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Autore: Nocturnal Valex    25/09/2021    1 recensioni
Il corpo di Snape non fu mai ritrovato nella Stramberga Strillante, dove Harry era sicuro di averlo visto morire, ma sei anni dopo quel giorno Harry ha ben altro a cui pensare: qualcuno ritornerà dal passato, e tra amori vecchi e nuove minacce, Harry deve riuscire a mantenere insieme i pezzi della sua vita.
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton | Coppie: Harry/Ginny, Harry/Severus, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Harry rimase colpito dal messaggio di Snape. Non solo aveva corso il rischio di farsi scoprire vivo nel caso non fosse stato da solo, ma gli aveva anche chiesto scusa. Eppure non si presentò all’appuntamento la sera successiva, e nemmeno tutte le sere della settimana a venire. 

Malfoy a casa sua era un impegno a tempo pieno, pretendeva in continuazione e non faceva altro che lamentarsi, inoltre Ginny era sommersa di lavoro quindi doveva spesso occuparsi di James. Il tempo che non passava dietro a quei due bambini lo trascorreva a lavoro, spesso di notte, per cercare di capire dove fossero andati i Mangiamorte evasi. Avevano fatto passi da gigante dopo l’aggressione ad Astoria ed erano riusciti a catturarne uno, Travers, che contrariato dalla decisione di aggredire donna si era praticamente consegnato, lasciando parecchi indizi. 

Era comunque spaventato da eventuali ritorsioni da parte dei suoi compagni di fuga, quindi non parlava e ancora non erano riusciti a cavargli fuori mezzo indizio, cosa che rendeva matto Harry. 

L’unica nota positiva di quella settimana era la casa dei suoi genitori, che sembrava essere quasi terminata. Non ci sarebbe potuto andare a vivere dentro finché il caso non fosse concluso e Draco avesse lasciato Grimmauld Place, ma vedere che quelle macerie stavano riprendendo vita gli dava un motivo per essere felice.  

Le domande ad Astoria non avevano portato a nulla. La donna aveva confermato solo che i suoi aggressori erano i Mangiamorte evasi, le cui facce tappezzavano mezza Diagon Alley e comparivano spesso in prima pagina sul Profeta.  

Draco, d’altro canto, non aveva ancora detto dove fosse suo padre nonostante ormai sapesse che il pericolo era reale, ed Harry si era convinto che non lo sapesse nemmeno lui. Kingsley aveva anche ritirato la squadra Auror deputata alla ricerca di Lucius, perché mancavano maghi che pattugliassero le principali città magiche. 

-Ron possiamo parlare per favore?- Harry si trovava in ufficio insieme al rosso, ognuno seduto alla propria scrivania, a leggere gli ennesimi fascicoli. Non reggeva più la tensione che c’era tra lui e l’amico, voleva provare a risolvere, ma era consapevole che finché Ron non fosse stato pronto le sue parole erano sprecate. 

Il rosso non alzò nemmeno dal foglio che stava leggendo. -Non abbiamo nulla da dirci- borbottò. 

Harry sbuffò e si alzò dalla scrivania, abbandonando il lavoro per raggiungere l’altro e piazzarsi davanti a lui, appoggiando violentemente le mani sul piano di legno. -Io invece credo di sì, e sai cos’altro credo? Che tu abbia qualche problema- attese che Ron alzasse lo sguardo su di lui, innervosito, per continuare. -Non credo che sia normale questo tuo comportamento. Buon Godric, ne hai avuti di periodi in cui ce l’avevi con me, ma questo è proprio un motivo stupido, non sei d’accordo?- 

-Hai lasciato mia sorella con un bambino piccolo- sbottò il rosso a voce troppo alta, costringendo il Prescelto a silenziare la stanza, deluso da quella mancanza del rispetto nei confronti suoi e di Ginny, che gli avevano chiesto di non dire a nessuno dell’esistenza di James. 

-Appunto, tua sorella, non te. Non pensi che ad avercela con me dovrebbe essere lei? Invece guarda, io e Ginny andiamo d’amore e d’accordo, gestiamo James insieme e comunichiamo come due adulti, cosa che a quanto pare tu non sai fare-. Harry non era sicuro che insultarlo fosse la decisione migliore per fare pace con lui, ma non gli importava, voleva che Ron ragionasse con la testa e non d’impulso come suo solito. 

Il rosso, infatti, si alzò di colpo e aggirò la scrivania per raggiungerlo. -Non avresti dovuto lasciarla. Ora si trova indifesa, con un bambino da proteggere e un lavoro da mantenere. Tu invece vuoi sempre essere felice senza pensare agli altri-. 

