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Autore: Nana_13    05/10/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18

 

Consiglio di guerra


Juliet si aggirava per i banchi improvvisati del mercato in cerca di qualche ingrediente anche solo vagamente familiare da usare per cena. Tutto in quell’angolo di mondo così lontano da casa, dalla frutta alla verdura, aveva aspetto e forma insoliti e non sapeva se sarebbe stata in grado di cucinarlo. Accanto a lei, Cedric esibiva un’espressione spaesata e meravigliata allo stesso tempo. Per entrambi era la prima volta in un contesto tanto insolito. Infatti, neanche Juliet ci era mai stata, ma Cordelia sì e forse per questo ogni tanto provava una strana sensazione di dejà-vu, come se l’ambiente circostante le fosse rimasto impresso nell’inconscio.  

“È incredibile come tutto questo non mi faccia lo stesso effetto che fa a te.” osservò ad alta voce, parlandone con Cedric. “Insomma, ho come l’impressione di essere già stata qui.”

“Mi fa ancora strano pensare che sei stata un’altra persona per quanto… Giorni? Settimane?”

Juliet annuì, concordando con lui. “Non dirlo a me. Se almeno riuscissi a ricordare qualcosa…” Trovava frustrante che un periodo della sua vita fosse avvolto dall’oscurità. “Quando mi sono svegliata sembrava passato solo un giorno, invece era più di un mese. Ci ho messo un po’ a elaborare la cosa.”

“Già. Posso immaginare.” disse Cedric, mentre si scansava al volo per evitare di scontrarsi con un paio di bambini che correvano.

D’un tratto, lo vide assumere un’aria malinconica e subito dopo rivolgere lo sguardo altrove. “Tutto bene?” gli chiese premurosa.

Lui allora si riscosse, guardandola di nuovo. “Sì, stavo solo pensando…” esitò; poi prese coraggio. “Credo di doverti delle scuse, Juls.”

“Per cosa?”

“Per la scena pietosa dell’altro giorno con Dean. Le cose che gli ho detto… Le penso davvero, ma a volte penso anche che se non fosse stato per lui ora non sarei qui e questo mi fa ancora più incazzare.” si sfogò con la consueta sincerità, facendola sorridere. “Comunque non avrei dovuto dirle davanti a te. Non è stato giusto, scusami.”

Intenerita, scosse la testa. “Non fa niente. Eri arrabbiato e lo capisco. Anzi, forse nessuno può capirti meglio di me.” lo rassicurò, ripensando alla fatica che aveva fatto per perdonare Dean. Tuttora si stupiva di esserci riuscita.

Alle sue parole Cedric rispose ricambiando il sorriso e per entrambi fu chiaro che non ci fosse bisogno di aggiungere altro. Seguì qualche attimo di silenzio, riempito dal vociare chiassoso della gente e dalle grida dei bambini.

“Quindi tra voi è tutto okay adesso.” esordì Cedric quando lo raggiunse dopo aver comprato della carne, dando fiato probabilmente a un pensiero che gli stava passando per la testa da un po’.

Nonostante il suo tono vago, Juliet percepì del leggero risentimento, come se ne fosse rimasto deluso o si aspettasse un comportamento diverso da parte sua. Forse aveva sperato che sarebbe riuscita a mantenere il punto con Dean, che non gliel’avrebbe fatta passare liscia, ma in tal caso la riteneva più forte di quanto fosse in realtà.

Dall’espressione che fece, Cedric intuì che doveva esserci rimasta male e corse ai ripari. “No, tranquilla, non volevo mica fartene una colpa. Se tu sei felice a me sta bene. Basta che non ti faccia più soffrire, altrimenti questa è la volta buona che lo ammazzo.” sentenziò, terminando l’ultima parte della frase tra i denti.

Lei ridacchiò, divertita da quel suo modo di fare protettivo, quasi da fratello maggiore. “Non preoccuparti, ho già messo le cose in chiaro con lui.”

 

A diversi metri di distanza, dall’altra parte dell’accampamento, Dean cercò di ignorare il fastidioso fischio alle orecchie che lo aveva colto giusto un attimo prima di entrare nel grande tendone, dove Najat teneva le sue riunioni strategiche. Pensò che probabilmente fosse dovuto al nervoso, visto che non aveva idea del perché lo avesse convocato, né cosa aspettarsi da quell’incontro. Erano trascorsi appena un paio di giorni dal loro arrivo, quando un guerriero era venuto a cercarlo per comunicargli che Najat voleva vederlo; così, anche se un po’ titubante, lo aveva seguito fuori senza fare domande.

Al suo ingresso trovò naturalmente Najat già dietro il tavolo del comandante, insieme ad Abe e alcuni compagni fidati, i cui sguardi indagatori si posarono subito su di lui. Forse si stavano chiedendo cosa ci facesse in mezzo a loro e Dean non poté biasimarli.

“Ah, sei tu.” constatò Najat in tono neutro.

“Mi hai fatto chiamare?” In realtà, la sua era più una domanda retorica.

Lei annuì, con l’attenzione già rivolta altrove. “Tra poco ci sarà una riunione generale dei capo tribù. Ho pensato dovessi essere presente.” spiegò con il solito fare schietto, per poi tornare a guardarlo. “Ti chiedo solo di ascoltare. Il tuo intervento non sarà necessario, non subito almeno. Perciò niente iniziative personali, siamo intesi?”

Con un cenno del capo Dean mostrò di aver capito, anche se a dire la verità non aveva mai pensato di prenderne. Senza aggiungere altro, si sistemò in un angolo, adatto all’osservazione ma distante dal centro della scena riservato al generale.

Non passò che qualche minuto prima che un nutrito gruppo di guerrieri facesse ingresso nella tenda. Erano di nazionalità diverse e tra loro riconobbe Kira e Qiang, al fianco di un guerriero cinese non molto alto, ma ben piazzato, con un cipiglio altero dipinto sul volto segnato da cicatrici di guerra e i capelli tagliati a spazzola. Probabilmente il padre, data la somiglianza. 

