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Autore: Memento_B    01/09/2009    1 recensioni
Le tre bambine erano sedute sui divani posti dall’altra parte della grande sala. Lì vi era più luce ed allegria; le tre confabulavano fra loro per poi ridacchiare sommessamente, ben attente a non farsi sentire o vedere dalla madre. La più grande era Bellatrix, aveva sette anni ed era una bambina bellissima. Ira e vergogna si leggevano nei suoi occhi molto espressivi, spesso lanciava sguardi carichi d’odio e rancore verso la madre. Andromeda aveva cinque anni e fisicamente assomigliava molto alla sorella, ma quando sorrideva vi si poteva scorgere una traccia di bontà ben rara nei Black. Narcissa quel giorno compiva tre anni. Seppur piccola non le fu risparmiato l’abito elegante di pizzo nero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Narcissa Malfoy, Ted Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments'
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The wedding

Glasgow, agosto 1970

Andromeda stava sognando. Sognava di correre in una foresta, libera, era un sogno molto ricorrente. Pioveva, sentiva i capelli e i vestiti bagnati, una pioggia fredda. No, non poteva essere pioggia, la pioggia non cade tutta d’un colpo…
<< TONKS! >> strillò Andromeda, scattando a sedere, completamente fradicia << Tonks, io… io ti disintegro! >>
Ted rimise la bacchetta in tasca, ridendo << ‘Giorno, Black. Dormito bene? >>
<< Stupido idiota Tassorosso cretino deficiente >> sibilò Andromeda, alzandosi << Che ore sono, deficiente? >>
<< Ah, Black, hai toppato. Deficiente l’hai già detto. Le cinque, credo >> rispose Ted, passandosi una mano fra i capelli con un sorriso divertito e colpevole in faccia. Da quando Andromeda era entrata in casa, non c’era giorno che non passavano facendosi scherzi più o meno pesanti.
<< Tonks, tu hai osato svegliarmi alle cinque di mattina? >> ringhiò Andromeda, guardandolo carico d’ira << Tonks, sei morto. >>
<< Davvero, ‘Dromeda? Sai che quando vuoi fai quasi paura? Sorridi un poco, che se no ti vengono le rughe, Black. >>
Andromeda lo ignorò, prese i primi vestiti che trovò ed uscì dalla stanza.
<< Ed ora dove vai? >>
<< In bagno. A lavarmi. E’ un reato, forse? >> Questa volta Ted non l’avrebbe passata liscia, quant’era vero che si chiamava Andromeda Hesper Black. Doveva architettare qualcosa che gli avrebbe fatto pagare questo e tutti gli scherzi che le aveva fatto… Si guardò allo specchio, le piaceva la sua nuova immagine. Non era cambiato nulla di particolare, ma lei si sentiva diversa, perfino a vedersi si reputava diversa. Tutto adesso le piaceva. Le piaceva la sua faccia, il suo fisico, perfino il suo naso, che aveva tanto odiato. Le piaceva quella casa, quel villaggio, perfino la sua famiglia le appariva simpatica nella loro superbia. Non aveva avuto notizie della sua famiglia, non direttamente almeno. In compenso, una delle sue sorelle era famosa, visto che la sua foto era costantemente sbattuta in prima pagina sul giornale. Però, il mondo magico le incuteva sempre più ansia e terrore. Il male serpeggiava ovunque, non c’era luogo che non avesse raggiunto, ogni famiglia magica aveva fatto la sua scelta, e ne aveva pagato le conseguenze. O eri con, o eri contro, non c’era via di mezzo. Ma se i Mangiamorte erano tanti e forti, quelli che si opponevano loro erano tanti sì, ma deboli, poiché divisi. Non c’era una grande unità che li raccogliesse, che li chiamasse a sé. Tutti avevano paura di fare qualsiasi cosa, e adesso anche lei era in ansia. Doveva ammettere che per lungo tempo aveva goduto della parentela con Bellatrix Black. Black o Lestrange? A giugno aveva sentito Rodolphus parlare di un matrimonio, ma non sapeva se fosse già avvenuto o se lo sposo fosse scappato. Certamente, adesso era anche lui un Mangiamorte. Oh, ma a lei che importava di loro? Adesso era felice.
