Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: epices    07/10/2021    14 recensioni
La storia inizia con il ritorno di Fersen su suolo francese dopo la guerra americana, ma gli eventi non saranno quelli noti, anche perchè il bel Conte non tornerà da solo.
“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”. (L. Pirandello)
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ci ho messo più del previsto perchè ho rimaneggiato un po' le cose, aggiungendo una parte ex novo. In questo modo posso ragionevolmente dire che questo capitolo dovrebbe essere l'ultimo di “attesa”. Dico “dovrebbe” perchè non si sa mai; la maggior parte di voi che dedicate tempo ed energie mentali a questa storia siete anche autori, tutti splendidi (ci ho fatto nottate, solo per dirne alcune, con un amore nato a Brighton, o con Andrè relegato a Chablis o con una passione travolgente esplosa tra Palazzo Jarjays e le grotte di una spiaggia normanna...ma la lista sarebbe molto più lunga) e sapete bene che quando si inizia le idee poi si intrecciano in modi impensati prima. Ma farò del mio meglio per arrivare al dunque ;-)

Grazie, sempre, per i vostri riscontri e a chi segue e partecipa da lontano.


Andrè si svegliò di soprassalto, infastidito da un raggio di sole che, sfacciatamente, attraverso le finestre prive di tende, andava a colpire proprio lì, sul filo delle ciglia.
Gli fu necessario un po' di tempo per mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. Non lo riconobbe immediatamente e un timore ben noto gli attanagliò le viscere.

Lo stesso di quando si risvegliava di colpo, laggiù, in America.
La stessa angoscia, la stessa paura strisciante prima di riconoscere i respiri tranquilli dei compagni che ora però erano stati sostituiti dal cinguettìo degli uccelli e da un defluire d'acqua che, per un istante, la mente ebbe difficoltà a collocare. Aguzzò la vista e riconobbe elementi noti, tornati alla memoria giusto in quel momento. Sulle pareti bianche di calce, arnesi da lavoro, un tavolo semplice e la branda sulla quale si ritrovava.
Era solo, nel capanno dietro le scuderie.
Mise un braccio sul volto per dare tempo agli occhi, protetti dall'incavo del gomito, di abituarsi gradualmente alla luce mentre cercava di mettere a fuoco quanto accaduto nelle ore precedenti, ma un dolore puntuale, proprio dietro la fronte, gli impediva di concentrarsi completamente.
Uscì per lavarsi il viso con l'acqua fredda del pozzo; l'effetto rigenerante fu immediato ma non sufficiente. Sentiva la gola riarsa. Tra i secchi lì accanto utilizzati per il trasporto dell'acqua si trovavano alcune ciotole di legno; ne afferrò una e, dopo averla sciacquata più volte, la riempì e inizò a bere a piccoli sorsi.
Mentre si guardava intorno riflettendo sul fatto che lì davvero non era cambiato nulla, udì caratteristici rumori di stalla provenire dalle scuderie. Si affacciò con l'intenzione di attaccar discorso, sperando si trattasse di qualche dipendente di vecchia data della famiglia Jarjayes, tanto per iniziare a capire in quale realtà era tornato.
Nella penombra vide però soltanto un ragazzino, lo stesso che accompagnava Oscar il giorno prima, intento a distribuire la biada ai cavalli, con un forcone di dimensioni decisamente spropositate per la sua taglia e che ancora faceva fatica a maneggiare agevolmente.
Si appoggiò di schiena allo stipite della porta, la ciotola con l'acqua ancora in mano, e si rivolse al ragazzo.

