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Autore: JSGilmore    30/09/2021    2 recensioni
Melinda e Daniel sono due fratelli, nati e cresciuti a Mason Street, una via degradata di Brixton. A causa del lavoro a tempo pieno dei genitori hanno dovuto guardarsi le spalle a vicenda da quando sono piccoli e hanno stretto, da subito, un legame molto profondo. Tutto è sempre filato a meraviglia, fino al quattordicesimo compleanno di Melinda, in cui la ragazza scopre di provare un attaccamento morboso per suo fratello maggiore. Un attaccamento che presto si trasformerà in una dolcissima ossessione. Lei non avrebbe dovuto innamorarsi di lui, e lui non avrebbe dovuto amarla a sua volta, ma nonostante i tentativi di allontanarsi alla fine non potranno fare a meno che cedere... E le conseguenze del loro amore non tarderanno ad arrivare....
La storia racconta della vita di due persone, dall'adolescenza fino all'età adulta e di come un amore proibito è in grado di segnare indelebilmente intere esistenze. La storia racconta di un incesto tra fratello e sorella, quindi se siete sensibili al tema vi sconsiglio caldamente la lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Chapter 3: Primo Appuntamento


In salotto c’era un silenzio irrespirabile: mia madre aveva gli avambracci conficcati nel legno del tavolo e puntava gli occhi su me e Daniel a turno, perplessa. Mio padre si grattava la sommità del capo, e tentava di sbirciare la televisione, ora in modalità silenziosa, perché stavano per dare il via al loro discorsetto.

Io mi sorreggevo la testa pesante con le nocche e giravo pigramente la minestra fredda. Mio fratello aveva i pugni chiusi come se non aspettasse altro che quella tortura di cena finisse.

Eravamo alle sette di sera senza esplosioni nucleari, ma negli occhi aveva l’odio e la rabbia.

Daniel e io non eravamo mai stati così ammutoliti per così tanto tempo. Gli unici rumori che udivamo erano la kappa il ronzio del frigorifero.

«Be’? Che sono quelle facce da funerale?», domandò alla fine mia madre, con voce acuta. Nessuno commentò. Così mio padre, che era un uomo tutto d’un pezzo, fece un’osservazione di un’inaspettata lungimiranza. «Sono ragazzi, tesoro, avranno bisticciato per qualche fesseria.»

Fu a quel punto che Daniel alzò lo sguardo dal suo piatto vuoto. «Oggi non sono riuscito a studiare, per colpa di Melinda. Ho l’esame di letteratura, tra qualche giorno.»

Mamma e papà mi guardarono con le labbra tese; chissà se avessero trattenuto la ramanzina il tempo sufficiente che potessi spiegarmi.

«È il mio compleanno!», dissi in fretta, «Volevo solo passarlo con mio fratello e lui, invece, mi ha distrutto la cosa più bella che avessi mai ricevuto in tutta la mia vita!»

Al solo ripensarci mi prudeva il naso e la vista mi si appannò per colpa delle lacrime che iniziarono a tracimare. I miei genitori si voltarono perplessi nella direzione di Daniel: non sfogava la sua rabbia su di mei dai tempi in cui giocavamo alle barbie, e, per dispetto, le affogava nel water causando la stizza di una sorellina minore, di due genitori un po’ troppo assenti e dell’idraulico.

«Gli avevo detto di abbassare il volume della tele ma non ha voluto ascoltarmi e, ogni volta, quella psicopatica, risponde sempre molto male a Maddy.»

Quando Daniel ci aveva presentate, dopo che Madison aveva allungato la mano affinché la stringessi, le avevo dato il benservito chiarendo la questione: «Tanto Daniel ti mollerà nel giro di una settimana come ha fatto con tutte le altre. Perciò, non prenderti il disturbo di fingere di voler fare amicizia con me.»

Gli occhi dei nostri genitori balzarono di nuovo nella mia direzione e la mamma corrugò la fronte. Se c’era una cosa che non tolleravano i miei era la maleducazione con gli ospiti. La nostra casa, ci ripetevano in continuazione, è aperta sempre a tutti.

«Melinda, dovresti chiedere scusa a tuo fratello e alla sua ragazza», disse mamma, «Su, intanto scusati con tuo fratello.»

Daniel ora aveva i tratti del volto distesi, una rigidità all’altezza delle spalle tipica di quando era in imbarazzo. Mi morsi le pellicine del labbro inferiore e mangiai sangue. «Scusa tanto Dan, se esito

«Melinda», disse severa la mamma. Pochi secondi in ritardo, papà picchiò la mano aperta sul tavolo che fece saltare l’argenteria. «Melinda.»