Dopo che ebbero preso tutti posto attorno al tavolo, Najat si assicurò di avere la loro attenzione e poi iniziò a parlare. Per prima cosa ricordò gli uomini persi negli interventi degli ultimi giorni, un gesto che Dean trovò apprezzabile al pari dei guerrieri presenti. Dopodiché passò al tema principale della riunione, annunciando novità che avrebbero risollevato almeno un po’ il morale delle truppe: Nickolaij era affetto da una maledizione che gli impediva di trarre giovamento dal sangue umano e con gli anni era diventato più debole, anche se non si sapeva fino a che punto.

Dean poté vedere lo stupore farsi strada sui volti dei guerrieri, ignari di tutto come lo era stato lui fino a prima di incontrare Margaret. Anche per loro Nickolaij era sempre apparso come un essere invulnerabile, l’ultimo esponente di una mitica stirpe ormai decaduta, e ora scoprivano che una strega era riuscita a intaccare quell’invulnerabilità.

“Se ciò che sostieni è vero, dobbiamo subito organizzare una spedizione per Bran.” propose uno dei comandanti, un tipo alto e, a giudicare dai tratti, proveniente da un paese europeo o comunque occidentale. “Non possiamo permetterci di aspettare oltre. Dobbiamo attaccare al più presto.”

Un brusio di consenso si levò tra i presenti, ma Najat provvide subito a sedare il prematuro entusiasmo. “Un momento, calma! Non siate troppo avventati.” disse ad alta voce, ripristinando il silenzio.

Il padre dei gemelli si mostrò d’accordo. “Giusto. La strega gli ha impedito di nutrirsi, ma questo basta a darci la certezza di poterlo uccidere?” osservò, dimostrando più razionalità degli altri colleghi. “Se è vera la leggenda per cui solo un Danesti può ferirlo, non vedo come sapere della maledizione possa aiutarci.”

“E allora che dovremmo fare? Rassegnarci a soccombere per dar retta a una stupida favola per bambini? Non ci penso nemmeno!” protestò Avartak, battendo il pugno sul tavolo per la rabbia. “Ho perso troppi compagni a causa di quell’essere, deve pagare con la vita per il male che ha fatto!”

“E pagherà!” confermò Najat, sovrastando ancora una volta il brusio generale. “Ve lo giuro, fratelli miei. Pagherà fino all’ultimo guerriero morto in questa guerra, ma per far sì che la loro memoria venga onorata dobbiamo evitare mosse azzardate. Non dimenticate che gli algul possono creare altri come loro e moltiplicarsi, mentre noi siamo sempre meno. Ora hanno perfino alcuni dei nostri dalla loro parte…”

“Quelli non sono altro che traditori!” gridò con rabbia qualcuno nel gruppo, sovrastando la sua voce, e ben presto ottenne l’approvazione degli altri.

“Giusto!” concordò un altro. “Sono una vergogna, un disonore per tutti noi!”

Dean si accorse di come Najat si sforzasse di tenere a freno la tentazione di rispondere a tono a quegli sproloqui. “Non sappiamo come Nickolaij sia riuscito a convincere i nostri compagni trasformati in vampiri a rimanere nel suo schieramento, ma li considero più prigionieri che traditori. Nonostante questo, se mi capitasse di scontrarmi con uno di loro, non esiterei a fare il mio dovere. Rimane il fatto che allo stato attuale delle cose non possiamo permetterci di perdere altre vite inutilmente. Ogni uomo è prezioso.” disse, concludendo il discorso. 

“Certo, se poi anche i nostri capitani passano dalla parte del nemico…” insinuò il guerriero che aveva proposto di attaccare Bran.

Chiaramente si stava riferendo al tradimento di Tareq e Dean si accorse subito del lampo di puro odio che attraversò lo sguardo di Najat al solo aleggiare di quel nome nella tenda. L’allusione sembrava celare un velato attacco alla sua autorità, in quanto non si era ancora dimostrata in grado di vendicare l’omicidio di Jamaal punendo il colpevole. Ad ogni modo, lei riuscì a conservare un certo contegno, senza apparire risentita. “Quello di Tareq è stato un episodio isolato. Ha tradito Jamaal perché era invidioso e non accettava la sua volontà di nominarmi suo successore, ma vi assicuro che non si ripeterà. Mi fido dei miei uomini più di me stessa.” mise in chiaro, guardandoli uno dopo l’altro. “E comunque è anche a causa del suo tradimento che dobbiamo continuare a combattere. Deve pagare per ciò che ha fatto.” sentenziò risoluta. 

Almeno su questo erano tutti d’accordo. Era evidente quanto la morte di Jamaal fosse stata un duro colpo non solo per la tribù di Najat.

A quel punto, il padre dei gemelli riprese la parola. “Non fare l’errore di scambiare la nostra titubanza per arrendevolezza, ma tu stessa hai confermato che non esiste alcuna arma in grado di uccidere il Draculesti. Dunque perché ci hai convocato tutti qui, quando dovremmo essere in patria a organizzare le difese? Credo sia tempo per noi di ricevere spiegazioni.”

Tipo simpatico- pensò Dean tra sé, colpito dal tono di superiorità con cui si rivolgeva a Najat. Tuttavia, apprezzò che, a differenza degli altri, si fosse mostrato più pratico e poco propenso a perdersi in chiacchiere inutili su possibili tradimenti. Curioso di sentire la risposta di Najat, spostò lo sguardo su di lei e la vide prendersi un momento per riflettere; poi dalle carte sul tavolo il suo sguardo tornò di nuovo sui suoi comandanti. 

“Nobile Xiong-Shi, compagni miei.” disse, soppesando ogni parola. “So che quanto sto per rivelarvi non sarà facile da accettare, ma vi chiedo di non essere precipitosi nel giudicare la mia scelta.”

Dean non si rese conto delle sue vere intenzioni finché non la sentì pronunciare una frase totalmente inaspettata.