Bonjour
“Oh buongiorno, Monsieur...” - il ragazzino si voltò sorpreso ma non impaurito.
“Nessun Monsieur...solo Andrè. Hai bisogno d'aiuto?”
L'altro scosse più volte la testa in segno di diniego.
“Tu chi sei?” - gli sorrise incoraggiante Andrè.
“Pierre” - e gli occhi iniziarono ad illuminarlglisi di comprensione e di qualcosa di molto simile all'ammirazione.
Smise di lavorare e si concentrò sul suo interlocutore.
“Ma tu sei proprio quell'Andrè?”
“Che io sappia sì...perchè, ce ne sono altri?”- indagò Andrè aggrottando le sopraciglia mentre prendeva un altro sorso d'acqua
“Quello della dama?”
“La dama? Quale dama?”- Andrè si ritrovò a grattarsi la fronte con la mano libera. Proprio non gli sembrava di aver conosciuto nessuna dama degna di nota. Non recentemente...e poi era appena tornato.
“Quella che ho nella mia stanza...Monsieur le Comte mi ha detto che l'hai fatta tu”
“La tua stanz....oh! Ora capisco...” - e le dita andarono a tamburellare la fronte nel tentativo di risvegliare la mente ancora, in parte, annebbiata.
La dama...il jeu aux dames
E le immagini tornarono in un istante, più vivide che mai.
Inizialmente aveva pensato di regalare una scacchiera, intagliandone anche tutti i pezzi, a quel bambino sveglio e curioso che spesso si ritrovava intorno nelle cucine e lo spiazzava con osservazioni dedotte chissà come.
Avrebbe poi trovato il modo di insegnargli.
Subito però si era reso conto di quanto fosse un qualcosa di troppo impegnativo, sia per il poco tempo che aveva a disposizione, sia per l'età del bambino che, all'epoca era davvero piccolo.
E così aveva optato per il jeu aux dames, che aveva regole più semplici e più alla portata del futuro giocatore. E gli era sembrato un lavoro più accessibile anche se poi produrre quelle maledette pedine tonde, tutte uguali, si era rivelato più complicato del previsto.
“Sei il figlio di Mylène, quindi?” - un'espressione di puro stupore si dipinse sul volto di Andrè, mentre l'altro annuiva più volte con il capo.
Era cresciuto molto, non lo avrebbe mai riconosciuto.

“Quanti anni hai?”
“Dodici. E tu?”
La prontezza di risposta di certo non gli mancava; nascondendo un imbarazzato colpo di tosse nella mano chiusa a pugno, sorrise tra se dell'innocente impertinenza del suo interlocutore.
“Beh..questo non è importante. Diciamo molti più di te...”
“Sei cresciuto molto da come ti ricordavo. Non dirmi che lavori già qui a Palazzo?” - buttò lì Andrè indicando il forcone con un cenno del capo ma senza crederci per niente. Ricordava se stesso bambino provare ad intraprendere mestieri per nulla adatti, solo per dimostrare che era grande abbastanza.
Ma Pierre sfoderò un'aria soddisfatta ed annuì con vigore.
“Sono l'apprendista attendente di Monsieur le Comte...”
Ad Andrè andò l' ultimo sorso d'acqua di traverso ed iniziò a tossire sul serio. Come poteva quel soldo di cacio far fronte a tutte le esigenze di un ufficiale...di Oscar?
“Tu...l'attendente???”
“Apprendista”
“Oh è vero, scusami. E chi andrai a sostituire?”- il tono interessato per dare soddisfazione a Pierre, in parte nascondeva la curiosità di conoscere come si erano evolute le dinamiche di Palazzo. Ora era completamente presente a se stesso e gettò l'acqua restante sulla terra battuta ai suoi piedi, appoggiando poi la ciotola su uno sgabello lì accanto.
“Nessuno”
Andrè lo guardò con aria interrogativa e lui si sentì in dovere di continuare.
Monsieur le Comte non ha più un attendente”
“Quindi ce n'era uno...cosa gli è successo?”
“Eri tu”
E su quelle parole entrambi si incupirono improvvisamente.
Andrè provò un’angoscia indicibile immaginando quanto dovesse essere stata solitaria l'esistenza di lei, e si chiese come mai avesse fatto a sopravvivere senza una risata, un momento di svago o, perchè no, qualcuno da prendere semplicemente a pugni quando la rabbia e la frustrazione avevano la meglio su ogni altra emozione. Possibile che il ricordo di Fersen fosse stato sufficiente a colmare ogni vuoto?
Pierre, invece, abbassò lo sguardo mentre cercava, invano, di trattenere una domanda.
“Adesso tornerai ad essere tu il suo attendente?”
Andrè sorrise scuotendo piano il capo e comprendendo quel velo di delusione sul viso fanciullo. Gli si avvicinò ponendogli le mani sulle spalle per dare maggior credito alle sue parole.