<< Black, non dirmi che vuoi uscire a quest’ora >> chiese Ted, una volta che Andromeda uscì dal bagno. Indossava un vestito rosso lungo fin sotto le ginocchia e delle scarpe aperte. E ciò non gli piaceva, quando Andromeda voleva uscire, raramente tornavano a casa dopo pochi minuti.
<< Beh, qualcuno mi ha svegliata, no? >> rispose Andromeda, tornando in camera e prendendo il giornale del giorno prima. Black. Probabilmente Rodolphus era veramente scappato via, e non gli avrebbe certo dato torto. Avrebbe controllato tutti i giorni, voleva sapere come chiamare quella che era diventata la sua prima nemica, se signorina Black o signora Lestrange.
<< Sì, ‘Dromeda, ma… Ma è l’alba! >> protestò Ted, seguendola.
<< M-mh, me ne sono resa conto, Tonks >> replicò glaciale Andromeda. Buttò sul comodino il giornale, che ancora non dava la ‘lieta’ notizia.
<< Black, a quest’ora può essere pericoloso! Davvero, non è una buona idea uscire all’alba di questi tempi. >>
<< Prendi la tua bacchetta, allora >> sorrise la ragazza, prendendo la borsa che usava per uscire. Non che uscisse spesso, in effetti quella era la prima estate che trascorreva passando intere giornate fuori di ‘casa’. O meglio, fuori dalla casa del suo fidanzato.
I genitori di Ted erano incredibilmente gentili e premurosi con lei, per la prima volta si sentiva membro di una famiglia vera e propria, tuttavia sentiva che non poteva vivere per sempre a casa Tonks, né lo voleva. Insomma, era un peso in più. Quell’estate era andata così, ma avrebbe cercato una casa per la sua vita futura. Perché lei in casa Black non ci avrebbe più messo piede.

Londra, agosto 1970.

E così erano passati quattro mesi. Quattro schifosi mesi da quando Andromeda aveva deciso di avere a che fare un nato Babbano. Di tutti gli insulti che poteva fare alla sua famiglia, questo era di certo il peggiore. Non era ancora stata diseredata e disconosciuta, non aveva ancora fatto qualcosa di irreparabile, alla fine aveva diciassette anni e poteva ancora cambiare idea, aveva tutto un anno di scuola davanti a sé per farlo. Tuttavia, l’aria in casa Black era pesante.
I genitori di Andromeda erano shockati, i parenti li accusavano di non aver dato alle figlie una buona educazione, di aver cresciuto una traditrice del sangue, nessuno voleva più vedere Andromeda, nessuno più la nominava, nessuno più la considerava Black. Era come se Andromeda Hesper Black non fosse mai esistita, di lei rimaneva solo la camera –vuota, dopo che lei aveva chiesto al padre di spedire tutte le sue cose a casa Tonks- e i ricordi dell’infanzia, di quando era ancora ‘sana’.
Che fosse sempre stata un po’ particolare nessuno lo aveva mai messo in dubbio, così diversa dalle sue sorelle, così umana e buona, ma nessuno si sarebbe mai aspettata un’azione del genere, degna dei figli di Babbanofili, non di certo di una Black.
Druella, saputa la notizia, aveva passato diverse giornate a piangere, chiedendosi cosa avesse fatto di male per avere una figlia del genere; pazza, diversa. Aveva sempre dato ad Andromeda tutto ciò che era nelle sue possibilità, senza fare distinzioni fra lei e le sorelle, nonostante le palesi diverse attitudini. Da lei non si era mai aspettato nulla di particolare, sapeva che non sarebbe mai diventata una Mangiamorte, disprezzava perfino il Signore Oscuro, e questo Druella poteva quasi tollerarlo. Avrebbe potuto tollerare anche un matrimonio con un Purosangue non Serpeverde, nonostante il vecchio fidanzamento con un Serpeverde. Ma mai avrebbe potuto immaginare o accettare l’idea di vedere sua figlia con un Mezzosangue. Non poteva nemmeno sentirsi colpevole di quello che era successo, lei le aveva dato la stessa educazione che aveva dato a Bellatrix e a Narcissa, ed ora una era Mangiamorte e l’altra era la fidanzata di un ipotetico nuovo servitore del Signore Oscuro.