“Nickolaij sarà anche riuscito a portare Tareq dalla sua parte, ma noi abbiamo qualcuno dei suoi dalla nostra.” Detto questo, gli lanciò un’occhiata di traverso e di conseguenza tutti gli sguardi si focalizzarono sull’angolo in cui se ne era rimasto in disparte fino a quel momento. Di colpo si ritrovò da presenza quasi impercettibile a oggetto dell’attenzione generale.

Realizzato il reale significato delle sue parole, Avartak per poco non si strozzò con il vino che stava bevendo, mentre gli altri la guardavano come se fosse impazzita.

Dean non aveva la benché minima idea di cosa le fosse passato per la testa. Voleva vederlo morto, per caso?

Xiong-Shi fu il primo a ritrovare lucidità, anche se era ancora visibilmente scosso quando puntò il dito contro di lei. “Ascolta bene, ragazza. Ho accettato di averti come Qayid perché questo era il desiderio di Jamaal e intendo continuare a onorare il suo volere, ma non tollererò di prendere ordini da uno di loro. Piuttosto la morte.”

“Mi state dicendo che ho avuto uno schifoso succhiasangue nel mio accampamento per giorni e non me ne sono accorto?” intervenne Avartak, ripresosi dal violento attacco di tosse. “E adesso se ne sta qui in mezzo a noi, a sentire i nostri discorsi? È assurdo!” Le sue proteste fomentarono anche la rabbia dei compagni, che presero a inveire contro Najat.

“Aspettate, vi prego! Ascoltatemi!” Con le mani sollevate davanti a sé, lei cercò di placarli con scarsi risultati. Del resto, Dean non si sarebbe aspettato nulla di diverso. Come aveva potuto essere tanto avventata?

“Pensate che avrei permesso a un vampiro di stare qui se non fossi stata assolutamente sicura che non rappresentasse un pericolo?” chiese a tutti, gridando per sovrastare le loro voci. “Anche Jamaal sapeva di lui! Ci ha aiutato a entrare a Bran!”

“E infatti guarda com’è finita!” le contestò Avartak per tutta risposta. 

“Se le cose sono andate in quel modo, la colpa è solo di Tareq! Dean non ha avuto niente a che fare con la morte di Jamaal.” lo difese Kira, parlando per la prima volta. 

“Non direttamente, certo.” intervenne suo padre. “Ma potrebbe averlo convinto a prendere una decisione così avventata solo per favorire gli interessi di Nickolaij.”

Najat colse l’assist al volo. “Spero che con questo tu non stia insinuando che Jamaal fosse uno sciocco.” replicò indispettita, prendendolo alla sprovvista. “Tutti qui conoscevano la sua abilità strategica e sanno che non si sarebbe mai lasciato raggirare. Grazie alla sua decisione di fidarsi di Dean, abbiamo potuto salvare un ragazzo innocente e non è forse questa la nostra missione?”

La domanda ebbe l’effetto di ammutolire sia Xiong-Shi che gli altri e il silenzio scese di nuovo nella tenda.

“Amici miei.” proseguì quindi Najat, in tono più pacato. “Io non posso dimostrarvi in nessun modo la sua buona fede, posso solo dirvi quello che so. So che senza di lui neanche noi saremmo usciti vivi da quel castello. Jamaal è stato vittima di un tradimento, ma conosceva i rischi che comporta una missione di quel tipo, come tutti voi del resto. L’alleanza con il vampiro era un’opportunità e l’ha sfruttata. Se non volete credere a me, credete almeno nel suo giudizio.”

Nessuno in quel gruppo di veterani testardi ebbe il coraggio di contraddirla su quel punto, eppure sui loro volti si leggevano ancora sospetto e diffidenza.

Dopo un po’, si fece avanti un guerriero nerboruto e dalla pelle scura. “Nella remota possibilità che ci fidiamo di lui, in che modo sarebbe utile alla nostra causa?”

“In questi mesi lui e i suoi amici hanno trovato una soluzione che potrebbe permetterci di contrastare Nickolaij. Vi chiedo di ascoltare cosa ha da dire per capirne di più, poi deciderete il da farsi.” Fece cenno a Dean di avvicinarsi e lui, senza mostrarsi intimorito, la raggiunse dietro al tavolo, pur mantenendo una certa distanza per rispettare le gerarchie e non prevaricare su di lei. 

In tono fermo e guardandoli negli occhi illustrò in breve quanto accaduto nelle ultime settimane, ciò che avevano scoperto su Rachel e soprattutto soffermandosi sul fatto che fosse possibile rendere mortale Nickolaij.

I guerrieri lo ascoltarono fino alla fine, stranamente senza fare obiezioni, anche se mentre parlava poteva leggere nei loro occhi il tipico disprezzo che ogni cacciatore nutriva nei riguardi del suo nemico giurato, ma si sforzò di tirare dritto senza dare importanza alla cosa.

“Quindi questa ragazza, in teoria in possesso di poteri magici, dovrebbe produrre una pozione in grado di privare il Draculesti dell’immortalità.” riepilogò Xiong-Shi, una volta che Dean ebbe spiegato il ruolo di Rachel nella faccenda.

“Ma pur avendo la pozione, come faremmo ad avvicinarci abbastanza per iniettargliela?” aggiunse un altro comandante. “Sarebbe già un miracolo riuscire ad arrivare di nuovo alla sua tana.”

“Già.” concordò Avartak. “E poi chi si accollerebbe il compito? Non sarà certo facile come buttar giù un boccale di birra.”

Najat annuì, consapevole che avesse ragione. “Tutti i vostri dubbi sono legittimi. Io stessa ho tante domande senza risposta, è per questo che vi ho chiesto di riunirci qui, per poter trovare insieme una soluzione. Sono convinta che solo così riusciremo a vincere questa guerra.”

-Ottima strategia- pensò Dean colpito. Stava giocando la carta del farli sentire parte di qualcosa di più grande, in modo da portarli esattamente dove voleva.