“No...stai tranquillo. Non succederà”
“Andrè?” - Pierre era tornato a guardarlo, il viso già rasserenato. E l'uomo pensò che quella era un'età davvero meravigliosa, bastava così poco per spazzare via le nuvole...
“Sì?”
“Tu quanti anni avevi quando sei diventato l'attendente del Conte?”
“Quindici...oh ma tu, forse, lo diventerai prima” - si affrettò ad aggiungere, che a quell'età tre anni sembrano un'infinità di tempo.

Già, aveva solo quindici anni quando lui e Oscar si erano avviati, una mattina di primavera, verso la loro vita a Corte, perfettamente addestrati ma assolutamente impreparati a ciò che la vita avrebbe loro riservato negli anni a venire.
La voce squillante del ragazzino, il quale già si stava rivolgendo ad altri pensieri, deviò i suoi dalla via che stavano per imboccare.
“Ora devo andare, la mamma mi starà cercando per la colazione”
“Pierre?”
Si fermò sull'uscio della scuderia, voltandosi a guardarlo con aria interrogativa.
“Se vuoi ti insegno a giocare a dama...”
Lui scosse il capo, facendo spallucce.
“Non serve...mi ha insegnato Monsieur le Comte” - girò sui talloni per correre via ma si bloccò di colpo pensando di aggiungere quell'informazione di cui andava particolarmente fiero.
“E' stato quando l'ho battuto che mi ha chiesto se volevo provare a fargli da attendente...”
E scappò via.