Cygnus, poi, non riusciva a tollerare le critiche mosse dai parenti, ma d’altra parte non riusciva nemmeno ad odiare Andromeda. Al contrario della moglie lui aveva una preferenza fra le tre figlie, ed ovviamente preferiva di gran lunga Andromeda alle altre due. Andromeda per certi versi gli era così simile, anche lui non era propriamente un Black, sia per l’aspetto decisamente poco attraente e diverso dai suoi familiari, sia per un indole un po’ più docile. Aveva sempre ammirato Andromeda, che aveva fatto tutto ciò che lui non aveva osato fare, alla fine lui si era sottomesso prima alla cinta del padre, poi alla moglie. Se da bambino aveva ammirato la cugina Lucretia, ora ammirava segretamente la figlia. Lucretia non aveva avuto il coraggio di portare completamente a termine ciò che si era prefissata di fare. Era diversa dai Black, sì, ma non poi tanto. Andromeda ora la disprezzava, ma nel profondo del suo cuore poteva solo renderle onore. Il cambiamento era una cosa molto frequente nelle ultime generazioni dei Black. Se per secoli i Black non erano mai cambiati, ora in ogni famiglia c’era un cenno di svolta. Prima Lucretia, poi Andromeda, e ora anche Sirius iniziava a mostrare indoli particolari. Forse la loro dinastia era marcia e aveva bisogno di cambiare.
Bellatrix appariva la più indignata, del resto non si parlavano da diversi anni e nessuna aveva mai voluto riallacciare i rapporti con l’altra, il suo odio era più che scontato. Ma in fondo Bellatrix non la odiava veramente, era pur sempre sua sorella, non avrebbe mai potuto ucciderla. Un suo futuro marito forse, un suo ipotetico figlio sicuramente, ma non lei, sarebbe stato come uccidere una parte di sé stessa.
La più piccola, Narcissa, però era di sentimenti totalmente opposti. Schifata sì, ma non riusciva a nascondere le lacrime. Andromeda le mancava. Le mancava il suo sorriso, la sua mano sempre tesa in suo favore, la parola gentile che le rivolgeva, la sua dolcezza, la sua bontà. Le mancava tutto di lei, e piangeva. E si odiava perché si sentiva così debole, così indifesa. Ora che non c’era più la sorella, la casa le sembrava vuota senza di lei. Andromeda le aveva fatto capire tante cose, era colei che più di tutti le aveva insegnato cosa fosse veramente la vita.
Insomma, nessuno la nominava, ma Andromeda era sempre presente. Tutti l’avevano sempre sentita come una persona non totalmente integrata nella famiglia, tutti si lamentavano dei suoi colori, della sua bontà, della sua allegria. Ma adesso che non c’era, la mancanza si sentiva.
Ciò che faceva più rabbia, però, era il saperla felice. I Black non potevano dirsi felici. Reprimendo i loro veri istinti, rendendosi forzatamente cupi, rinunciavano alla vera felicità. Costretti a comportarsi in una certa maniera, a frequentare solo certa gente, ad assumere un ben preciso atteggiamento, vivevano per convenienza e non per desiderio. Andromeda, invece, aveva stravolto tutto questo, e in molti aveva suscitato il dubbio che forse un’altra vita, una vita vera, era possibile. Lei era felice, e basta. Non era austera, non era perfetta, non era Black. Era solo felice. E proprio perché aveva fatto sorgere quel dubbio veniva ancora più odiata. La felicità non era una cosa per i Black.