“E il vampiro?” chiese un altro guerriero, accennando a lui con un gesto sprezzante del mento. “Non manca molto al plenilunio, chi ci assicura che non ci attaccherà in preda a un raptus famelico?”

Sentendolo Dean provò l’impulso di esibire una smorfia di disappunto, ma si trattenne. Gli Jurhaysh combattevano i vampiri da secoli, eppure non si erano mai presi la briga di conoscerli a fondo. Non avevano idea che ne esistessero alcuni, come lui stesso del resto, particolarmente abili nel controllare la fame, più forti nel combattimento o con altre capacità diverse dai propri simili. Per loro ogni succhiasangue era identico all’altro e forse era questo il vero motivo per cui non erano mai riusciti a sopraffarli del tutto.

“A questo abbiamo già pensato. Laurenne ha ideato una pozione con proprietà molto simili al sangue umano. Permetterà al nostro ospite di sfamarsi durante la luna piena senza mettere in pericolo la vita di nessuno di noi.” assicurò Najat, mostrandosi sicura di sé. “Comunque, per precauzione è disposto a prenderne più di una dose, nel caso una sola non dovesse bastare.” Detto ciò, si scambiò una breve occhiata con Dean per cercare conferma e lui annuì, tenendole il gioco malgrado non si fossero messi d’accordo prima su quel punto. Al momento c’era bisogno che la supportasse più possibile.

Per fortuna sembrò funzionare, o almeno servì a placare gli animi dei presenti, anche se non a convincerli del tutto che non rappresentava una minaccia per l’incolumità generale. Per quello ci sarebbe voluto molto più tempo e Dean lo sapeva.

Perfino il nobile Xiong-Shi aveva un’aria meno sospettosa, ma non la illuse che le avrebbe concesso subito il suo supporto incondizionato. “Devi lasciarci del tempo per discuterne tra noi.” le disse infine. “Non possiamo prendere una decisione così importante a cuor leggero.”

“È giusto.” riconobbe Najat paziente. “D’altronde, anche a Rachel ne servirà un po’ per preparare la pozione. Tenete presente, però, che stavolta c’è la concreta possibilità di liberarci di Nickolaij e il solo modo per riuscirci è unire le tribù e attaccare Bran tutti insieme. Confido che ognuno di voi saprà scegliere la strada migliore in nome di un bene superiore e che ci ritroveremo tutti d’accordo alla fine. Ora siete liberi di andare.”

Prima di obbedire, alcuni di loro si batterono il petto con la mano destra chiusa a pugno, nel saluto tipico dei guerrieri, mentre altri si limitarono a darle le spalle e a imboccare l’uscita. In ogni caso, Najat non nascose un certo sollievo e poté finalmente riprendere fiato.

A dir poco sfinita, si abbandonò su un grosso cuscino nelle vicinanze, mettendo da parte il cipiglio da capo adulto e responsabile per tornare la diciottenne che era.

“Quant’è difficile questo lavoro.” si lamentò sbuffando. “Non faccio che chiedermi come ci riuscisse Jamaal.”

“Beh, lui era sicuramente un grande capo. Per quel poco che lo conoscevo, ho avuto modo di constatarlo.” disse Dean. “Ma da anni nessuno nella tua posizione ha mai fatto quello che stai cercando di fare tu.”

Lei annuì con aria esausta. “Già… E adesso capisco il perché.”

“Mettere d’accordo persone con mentalità e culture tanto diverse non è certo un’impresa facile. Se poi ci aggiungi l’iniziativa di dire a tutti che sono un vampiro…”

Ripensarci le provocò un certo divertimento. “Non te lo aspettavi, eh?”

“Diciamo che avrei preferito saperlo in anticipo, per essere più preparato.” confessò Dean, piegando le labbra in un ghigno.

“Sì beh, non c’era il tempo di informarti. E poi è meglio che l’abbiano saputo da me, piuttosto che scoprirlo per caso. Sarebbe stato molto peggio.”

In effetti non poteva darle torto. “Comunque hai avuto fegato, non lo nego.” le concesse. “Ti sei guadagnata la mia stima.”

A quel punto, le parve quasi di vederla arrossire, ma non poté averne la certezza perché Najat si schiarì la gola, ricomponendosi nel giro di un secondo. “Grazie per le tue parole, vampiro.”

Dean ghignò di nuovo. “Ho anche un nome, sai?”

“Lo so.” rispose, accennando un sorriso.

Dopo aver ricambiato, tornò serio. “Prima che vada, c’è una cosa di cui vorrei discutere con te. Riguarda quello che è successo in Scozia.” Era dal loro arrivo che aspettava un momento adatto per parlarle delle sue preoccupazioni e pensò di cogliere la palla al balzo, ora che erano soli. “Quando siamo fuggiti attraverso il portale, la ragazza che viveva con Margaret è rimasta al suo fianco e sono sicuro che Mary e Byron l’avranno torturata per estorcerle informazioni.”

“Che genere di informazioni?” chiese Najat con aria attenta.

“Tutto.” Dean sospirò, massaggiandosi le tempie. “La maledizione, l’identità di Rachel, la pozione… Non so fino a che punto possa aver parlato, ma di certo ora avranno un quadro più completo e questo potrebbe aver eliminato il nostro vantaggio.”

Esausta, Najat chiuse gli occhi e affondò il viso nelle mani, prendendosi qualche istante di riflessione. Dean era consapevole del disagio che stava provando e non avrebbe voluto aggiungere un altro problema alla sua già nutrita lista, ma i suoi timori erano fondati ed era giusto che ne fosse messa al corrente.

“Quindi ora cercheranno Rachel.” ne dedusse la guerriera. 

“È probabile.”

“E c’è il rischio che vi trovino qui come hanno fatto in Scozia…” Dal suo tono si capiva quanto l’ipotesi la impensierisse. 

“L’altra volta Cedric aveva addosso una specie di marcatore runico e ritengo che sia grazie a quello che ci hanno rintracciato. Ad ogni modo, Margaret l’ha rimosso poco dopo il nostro arrivo, perciò non dovremmo correre rischi.” le spiegò Dean.