Andrè rimase solo, in piedi sull'uscio, le mani dietro la nuca e i gomiti allargati a reggere la testa nella quale si rincorrevano immagini per nulla sfocate.
Sorrise rivedendo se stesso e Oscar, le teste vicine, ad intagliare i minuscoli pezzi. O meglio, lui intagliava, lei dipingeva. Si era offerta di aiutarlo in quell'impresa quando aveva scoperto il motivo che lo induceva, la sera, a ritirarsi nella sua stanza prima degli orari abituali.
Quindi, valutò, Oscar aveva finito ciò che lui aveva iniziato anche se era davvero strano pensarla intenta a trascorrere del tempo con un ragazzino con cui aveva ben poco a che fare. C'era davvero di che rimanere a bocca aperta...non avrebbe mai finito di stupirlo!
In realtà il jeu aux dames, materialmente, l'avevano finito insieme; erano stati fierissimi di quel lavoro di squadra. Una volta conclusa l'impresa avevano brindato alla buona riuscita e giocato la partita inaugurale, ma...
Strofinò il pollice sinistro sull'indice dove si percepiva ancora l'ombra di una cicatrice mentre un sorriso amaro gli stirava le labbra. Quella linea sottile quasi scomparsa era stata davvero danno di ben poco conto...se solo non avesse scatenato tutto il resto.
Sollevando lo sguardo intravide una donna dirigersi verso la sua direzione.
La riconobbe subito. Mylène era arrivata a Palazzo poco più che bambina per dare un aiuto economico alla sua famiglia, alla quale spediva regolarmente buona parte della paga.
Lei si fermò di colpo, gli occhi grigi spalancati per la sorpresa. Evidentemente non si aspettava certo di incontrarlo lì.
“Andrè!”
“Se cerchi Pierre è appena corso in casa”- accennò con il capo al retro del palazzo, dove si intravedeva l'ingresso delle cucine.
“Grazie...lo devo sempre rincorrere al mattino...”- si fermò ansante, cercando di riprendere fiato.
“A me è sembrato un ragazzino sveglio...”
Lei sorrise senza guardarlo in volto.
“Sì, lo è”
Fece una pausa, necessaria per pescare chissà dove un'idea.
“Se penso che potrebbe essere tuo figlio...”
E allora fu lui a sorridere, di un ricordo lontanissimo, senza rimpianti ne nostalgia.
“Sai benissimo che non è vero...”
Lei allora lo guardò, le labbra impegnate in una smorfia divertita.
“Già...ma se fosse stato per me...”
“Eravamo due ragazzini...ti è andata meglio così, credimi. E tuo marito è un uomo fortunato...a proposito, come sta?”
“Bene, sta bene. Ora non c'è...è andato a far visita a suo fratello a Rouen, pare abbia diversi problemi di salute”
“Mi dispiace, spero non sia nulla di grave”
“Ancora non so nulla, dovrebbe rientrare domani. “
Poi sospirò rumorosamente.
“Eravamo tutti molto preoccupati Andrè, anche per tua nonna. Sai quanto tutti, qui, le vogliamo bene. Pensavamo davvero che fossi morto e che lei, prima o poi cedesse al dolore”
“Mi dispiace...a ripensarci, avrei dovuto scriverle” - ammise lui con tono mesto.
“Sì, avresti dovuto...”- sottolineò lei con tono di leggero rimprovero, quello di una donna abituata a fare anche la madre.
Poi gli sorrise apertamente, guardandolo negli occhi.
L'ombra di quell'amore remoto definitivamente fugata.
“Sono felice che tu sia tornato a casa. Fatti abbracciare Andrè!”
Lui non rifiutò quel gesto di affetto sincero che ricambiò con gratitudine mentre Oscar varcava i cancelli ad un trotto leggero.
Non potè fare a meno di irrigidirsi un istante prima di fermare il cavallo ed affidarne le redini ad un ragazzo che sembrava uscito dal nulla, cercando si sfoderare l'aria più indifferente possibile.
Quando Andrè sollevò lo sguardo fece solamente in tempo a vedere la sua schiena scomparire dentro il Palazzo, realizzando in quel momento che quello era un orario davvero anomalo per tornare da una cavalcata.
Oscar varcò, perplessa, il portone di ingresso, cercando di trovare una spiegazione logica al fatto che Andrè si trovasse, di primo mattino, abbracciato alla madre di Pierre, il cui marito era altrove per motivi familiari.
Si era appena tolta i guanti, godendo del leggero tepore che avvolgeva l'ambiente, non eccessivo ma di certo in piacevole contrasto con l'umidità del mattino, quando scorse Fersen scendere lo scalone di marmo e venirle incontro. Si sorrisero cordialmente, in un muto scambio di saluti ma quello di lei si appannò rapidamente alle parole del Conte.
“Avete per caso visto Andrè? Mi hanno indicato la sua camera ma non l’ho trovato. La porta non era chiusa a chiave ma forse ho sbagliato stanza...non conosco bene Palazzo Jarjayes...lì sembra non ci abbia dormito nessuno”