Lo sapeva bene Bellatrix, mentre osservava la sua figura allo specchio. Si sistemò la rosa bianca che aveva fra i capelli e osservò nuovamente la sua immagine. Sì, ora era decisamente più bella. Il giorno seguente si sarebbe sposata, eppure lei non era felice. In effetti, non voleva sposarsi, non voleva assolutamente diventare la moglie di Rodolphus Lestrange, la nuova recluta del Signore Oscuro. Lui era tutto ciò che Bellatrix detestava, eppure ventiquattro ore dopo sarebbe diventata sua moglie. Non voleva nemmeno sposarsi, ma ormai aveva quasi vent’anni, e a vent’anni tutte le donne Black erano già belle sposate e con un figlio.
<< Sei bellissima, Bella >> le sussurrò Druella, facendo l’ultima modifica al vestito.
<< Grazie… >> mormorò lei, apatica. Cosa le importava di essere bella se poi non avrebbe più nemmeno potuto rivolgere lo sguardo ad un uomo se non al suo stupido marito?
Il pomeriggio seguente Narcissa vagava per il salone più grande di casa, che piano piano si riempiva di persone. Si era deciso di far sposare i giovani a casa Black, certamente il luogo più indicato per una cerimonia del genere. Non c’erano più problemi per la questione dei nomi, dell’essere Mangiamorte. Adesso Bellatrix avrebbe anche potuto vagare libera nel Ministero mostrando il Marchio Nero e non le sarebbe successo nulla, non ora che Voldemort era vicino al potere totale.
Narcissa indossava un abito verde scuro, come tutte le donne Black. Non potevano certo vestirsi di nero, non ad un matrimonio, così optavano per il verde scuro del blasone di Serpeverde. Un vestito molto semplice, stretto in vita da una fascia nera. Era il primo vero matrimonio a cui prendeva parte, dato che quando si sposarono le zie era fin troppo piccola. Accompagnava gli ospiti ai loro posti –le file davanti a destra erano per i Black, quelle a sinistra per i Lestrange, le ultime file per i compagni di scuola dei due e per altri invitati, fra i quali molti Mangiamorte.
<< Cis, sai dirmi dov’è Bella? >> le chiese una voce maschile, che Narcissa riconobbe immediatamente come quella di Rabastan Lestrange.
<< Oh, nella sua camera >> mormorò Narcissa << Ma aspetta, tu non puoi…>> La Black non poté finire la frase che già il ragazzo stava uscendo dalla sala.
Rabastan bussò alla camera della sposa e la porta gli fu aperta da quella che riconosceva come Jane Rosier, cugina e compagna di camera di Bellatrix ai tempi di Hogwarts.
<< Oh. >> disse Jane, mentre le si spegneva il sorriso sul volto.
Bellatrix si sporse dall’uscio, per vedere di chi si trattasse. Quasi le venne un tuffo al cuore quando riconobbe il ragazzo. Beh, del resto era il fratello del suo futuro marito. << Fallo entrare, Jane >> le disse << Anzi, ragazze, potete lasciarci soli? >>
Jane si consultò con le altre tre compagne di stanza, poi annuì << Sicuro. Ci vediamo dopo, Bella >> le sorrise.
<< E dunque oggi è il grande giorno >> sorrise Rabastan, una volta entrato nella stanza e chiusa la porta.
<< Già, Lestrange, chi l’avrebbe mai detto? >> rispose Bellatrix, dandogli le spalle per guardarsi allo specchio e aggiustarsi nuovamente i capelli. Era bellissima, in un abito semplice, piuttosto stretto e molto lungo, di colore argenteo. Non aveva nessun decoro, eccetto la rosa bianca che spiccava fra i ricci neri. Sì, d’accordo, aveva lasciato perdere Rabastan, ma in quel momento si sentiva piuttosto colpevole nei suoi confronti. Del resto avrebbe dovuto sposare lui e non Rodolphus. Oh, il solo verbo “sposare” la faceva sentire quasi in gabbia, si sentiva le ali tarpate, la sua vita non sarebbe stata più come una volta, e non ne era felice. Avrebbe voluto mollare tutto, mandare al diavolo lo sposo e tutto il resto, ma ormai era troppo tardi.