Harry era sconvolto da quelle parole e ci mise un po’ a capire cosa dire. C’erano talmente tante cose sbagliate in quello che aveva detto che non sapeva da dove partire. -Hermione ti ha mai sentito dire queste cose? Sai, Ginny è perfettamente in grado di difendersi da sola, oltre al fatto che vive in una zona sicura di Londra, e a James ci penso anch’io- non voleva arrabbiarsi, ma Ron stava sparando a zero su cose che non sapeva, o che sapeva ma ignorava, e lui non riusciva a stare calmo. -E se parlassi con me o con Ginny, sapresti che è una decisione che abbiamo preso insieme, non l’ho imposta io. Nessuno dei due stava più bene insieme. Ron, a volte le storie finiscono, e non è giusto che tu te la prenda con me in questo modo- lo guardò senza riuscire a nascondere la delusione. Era ferito dal comportamento dell’amico, e paragonabile a quel dolore nell’ultimo periodo c’era solo la discussione di una settimana prima con Snape. 

Aveva anche pensato di dire a Ron del professore, ma ci aveva appena ripensato. Se Ron non intendeva più essere suo amico, allora Harry aveva tutto il diritto di tenere per sé quel segreto, nascondendolo insieme agli altri che manteneva. 

Ron non rispose, limitandosi a dargli le spalle e ad uscire dall’ufficio, lasciandolo solo. -Stupido Ron- mormorò quando l’altro non fu più a portata d’orecchio. Decise quindi di scrivere ad Hermione per capire cosa prendesse al rosso, e quando due ore dopo la ragazza gli rispose con uno stringato “Stiamo discutendo da un po’, credo sia in tensione per i Mangiamorte liberi” che fece sbuffare il ragazzo. 

Quella sera, decise, sarebbe tornato alla tomba dei suoi genitori per vedere se Snape teneva abbastanza a lui da aspettarlo dopo tutti quei giorni.  

 

Il cimitero era completamente buio, e le lapidi conferivano un’aria lugubre che fece venire i brividi ad Harry. Era parecchio tardi, ma fino a soli venti minuti prima di stava chiedendo se fosse la scelta giusta andare da Snape, sempre che l’uomo si fosse presentato da Lily come aveva detto. 

Soffocò un moto di delusione quando, arrivato davanti alla tomba dei suoi genitori non vide nessuno. Doveva aspettarsi che Snape non lo avrebbe aspettato in eterno, ma poi sentì dei passi dietro di sé e subito riconobbe la camminata del professore. 

-Ce ne hai messo di tempo- esordì l’uomo affiancandolo. Non lo guardò, preferì tenere lo sguardo fisso sul buio intorno a loro anziché perdersi negli smeraldi incastonati nel volto di Potter. 

Harry si strinse nelle spalle. -Dovevo riflettere, e poi sono successe un po’ di cose- 

-Ah sì, Travers. Ho letto che lo avete catturato. Immagino non voglia dirvi dove sono gli altri- aspettò un cenno affermativo da parte del ragazzo -Ti va di venire da me?- propose, lasciando di stucco il Prescelto, che annuì nuovamente senza lasciare trapelare nessuna emozione.  

Osò allora allungare una mano per afferrare il polso di Potter, sentendolo irrigidirsi, ma non si diede tempo per assaporare il calore della pelle del ragazzo, nascosta sotto strati di vestiti pesanti per combattere il freddo, e insieme si smaterializzarono. 

Harry atterrò incerto sulle gambe ed era sicuro che sarebbe caduto se Snape non l’avesse sostenuto tenendolo per il braccio. Sentiva quel contatto bruciare nonostante ci fossero molteplici strati di tessuto tra la pelle del suo braccio e le lunghe dita affusolate dell’uomo, quindi si affrettò a staccarsi. Si guardò intorno: davanti a lui una modesta casa Bianca si stagliava contro il cielo nero e carico di nuvole, subito dopo un vialetto che portava all’ingresso. L’erba del cortile era alta e incolta, segno che Snape non se ne prendeva cura da tanto tempo, o forse non lo aveva mai fatto, ma quello era l’unico segno che poteva indicare che quel posto fosse disabitato.  

Una folata di vento gelido lo fece rabbrividire e l’ex professore di affrettò a fargli strada verso la porta. L’interno era ben tenuto e pulito, l’arredamento modesto rispecchiava le stanze private di Snape, da quello che ricordava Harry, e il calore che si sprigionava da un caminetto magico perennemente acceso lo avvolse, facendolo sentire subito meglio. Se non fosse stato per il gelo tra lui e il maggiore, si sarebbe anche potuto stendere su uno dei divani in pelle nera e addormentarsi, per quanto era stanco e infreddolito. 