Il suo tentativo di rassicurarla sembrò fare effetto, perché l’espressione di Najat si fece meno tesa. “Sarà meglio tenere questa storia per noi. Non abbiamo informazioni certe e sarebbe inutile allarmare i miei comandanti, è già abbastanza dura tenerli a bada.” 

Lui annuì. “Sono d’accordo. Infatti non l’ho detto neanche agli altri per non farli agitare ulteriormente. 

-E Rachel lo è già a sufficienza- pensò subito dopo. Gli Jurhaysh avrebbero potuto risentirsi se, in preda a uno dei suoi attacchi d’ira, avesse raso al suolo l’accampamento.

“In ogni caso, il villaggio è protetto dalla magia di Laurenne e nessuno può trovarlo, a meno che non ne conosca già la posizione. Speriamo che basti e che non si inventino qualche altra diavoleria.” aggiunse la guerriera. “E poi, al momento, che Nickolaij sappia o meno di Rachel non fa differenza, finché lei è al sicuro qui. Affronteremo il problema quando attaccheremo Bran. Se mai ci riusciremo…” Con un profondo sospiro trasmise tutta la propria incertezza in merito e per un attimo Dean riuscì a vedere tutta la sua fragilità, tipica di chi si ritrova così giovane di fronte alla responsabilità di guidare un intero popolo. 

Quel momento però fu di breve durata, perché Najat parve accorgersene subito e l’istante dopo la vide recuperare la sua compostezza, anche se comunque troppo tardi per impedirgli di notarlo. “Posso esserti utile in qualche altro modo?” le chiese allora, fingendo noncuranza.

Dapprima un po’ spaesata dal suo fare servizievole, lei si riprese in fretta e accennò un leggero sorriso. “Per ora no, ti ringrazio. Puoi andare. Manderò qualcuno ad avvisarti quando ci sarà il prossimo consiglio.”

Con un cenno della testa Dean le comunicò di aver capito, poi tolse il disturbo e si diresse subito verso la tenda dove alloggiava con gli altri, premurandosi di mantenere un profilo basso. Non che servisse a molto ormai, ma non era affatto sicuro che le garanzie date da Najat fossero sufficienti per placare i pregiudizi dei guerrieri nei suoi confronti, dunque meglio non metterli alla prova.

Al suo rientro trovò Kira e Qiang che chiacchieravano piacevolmente con Juliet e i ragazzi. Mancava solo Rachel, che probabilmente era ancora da Laurenne a cercare di capire qualcosa sulla pozione. 

“Allora? Che voleva Najat?” gli chiese Juliet in tono un po’ ansioso quando lo vide entrare.

Conservando il suo solito aplomb, Dean scosse leggermente le spalle. “Niente di particolare. Voleva informare gli altri comandanti della pozione, stabilire piani, strategie, rivelare al resto del mondo che sono un vampiro…”

La sua ironia, però, passò in secondo piano al sentire quella parola e trasalì, fissandolo incredula. “Cosa?” 

Lui ridacchiò, divertito dalla sua reazione. “Rilassati. Non è successo nulla.”

“Sì, anche se il rischio c’è stato per un momento. Nostro padre e gli altri comandanti non l’hanno presa benissimo.” L’espressione di Qiang lasciava intuire che fosse tutto fuorché rilassato. Le possibili reazioni del padre sembravano inquietarlo più del fatto che ora tutti sapessero della presenza di un vampiro nell’accampamento.

Per sedare l’agitazione che le parole del guerriero avevano suscitato, Dean spiegò come Najat fosse riuscita almeno in parte a rabbonire sia Xiong-Shi che gli altri guerrieri, garantendo per la sua buona fede e irretendoli con la possibilità di far tornare umani i compagni trasformati in vampiri grazie alla pozione.

Quando finì di parlare, Kira assunse un’aria pensierosa, arricciando le labbra. “Nat gioca d’astuzia, ma non so quanto possa servire con nostro padre.”

Tuttavia, il discorso si interruppe a causa dell’arrivo di Rachel, che dopo aver salutato con un sorriso di circostanza i due ospiti, riacquistò l’aria funerea che aveva ormai da giorni e si mise a sistemare le sue cose nel piccolo spazio personale che si era ritagliata in un angolo.

“Ehi, Sabrina.” la apostrofò Cedric senza porsi il problema se fosse o meno dell’umore. “Novità sulla pozione?”

Non era la prima volta in due giorni che glielo domandava e la sua risposta era sempre la stessa. Comunque, Rachel si sforzò di avere pazienza. “Te l’ho detto, dobbiamo ancora finire di radunare tutti gli ingredienti.”

“Ancora?” Sul volto di Cedric lesse la delusione.

“È più complicato del previsto. Leggendo sul grimorio mi sono resa conto che Margaret non li aveva tutti. Per fortuna Laurenne teneva un paio di erbe con sé, ma altre sono piuttosto rare e dovremmo andare a cercarle. Alcune non sappiamo nemmeno cosa siano.” spiegò in tutta sincerità. “E poi non si tratta solo di trovare quelle giuste, ma anche di capire in che modo utilizzarle. Insomma, è un vero inferno.” Esausta, si portò una mano sulla fronte, emettendo un sospiro. Come se non bastasse, le era scoppiato un gran mal di testa e quel fastidio allo stomaco continuava a ripresentarsi ogni tanto.

Il silenzio di Cedric lo interpretò come assenso, o più probabilmente volle credere che fosse così per non dovergli dare ulteriori spiegazioni. Ora voleva solo riposare, senza doversi sorbire le domande di nessuno. Quindi si affrettò a riordinare le sue cose, con la ferma intenzione di andarsene a dormire. Perfino quando Juliet le chiese se volesse mangiare qualcosa rifiutò. Al momento sentiva che lo stomaco avrebbe rigettato qualunque cosa avesse ingerito.

“Ehi.” esordì una voce dietro di lei, mentre trafficava. “Serve una mano?”