Le lacrime sgorgarono a fiotti incontrollabili. Ero molto arrabbiata, sia con Daniel che con i miei genitori. «Siete i soliti! Sempre con me ve la prendete! Vostro figlio ha distrutto il lettore blu-ray che costa un occhio della testa! Ma non importa che non sappia gestire la rabbia, perché è sempre colpa di Melinda, giusto?»

Papà sbiancò e fulminò Daniel. «Il mio lettore blu-ray…»

«Sono stanca!», gridai ancora, e mi alzai facendo cadere la sedia per terra. Mamma e papà mi guardarono sorpresi senza dire una parola. Non aggiunsi altro e scappai in camera mia sbattendo la porta, augurandomi che udissero quel tonfo di protesta.

I miei genitori non mi capivano. Ma certo che non mi capivano. Come potevano immaginare ciò che cominciavo a covare? Ero un misto di sensi di colpa e gelosia che camminava. Provare un attaccamento per mio fratello non era una cosa tanto strana se si andavano ad analizzare gli eventi: ero cresciuta con lui e mi ero abituata a passare il tempo con lui.

La questione diventava scabrosa se riflettevo su come avrei potuto reagire ad un suo fidanzamento ufficiale. Se lui si fosse legato a qualcun’altra sentimentalmente sarei morta. E il motivo era talmente semplice da risultarmi inquietante: provavo qualcosa per lui. Qualcosa che era sbagliato, sbagliatissimo ma che, nonostante questo, c’era.

Questa specie di presa di coscienza rese irrilevante qualsiasi forma di vittimismo. Era inutile continuare a rimuginarci. Mi addormentai con il peso della rassegnazione sul petto.

Nei giorni che seguirono, mio fratello e io non ci parlammo. Madison aveva iniziato a venire a casa nostra con una certa regolarità e io fingevo di trovarla simpatica ogni volta che parlava della manicure e dei suoi criceti. Era una di quelle ragazze che si “guardano dentro” e disdegnano i burritos in nome dell’ideologia vegana.

Per andare a scuola cominciai a prendere il pulmino (Daniel si rifiutava implicitamente di accompagnarmi, uscendo di casa all’alba) e l’autista doveva avere un accordo segreto con i meccanici per sovvenzionare le loro officine, dato che non si perdeva una buca. Io mi sedevo in fondo, per evitare di sostare nel mirino dei ragazzi seduti ai posti in mezzo che urlavano porcate o lanciavano girelle al cioccolato.

Ricavavo un certo sollievo dall’essere invisibile.

Agli ultimi posti sedeva la più ambita della scuola, Kristal Hunt, inavvicinabile da chiunque. Ogni volta arrivavo a scuola con la nausea, perché il latte della colazione mi ritornava su. Non dovevo essere un bello spettacolo per gli altri studenti, a giudicare dalle loro espressioni.

Durante la ricreazione me ne stavo in disparte, mi sedevo in cortile, sulle scale antincendio, con le cuffiette e una giacca a vento rossa. Rimpiangevo il documentario dei Keane e somigliavo a un semaforo.

Le mie migliori amiche, Elizabeth e Giselle, avevano un’idea molto precisa su come approcciare il più avvenente della scuola, Aaron Matis, e io ascoltavo attonita le loro regole su come farlo innamorare, mentre riflettevo: avevo passato tutta l’estate a guardare brutti cartoni animati e, invece, loro erano andate ai primi concerti e gli erano spuntate le tette.

«Be’? Vuoi dirmi che non ti interessa sedurre Matis?», mi provocò un giorno Giselle, intransigente, perché non stavo prestando loro attenzione. Nonostante fossi l’unica persona sulla faccia della terra da cui avrebbe tollerato una confidenza tipo che non avevo mai fatto una ceretta, (le mie amiche erano delle terroriste del sex appeal), la mia ossessione per mio fratello e per i Keane dovevano rimanere questioni private. «Vuoi scherzare? Partito Aaron Matis da qui all’eternità.»

In una mattinata tiepida di ottobre, Aaron Matis mi parlò. Lui, con i compatti ciuffi neri istruiti dalla cera, la mascella quadrata e gli occhi cerchiati da un’ombra di spossante fascino, mi parlò.