Ma Snape lo guardava come se si aspettasse una qualsiasi reazione, ed Harry si sentì sotto esame -E io che mi immaginavo che lei vivesse in una grotta sotterranea…- disse con una smorfia divertita, nel tentativo di stemperare la tensione tra di loro. 

Funzionò, perché Snape sbuffò una mezza risata e si rilassò fino a togliersi il pesante mantello di dosso e appenderlo al muro, accanto a quello che aveva prestato ad Harry solo una settimana prima. -Posa pure sul divano il mantello, ti vado a preparare qualcosa di caldo. Tè?- si allontanò dall’entrata per dirigersi in quella che Harry immaginava fosse la cucina. 

-Sì grazie- annuì il minore prima di spogliarsi dei vestiti pesanti, restando con un comodo maglione fatto dai Weasley con i colori di Gryffindor. Si guardò attorno, notando alcune cornici vuote posate su mensole perfettamente pulita. Harry immaginò che in quelle cornici un tempo ci fossero delle foto di famiglia, o addirittura foto di Snape da piccolo, e capì il perché l’uomo le avesse tolte. 

Non c’era nulla di personale nella casa, nulla che potesse raccontargli cosa avesse fatto Snape per sei lunghi anni, così lo raggiunse in cucina e si appoggiò contro il tavolo. Snape gli dava le spalle mentre preparava due tazze di tè caldo, così gli venne più facile porre nuovamente quella domanda: -Ci ripensi mai?- 

Vide le spalle dell’uomo irrigidirsi visibilmente e le sue mani bloccarsi per qualche secondo prima di riprendere a versare l’acqua calda nelle tazze. -In continuazione- sussurrò e il cuore di Harry fece una capovolta nel sentirlo per la prima volta davvero sincero. 

Sospirò e si passò una mano nei capelli. -Perché non ti sei fatto trovare quando ti stavamo cercando?- osò domandare. 

Questa volta Snape ci mise più di un minuto a rispondere, il tempo che gli serviva per preparare il tavolo con zucchero, latte e le due tazze di tè accompagnate da un cucchiaino. Harry si sedette davanti a lui, ancora in attesa di una risposta. -Avevi ragione l’altro giorno- iniziò mentre avvolgeva le mani intorno alla tazza per scaldarsele. -Avevo paura delle conseguenze delle mie azioni, e ancora adesso se tornassi indietro rifarei le stesse cose. Non voglio tornare a com’era prima della guerra-. 

Harry allungò una mano lungo il tavolo, come a voler afferrare le sue, poi si ritrasse velocemente e prese la sua tazza. -Non sarebbe stato come prima. Non ci sarebbero stati più i pericoli di prima, le missioni, le bugie…- 

-Ma ci sarebbero stati gli sguardi di disgusto, i giudizi dell’intero Mondo Magico, e non sapevo se mi sarebbe stato risparmiato Azkaban o meno. Ho comunque ucciso Dumbledore e condotto Hogwarts per un anno dove gli studenti venivano torturati. Il mio nome è stato riabilitato solo due anni dopo la Guerra, grazie a te e a Draco, ma nel frattempo sarei rimasto rinchiuso ad Azkaban-. 

Harry annuì e rimase pensieroso per qualche secondo, nascondendosi dietro la tazza del tè che stava sorseggiando ancora bollente. -Allora perché non sei tornato solo da me? Non avrei rivelato a nessuno della tua presenza, ma almeno avremmo potuto, non so, costruire un rapporto di qualche tipo- “una relazione” erano le parole sottintese in quella frase, ma non ebbe il coraggio di dirle ad alta voce. 

Snape, però, aveva capito. -E quanto sarebbe andata avanti? Io nascosto come un fuggitivo e tu che portavi avanti la relazione con la Weasley per salvare le apparenze. Ma per favore…- ringhiò. Snape odiava i segreti, e durante la relazione con Potter al sesto anno aveva capito che odiava anche essere uno di questi, un segreto. Non lo avrebbe rifatto. Se Potter voleva continuare a vederlo, allora avrebbero dovuto entrambi mettere via i sentimenti e lui era pronto, forse. 

-Quindi se io ti chiedessi di riprovare la risposta sarebbe negativa, vero?-. Gli occhi di Harry lasciavano intravedere tutto il mare di emozioni che infuriava dentro di lui: rabbia, delusione e rassegnazione si alternavano anche sul suo volto. Le mani gli tremavano e cercava di farle stare ferme tenendole strette intorno alla tazza ormai vuota, ma il movimento era ancora evidente agli occhi attenti di Snape. 