“No, ho quasi finito.” ribatté secca, senza guardare Mark in faccia. Ultimamente non riusciva più a farlo con la stessa facilità di un tempo e doveva ancora capire bene il perché. O forse lo sapeva già.

Dei suoi modi di fare restii, però, sembrava essersi accorto anche lui. “Okay. Quando hai fatto, possiamo parlare un minuto?” chiese in un tono accomodante che la infastidì.

Mugugnò qualcosa in risposta, ma non gli bastò perché subito dopo sentì la sua mano sul braccio invitarla a voltarsi e a incontrare il suo sguardo.

“Per favore, è importante.”

Era davvero serio mentre lo diceva, così Rachel dovette convincersi che fosse davvero importante e si rassegnò a seguirlo fuori dalla tenda.

Una volta soli, lui non si perse in chiacchiere. “Mi spieghi perché non mi rivolgi la parola da quando abbiamo lasciato la Scozia?” domandò a bruciapelo. 

-Ti prego, no- pensò tra sé, esasperata. Ci mancava solo quello. Senza sapere bene cosa rispondere, distolse lo sguardo, evasiva.

Mark, però, non si lasciò scoraggiare dal suo silenzio. “Ascolta, capisco che la scomparsa di Margaret ti abbia turbato. Avevi bisogno di tempo per elaborare la cosa e te l’ho dato volentieri, ma adesso…”

“Ti prego, non possiamo rimandare? Sono talmente stanca…” In pratica quasi lo implorò, tentando in quel modo di mettere a tacere l’istinto che altrimenti l’avrebbe spinta a una reazione eccessiva. Sperava di riuscire a impietosirlo, così da sventare il pericolo di una lite e fortunatamente lui sembrò intuirlo.

“Ray, l’ultima cosa che voglio fare è assillarti, ma sento che tra noi c’è qualcosa di irrisolto e mi piacerebbe che ne parlassimo. Solo per chiarire, tutto qui.”

A quel punto su entrambi calò l’ennesimo silenzio imbarazzante. Rachel continuava a non guardarlo, consapevole che così facendo le avrebbe letto dentro. Ormai erano come un libro aperto l’uno per l’altra.

“È per quello che è successo sulla spiaggia, vero?” azzardò Mark, facendosi più vicino.

Aveva indovinato, come era prevedibile del resto, e Rachel si maledisse. Non osava alzare gli occhi, vergognandosi come una ladra, finché lui non decise che era arrivato il momento di smetterla. Con la mano le sollevò il viso delicatamente, costringendola a guardarlo. “È così? Dimmi la verità.”

Non c’era accusa né rabbia nella sua voce, solo il desiderio che lo aiutasse a capire, ma ora come ora Rachel avrebbe voluto solo scappare. Perché si sentiva così? Eppure da quando stavano insieme non aveva mai avuto difficoltà a confidarsi con lui. Per quale motivo adesso aveva così paura?

Fece per aprire bocca, in un disperato tentativo di giustificare i suoi timori, quando vide un nutrito gruppetto di guerrieri venire verso di loro. Dapprima pensarono che avrebbero cambiato strada, invece poi se li ritrovarono proprio di fronte. 

“Dove posso trovare colei che sostiene di essere una strega?” chiese senza mezzi termini quello in testa al gruppo, scrutando entrambi con i suoi occhi a mandorla quasi nascosti sotto le folte sopracciglia ingrigite dall’età. Il suo tono non era scortese, ma fermo.

E adesso cosa voleva quella gente da lei? Superata l’esitazione iniziale, Rachel lo affrontò altrettanto decisa. “Ce l’ha davanti.” 

L’uomo la squadrò dall’alto in basso, come se la stesse studiando, e sembrava alquanto scettico sulla veridicità delle sue parole. “Dunque è così. L’ultima strega vivente non è altro che una ragazza che ha da poco superato l’adolescenza.” constatò.

A Rachel il modo in cui la stavano fissando non piaceva per niente e ancora meno il tono di sufficienza che quel tizio le riservava. Quasi non fosse nemmeno degna di allacciargli gli stivali. Mark le cinse la vita con un braccio, per trasmetterle il suo sostegno e automaticamente si sentì più forte. “La cosa la disturba?”

Riconosciuta la voce del padre, i fratelli Cina uscirono dalla tenda, seguiti da Juliet e gli altri.

“Padre.” disse Kira, sorpresa di trovarlo lì. “Che succede?”

Lui, però, non batté ciglio. “Nulla di grave, figlia mia. Eravamo solo ansiosi di conoscere l’unica persona con il potere di risolvere i nostri problemi.”

“Come sarebbe a dire?” Rachel aggrottò la fronte, mentre le parole le uscivano spontanee.

“Sappiamo dei tuoi poteri. Il vampiro ci ha spiegato che con le tue capacità creerai una pozione che ci permetterà di eliminare il Draculesti e porre fine alla guerra.” Nonostante mantenesse un certo contegno, il tono del guerriero era velatamente entusiasta.

Era evidente che, pur con tutti i dubbi del caso, si fosse già fatto un’idea piuttosto definita di come doveva andare. Peccato che Rachel non si sentisse altrettanto ottimista. Con i nervi a fior di pelle, lanciò un’occhiata fulminante a Dean, ma non ebbe modo di dirgli ciò che meritava perché Xiong-Shi tornò alla carica subito dopo.

“Se siamo qui è per assicurarci che non si sia trattato soltanto di una menzogna del vampiro per sfuggire al taglio della testa.” chiarì. “Perciò ti chiedo di darci una dimostrazione dei tuoi poteri.”

“Io non devo dimostrare niente a nessuno.” replicò Rachel, senza disturbarsi a nascondere quanto l’atteggiamento di quell’uomo l’avesse offesa. Con quale faccia tosta lui e i suoi compari venivano lì a imporle di dare spettacolo? Neanche fosse un fenomeno da baraccone.

