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Autore: GReina    02/10/2021    2 recensioni
Questa raccolta di OS partecipa alla sfida WRITOBER lanciata da Fanwriter.it
Per tutto il mese di ottobre pubblicherò una OS al giorno! Trame e personaggi varieranno di volta in volta. Consultate l'indice e la premessa (primo capitolo) per maggiori informazioni e curiosità su prompt scelti e personaggi!
[coppie: kuroken | ushiten | iwaoi | semishira | osasuna | daisuga | sakuatsu | tsukkiyama | tanakyo | shoumika | arankita | yakulev | bokuaka | matsuhana]
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Aoba Johsai, Karasuno Volleyball Club, Nekoma, Shiratorizawa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
» Prompt: Kidfic
» N° parole: 1830

n.a.
Ebbene sì, come ho anticipato nella premessa ogni associazione è stata voluta dal fato! In questo caso è stato davvero perfetto, perché mi ha dato l’occasione di scrivere un piccolo sequel della OS Amore a Prima Vista, in cui Goshiki viene adottato da Tendo e Ushijima. Chiaramente la storia che segue è perfettamente godibile anche da singola, ma per coloro interessati il prequel si trova postato nel mio profilo con il titolo sopracitato!
Buona Lettura!

02. Kidfic – Goshiki

Goshiki certo, all’alba dei suoi sette anni, non poteva ancora propriamente dirsi maturo né capace di avere una visione chiara di come andasse il mondo, ma anche limitandosi alla sua poca esperienza di vita non gli era difficile capirlo: nella sua sfortuna, era stato ben più fortunato di altri, perché aveva perso i genitori, ma ne aveva trovati altri due, gentili, comprensivi e ben disposti ad inondarlo dell’amore necessario affinché potesse avere un’infanzia felice. Era stato talmente fortunato ad incontrare Wakatoshi e Satori, l’anno prima, che a volte stentava ancora a credere di avere una famiglia tanto perfetta. Non gli sembrava vero e – nei momenti di maggior sconforto – persino temeva di starsi illudendo troppo; che la sua visione fosse distorta perché quella di un bambino e che presto sarebbe tutto finito.
Mai, comunque, quei pensieri erano riusciti a trattenerlo nella loro spirale negativa, perché prontamente un padre oppure l’altro si era accorto del suo annaspare e l’aveva tirato fuori. Le braccia di entrambi, d’altronde, erano forti e salde, ed il piccolo Goshiki si era sempre potuto dire al sicuro tra di esse. Adesso, quella sicurezza era crollata.
“Fa il bravo bambino.” era una frase che si era ripetuto in testa ancora e ancora nell’ultimo anno “Non farti cacciare.” e così aveva fatto. Tenendo duro e reprimendo ogni pur minimo capriccio; non lamentandosi di nulla e persino trattenendo singhiozzi e lacrime ad ogni ginocchio sbucciato o incubo avuto. A danno fatto, tuttavia, non gli rimase adesso altro da fare che mordersi il labbro tremante affinché le lacrime non sgorgassero. Era seduto fuori l’ufficio della principale della scuola, le piccole gambe che non arrivavano a terra vista l’altezza della panca, ma se di solito oscillavano spensierate, adesso erano tese e vicine tra loro, come se il bambino volesse farsi il più piccolo possibile. Le sue mani, strette allo spasmo, erano state portate alle ginocchia e lì, come ogni altra parte del suo corpo, tremavano; se di rabbia o di paura, Tsutomu non lo sapeva.
“Fa il bravo bambino.” aveva continuato a ripetersi, eppure quel giorno non c’era riuscito. Non secondo la sua visione delle cose, comunque. Così, altro non gli restava da fare che attendere i due genitori adottivi con la gola serrata dal pianto non sfogato ed il cuore stretto in una morsa mentre ben più spensierato un secondo bambino attendeva insieme a lui.
Il primo adulto a raggiungerli fu la madre del suo compagno di classe. Subito, vide il volto tumefatto di suo figlio, poi quello di Tsutomu, e capì. Lanciò uno sguardo di ghiaccio al corvino, poi si chinò preoccupata verso il figlio che – improvvisamente – iniziò a mostrarsi ben più sofferente dell’attimo precedente. Goshiki non riuscì a sentire le parole della donna, ma poté immaginarle. Era ciò che faceva una madre, dopotutto, preoccuparsi per il figlio. Il suo compagno ricevette una dolce carezza mentre nuove lacrime salirono agli occhi di Tsutomu.