L’uomo annuì, frantumando le sue stesse speranze inutili di poter ricominciare da capo con Harry. Guardò il ragazzo alzarsi e posare la tazza nel lavandino, dove si fermò dandogli le spalle. 

-Ho frainteso allora. Pensavo che l’invito fosse volto a questo, o perlomeno pensavo fosse pronto a parlare di ciò che è successo anni fa, ma mi sbagliavo- tornò ad usare un tono più formale e ciò non passò inosservato a Snape, che capì di averlo ferito di nuovo, questa volta volontariamente. -La devo avvisare che lei è nella lista di quelli che Yaxley e i suoi chiamano traditori. Anche se non posso affidarle due guardie, mi ritrovo costretto a chiederle di stare attento e uscire il meno possibile con il suo vero aspetto. Non vorrei venire una seconda volta al suo funerale- “Potrei non sopportarlo”. Non lo disse, ma Snape lo sentì comunque. 

La verità era che Snape stava soffrendo quanto e forse più di Harry, ma aveva capito che se voleva che il ragazzo fosse al sicuro e vivesse una vita felice con una persona legalmente viva allora avrebbe dovuto allontanarlo da sé. Il problema era che stava andando fin troppo bene quel suo piano, e ora non si sentiva pronto a lasciarlo andare.  

-Lo farò, non preoccuparti- gli promise, assecondandolo nel suo cambio di argomento con una nota di sollievo mista a paura. 

Mentre Harry usciva dalla cucina e si rivestiva del mantello pesante, Snape si rese conto che quella sarebbe stata la loro ultima conversazione e una fitta allo stomaco per poco non lo fece vomitare. Dovette ringraziare la penombra dell’ingresso che impedì ad Harry di vedere il suo colorito verdognolo. 

Aprì la porta ed Harry uscì. Nel passargli accanto lasciò una scia dell’odore che Snape conosceva fin troppo bene: erba fresca, vento e cioccolato. Lo aveva sentito più volte addosso a sé dopo le notti di fuoco col ragazzino di sedici anni, lo sentiva sul suo letto negli appartamenti ad Hogwarts e lo aveva sentito di recente nel mantello che il ragazzo gli aveva restituito e che Snape ancora non aveva avuto la forza di lavare, nonostante fosse incrostato di terra e umidità. 

Fu quel profumo a farlo risvegliare dallo stato di trance che lo aveva colto. Lanciò un’occhiata al ragazzo, che ancora non era uscito dal suo cortile, e lo chiamò. -Harry!- per la prima volta da che lo conosceva, lo aveva chiamato per nome. -Harry- assaporò quella parola sulla punta delle labbra prima di abbandonare l’uscio della porta e percorrere a grandi falcate la distanza che lo separava dal ragazzo, che si era voltato sorpreso e con occhi carichi di un’aspettativa che, questa volta, non avrebbe deluso. 

L’impeto della camminata gli ruppe il labbro quando la sua bocca andò a scontrarsi contro quella di Harry, aperta per la sorpresa. 

Fu un bacio caotico in cui Snape sentì il sapore di sangue misto a quello di Potter, che rispondeva con determinazione e passione, mille volte superiore a quella che sette anni prima metteva nelle loro notti. C’erano mani che artigliavano capelli, poi vestiti, poi la nuda carne del collo. C’erano ansimi per la fame d’aria e morsi ovunque la bocca potesse arrivare. 

Snape si staccò a fatica dal ragazzo, che sgranò gli occhi dalla paura, e gli fece cenno di entrare in casa, perché lì fuori faceva freddo. 

Harry si lasciò trascinare lungo il vialetto fino a dentro casa, poi non lasciò il tempo all’uomo di fare nulla, perché Snape si ritrovò sbattuto contro la porta con una forza che gli mozzò il fiato e poi non ci fu più spazio per capire cosa stesse succedendo. I vestiti caddero a terra, i corpi nudi si cercavano, urlando tutto il loro desiderio, poi la schiena di Potter toccò il divano e da lì fu solo una fusione di gemiti e sudore, di corpi che si urtavano con suoni poco casti ma che eccitavano i due amanti fino allo sfinimento. 

La notte calò intorno alla piccola casa di Spinner’s End, testimone silenziosa del piacere nato dal dolore che si stava consumando davanti ad un caminetto acceso, che ebbe fine solo interminabili ore dopo. 

   
 
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