“Non mi sembra una grossa pretesa. O magari ti rifiuti di mostrarceli perché in realtà non esistono.” insinuò uno degli altri capo tribù, un tipo pallido e dalla chioma biondastra.

“Di che hai paura, ragazza?” la incalzò un altro in un inglese dal forte accento straniero, che però Rachel non riuscì a identificare. “Se è vero che sei una strega, che ti costa farci vedere qualcosa?”

Aveva tutti i loro occhi puntati addosso e a quel punto avvertì Mark irrigidirsi, intenzionato a rispondere per le rime, ma lo fermò prima. Non avrebbe lasciato che fosse qualcun altro a prendere le sue difese. Poteva farcela benissimo da sola. Era molto tentata di lasciare che il suo potere fuoriuscisse libero da lei, ma provocare l’ennesimo disastro avrebbe potuto essere controproducente e poi, per quanto quella gente non le fosse simpatica, non voleva fare del male a nessuno. Così, alla fine optò per un incantesimo tra i più semplici, almeno da quando aveva imparato a padroneggiarlo. Tanto per accontentarli e levarseli dai piedi. Sperava solo che gli sarebbe bastato.

Sollevò la mano destra e con un respiro profondo raccolse la concentrazione. Ormai non aveva più bisogno di chiudere gli occhi, non per una magia così semplice almeno. Dopodiché posò lo sguardo sui guerrieri, scoprendoli seri e attenti, finché l’attenzione non si tramutò in stupore quando una guizzante fiammella si accese di colpo tra le sue dita.

Le labbra di Rachel si piegarono in un sorriso soddisfatto. “È sufficiente?” chiese, a un tratto più spavalda. Quello era uno dei cavalli di battaglia di Margaret ed era fiera di averlo imparato così bene. Tutta la fatica che aveva fatto era valsa a qualcosa.

Xiong-Shi si riprese in fretta, non che fosse davvero rimasto impressionato, e inaspettatamente chinò il capo verso di lei, in segno di assenso misto a scuse. “Volevamo solo esserne certi. Ad ogni modo, un po’ di fuoco dalla mano non significa aver vinto la guerra. Vedremo come si evolveranno le cose. Nel frattempo, ci terremo aggiornati sui tuoi progressi.” Concluse in tutta tranquillità, prima di spostare il suo cipiglio severo sui due figli. “Basta bivaccare. Vi aspetto al campo di addestramento tra dieci minuti. Niente balestre, Qiang. Sono armi facili che non si addicono a un vero uomo, ammesso che in te sia rimasto qualcosa che oserei definire tale.”

L’attenzione generale si spostò in automatico su Qiang, che si stava evidentemente sforzando di non lasciar trasparire quanto le parole del padre lo avessero ferito, senza però molto successo. Comunque non disse nulla, limitandosi ad annuire obbediente, per poi guardarlo allontanarsi insieme agli altri guerrieri.

“Lo ha fatto di proposito.” mormorò tra i denti, appena certo che non potesse sentirlo. “Ha continuato a parlare inglese in modo che tutti sentissero mentre mi umiliava.”

La sorella gli posò una mano sulla spalla con fare consolatorio. “Non dargli peso. Che ti importa di quello che pensa? Tu non hai niente che non va…”

“È mio padre! Per quanto mi sforzi di ignorarlo, mi importerà sempre.”

“Scusate se mi intrometto, ma va tutto bene?” chiese Juliet, in pensiero di fronte a quell’evidente crisi familiare. 

Kira si voltò verso di lei, rivolgendole un sorriso cordiale. “Grazie, è tutto a posto. I soliti problemi con nostro padre.”

“Già.” le fece eco il fratello, recuperando il contegno perduto. “A quanto pare ciò che sono lo turba così tanto da non riuscire a evitare di farmelo pesare ogni volta che si presenta l’occasione.”

Confuso dalle sue parole, Dean alzò un sopracciglio. “Ciò che sei?”

Qiang allora annuì, prima di spiegarsi. “Omosessuale.” confessò senza particolari problemi. L’unico che sembrava averne era suo padre, in effetti. “E questo per lui equivale a un disonore, visto che in quanto suo unico figlio maschio dovrei ereditare la sua posizione. Lo considera un fallimento personale.” spiegò con aria mesta, anche se nella sua voce non c’era traccia di vergogna, solo dispiacere per il comportamento del padre.

“Capisco. Hai provato a dirgli cosa provi? A fargli capire come ti senti?” Juliet cercò di usare un tono il più possibile neutro, poco coinvolto, quando invece dentro sentiva una certa dose di fastidio. Possibile che nel ventunesimo secolo ci fosse ancora qualcuno incapace di accettare che esistessero varie forme di amore, oltre a quella canonica e tradizionale?

“Oh, sì. Fino alla nausea. Tanto che ormai ho smesso di provarci. Non serve a niente, è più testardo di un mulo. E poi sapete che c’è? Io non voglio fare il capo, non mi interessa, non ne ho le capacità.” ammise sincero. “Da anni sostengo che debba essere Kira a succedergli, ma ovviamente non vuole sentire ragioni. Secondo lui una donna sarebbe inadatta a comandare.”

“Ecco. Un altro maschilista.” sentenziò Rachel seccata, per poi girare i tacchi e rientrare in tenda senza degnare nessuno di uno sguardo.

“Ho colto una lieve insinuazione, o sbaglio?” fece Cedric a Mark, che sospirò rassegnato.

“Ragazzi, noi purtroppo dobbiamo andare o saranno guai.” si congedò Kira, allontanandosi subito dopo insieme al fratello, che salutandoli con la mano aggiunse un “ci vediamo in giro”, prima di seguirla verso il campo di addestramento che era stato improvvisato poco fuori dal perimetro intorno alle tende.

Davanti ai due fratelli Rachel si era trattenuta, ma una volta rientrati non esitò a scaricare su Dean tutta la sua furia. “Come diavolo ti è venuto in mente di dire a tutti che sono una strega?” lo aggredì.

