio. Era importante, per me.”
“Se me lo hai chiesto,
è perché
finalmente ti sentivi pronta ad ascoltare. Dirtelo prima, forse, non
sarebbe
servito a nulla, perché la tua condizione d’animo
non sarebbe stata quella
giusta” ipotizzò suo zio.
“Forse… ma ora
ho bisogno di essere
solida e forte, perché c’è bisogno che
io lo sia” asserì lei, raccontandogli
quindi ciò che era avvenuto.
Lo zio ascoltò attento
il racconto
della nipote, si dichiarò disponibile a tornare per starle
accanto ma, quando
Emy gli disse di suo padre, François si rasserenò
immediatamente.
Fu con le sue raccomandazioni a
tenerlo
informato, che infine lo salutò, dopodiché Emily
uscì dalla propria stanza e,
raggiunto che ebbe Jamie nella sua, si gettò sul letto per
abbracciarlo in
silenzio e, stretti l’uno all’altra, si
addormentarono.
Come i due bambini di un tempo,
prima
del rapimento, avvolti l’uno nelle braccia
dell’altra, al sicuro, senza un solo
pensiero a turbarli.
Puri.
N.d.A.: finalmente scopriamo le ragioni per cui Jordan non riuscì a pagare il riscatto della figlia, e veniamo altresì a sapere fin dove, la famiglia Poitier, si spinse per proteggere i propri interessi a discapito della vita di Emily.