Rabastan le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle, con delicatezza ma allo stesso tempo deciso. << Sei bellissima, Black >> le sussurrò.
<< Cosa vuoi? >> gli chiese Bellatrix, nervosa.
Rabastan la guardò attraverso lo specchio, con un sorrisetto di derisione. Forse quella era l’ultima volta che la poteva toccare in quella maniera, suo fratello gli aveva rubato qualcosa di prezioso, qualcosa che sentiva veramente suo, e non gli andava bene. Si sentiva un idiota ad averlo lasciata, avrebbe voluto fermare il tempo in quel momento, la teneva ancora stretta a sé, poteva sentire il suo respiro. Presto non avrebbe più potuto farlo, presto sarebbe stata sua cognata. Non voleva rendere quei sentimenti pubblici, nessuno l’avrebbe mai capito, non si capiva nemmeno da solo, sapeva solo che stava perdendo un grande pezzo della sua vita. Lei non lo amava, non più. Non provava nemmeno più la stessa passione che l’aveva portata più volte a tradire il fratello per stare con lui. Era fredda, non mentiva quando diceva che non lo voleva, e come darle torto? Rabastan si era reso troppo tardi conto di quanto fosse prezioso quello che aveva buttato via come una bambolina.
<< Voglio solo dare il mio regalo alla sposa, Black. >>
Le si pose di fronte e poi la strinse a sé, baciandola per quella che conosceva come l’ultima volta. Bellatrix si rese conto che stava mandando i suoi propositi alle ortiche, che stava baciando qualcuno che non amava e perlopiù poco prima del suo matrimonio, ma decise che le andava bene così, del resto avrebbe sposato qualcuno per cui non aveva mai provato nulla, né amore né passione fisica. Si alzò sulle punte dei piedi e ricambiò quel bacio, l’ultimo bacio di libertà.
Poco dopo si sentì bussare alla porta << Bella? Sei pronta? >>
I due ragazzi si separarono, a malincuore << Un attimo, mamma. Un attimo ancora. >>
<< Auguri, signora Lestrange >> disse laconico Rabastan, aprendo la porta della camera ed uscendo. Si era fatto del male, aveva fatto del male a Bellatrix, ma aveva sospirato quel bacio troppo a lungo per poterlo reprimere.
Bellatrix ora era sola nella camera e guardandosi per l’ultima volta non si riconobbe, né riconobbe quel sentimento che l’agitava e che le aveva fatto spuntare una lacrima. La sua prima vera lacrima. Per lei era incredibile, non riusciva a crederci, eppure stava piangendo. L’asciugo col dorso della mano ed uscì.
Quando scese, sentì gli sguardi di tutti su di lei, ma lei guardava per terra, a pezzi. Non era quello che voleva, desiderava poter tornare indietro, eppure proseguiva. Si fermò quando seppe che accanto a lei c’era Rodolphus, raggiante. Non poteva certo immaginare i sentimenti di Bellatrix, né quello che era appena successo. Aveva sempre dato piena fiducia al fratello, specialmente perché riteneva ormai chiusa la loro vecchia storia.
Bellatrix non provava veramente più nulla, aveva la morte nel cuore. E quando il mago le chiese se lei volesse prendere come marito quel ragazzo al suo fianco che non conosceva più si limitò a mormorare un sì, mentre il suo cuore avrebbe voluto urlare un no. L’unica persona a cui lei si sentiva devota, che amava, non era presente in quella stanza. Del resto il Signore Oscuro non poteva certo presenziare a degli stupidi matrimoni, no? Ma del resto lui era con lei, sempre. In quel momento il Marchio Nero era in bella vista a differenza di quello di Rodolphus, e questo la tranquillizzava, bastava solo dare un’occhiata di sfuggita al Marchio Nero che Bellatrix si sentiva meglio.
<< … Allora vi dichiaro uniti per la vita. >>
Bellatrix avvertì le labbra di Rodolphus sfiorare le sue e sentì in lontananza degli applausi, perlopiù provenienti dalle ultime file.