Eravamo nel bel mezzo del cortile deserto e aveva tutta l’aria del predatore: piercing al sopracciglio, labbra splendenti di burrocacao, occhi affilati e seducenti. Il pomo d’adamo gli oscillò lungo il collo bianco e solido. Il suo sorriso si fece asimmetrico e un luccichio sornione guizzò tra i suoi occhi neri. «Be’ perché mi fissi?»

Mi tolsi le cuffiette esibendo un’espressione confusa. In realtà, l’iPod che impugnavo tra le mani era spento. La risata sospettosa con cui mi rispose fu poco più che uno sbuffo.

«Non ti fissavo» dissi, e le sue palpebre si socchiusero aspirando con gusto il fumo della sigaretta; la collana d’argento sul suo petto pallido e scoperto scintillò sotto i deboli raggi solari. Le sue mani erano eleganti e conducevano la sigaretta alle labbra con innata maestria.

La sua risata graffiante echeggiò nel cortile. «Ti va di andare al cinema oggi pomeriggio?»

Dopo la scuola tornai a casa con un frenetico scombussolamento; avevo raccontato a Giselle quello che era successo in cortile con Aaron e la sua mascella era colata fino al terreno; mi aveva riempito di domande alle quali avevo risposto con una detestabile sufficienza. A partire da quel momento avevo qualcosa di concreto di cui potermi vantare.

Aprii la porta di casa senza riuscire a trattenere un sorrisone; Aaron Matis; Aaron Matis.

Daniel era dedito all’ammirazione del frigorifero, anche se non c’era un granché dentro, escludendo la maionese, i cetrioli e qualche foglia vecchia di insalata.

«Tutto bene a scuola?» domandò quando scaraventai lo zaino ai piedi del divano. Aveva uno sguardo indagatore: si era già accorto di quanto fossi intimamente esuberante. «Non c’è niente in frigo, vuoi che ordino una pizza?»

Mi sdraiai sul divano a fissare il soffitto come se la Terra avesse raggiunto la pace nel mondo; o il Chelsea avesse vinto la Premier League; o Aaron Matis mi avesse chiesto di uscire. Ah, quello era successo davvero.

«Melinda, ma che ti prende?»

Daniel non mi parlava da giorni; esclusa quella volta in cui aveva definitivamente chiarito che 1) non mi avrebbe più parlato per giorni, e che 2) non avrei più ricevuto alcun aiuto da parte sua, cosa che 3) non gli avevo chiesto perché 4) non ne avevo assolutamente bisogno, a meno che 5) il suo aiuto non fosse stato quello di comprarmi un DVD nuovo.

«Non ho fame!» ruggii.

Daniel abbozzò un sorriso canzonatorio. «Tu che non hai fame?»

Se solo avesse saputo… L’anteprima di un’immagine allettante ammiccò nella mia mente: chissà come avrebbe reagito se avesse saputo del mio appuntamento con Aaron.

Assunsi l’atteggiamento impersonale che avevo utilizzato per sentirmi superiore con le amiche e raccontai: «Sai, non ho fame perché oggi il più carino della scuola mi ha chiesto di uscire»

Lo raggiunsi in cucina e lui rimase a fissare il punto del divano in cui ero seduta l’attimo precedente. Aprii il frigo ed estrassi una bottiglia di birra, la stappai. «Andiamo al cinema tra poco e mi ha anche lasciato il suo numero»

«Mamma e papà non ti daranno il permesso» disse Daniel laconico e si voltò per guardarmi.

«Mamma e papà», sottolineai con un microscopico sentimento di rivincita, «hanno già detto di sì.»

Daniel deglutì e strattonò la sedia per mettersi a tavola con me. «E chi ti accompagna?»

La risposta era semplice: «Aaron mi verrà a prendere, ha la macchina.»

Questo dettaglio gli fu chiarificatore sul fatto che Aaron non gli piacesse per niente. «Be’ non ci vai», disse e poi mi tolse la birra dalle mani con indignazione, «alla tua età non si bevono alcolici e non si esce con i ragazzi.»

Tirai un sospiro di matura comprensione. «Ti capisco, Dan, stai cercando di vendicarti per la storia di Maddy. Mi dispiace se ho fatto la stronza. Non lo farò più. Ma anche tu mi dovresti porgere le tue scuse, sai?»

Daniel tracannò la mia birra e si chiuse in camera sua.

Aaron Matis passò a prendermi con un pick-up color senape; quando scesi i gradini fuori dalla porta, aveva il braccio che penzolava lungo la fiancata dell’auto. Prima di salire su quell’attrezzo da battaglia non avevo avuto il coraggio di guardarlo. La sua mano afferrò la leva del cambio e partimmo.