All'incirca in quel momento un'altra porta si aprì, su un altro lato della dimora. In cucina entrò, con passo strascicato, un uomo non più giovane, sbadigliando rumorosamente.
“Marie non è che potrei avere un pò di pane e del tè?”
Sedette al lungo tavolo di legno, quello utilizzato per i pasti della servitù, rassegnato e ben consapevole della sfuriata che stava per abbattersi su di lui.
“Guillome! Esci subito di qui oppure stammi lontano! Scommetto che la tua puzza di alcol la sentono fino a Parigi! Non dovresti essere fuori a potare gli arbusti? Ormai sul vialetto qui dietro non si riesce quasi a passare!”
“Non urlare cosi! Sento la testa scoppiare...”
Nascose il viso tra le mani, quasi potessero proteggerlo dalle grida, poi appoggiò la testa sulle braccia, incrociate sul piano del tavolo
“Non urlare così? Ma come ti permetti...”
“Dai Marie, non farla tanto lunga...” - provò a ribattere con il tono insofferente di chi è abituato a sentire le stesse cose da sempre.
“E poi è tutta colpa di tuo nipote...”- provò a giustificarsi mentre mascherava un altro sbadiglio.
Lei lo guardò con aria interrogativa, le mani sui fianchi.
“Andrè? Cosa c'entra Andrè?“
"Dai, non fare finta di non saperlo...io e lui passavamo delle belle serate una volta” - e sul volto dell'uomo passò un sorriso un po' ebete e poco lucido. Poi prese a fissarla con fare cospiratorio.
“Marie, ascoltami...bisogna capire cosa gli hanno fatto in America...non regge più l'alcol!”
“Si può sapere cosa diamine vai dicendo? Oh, ma perchè devo sentire certe cose di primo mattino?”
E Marie alzò gli occhi al cielo in una muta preghiera a chiunque fosse in ascolto in quel momento.
“Cosa sto dicendo?!? Sto dicendo che dopo solo due bicchieri è crollato sulla branda come un sacco di patate! Io poi non ho più trovato il tappo e non potevo lasciare la bottiglia a metà...sai bene che l'alcol evapora!” - concluse sghignazzando ed autocompiacendosi della risposta che aveva trovato per giustificarsi.
“Adesso per favore, dammi po' di tè altrimenti dovrai andarci tu a sfoltire gli arbusti!”

***

Quel risveglio fu il primo di diversi altri per gli ospiti di Palazzo Jarjayes.
Andrè, in realtà, era tutt'altro che un ospite; al contrario, stava cercando di riacciuffare parte del tempo non trascorso con sua nonna, sollevandola, per quanto possibile, dalle incombenze più pesanti. Si era reso conto di quanto fosse invecchiata e si ritenne fortunato di averla potuta ritrovare al suo ritorno.
Lui e il Conte di Fersen trascorrevano diverso tempo da soli ma sembrava non avessero voglia di parlare del futuro; si godevano quella parentesi di apparente armonia cercando di rimandare il più possibile qualsiasi decisione.
Conclusi gli impegni di servizio, Oscar si univa a loro e li osservava sfidarsi in ogni specialità, dalla spada alle corse a cavallo, alle partite a scacchi. Mostravano l’esuberanza e la spensieratezza di due ragazzini, come se affrontassero ogni cosa per la prima volta. E forse era proprio così, immaginò. Evidentemente avevano riscoperto a piene mani la gioia per le piccole cose, dopo quegli anni trascorsi a chiedersi se avrebbero mai visto il giorno successivo.
Lei si teneva ai margini, non partecipava alle loro sfide, sostenendo di non aver bisogno di allenarsi più di quanto già non facesse. Regalava però sorrisi di approvazione dopo una stoccata vincente e non si faceva problemi a deridere bonariamente ora l'uno, ora l'altro, se cadevano in fallo. Invece faceva bene attenzione a non mostrare gli sguardi furtivi con i quali accarezzava Andrè, scoprendo, ogni giorno di più, piccoli e nuovi particolari che lo rendevano sempre più unico ai suoi occhi, che fosse il gesto sconosciuto con cui si scompigliava i capelli, mai portati così corti o la malinconia che gli leggeva nello sguardo quando lo sorprendeva immerso in chissà quali pensieri. E non potendo fare a meno di chiedersi quali fossero.
“Hai pensato alla mia proposta di venire in Svezia?” - azzardò Fersen, un giorno, dopo l'ennesima cavalcata mentre prendevano fiato seduti su un prato.
“Non molto ancora...hai proprio deciso di partire, dunque?”
Fersen annuì mentre spiegava le sue motivazioni.
“Non c'è niente che mi leghi alla Francia se non la mia amicizia per te e Madamigella Oscar...e in effetti non è poca cosa. Ma mio padre è ormai molto anziano e, dopo tanto tempo, sento il bisogno di rivedere la mia famiglia”
Era un pensiero che Andrè condivideva pienamente ma si chiese se davvero l’altro non volesse nemmeno passare a Corte.
“E lei?”
Come di consueto, come era sempre stato in quegli anni, non c'era bisogno di fare alcun nome, ne per uno, ne per l'altro, anche se quell'argomento era diventato sempre meno frequente, trascinato un po' più a fondo da ogni giorno che si aggiungeva alla loro permanenza lontano dalla Francia.