Lestrange. Adesso si chiamava Bellatrix Lestrange.
Di lì a poco, la sala fu completamente trasformata. Ora gli ospiti sedevano su comode sedie disposte vicino a diversi tavoli, su un palco un’orchestra suonava e i più giovani ballavano su una pista posta al centro della sala.
Bellatrix e Rodolphus sedevano ad un tavolo con i genitori e i fratelli. Rodolphus era visibilmente allegro, ma Bellatrix doveva sforzarsi di apparire almeno lontanamente felice, di sorridere. Nessuno diede un particolare significato al tuo comportamento, nessuno si aspettava da lei chissà quale allegria visto il suo carattere.
Bellatrix lanciava ogni tanto sguardi a Rabastan, non perché lei fosse interessata al ragazzo, ma semplicemente perché rappresentava tutto ciò che aveva appena perduto e che già le mancava da morire.
<< Mamma, ma perché Meda non s’è vista oggi? >> chiese Sirius, verso fine serata, mentre salutavano gli sposi e i genitori di Bellatrix << Cioè, Bellatrix è sua sorella! >>
Per un secondo rimasero tutti in silenzio, indecisi su cosa rispondere, poi Walburga decise che era giunto il momento della verità.
<< Non penso che rivedrai più… quella. Si è fidanzata con un Mezzosangue >>.
<< Ah… >> mormorò Sirius, abbassando il capo. Già, non l’avrebbe beccata nemmeno ad Hogwarts. Quello sarebbe stato l’ultimo anno di scuola per Andromeda, mentre lui avrebbe iniziato a frequentarla solo l’anno seguente. Peccato, Andromeda gli era davvero simpatica. Anche se era ormai maggiorenne, continuava a pensarlo e non lo trattava male come le altre due cugine. Però poteva capire e stimava la sua scelta. Sì, era stata decisamente una grande a fidanzarsi con un Mezzosangue, anche lui voleva fare una cosa del genere, lui non era come i Black.

Hogwarts, settembre 1970



Andromeda prese la carrozza per Hogwarts per quella che sapeva l’ultima volta nella sua vita. Con lei erano Ted e due studenti del secondo anno di Corvonero, che a dir la verità erano abbastanza contrariati di condividere quel viaggio con i due ragazzi. Non pochi vedevano male il fidanzamento dei due, chi perché riteneva Andromeda una traditrice, chi perché accusava uno dei due di avere secondi fini, chi perché semplicemente era stufo di passare le giornate a sentirli litigare.
Narcissa era nella carrozza che precedeva quella della sorella, con Lucius e tre sue amiche. Aveva incontrato per la prima volta da luglio la sorella sul treno, nella carrozza dei Prefetti. Ebbene sì, anche lei come tutte le sorelle Black era diventata Prefetta, mentre Andromeda aveva le nomine di Caposcuola e di caposquadra di Quidditch. Lei le aveva rivolto un’occhiataccia, ma la più grande l’aveva semplicemente ignorata, come se non esistesse.
Narcissa sperava che la sorella capisse che il suo comportamento era forzato da un andare generale della famiglia, ma si rendeva conto che lei era davvero una brava attrice. Del resto, nemmeno lei riusciva più a distinguere la realtà dalla finzione ormai, completamente immedesimata nel ruolo che interpretava. E forse davvero la odiava. Più le mancava, più la odiava, più sentiva schifo nei suoi confronti. Avrebbe sicuramente preso le distanze da certi elementi.
<< Passata una buona estate? >> chiese Narcissa, appena salì sulla carrozza, con un sorriso sulle labbra. Si sedette accanto a Lucius, che le passo un bracciò attorno alle spalle, stringendola a sé. I due ragazzi stavano realmente bene insieme, raramente litigavano e Narcissa aveva reso Lucius meno ambizioso, mentre quest’ultimo le aveva dato quel pizzico di carattere in più che le era sempre mancato.