Nonostante si aspettasse di dover affrontare la sua reazione, lui pensava di avere un po’ più di tempo. Non avrebbe potuto certo immaginare che i comandanti si sarebbero presentati da loro cinque minuti dopo la riunione. “Adesso non cominciare, è stato solo per tenerli a bada. Avevo almeno una decina di spade puntate alla gola quando Najat ha rivelato la mia vera natura.” si giustificò.

“Certo, perché come al solito tu pensi solo a salvarti la pelle!” replicò Rachel implacabile. “Pazienza se a rimetterci poi sono sempre gli altri!”

Dean incrociò le braccia, sospirando. “Tanto lo avrebbero saputo prima o poi. Se non l'avessi detto io ci avrebbe pensato Najat. Strategicamente parlando, la pozione sarà l’asso nella manica che permetterà di dare una svolta alla guerra. Come speravi di riuscire a tenerlo nascosto?” Ora anche lui iniziava a infervorarsi, perché in fondo rivelare dei suoi poteri era inevitabile e rifiutarsi di capirlo significava comportarsi in maniera infantile.

Rachel, però, ignorò la domanda, evidentemente di diverso avviso. “Ora si aspetteranno che finisca la pozione in tempi record e che mi riesca anche al primo colpo! Come se non avessi già abbastanza ansia per conto mio! Grazie, Dean. Grazie davvero!”

“Ora non esagerare, Ray. Nessuno ti sta puntando una pistola alla tempia.” intervenne Mark, con l’intento di placarla.

Tutto ciò che ottenne, invece, fu un un’occhiata fulminante da parte sua. “Chissà perché non mi aspettavo il tuo sostegno.” In quel momento esatto si sentì completamente messa all’angolo, sola contro tutti. Non c’era anima viva intorno a lei che comprendesse davvero ciò che stava passando. Per loro era tutto facile, credevano che con uno schiocco di dita avrebbe preparato la pozione, fermato Nickolaij e il giorno dopo se ne sarebbero tornati a casa, quando era fin troppo chiaro che non sapeva nemmeno da che parte cominciare. L’unico impulso fu quello di scappare il più lontano possibile, così afferrò in fretta la borsa col grimorio e uscì. Un altro minuto lì dentro e sentiva che sarebbe esplosa. Letteralmente.

“Rachel, aspetta!” le gridò Mark dall’interno, ma non si voltò indietro. La magia stava crescendo in lei, poteva percepirla mentre ribolliva come la lava di un vulcano prossimo all’eruzione. Doveva allontanarsi da lì se non voleva rischiare di fare danni. Mancava solo quello per coronare una così splendida giornata.

Stringendo i pugni per contenere i suoi poteri, si diresse a passo svelto verso la pozza che riforniva l’intero accampamento e presso cui era stata qualche volta a riempire i secchi per il bagno. Era un luogo abbastanza isolato e per fortuna quando arrivò non c’era nessuno. Giunta sulla riva, si tolse di dosso la borsa, gettandola a terra con malagrazia; poi si abbandonò a un urlo liberatorio, scatenando una violenta folata di vento che alzò una nuvola di sabbia, scosse le poche palme nelle vicinanze e increspò la superficie dello specchio d’acqua.

Col fiato grosso, cadde in ginocchio sulla sabbia, le braccia strette attorno al corpo. –Puoi farcela. Respira profondamente…- provò ad autoconvincersi. –Controlla la rabbia. Respira…- Continuava a ripetersi come un mantra e parve funzionare, perché a poco a poco il tremore che l’aveva assalita iniziò a scemare, così come la voglia di spazzare via tutto. Ben presto riuscì a ritrovare la calma interiore, ma non per questo si sentì meno in ansia. – Così non va bene- Non era pensabile che reagisse in quel modo ogni volta che qualcuno le faceva perdere la pazienza. Doveva imparare a controllarsi e doveva farlo subito. Margaret l’aveva detto che il suo potere era legato alla rabbia, ma doveva riuscire a padroneggiarla, a incanalarla in qualche modo, altrimenti l’avrebbe sopraffatta.

“Ray…”

Una voce alle sue spalle la fece trasalire e si voltò di scatto. Era Juliet.

L’amica le sorrise, sollevata che stesse bene. “Ehi.”

“Che ci fai qui?” Perché l’aveva seguita?

“Eri sconvolta, non potevo lasciarti sola.” rispose serafica. “Posso?” Accennò allo spazio sulla sabbia accanto a lei, chiedendo implicitamente se poteva sedersi e Rachel annuì. La vergogna di aver reagito in quel modo stava già prendendo il sopravvento sulla rabbia.

Juliet si accovacciò con le ginocchia al petto, prendendo a osservare il riflesso del sole sul pelo dell’acqua. “Non voglio costringerti a parlare. Me ne starò qui in silenzio e quando ne avrai voglia ti ascolterò.” disse.

Dal canto suo, Rachel avrebbe davvero voluto sfogarsi con la sua migliore amica. Era da tanto che non succedeva e ne sentiva la mancanza. Tuttavia, qualcosa glielo impediva. Non avrebbe saputo spiegare cosa, ma il blocco c’era e non sapeva come aggirarlo. Forse aveva solo una gran paura di ammettere che c’era dell’altro, un pensiero talmente spaventoso che faceva fatica addirittura a considerare come reale possibilità. Per il momento si trattava solo di una sorta di mostro tenuto rinchiuso in un angolo remoto della sua testa, con la speranza che prima o poi scomparisse.

Alla fine, quindi, si alzò, volgendo lo sguardo al paesaggio. “C’è ben poco da dire. Il tuo ragazzo mi ha messo nei casini e adesso dovrò trovare il modo di uscirne.” riassunse lapidaria. Ci mise poco a rendersi conto di aver esagerato, ma ormai era fatta. 

Senza aggiungere altro, recuperò la borsa e si diresse di nuovo verso il campo con il pensiero di Juliet ancora seduta per terra, liquidata in due parole. Mentre camminava, non riuscì a impedire a una lacrima furtiva di rigarle il viso.

   
 
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