“Andrè...io...credo di essere riuscito a togliermela dal cuore”

“Davvero?”

“Sì, ne sono sicuro”

“Sei fortunato”

Sul volto di Andrè, rivolto all’orizzonte come quello di Fersen, passò un’espressione di accondiscendenza. Non ci credeva minimamente, ma forse Fersen ne era davvero convinto. Non osò contraddirlo. E sperò, per il suo bene, che fosse davvero così.
“Tu cosa pensi di fare?”
“Non ci ho ancora pensato”
Andrè sospirò e si sdraiò sull'erba, le braccia dietro la nuca, lo sguardo fisso al cielo. Fosse dipeso da lui non se ne sarebbe mai andato e anche ora, il solo prendere in considerazione una cosa del genere era una spina nel cuore.
Per anni, dopo la partenza aveva avuto costantemente il viso di lei davanti agli occhi, il suo profumo nelle narici; perfino nella Morte, che lo aveva sfiorato più volte, ci aveva visto le sue sembianze.
Era il suo rimorso eterno, il suo rimpianto senza fine. Aveva combattuto fino allo stremo delle forze, impegnando il corpo all’inverosimile per lasciare libera la mente dal perenne ricordo di lei.
E aveva anche combattuto affinchè Fersen, che lei amava, potesse tornare sano e salvo.
Non si riteneva certo un Santo per questo. Indubbiamente l’avrebbe preservata da un dolore inaffrontabile ma in fondo, non aveva difficoltà ad ammettere che c’era stata una vena di egoismo nel suo agire, almeno all’inizio.
Non voleva Fersen diventasse un martire, immolato alla causa di un amore impossibile.
L’eroe romantico per eccellenza.
Allora sì, lei non l'avrebbe mai scordato e non sarebbe mai più stata in grado di liberare il cuore che aveva, invece, uno spassionato bisogno di volare. E non importava verso chi, purché fosse in grado di riconoscere in lei la meravigliosa creatura che era.
Anche se non si trattava di lui.
Una volta sbarcati oltroceano, l'ufficiale svedese aveva fatto in modo che il soldato Grandier venisse assegnato al suo battaglione e, nonostante non fosse tenuto ad essere sempre in prima linea, se lo trovava nei paraggi in qualunque battaglia. Sembrava un tacito accordo a guardarsi le spalle a vicenda e forse anche Fersen lo faceva per Oscar, oltre che per se stesso.
Per non pensare, esattamente come lui.
Poi, non sapeva nemmeno come, era accaduto che erano diventati amici. Si erano ritrovati a confrontarsi su diversi argomenti quando la sera si ritrovavano a parlare in una tenda da campo e Fersen, talvolta, portava con sé una bottiglia di Bourbon che riusciva a sottrarre alle scorte per gli ufficiali.
Ognuno per conto proprio si era reso conto di attendere con impazienza quei momenti in cui cercavano di stemperare l’angoscia di una vita in bilico e a confidarsi i reciproci timori.
Come stava accadendo in quel momento.
“Sono un po' preoccupato per Madamigella Oscar...”
Andrè si girò a guardarlo con aria interrogativa e lui continuò.
“Esce molto presto tutte le mattine, prima del sorgere del sole”
“Tu come lo sai?”- chiese stupito, cercando di stabilire mentalmente la posizione della stanza assegnata all'altro.
“Beh...la vedo dalla finestra...mi sveglio più volte, per via degli incubi...forse succede anche a te”
Ed era la verità anche se sorvolò sul fatto che in quelle occasioni c’era però chi era in grado di alleviare i suoi tormenti.
“Già”
“Se si trattasse di una qualsiasi altra donna penserei ad incontri galanti, al riparo da occhi indiscreti, ma...” - Fersen intraprese, con tono incerto, quella che sapeva benissimo essere un’arrampicata sugli specchi.