<< M-mh >> annuì Ruth Goyle << Non ho fatto niente di particolare. Mi aspettavo una tua visita verso fine estate… >>
<< Sì, lo so, ma ti dissi che mia sorella si sarebbe sposata proprio in quel periodo… >> quasi si scusò Narcissa.
<< Vero. Com’è andato il matrimonio di Bellatrix? >> le chiese Ruth.
<< Tutto bene. Per la prima volta ho visto qualcosa che assomigliava ad un sorriso sul suo viso >> ridacchiò Narcissa, che aveva visto solo quello che tutti avevano visto, non immaginando nemmeno lontanamente i veri sentimenti della sorella.
<< Sì, ma oserei dire che è stato terrificante >> annuì Lucius << Insomma, Bellatrix Black… >>
<< … Lestrange >> lo corresse automaticamente Narcissa.
<< Bellatrix Lestrange >> si corresse Lucius, non senza lanciare un’occhiata di rimprovero alla fidanzata, che ben sapeva che odiava essere corretto << sorridente non è propriamente ciò che ti aspetti di vedere. >>
<< Io sono andata in Portogallo >> annunciò una ragazza bassina, scura di carnagione << A Lisbona, dai miei nonni. >>
<< Bella Lisbona? >> le chiese un’altra ragazza, rossa.
<< Ci sono stata un paio di anni fa in Portogallo >> affermò Lucius << In vacanza con i miei genitori. >>
<< Io non sono mai uscita da Londra se non per venire ad Hogwarts o per andare a casa di Ruth >> mormorò Narcissa, che improvvisamente divenne di umore cupo. Se c’era una cosa che invidiava alle amiche erano proprio i loro viaggi. Lei poteva essere più bella, più ricca e più Purosangue di tutta la scuola, ma non aveva mai viaggiato e questa cosa la faceva sentire piuttosto incompleta.
Quando mise piede ad Hogwarts, lo shok più grande fu causato dal vedere tanta gente insieme, con abitudini e accenti insieme. C’era Livy ad esempio, la ragazza con i nonni portoghesi, che parlava inglese con un accento molto strano, che poi successivamente identificò come accento portoghese. Chiusa nella sua casa, circondata dai suoi parenti, non poteva immaginare che fuori dalla porta di casa c’era un vero e proprio mondo, molto diverso da come se l’era immaginato. Nonostante vivesse appena fuori Londra, nella città vera e propria non era stata più di una decina di volte.
Durante lo smistamento Narcissa tentò di guardare il meno possibile nella direzione di Andromeda, che rideva con Gwenog incurante dagli sguardi sprezzanti che tutti le rivolgevano.
<< Meds, dovevi vedere la scena! Aryanna che svolazzava per la campagna sotto un mio incantesimo e le sua amichetta idiota Babbana che la fissava terrorizzata. Certo, peccato che poi lei abbia dimenticato quella scena, ma di certo mia sorella ha capito che ora che sono maggiorenne non mi faccio problemi ad usare la magia su di lei >> raccontò Gwenog, mentre tamburellava impaziente con le dita sul tavolo. Voleva mangiare, al diavolo i primini.
<< A proposito, vuoi proprio diventare una giocatrice professionista una volta fuori da scuola? >> le chiese Andromeda.
<< Certo, che domande! Raggiungerò Yvone nella squadra in cui gioca, credo, e poi tenterò di entrare nelle Holyhead. Dovresti provarci anche tu, capitano. >>
Andromeda sorrise, ben conscia che l’amica si aspettava di ricevere la nomina di capitano, che però era arrivata a lei, e di questo Gwenog era particolarmente gelosa ed invidiosa, anche se non l’avrebbe mai ammesso. << No, non è nel Quidditch il mio futuro. >>
<< Oh, certo. Sei la prova che anche le ragazze possono essere bravissime battitrici e il Quidditch non è il tuo futuro?! Le Holyhead non ci penserebbero due volte a prenderti in squadra, lo sai! E cosa vorresti fare, di grazia? >>
<< Penso che diventerò un Auror >> affermò Andromeda, sicura di quel che diceva. << Se non passerò i test, invece, mi darò alle pozioni. >>
<< Una Serpeverde parente di Mangiamorte Auror… La cosa è divertente >> sorrise Gwenog. Andromeda sospirò, scuotendo il capo. Guardò il Cappello Parlante smistare l’ultima alunna, mandandola a Serpeverde.