Attesi con trepidazione davanti all’ingresso del cinema che Aaron comprasse i biglietti e poi entrammo. Sbirciai nella sua direzione. «Allora che ci vediamo?»

«Paranormal Activity», rispose asciutto lui, «ti va bene, no?»

«Certo, adoro gli horror.»

Il film fu uno schifo. Però, l’idea che Aaron Matis fosse affianco a me, a portata di mano, fu più rassicurante dei poster della mia band preferita in cameretta. Oppure, a essere rassicurante era sapere che Giselle ed Elizabeth avrebbero ucciso per essere al mio posto. Ero una sorta di prescelta, o qualche altra stronzata fantasy con cui spesso nutrivo la mia coscienza. Le battaglie interplanetarie nel bel mezzo della galassia mi aiutavano a non pensare allo schifo di vita che, di recente, conducevo. Scuola, casa, casa, scuola, tivù, merendine, ogni tanto compiti.

Ad un certo punto del film, Aaron allungò la mano sulla mia coscia e quel gesto fu di una prevedibilità disturbante. Se ne fregò altamente di analizzare la mia riluttanza, forse dava per scontato che avessi paura o cose del genere. I film horror erano una scusa evergreen per cercare un contatto fisico non richiesto.

Il cellulare nella mia tasca vibrò. Probabilmente erano le mie amiche, impazienti di sapere. Non avrei confessato di sicuro loro che il più avvenente della scuola mi aveva portato a vedere un film dell’orrore. Avrei optato per una commedia romantica tipo I ponti di Madison County. Oppure era mio fratello: prima che scappassi da casa mi aveva chiesto di fargli sapere se mi servisse un passaggio per il ritorno.

Quando Matis e io uscimmo dalla sala, la prima cosa che feci fu estrarre il cellulare. Era Daniel. «Ei, stai bene?» aveva scritto.

Digitai rapidamente con gli abili pollici: «A meraviglia, abbiamo appena visto un film meraviglioso e lui è così meraviglioso. Tu tutto bene?»

Aaron ed io tornammo verso il pick-up. I sedili di quell’auto erano scomodi e lui non sembrava avere nessuna intenzione di mettere in moto.

Mi guardò con una velata sfacciataggine. «Insomma, ti sei divertita?»

Divertita non era il termine che avrei utilizzato. «Il film è stato…molto intenso», in realtà non ci avevo capito molto del film.

Ero concentrata a controllare che le sue mani non si spingessero oltre il limite consentito, per il quale avrei dovuto tirargli un ceffone. Schiuse le labbra e si sollevò un sopracciglio con il pollice, sfiorandosi il piccolo piercing. «Intenso, eh?»

Mi vibrò un’altra volta la coscia. Estrassi il cellulare. Di nuovo Daniel: «Sono contento che è tutto così meraviglioso. Mamma e papà sono tornati e mi hanno chiesto dov’eri. Non avevi detto di avere il loro permesso???»

«E tu cosa gli hai spifferato?!»

Alzai gli occhi e Aaron mi fissava impassibile. «Scusa», farfugliai, «A casa mi reclamano, è quasi ora di cena.»

Aaron si sporse verso di me e nel buio di quell’abitacolo non feci in tempo a prevedere il movimento rapido che seguì: le sue labbra aderirono alle mie e non ebbi la prontezza di reagire. Lasciai che mi baciasse e mi mordesse il labbro inferiore per momenti infiniti. Tutto il mio corpo era teso e se qualcuno mi avesse vista al di fuori avrebbe pensato che fossi impaurita. In realtà non sentivo un granché, se non il fastidio di essere entrata a contatto con qualcosa di umido. Da cui volevo staccarmi il più presto possibile. Il cellulare vibrò ancora una volta a contatto con la mia gamba. Quando il bacio si interruppe fui contenta di immergermi nello schermo del mio telefonino ancora una volta.

«Ho detto che sei uscita col tuo ragazzo… Mel, sul serio, non sapevo che inventare




Note

Carissimi lettori, spero che questo capitolo vi sia piaciuto.  In tal caso, fatemelo sapere con una recensione se vi va. (Anche se non vi è piaciuto, ovviamente.)
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite. Un infinito grazie a voi, spero di essere all'altezza di voi e di questa storia.
Detto questo, alla prossima!
Con tantissimo affetto,

JSGilmore
   
 
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