“Ti ho già detto come stanno le cose” - tagliò corto seccamente Andrè.

Si fissarono per un istante, non potendo fare a meno di tornare a quella notte americana. Era un periodo in cui la situazione era calma e la stanchezza del corpo non raggiungeva livelli sufficienti a sedare la mente. E allora bisognava ricorrere al leggero oblio garantito dall’abituale distillato di mais, che, in dosi superiori alle solite, quella sera aveva sciolto le lingue.
Inizialmente aveva avuto un ricordo molto vago di quella rivelazione, ad esempio non ricordava come fossero finiti a parlare di Oscar. Cercava di farlo il meno possibile.
“Lei è innamorata di te...” - e gli sembrava di non averle pronunciate davvero quelle parole, che fossero rimbombate solo nella sua testa.
“No, non posso crederlo” - Fersen aveva strabuzzato gli occhi dallo stupore ma l’espressione vuota e rassegnata dell’altro gli aveva fatto immediatamente capire che, probabilmente, quella non era una frase dettata dall’alcol.
“Per questo ti sei arruolato?”- aveva provato a chiedere, non riuscendo a concepire quella realtà.
Ma non aveva ottenuto risposta. E se aveva imparato un po' a conoscere Andrè non avrebbe più cavato un ragno dal buco proseguendo con quella conversazione.
Mentre stava per andarsene l'altro lo aveva fermato.
“Hans?”
“Si?”
Il tono improvvisamente fermo, arricchito da una nota dura, solitamente estranea ad Andrè. Gli occhi ficcati a forza nei suoi.
“Se torneremo in Francia...o se solo tu tornerai...e se la farai soffrire, giuro su Dio che, ovunque io sarò, ti troverò e te la farò pagare cara”
Un angolo della mente di Fersen ancora si rifiutava di credere a quella rivelazione, tanto che provò a sondare quanto ferma fosse la convinzione di Andrè.
“E se io mi innamorassi di lei? Supponiamo per un istante...”
Andrè aveva bloccato quell'ipotesi sul nascere, alzando il tono di voce.
“SE tu ti inamorassi DAVVERO di lei...e quel “davvero” credo tu sappia cosa significa, allora vi potrei solo augurare di essere felici”
E quella risposta non avrebbe potuto essere più lucida e coerente.
Da quel giorno Fersen l'aveva guardato in modo diverso, forse chiedendosi come fosse possibile regalare il proprio cuore ad una donna innamorata di un altro.
Ma non avevano più toccato l'argomento in seguito.

Invece in quel momento Fersen provò ad abbozzare uno scenario diverso.
“Ma in questi anni potrebbero essere cambiate...”
Lui chiuse gli occhi e scosse il capo non potendo fare a meno di pensare alla figura esile di lei che vagava, sola, nel buio.
E quell’idea abbozzata che lo pungolava da giorni divenne sempre più prepotente: non poteva e non voleva più allontanarsi troppo dalla sua vita.
Anche se lei non fosse stata d’accordo. E anche se non sapeva ancora come fare.

 

   
 
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