Londra, dicembre 1970



Bellatrix uscì da casa sbattendo la porta e si inoltrò nella campagna londinese calciando tutto ciò che trovava e senza una meta ben precisa.
Perché? Perché mai aveve deciso di sposare quel… quel deficiente? Dubitava che sarebbe riuscita a resistere ancora un po’ dentro casa quella sera. Erano sposati da nemmeno cinque mesi e già non ce la faceva più, già si pentiva del suo folle gesto.
Rodolphus sarebbe stato un marito perfetto per qualunque altra donna, ma non per Bellatrix Black. Ancora non riusciva ad abituarsi al fatto di essere una Lestrange, si rifiutava di accettare quel cognome e guardandosi sui giornali non si riconosceva.
Le aveva perfino chiesto di lasciare da parte i servigi per l’Oscuro Signore, che non erano cose per donne, che doveva pensare a tenere pulita la casa e a crescere figli. Già, i figli… Bellatrix era dell’idea che un figlio le avrebbe solo rovinato la vita. Un figlio l’avrebbe costretta per sempre dentro quattro mura, avrebbe dovuto rinunciare a tutto ciò in cui credeva. E lei non poteva. Non poteva ignorare ciò che il suo cuore le dettava, non poteva ignorare i suoi ideali o il sentimento che l’agitava e la faceva agire in maniera totalmente incondizionata dalla ragione.
La sera, quando tornava a casa e rimaneva da sola sul divano con un libro in una mano ed un bicchiere di whiskey nell’altra e il marito già dormiva, rifletteva su come una scelta fatta a quindici anni le avesse condizionato la vita.
Adesso non agiva più per sua volontà, eseguiva solo ciò che la personificazione del suo ideale le chiedeva di fare, era fiera di essere un gradino sotto qualcuno o qualcosa.
Le donne normali –streghe o Babbane- passavano le giornate a pulire le case e dietro ai figli, magari avevano anche un lavoro normale, come tanti altri. Lei invece non aveva né figli né lavoro, lei passava le giornate ad ammazzare e rapire gente, il suo hobby non era l’uncinetto, ma la tortura di Babbani.
A volte si chiedeva se ciò che faceva fosse giusto, se fosse veramente quello che voleva, dopo tutto quello che le era successo.
Sì. Sì, lo era.
Bellatrix non aveva dubbi sulla sua scelta, non aveva nessun ripensamento. Aveva perso amici, si era nascosta, aveva cambiato nome, aveva perso il conto della gente che aveva ammazzato, spesso non sapeva nemmeno il perché ammazzava un’intera famiglia o il perché ammazzava vecchi così come bambini o gente che non poteva nemmeno lottare contro la magia, portava le maniche lunghe anche ad agosto, si era ferita, aveva calpestato se stessa e la sua famiglia, ogni giorno rischiava la morte, quasi ogni sera tornava a casa sanguinante, subiva le battute dei suoi “colleghi” e tornata a casa aveva a che fare con un uomo sposato solo per convenzione e non per amore, ma nonostante questo Bellatrix non sarebbe mai tornata indietro. Non avrebbe mai ripudiato ciò che era –anche perché avrebbe comportato una morte lunga e dolorosa-, né se fosse potuta tornare indietro nel tempo avrebbe compiuto un’altra scelta.
C’era qualcosa che la faceva andare avanti, che le permetteva di ignorare le critiche e le accuse e che leniva le sue sofferenze e questa cosa era rappresentata dall’Oscuro Signore. Lui era la perfetta incarnazione dei suoi ideali e questo la rendeva cieca a qualsiasi altra cosa.
Magari quel per cui lottava non era giusto, le avrebbe procurato dolore, sofferenze, solitudine, ma non per questo vi avrebbe rinunciato.




Grazie mille a ale146 ^^
  
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