“Le voglio anche io.” si disse tra sé e sé sebbene consapevole del fatto che non avrebbe mai potuto. La rissa l’aveva iniziata lui, d’altronde, e – anche se maestro e direttrice non glielo avessero confermato con i loro rimproveri – lui lo sapeva: quello che aveva fatto era sbagliato e non aveva scuse. Era nel torto. Era stato cattivo.
Parve passare un’eternità prima dell’arrivo degli altri due. Ed ecco che un altro pensiero corse alla mente del bambino: “Erano impegnati… adesso saranno arrabbiati.” ed almeno su questo aveva ragione: non uno, dei due, si mostrò sereno non appena apparvero alla vista di Goshiki. Persino Wakatoshi, sempre così pacato e stoico, appariva chiaramente infuriato. Tsutomu saltò sul posto a quell’immagine e provò a farsi ancora più piccolo. Le lacrime ancora pronte sugli occhi ma trattenute con ogni fibra del proprio essere. Si guardò le mani, troppo timoroso di fare altro, così non poté che sorprendersi quando il volto di Tendo lo raggiunse nella sua visuale annebbiata.
“Tsutsu! Stai bene!?” il bambino spalancò gli occhi senza capire; non riusciva a crederci eppure sembrava tanto che Satori stesse reagendo come la madre del suo compagno. Goshiki guardò prima lui, poi la donna ed infine Ushijima. Quest’ultimo ora lo stava occhieggiando preoccupato con in volto la stessa domanda, muta, che il rosso gli aveva appena posto. Tornò a guardare Tendo, ma consapevole che il pianto sarebbe esploso alla prima sillaba, si limitò ad annuire. I suoi genitori adottivi tirarono un sospiro di sollievo, ma il più piccolo non ci riuscì. Se erano così in apprensione, dopotutto, era perché non sapevano ancora cos’aveva fatto. Fu la donna lì presente, prima di chiunque altro, a dirglielo, ma ancora Tendo lo sorprese ridendo e ponendosi tra lei ed il bambino corvino, quasi a volergli fare da scudo.
«E glielo ha detto suo figlio? Non mi sorprende che questa sia la sua versione. Molto comodo per lui.» se l’altra avrebbe voluto rispondere, non ne ebbe l’occasione, perché fu a quel punto che l’ufficio della principale si aprì. Tutti, tra adulti e bambini, vennero invitati ad entrare, e fu lì che ai genitori venne spiegato della rissa confermando la versione del compagno di classe di Goshiki. Lui continuò a tacere, spaventato e mortificato di aver messo in quella situazione persone tanto splendide quanto lo erano Tendo ed Ushijima. Tacque mentre la direttrice parlava e tacque ancora quando Wakatoshi si voltò verso di lui incredulo per chiedere:
«Tsutomu. È vero?» al suo mutismo il secondo bambino prese a gongolare, almeno fin quando la preside non parlò ancora:
«Affinché tutti voi abbiate ogni fatto per poter educare al meglio i vostri figli, dovete sapere che Tsutomu-kun è stato provocato. Non avrebbe dovuto usare la violenza, ma allo stesso modo Genta-kun non avrebbe dovuto ferirlo con le parole. Chiuderò un occhio per entrambi, dal momento che è la prima volta, ma solo a condizione che risolviate la questione a casa. Non ammetterò altri comportamenti simili, in futuro.» tutti concordarono in fretta, poi Tendo si rivolse a lui:
«Che cosa ti ha detto il tuo compagno, Tsutsu.» il suo labbro tremolò ancora, ma facendosi forza sussurrò:
«Che io non ho i genitori perché due maschi non possono avere figli…» a quel punto il bambino poté sentire più che vedere, dal momento che il suo sguardo era fisso a terra, la sedia di Satori che veniva in fretta scostata nell’impeto di alzarsi. Sollevando lo sguardo Goshiki trovò Ushiwaka a trattenere l’altro che nel frattempo si era voltato – accusatorio – verso la donna e suo figlio.
«Lascia perdere.» gli venne sussurrato dal giocatore professionista «Pensiamo a Tsutomu.» ed il rosso gli diede immediatamente ascolto voltandosi verso il piccolo e prendendolo in braccio senza preavviso. A Goshiki non rimase che spalancare gli occhi mentre veniva portato via, guardando confuso l’ufficio della direttrice che si allontanava con Ushijima che rivolgeva ai presenti un ultimo saluto.
Una volta fuori dall’edificio, Tendo si fermò solo molti metri distante dalla scuola. Lo mise giù, poi si inginocchiò per raggiungere la sua altezza. Tsutomu era ancora provato, ma fino a quel punto era riuscito a vincere la battaglia contro le lacrime che ancora copiose si trovavano bloccate agli angoli degli occhi.
«Stai bene, piccolo?» gli fu chiesto come prima cosa. Il bambino prese a massaggiarsi le nocche. Era stato separato quasi subito dal suo compagno, ma quella era la parte che gli doleva di più. Anche più del taglio sul labbro apertosi con il pugno di risposta dell’avversario. Tendo notò quel movimento, gli afferrò le mani e diede ad ognuna di esse un bacio rapido e leggero rendendo il corvino di secondo in secondo sempre più confuso.
“Perché non si arrabbiano?” continuava a chiedersi “Non hanno capito cosa ho fatto?” si disse ancora, valutando la possibilità di tacere ma sapendo con più fermezza di non potere. L’ansia l’avrebbe logorato, altrimenti, e più di quella il senso di colpa. Così aprì la bocca per ripetere ai due uomini cos’era successo in classe, ma quello che uscì dalle sue labbra fu un singhiozzo, poi un altro. Iniziò a piangere.
«Mi dispiace!» disse forte «Mi dispiace!!» singhiozzò ancora portandosi le mani agli occhi «Sarò buono, non mandatemi via!» le frasi avevano un senso compiuto nella sua testa, ma era troppo agitato, troppo spaventato per poterle formulare a parole. Quindi dovette accontentarsi di quelle suppliche che – ancora incredibilmente, dal suo infantile punto di vista – vennero immediatamente accettate.
«Tsutsu!» venne chiamato da Tendo con voce preoccupata. Il bambino aprì gli occhi e credette di vederlo angosciato al di là della nebbia delle lacrime.
«Perché dici così?» chiese ancora questo «Non ti manderemmo mai via, hai capito?» ed ecco la conferma che non avevano capito, così si costrinse a confessare.
«Ma sono stato io! Gli ho fatto male…» singhiozzò ancora.
«Se lo meritava!» fu l’esclamazione di Satori, che tuttavia venne immediatamente ripreso da Wakatoshi che lo richiamò con una leggera gomitata al costato dopo averlo raggiunto in ginocchio.
«La violenza non è mai una soluzione, Tsutomu.» disse Ushijima ben più serio ma tuttavia – in qualche modo – non arrabbiato. «Non ho intenzione di tollerare atti del genere. Ma non ti cacceremo per questo. Non ti cacceremo per nulla di quello che farai, figliolo. Sei il nostro bambino.» Goshiki si limitò a fissarli entrambi in modo alternato cercando di convincersi che non avesse frainteso. Fu il rosso, poi, a parlare:
«Da quanto tempo pensi che potremmo mandarti via?» il bambino non rispose. D’altronde non era scontato? Se faceva il cattivo, veniva rimandato indietro. Era una cosa che aveva sempre dato per scontato e ritenuto normale. Gli adulti parvero capire.
«Noi siamo i tuoi genitori, hai capito? E fin quando ti troverai bene con noi, fin quando non sarai grande abbastanza da poter vivere da solo, noi saremo una famiglia e vivremo sotto lo stesso tetto. Hai capito, Tsutsu? Non importa se farai i capricci, se piangerai, se urlerai o picchierai altra gente.» a quel punto Ushijima interruppe l’altro per un istante aggiungendo:
«Questo non farlo.»
«Noi ti ameremo comunque.» parve non averlo sentito, Tendo «E tu non dovrai mai dubitare del fatto che noi ti amiamo. Mai. Hai capito? Perché non potrà mai accadere il contrario.» entrambi attesero una risposa, così il bambino annuì, e lo fece convinto, consapevole di una realtà, adesso, che non sapeva esistere. Conosceva la famiglia come idea, d’altronde, ma nessuno era realmente arrivato a spiegargli quanto potesse essere solida.
Wakatoshi gli mise una mano in testa e lì iniziò a dargli qualche leggera pacca amorevole.
«Sei nostro figlio, piccolo. Abbiamo pensato fosse meglio per te farti conservare il cognome con il quale sei nato, ma se ti fa piacere noi saremmo felicissimi di andare in tribunale per farti cambiare i documenti in Tendo-Ushijima Tsutomu.» gli disse il giocatore. Gli occhi del bambino si illuminarono.
«Davvero??» chiese felice. Il castano sorrise intenerito.
«Davvero.» rispose «Siamo una famiglia, dopotutto. Dicci che questo l’hai capito, figliolo.» Tsutomu sospirò per rendere la propria voce più ferma, poi sorrise.
«Ho capito! Siete i miei papà.» Tendo se lo tirò tra le braccia e tra di esse si inserì anche il giocatore.
«E lo saremo per sempre.» fu il sussurro di risposta.
   
 
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